I Briganti Insorgenti, sudditi del Regno Borbonico resistenti al regime piemontese
«Il complesso impasto che modella l’idea di nazione non viene prodotto esclusivamente con simboli, figure e parole ricalcate da una tradizione multiforme e diversificata cui, i ceti elitari per lo meno, erano stati ampiamente socializzati» (V. Banti, 2000).
Intorno a quel fatidico 1861 si andava affermando l’idea di “nazione italiana” in base alla quale idea, il Regno dei Borbone rappresentava una terra abitata da “esseri primitivi” … e che si dovesse operare una costruzione chirurgica del territorio, “contro” il meridione, che in quell’ottica (razzista) rappresentava una “negazione vivente”, un regresso o “piaga sociale” che necessitava di essere corretta e moralizzata, con una speciale “medicina” offerta dai “liberatori” del detto -Risorgimento- Mazzini, Cavour, Garibaldi e i Savoia, i quali contrapponevano a questa “piaga” il loro medicamento (e lombrosiano) “sistema piemontese” (…) che loro (Savoia) definiranno “la vera Nazione”. In questo teatrino inventato appositamente (per scrollarsi i debiti che il Regno di Sardegna aveva contratto con Francia ed Inghilterra), la “lotta al brigantaggio“, divenne il verbo per la liberazione dal malessere meridionale. Dal 1861 questa è stata la versione diffusa in ogni testo scolastico. Ma sono andate davvero così le cose? Qui di seguito una sintesi quanto più concentrata possibile di alcuni aspetti principali della storia del cosidetto “BRIGANTAGGIO” che svela, oggi 2017, una realtà che ribalta totalmente le tesi studiate in oltre 150 anni nei banchi scolastici. Tutte le atrocità che si susseguirono per anni sono documentate negli Atti Parlamentari, nelle relazioni delle Commissioni d’Inchiesta sul Brigantaggio, nei vari carteggi parlamentari dell’epoca e negli Archivi di Stato dei capoluoghi dove si svolsero i fatti.
Ma chi furono davvero i briganti? Delinquenti o resistenti? Malfattori o patrioti? La stragrande parte della popolazione italiana non ha idea di cosa sia stata quella guerra civile spacciata per “lotta al brigantaggio”. La versione ufficiale ha denigrato, umiliato e razziato le vite di migliaia di umili cittadini del regno dei Borbone. Invero la questione del Brigantaggio narra una storia triste, tristissima, fatta da migliaia di vite distrutte. Se da una parte il brigante può essere genericamente inteso come un bandito o un fuorilegge, qui nella storia nascosta dell’Unità d’Italia (nel periodo pre e post unitario) è necessario distinguere i briganti intesi come banditi e/o delinquenti puri (ossia non legati a ideologie), da quella “resistenza” cittadina che il regime sabaudo definirà appunto “briganti”; ma i Savoia sceglieranno quel termine volutamente e in senso dispregiativo.
«Il brigantaggio […] è la lotta fra la barbarie e la civiltà; sono la rapina e l’assassinio che levono lo stendardo della ribellione contro la società». (Giuseppe Massari 10 2 1, dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio letta alla camera il 3 maggio 1833; cit. da Dickie, 1991, p.58)
«[I briganti] sono rotti ad ogni lascivia e turpitudine, pronti ad ogni delitto: bevono il sangue, mangiano le carni umane». (Giuseppe Massari 10 2 1, relazione della commissione d’inchiesta 3, comitato segreto del 3 aprile 1863; citato da De Jaco, 1969, p.57;)
Il termine “Brigante” fu coniato dai francesi per definire quei ribelli meridionali che si opponevano all’invasione francese nel periodo napoleonico e fu riutilizzato così come dai francesi, da parte dell’esercito dei Savoia, per giustificare gli stermini contro quei poveri ribelli, che venivano ricordati come dei banditi e latitanti. Quindi : i briganti nascono come “fuorilegge” che operano con piccole bande, banditi di campagna. ma come vediamo, negli anni successivi al 1860 però questo termine verrà esteso, a scopo denigratorio, a tutte le truppe partigiane irregolari che combattono contro gli invasori piemontesi.
La mafia e la camorra nascono invece come fenomeno di controllo ed eventualmente di vessazione dei braccianti agricoli e dei coloni (caporalato), ed agiscono spesso al soldo dei grossi feudatari. Solo con il connubio Mafia-politica, introdotto da Liborio Romano 4 per conto di Garibaldi 5, le mafie si evolvono in criminalità organizzata e mantengono stretti legami con la politica locale e spesso con quella nazionale. Il potere della camorra è nato contemporaneamente all’Unità ed allo spostamento al Nord di molte attività industriali meridionali. Prima era solo una organizzazione di “guappi” … ma ben presto il connubio politica-mafie farà comodo ai vertici della colonizzazione del Sud, perchè con quel connubio si potevano tenere sotto controllo la popolazione del sud. Garibaldi non fece nulla per spezzare quell’accordo, nè lo fece la “gens politica” successiva.
