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I travagliati piani di ricostruzione per una nuova Cassino

Posted by on Mag 2, 2022

I travagliati piani di ricostruzione per una nuova Cassino

Cassino 20 maggio 1944: tacciono le armi, inizia una nuova era per la città che è stata fatta martire.
Tra i cumuli di macerie, maleodoranti per i cadaveri in putrefazione, e le acque stagnanti e malariche, i primi reduci iniziano a mettere su qualche palo a sostegno di lamiere: è il primo segnale della rinascita che fu adottata dallo Stato italiano a simbolo della rinascita nazionale.


Da quello stesso momento ebbe luogo la ricostruzione. Ma è corretto parlare di ricostruzione? Non si trattò invece di costruzione ex novo di una nuova città?
Su questo interrogativo, apparentemente ozioso, si è giocato il futuro di Cassino; sulla risposta ad esso si è realizzata l’odierna città.
Mentre si disquisiva se rifare il centro urbano all’insegna del motto cassinese “com’era e dov’era” oppure rifarla da capo su nuovo sito, i Cassinati presero ad alzare muri e baracche sulle macerie delle proprie case, ponendo, di fatto, dei punti fermi con cui gli amministratori e gli urbanisti dovettero fare i conti.
Nell’estate del 1944 l’amministrazione provvisoria comunale, composta dal neo sindaco Gaetano Di Biasio e dal vice sindaco Tancredi Grossi, di nomina prefettizia, dovette provvedere alle più urgenti necessità di coloro che tornavano alla propria terra, ma si pose anche il problema di cosa si dovesse fare di tutte quelle rovine e di come si dovesse procedere per la ricostruzione.
Circolarono le idee più disparate. Ci fu chi, come già detto, voleva la pura e semplice ricostruzione; altri propendevano per lo spostamento in luogo più salubre e più a ridosso della direttrice stradale Roma Napoli (zona Colosseo); un giornalista americano suggerì di recintare le rovine e lasciarle a perenne memoria dello scempio bellico; ciò, naturalmente, si conciliava con la seconda ipotesi.
Finì per prevalere una soluzione intermedia: l’abbandono del sito della città medioevale a ridosso di Rocca Janula (per ragioni ambientali) e l’utilizzo del nuovo impianto stradale dell’ultimo piano regolatore prebellico.
Un primo piano di ricostruzione fu elaborato dai tecnici del Genio Civile di Cassino secondo le norme indicate dal decreto luogotenenziale del 1° marzo 1945, n. 154, per le zone danneggiate dalla guerra (si veda l’allegato). Quel piano, ideato sul tipo dell’accampamento romano, non piacque agli amministratori di Cassino, per cui se ne fece uno nuovo che prevedeva l’ubicazione della città in zona contigua all’antica sede; questo fu redatto il 1° luglio 1945 dai proff. Giuseppe Nicolosi e Concezio Petrucci e approvato dal ministro dei Lavori Pubblici con decreto n. 895 del 16 ottobre dello stesso anno.
Il piano prevedeva il vincolo di non edificabilità sulle macerie della città per lasciarle a ricordo della grande battaglia, ma dovette attenersi a particolari norme dettate dal Comitato del Provveditorato alle OO.PP. del Lazio. Tra queste vale la pena ricordare l’art. 5: “I corpi di fabbrica corrispondenti alle abitazioni in serie lineare potranno essere a tre o a quattro piani secondo le indicazioni del piano di ricostruzione; le altezze massime corrispondenti saranno di m. 11.50 e di 15.50. […