Questi briganti (resistenti) erano dunque quelli politicizzati, ossia quei combattenti che si opposero con le armi all’instaurazione della monarchia sabauda nel Regno delle due Sicilie. Essi rappresentarono in realtà una forma d’insurrezione politica e sociale composta da quella parte della popolazione del Mezzogiorno (soprattutto in Basilicata, Puglia, Campania, Molise e Abruzzo) che tentò di organizzarsi militarmente contro i Savoia e quindi durante il processo di unificazione dell’Italia nel primo decennio del Regno. Si trattò di una vera guerra civile combattuta da persone comuni divenute dall’oggi al domani “briganti” per la difesa della terra. In altre parole questi briganti erano in realtà guerriglieri antisabaudi che cercarono di rifar salire al trono quella dinastia (i Borbone) che aveva bonificato tante paludi per far girare il commercio agricolo. Chi erano questi briganti/resistenti? Essi comprendevano un po tutte le fasce sociali: medici, contadini, avvocati, artigiani, alcuni militari borbonici, come anche reazionari borbonici e repubblicani; tutti che combattevano per una causa politica. Difendere le terre del Sud dai piemontesi.
Si è parlato della corruzione fra le file delle alte gerarchie dei Borbone. Non tutti gli ufficiali Napolitani ebbero una sincera “devozione verso il Re”. Molti di loro si unirono sotto lo stemma di Casa Savoia alla fine della guerra, partecipando alla cattura di diversi briganti nel Molise, nella Basilicata e nelle Puglie. E mentre i soldati borbonici avrebbero voluto combattere, invece alcuni di quegli alti ufficiali dell’esercito … si erano lasciati corrompere e di conseguenza non mobilitarono le loro truppe! E anche l’intera marina passò in blocco con i piemontesi. E proprio Napoli diventerà una delle città più Savoiarde d’Italia. Ad esempio nella battaglia di Calatafimi, quando i garibaldini furono soverchiati, l’esercito borbonico attendeva i rifornimenti e le munizioni, largamente impiegati nello scontro, ma anziché vedere soddisfatta questa richiesta che avrebbe fatto si che i borbonici spazzassero via definitivamente quelle 1.700 – 2.000 camicie rosse, ricevettero dal loro generale lautamente corrotto, l’ordine di ritirata. Ci fu corruzione, è vero, ma non tutti si fecero corrompere e coloro che non tradirono il Re e si rifiutatono di combattere al servizio dei Savoia, morirono da eroi sul campo di battaglia, al pari dei briganti.
Dunque coloro che sono passati alla storia come “Briganti”, non erano solo semplici cittadini o contadini (come si suole dire nei libri scolastici), ma anche tanti, tantissimi valorosi soldati e comandanti borbonici che hanno preferito morire con dignità piuttosto che lasciarsi corrompere. E chiunque veniva catturato era fucilato o deportato a Fenestrelle (o in altri lager del mondo moderno a Nord d’Italia), sottoposto ai lavori forzati in condizioni misere e disumane. Nessun poteva uscire da quei campi di concentramento (i primi in Europa) dove la durata minima di vita era di circa un mese. Si dice che molti dei loro corpi siano stati sciolti nell’acido o nella calce viva comunque a nessuno di loro fu ridonata la libertà. Al Sud poi c’erano appunto i briganti, considerati dai Piemomtesi malfattori – ma quello era il prestesto per far accettare il loro sterminio, visto che erano dei patrioti borbonici insorti. Molte furono le sconfitte che subirono le truppe -male equipaggiate- dei piemontesi da parte dei patrioti. Nonostante ciò l’esercito savoiardo riuscì a salire mezza italia: servendosi della corruzione dei generali borbonici, appunto. Inotre il Regno di Vittorio Emanuele II non dichiarò alcuna guerra e si fece aiutare dai bombardamenti a tappeto della marina inglese che si era alleata con i Savoia (…) poichè la Gran Bretagna dalla sconfitta del Regno Borbonico, avrebbe guadagnato il dominio dello zolfo siciliano e sui mari del Sud che erano sotto l’egemonia borbonica. Napoli non fu e non sarà mai favorevole prima della nascita della repubblica al Re Savoia. Non a caso parecchi cittadini napoletani, furono fucilati e ci furono molti tentativi di guerriglia contro i piemontesi; ancora oggi antichi canti in dialetto dell’epoca raccontano quel periodo. I cittadini combatterono valorosamente per liberare la loro capitale.
Un primo tentativo di risolvere il problema di quella “piaga sociale” che necessitava di essere corretta e moralizzata, ci fu con il decreto del 20 dicembre 1860, anche se le prime deportazioni dei soldati duosiciliani incominciarono già verso ottobre del 1860, in quanto la resistenza duosiciliana era iniziata con episodi isolati e non coordinati nell’agosto del 1860, dopo lo sbarco dei garibaldini e dalla stampa fu presentata come espressione di criminalità comune. Il decreto chiamava alle armi gli uomini che sarebbero stati di leva negli anni dal 1857 al 1860 nell’esercito delle Due Sicilie, ma si rivelò un fallimento. Si presentarono solo 20.000 uomini sui previsti 72.000; gli altri si diedero alla macchia e furono chiamati “briganti”. il “brigantaggio” venne interpretato come il sintomo principale del Meridione.
Questa resistenza armata all’invasore piemontese impegnò il meridione in uno scontro armato all’interno del nuovo Stato italiano, durò oltre un decennio e vide schierate quasi 500 bande, che riunivano da poche unità fino a 900 uomini … tutti animati dal coraggio della verità contro quella dei sedicenti “liberatori”. Quando il Piemonte unificò l’Italia e promulgò lo Statuto Albertino, la cosa allertò ancora più meridionali, così che mollti altri contadini si diedero alla macchia divenendo briganti anch’essi. Vedi “tassa sul macinato”. Poi, con l’unificazione dell’Italia (1860-1861), su tutto il territorio nazionale, venne introdotto il sistema fiscale vigente in Piemonte. A quel punto le speranze di una ridistribuzione delle terre nel sud, in favore dei contadini, furono completamente deluse. Ecco come si forgiò questo Brigantaggio, che ebbe inizio storicamente e letteralmente all’indomani della partenza per l’esilio del Re Francesco II di Borbone, avvenuta il 13 febbraio 1861. Così il popolo ribelle, venne marchiato con la parola “Brigante” che deriva dal termine francese brigant, cioè delinquente, bandito. Il 13 febbraio 1861 è il giorno in cui i vincitori, ovvero chi ha scritto la storia, dando la sua versione dei fatti, ha marchiato i contadini meridionali con questo nome.
Coloro che dominarono con la forza e con la repressione, un popolo affamato, povero e scontento, sconvolto dall’aumento delle tasse e dei prezzi sui beni primari, costretto alla leva obbligatoria, privato della propria dignità, che con giusta ragione iniziò a rivoltarsi, provando rancore verso il nuovo regime e soprattutto verso gli strati sociali che giocando su questa sciagura, si avvantaggiarono degli avvenimenti politici riuscendo ad ottenere cariche, onori e vantaggi economici. Nacquero bande di briganti, a cui aderirono non solo contadini disperati ma anche ex soldati borbonici, ex garibaldini e banditi comuni. Il governo delle Due Sicilie facendo leva sulla disperazione del popolo tentò di riprendersi il regno sfruttando il malcontento e la disperazione generale. Il popolo disperato ascoltò le parole del vecchio regime e si lasciò suggestionare dalle sue proposte e, nella speranza di poter ottenere benefici, appoggiò la causa di una restaurazione borbonica (Tommaso Pedio, Brigantaggio e questione meridionale, Levante, Bari, 1982, p.135).
Ci fu un proliferare di nuove bande di briganti, sparse in tutto il Mezzogiorno, tra Campania, Lucania, Puglia, Calabria e Sicilia. I componenti delle bande più combattive, venivano considerati, dalle folle, come veri e propri eroi che lottavano contro i nemici (Cavour e Vittorio Emanuele II). Questi personaggi, dotati di grande tempra e di carisma, e le loro imprese: la continua latitanza, i pasti frugali, le grandi distanze da percorrere, spesso tutte in una volta e quasi sempre di notte, l’uso delle tattiche militari della guerriglia per tenere testa ad un esercito formato da migliaia di uomini ed armato fino ai denti, sono divenute mito. L’ottima conoscenza del territorio era un’altra delle caratteristiche fondamentali che permise a pochi uomini di resistere per lungo tempo agli assalti militari. Tanto fra i boschi e le montagne, luoghi che facilmente si prestano alla mimetizzazione, all’organizzazione di agguati e di scorrerie, quanto sui campi aperti, come gli altipiani, i briganti erano in grado di mostrare una perfetta padronanza delle tattiche militari, grazie alle quali, spesso costringevano la cavalleria sabauda ad impegnarsi in lunghi scontri frontali dall’esito quasi sempre incerto (da ibrigantiditerranostra.wordpress.com 6).
Sino ad allora comunque, la popolazione meridionale non era stata inerte di fronte all’occupazione piemontese, ma aveva attivamente fiancheggiato le truppe dell’esercito borbonico. Dopo la resa di Gaeta infatti, le sollevazioni popolari si moltiplicarono in tutti i distretti del Regno, con la formazione delle prime bande armate, formate da contadini, artigiani, ex soldati borbonici sbandati, piccoli signori locali. La guerra militare si trasformò così in guerra civile, come scriveva padre Carlo Curci in un suo articolo.
Ma la repressione che lo Stato unitario mise in atto per annientarlo fu terribile con decine di migliaia di esecuzioni sommarie e una feroce rappresaglia. Agli assalti dei briganti i Savoia rispondevano con rappresaglie sulla popolazione civile, come confermano i numerosi editti affissi nelle strade nei quali i savoiardi si arrogavano il diritto di rappresaglia. Furono messe a ferro e a fuoco decine di paesi meridionali. Il Generale Enrico Cialdini, riuscì a radere al suolo e a massacrare le popolazioni del sud. Assieme al ministro Spaventa motivando la strage per il fatto che, a loro dire, la popolazione meridionale alimentava e copriva i briganti ed era quindi “complice”, pertanto la rappresaglia era dovuta. Invero quella dei briganti era la giusta reazione del popolo contro un’invasione armata che lo spogliava del proprio Paese, della propria libertà, delle proprie ricchezze, del proprio legittimo Re. Altro che briganti! E ai Savoia sarà necessario tutto l’armamentario coloniale disponibile: stato d’assedio, legge marziale, tribunali speciali, pena di morte, fucilazioni di massa, bombardamenti a tappeto, rappresaglie, terra bruciata. 5.212 condanne a morte, 6.564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione consumata all’indomani dell’Unità d’Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica 7, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863 “… per la repressione del brigantaggio nel Meridione”… ragazzine di appena dieci anni, colpevoli di essere figlie di briganti, furono condannate a vent’anni di carcere e furono separate dalle madri, anch’esse imprigionate; intere famiglie furono smembrate e deportate. Angelina Romano, bimba di 9 anni è stata uccisa perché accusata di brigantaggio. A 9 anni. Tutti i meridionali che si sono ribellati a questa carneficina. E sono stati chiamati “briganti”, ma erano solo uomini che stavano difendendo la propria terra. La Legge Pica fu l’unico frutto della Commissione d’Inchiesta sul Brigantaggio 8, ma ha potuto solo riempire le carceri e le isole di sospetti, e costernare terre e province intere con inaudite vessazioni d’ogni sorta. Il problema fu affrontato con la boria del vincitore, non con la pietas che sarebbe stata più utile, forse necessaria.
Ecco cosa dicevano del Brigantaggio i padri Gesuiti della “Civiltà Cattolica”: «Questo che voi chiamate con nome ingiurioso di Brigantaggio non è che una vera reazione dell’oppresso contro l’oppressore, della vittima contro il carnefice, del derubato contro il ladro, in una parola del diritto contro l’iniquità. L’idea che muove cotesta reazione è l’idea politica, morale e religiosa della giustizia, della proprietà, della libertà».
Va giustamente ricordato ancora che la collaborazione dei Napoletani con garibaldini e piemontesi non era mai stata corale e anzi fu assolutamente inferiore anche alle aspettative degli stessi “liberatori”. Il popolo, per la maggior parte, fu ostile all’invasione e prese le armi sin da subito. Lo conferma un testimone d’eccezione, Nino Bixio, braccio destro di Garibaldi le cui parole furono riportate da padre Carlo Piccirillo (registrata negli Atti Ufficiali del Parlamento). In una seduta parlamentare sulla repressione del brigantaggio siciliano, il deputato Bixio disse: «La libertà della Sicilia non è opera della sola Sicilia, è opera dell’Italia. Credete in me, vi dico la verità. Se le province d’Italia non avessero mandato alla Sicilia gli elementi che le hanno mandato, la Sicilia non sarebbe libera e noi non saremmo qui a parlare, saremmo stati strozzati. […] Eravamo circa quindicimila uomini: sei mila erano Veneti, cinque mila circa erano Lombardi, mille erano Toscani e tremila circa erano Siciliani. […] Mi si dirà che discorrendo di questi fatti, vengono fuori cose dolorose a sapersi. Ma il mondo è com’è, ed importa sempre conoscere il nostro Paese».
O le parole di Massimo D’Azeglio, 1861: «A Napoli, noi abbiamo altresì cacciato il sovrano per stabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono e sembra che ciò non basti, per contenere il Regno, sessanta battaglioni; ed è notorio che, briganti o non briganti, niuno vuol saperne».
«Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia Meridionale, temendo di esser preso a sassate, essendo colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio». (Giuseppe Garibaldi)
«Il Regno delle Due Sicilie aveva due volte più monete di tutti gli altri Stati della Penisola messi insieme». (Francesco Saverio Nitti)
«I Borboni non commisero in cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di Sua Maestà in un anno». (NAPOLEONE III – lettera a Vittorio Emanuele II, 1861)
«Aborre invero e rifugge l’animo per dolore e trepida nel rammentare più paesi del regno napoletano incendiati e rasi al suolo, e quasi innumerevoli integerrimi sacerdoti e religiosi e cittadini di ogni età, sesso e condizione, e gli stessi malati indegnissimamente ingiuriati, e poi eziando senza processo, o gettati nelle carceri o crudelissimamente uccisi». (PAPA PIO IX, 30 settembre 1861)
O ancora il Discorso alla Camera del deputato Giuseppe Ferrari del 29 aprile 1862: «Non potete negare che intere famiglie vengono arrestate senza il minimo pretesto; che vi sono, in quelle provincie, degli uomini assolti dai giudici, che restano in carcere. Si è introdotta una nuova legge in base alla quale ogni uomo preso con le armi in pugno viene fucilato… Se la vostra coscienza non vi dice che state sguazzando nel sangue, non so più come esprimermi».
«Il governo piemontese che si vede presto costretto ad abbandonare il suolo napoletano, si vendica mettendo tutto a ferro e fuoco. Raccolti incendiati, provvigioni annientate, case demolite, mandrie sgozzate in massa. I piemontesi adoperano tutti i mezzi più orribili per togliere ogni risorsa al nemico, e finalmente arrivarono le fucilazioni! Si fucilarono senza distinzione i pacifici abitatori delle campagne, le donne e fino i fanciulli». (L’OSSERVATORE ROMANO, 1863)
«Non solo la miseria e l’anarchia sono al culmine, ma gli atti più indegni sono considerati normali espedienti: un generale di cui non ricordo il nome, avendo proibito ai contadini di portare scorte di cibo quando si recano al lavoro dei campi, ha decretato che siano fucilati tutti coloro che vengono trovati in possesso di un pezzo di pane. I Borboni non hanno mai fatto cose simili – Napoleone». (Lettera di Napoleone III al suo generale Fleury, 21 luglio 1863)
«Non appena mi videro, i detenuti si precipitarono verso di me con grida pietose le braccia protese, implorando non la libertà, ma il processo; non la clemenza, ma una sentenza». (Lord Henry Lennox, in visita alle carceri meridionali nell’inverno 1862-63)
«Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Ho la coscienza di non aver fatto del male. Nonostante ciò, non rifarei la via dell’Italia Meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi là cagionato solo squallore e suscitato solo odio». (Lettera di Giuseppe Garibaldi ad Adelaide Cairoli del 1868)
«…. appena dopo il passaggio di Garibaldi, i comitati liberali composti dai ricchi borghesi e dai massoni, ferventi “unitaristi”, s’impossessarono delle amministrazioni comunali e delle relative casse, misero mano ai documenti relativi alle assegnazioni degli usi civici, ne delinearono la consistenza e li misero all’asta; fu così che il patrimonio rurale passò velocemente nelle loro tasche; ai contadini rimasero due possibilità, come disse Giustino Fortunato, “o brigante o emigrante”». (Carlo Dotto de Dauli)
«Prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione, non era mai esistita in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa …subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia». (Rocco Chinnici)
«Si, è vero, noi settentrionali abbiamo contribuito qualcosa di meno e abbiamo profittato qualcosa di più delle spese fatte dallo Stato Italiano, peccammo di egoismo quando il settentrione riuscì a cingere di una forte barriera doganale il territorio ed ad assicurare così alle proprie industrie il monopolio del mercato meridionale». (Luigi Einaudi)
«Lo Stato Italiano è stata una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia Meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infangare col marchio di briganti». (Antonio Gramsci in “Ordine Nuovo”, 1920)
«Se dall’Unità d’Italia il Mezzogiogno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata. E’ caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone». (Gaetano Salvemini)
«La guerra contro il brigantaggio, insorto contro lo Stato unitario, costò più morti di tutti quelli del Risorgimento. Abbiamo sempre vissuto su dei falsi: il falso del Risorgimento che assomiglia ben poco a quello che ci fanno studiare a scuola». (Indro Montanelli)
«Nel secolo precedente, il Meridione d’Italia rappresentò un vero e proprio eden per tanti svizzeri, che vi emigrarono, spinti soprattutto da ragioni economiche, oltre che dalla bellezza dei luoghi e dalla qualità della vita. Verso la metà dell’Ottocento, nella capitale del Regno delle Due Sicilie quella svizzera era tra le più numerose comunità estere». (Claude Duvoisin – console svizzero, 2006)
Carmine Crocco, Nicola Napolitano, Ninco Nanco, Giuseppe Caruso, Michelina Di Cesare, Antonio Locaso, Luigi Alonzi e Damiano Vellucci furono i principali “briganti” che tentarono sino all’ultimo di impedire la conquista di Vittorio Emanuele II nelle terre del Sud. Il popolo meridionale è stato sterminato proprio perché si è ribellato ai Savoia, i quali dopo l’invasione hanno chiuso le aziende siderurgiche, approvato il servizio militare obbligatorio (che non lo era con i Borbone), hanno chiuso la Zecca di Stato, ma anche stuprato e ucciso le donne del sud, giacchè con i Savoia, lo stupro fu ammesso per legge.
In Piemonte qualche dubbio cominciava a serpeggiare anche tra i liberali e i fautori del nuovo regno d’Italia; persino Massimo d’Azeglio scriveva: “[…] ci vogliono, e pare che non bastino, 60 battaglioni per tenere il Regno, ed è notorio che, briganti o non briganti, non tutti ne vogliono sapere. Mi diranno: e il suffragio universale? Io non so niente di suffragio, ma so che di qua dal Tronto non ci vogliono 60 battaglioni, e di là sì. Dunque dev’esser corso qualche errore“. Così, nel 1863, fu istituita quella Commissione Parlamentare d’inchiesta 9, presieduta dal deputato salentino Giuseppe Massari 10 2 1, che, dopo lunghi sopralluoghi ed altrettanto lunghe riflessioni, elaborò una Relazione, nella quale venivano indicate le “vere” cause del brigantaggio: la miseria delle popolazioni, dovuta ovviamente all’oppressione borbonica … Il Parlamento preferì discutere la relazione in una seduta segreta. Forse perché neppure lo stesso Massari avrebbe avuto il coraggio di sostenere simili menzogne di fronte alla stampa nazionale e soprattutto internazionale.
E dire che il Pil e i redditi del Sud preunitario era superiore a quello del resto dell’Italia (cfr. Daniele e Malanima, CNR), le industrie erano pari o superiori nel sud rispetto al nord (Fenoaltea e Ciccarelli, Banca d’Italia), decine di migliaia di “riganti” (altro che briganti)
Lo stato unitario è stato dunque una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, nato con fucilazioni casuali e volontarie di contadini poveri, che scrittori salariati tentarono di infangare col marchio di briganti. Quindi se i briganti furono delinquenti, l’Italia nacque legittimamente, ma se i briganti furono patrioti e resistenti, allora è tutta un’altra storia …
Briganti famosi
- Cosimo Mazzeo detto Pizzichicchio
- Giuseppe Musolino, detto U rre dill’Asprumunti
- Ciro Annichiarico, detto Papa Ciro (Grottaglie)
- Carmine Crocco, detto Donatelli e soprannominato Il Generale dei Briganti, capo-brigante della Basilicata
- Francesco Moscato detto u Vizzarru il bizzarro brigante della Calabria
- Lorenzo Benincasa brigante della Calabria
- Ferdinando Mittica detto Don Ferdinando, capo-brigante della Calabria
- Pietro Masi detto Bellente di Appignano (Macerata)
- Vicenzo Curcio
- Antonio Angelo Del Sambro o Angelo Maria Del Sambro, detto Lu Zambr di San Marco in Lamis
- Gaetano Tranchella
- Gaetano Manzo
- Antonino Maratea detto Ciardullo
- Alfonso Carbone
- Cosimo Giordano
- Luigi Alonzi detto Chiavone (Sora Terra di Lavoro)
- Michele Pezza detto Frà Diavolo
- Nunzio Tamburrini
- Antonio Trapasso detto Gallo
- Gaetano Coletta detto Mammone (Sora Terra di Lavoro)
- Domenico Tiburzi detto Domenichino
- Pietro Monaco
- Maria Oliverio detta Ciccilla
- Giuseppe Nicola Summa detto Ninco Nanco
- Antonio Cotugno detto Culo Pizzuto
- Giuseppe Tardio
- Gioseffi Teodoro detto Caporal Teodoro
- Berardo Viola
- Cicco Cianci
- Rocco Chirichigno, detto Coppolone, di Montescaglioso
- Domenico Straface detto Palma
- Vincenzo Macrini
- Giuseppe Schiavone, di Sant’Agata di Puglia
- Vincenzo Capraro
- Angelo Pugliese
- Costanzo Maio
- Pasquale Cavalcante
- Angelo Bianco detto Turri Turri
- Vincenzo Mastronardi detto Amato
- Federigo Bobini detto Gnicche
- Bernardo Colamattei detto Il brigante delle Mainarde
- Antonio Locaso detto ‘U Craparidd
- Stefano Pelloni detto il Passatore
- Nicola Napolitano detto il Caprariello
- Sataliviti, all’anagrafe Antonio Catinella
- Marco Sciarra definito il re della campagna
- Gaetano Ricca (Brigante della Sila)
- Pasquale Domenico Romano detto il sergente Romano
- Giosafatte Talarico (Brigante della Sila)
- Paolo Mancuso detto Parafante
- Giovanni Piccioni di Acquasanta (Ascoli Piceno)
- Oliva Luigi di Cesa Caserta
- Luigi Cerino di Gauro, detto Chiavarullo o Pipino
- Gaetano Vardarello
- Sparacannone
- Damiano Vellucci
- Libero Albanese
- Michelina Di Cesare
- Maria Maddalena De Lellis
- Giuseppe Caruso, detto Zì Beppe
- Salvatore Giuliano
- Agostino Nardella di San Marco in Lamis, detto Putecario
- Nicandro Polignone di San Marco in Lamis, detto Nicandrone
- Raffaele Villani di San Marco in Lamis, detto Recchiemuzze
IN BIBLIOTECA
- Il *brigantaggio / Sergio Basalisco. – Padova : R.A.D.A.R., 1969. – 62 p. : ill. ; 22 cm.
R 945.88 BAS
- Il *brigantaggio dopo l’unità / Salvatore Scarpino. – Milano : Fenice 2000, [1993]. – 95 p. : ill. ; 19 cm. R 364.131 SCA
- Il *brigantaggio meridionale : cronaca inedita dell’Unita d’Italia / a cura di Aldo De Jaco. – Roma : Editori riuniti, 1969. – 351 p., 56! c. di tav. : ill. ; 25 cm. M 364.131 DJA
- *Maledetti Savoia / Lorenzo Del Boca ; con la collaborazione di Ignazio Panzica. – Casale Monferrato : Piemme, 1998. – 287 p. ; 22 cm. 945.083 DEL
- *Controstoria dell’unità d’Italia : fatti e misfatti del Risorgimento / Gigi Di Fiore. – Milano : Rizzoli, 2007. – 461 p. : ill. ; 23 cm. 945.0834 DFI
- La *leggenda di Fra Diavolo : l’avventurosa storia del brigante buono / Roberto Giardina. – Casale Monferrato : Piemme, 1995. – 264 p. ; 22 cm. 945.7082092 FRA
- *Amori e tromboni : Briganti siciliani tra storia e leggenda / Vittorio Consoli. – Acireale : Bonanno, 1988. – 117 p. ; 17 cm. 945.88 CON
- *Cospiratori Guerrieri Briganti : storie dell’altro Risorgimento / Renato Monteleone ; illustrazioni di Piero Ventura. – Trieste : Einaudi Ragazzi, 1995. – 174 p. ; 18 cm. R8 C17 MON
- *Fratelli briganti : Gaeta 1861 / Vichi De Marchi ; scheda storica di Luciano Tas. – Milano : A. Mondadori, 2003. – 122 p. ; 19 cm. R8 C19 DEM
- *Leggende e racconti popolari del Piemonte : storie di diavoli e santi, streghe e folletti, frati e briganti, luoghi e personaggi del mito e della storia, da Eridano a Griselda, da Carlo Magno alla bell’Alda / Tersilla Gatto Chanu ; prefazione di Franco Piccinelli. – 5. ed. riveduta e ampliata. – Roma : Newton Compton, 1995. – 317 p. : ill. ; 23 cm. P 398.209451 GAT
- *Storia e leggende di briganti e brigantesse: sanguinari nemici dell’Unità d’Italia / Tarquinio Maiorino ; prefazione di Antonio Spinosa. – Casale Monferrato (AL) : Piemme, 1997. – 379 p. ; 22 cm. R 945.88 MAI
- L’*uomo che faceva paura e altre storie di briganti / Pinin Carpi. – Firenze : Giunti, 1990c. – 88p. : ill. ; 26 cm. M R8 B5 CAR
- 4: Il *Mezzogiorno borbonico e napoleonico (1734-1815) / Giuseppe Galasso. – Torino : UTET, c2007. – XX, 1302 p., [30] p. di tav. : ill. ; 26 cm. CA 945 GAL
- 5: Il *mezzogiorno borbonico e risorgimentale (1815-1860) / Giuseppe Galasso. – Torino : UTET, c2007. – XV, 900 p. ; 26 cm. CA 945 GAL
- 3: La *rivoluzione meridionale / Guido Dorso. – 3. ed.. – Torino : G. Einaudi, 1955. – LVII, 280 p. ; 22 cm. M 320.09 DOR
- I *fuochi del Basento: romanzo / Raffaele Nigro. – 4. ed. – Milano : Camunia, 1987. – 242 p. : 22 cm. 853.9 NIG
- *Giustiziateli sul campo : letteratura e banditismo da Robin Hood ai nostri giorni / Raffaele Nigro. – 1^ edizione. – Milano : Rizzoli, 2006. – 699 p. ; 22cm x 14 cm. 853.9 NIG
DEPORTATI CON IL MARCHIO “BRIGANTI”
Elenco compilato a Fenestrelle Il giovedí 25 maggio 2000, alle ore 12,30, da: – Antonio Pagano – Pier Giorgio Tiscar Questi soldati del Sud finirono i loro giorni in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso ricordo e la struggente nostalgia della Patria lontana. Erano poco piú che ragazzi: il piú giovane aveva 22 anni, il piú vecchio 32. Se non fossero stati relegati a Fenestrelle probabilmente sarebbero divenuti “briganti” e, forse, anche per questo motivo, furono relegati a Fenestrelle, fortezza del liberale piemonte, dove, entrando, su un muro è ancora visibile l’iscrizione: “OGNUNO VALE NON IN QUANTO E’ MA IN QUANTO PRODUCE” . Motto antesignano del piú celebre e sinistro slogan che si poteva leggere nei lager nazisti: “ARBEIT MACHT FREI”.
ANNO 1860
- Garloschini Pietro, m. 1.10, di Montesacco (?)
2. Conte Francesco, m. 11.11, di Isernia, anni 24
3. Leonardo Valente, m. 23.11, di Carpinosa, anni 23
4. Palatucci Salvatore, m. 30.11, di Napoli, anni 26
5. Suchese (?) Francesco, m. 30.11, di Napoli
ANNO 1861
- Scopettino Matteo, m. 24.8, di Chieti, anni 22
2. Miggo Salvatore, m. 7.10, di Galatina (Lecce) anni 24
ANNO 1862
- Donofrio Carmine, m. 16.1, di Villamagna (Chieti) , anni 27
2. Caviglioli Marco, m. 29.1, di Cosciano (?)
3. Palmieri Biagio, m. 5.2, di Teano, anni 23
4. Visconti Domenico, m. 16.4, di Cosenza, anni 28
5. Mulinazzi Francesco, m. 20.7, di Benevento, anni 24
6. Gentile Rocco, m. 24.7, di Avellino, anni 25
7. Leo Vincenzo, m. 18.9, di Veroli (Frosinone), anni 26
8. Lombardi Nicola, m. 25.9, di Modigliano (?)
9. Vettori Antonio, m. 7.11, di Amantea, anni 26
ANNO 1863
- Mazzacane Cristoforo, m. 18.2, di (?)
2. Pripicchio Raffaele, m. 21.3, di Paola, anni 23
3. Giampietro Giovanni, m. 9.5, di Moliterno, anni 28
4. Milotta Giuseppe, m. 23.5, di Sala, anni 24
5. Spadari Ruggero, m. 25.5, di Barletta, anni 24
6. Serbo Tommaso, m. 17.8, di Triolo – Gareffa (?), anni 26
7. Gaeta Giordano, m. 11.10, di Pellizzano (Salerno), anni 32
8. Gorace Domenico, m. 15.12, di Palma, anni 32
9. Grossetti Angelo, m. 23.12, di Mura (Vestone), anni 25
ANNO 1864
- Masareca Giuseppe, m. 20.1, di Basilicata, anni 22
2. Morino Santo, m. 29.1, di Mussano (Lecce), anni 26
3. Pastorini Andrea, m. 16.2, di Maregno (?), anni 27
4. Montis Salvatore, m. 24.4, di Tramalza (?)
5. Palermo Giovanni, m. 12.5, di Atripalda, anni 32
6. Cirillo Salvatore, m. 17.5, di Boscotrecase (Napoli), anni 32
7. Pellegrini Massimiliano, m. 11.6, di Colorno (?), anni 26
8. Mossetti Antonio, m. 5.7, di Montalbano Jonico, anni 22
9. Di Giacomo Pasquale, m. 8.7, di Sessa Aurunca, anni 23
10. Giannetto Antonio, m. 19.7, di Zarca (?), anni 30
11. Davarone Francesco, m. 25.7, di Avellino, anni 26
12. Carpinone Cosimo, m. 4.11, di Fossaceca, anni 31
13. Bononato Carmelo, m. 17.11, di Belvedere, anni 27
14. Melloni Antonio, m. 20.11, di Sersini (?), anni 24
ANNO 1865
- Laise Nunziato, m. 25.1, di Cetrara, anni 24
2. Barese Sebastiano, m. 30.1, di Montecuso, anni 26
3. Catania Angelo, m. 11.2, di Ischitella, anni 22
4. Pessina Luigi, m. 21.2, di Gragnano, anni 27
5. Mossuto Giuseppe, m. 1.4, di Moriale, anni 25
6. Guaimaro Mariano, m. 8.4, di Sala Consilina, anni 30
7. Torrese Andrea, m. 11.5, di Avenza, anni 21
8. Colacitti Salvatore, m. 15.5, Montepaone, anni 24
9. Santoro Giuseppe, m. 20.5, di Sattaraco (?), anni 27
10. Tarzia Pietro, m. 31.5, di Valle d’Olmo, anni 24
11. Palmese Tommaso, m. 6.9, di Saviano, anni 24
12. Ferri Marco, m. 11.10, di Venafro, anni 24
Giovanni Greco
fonte
I Briganti, quei cittadini del Regno Borbonico resistenti al regime piemontese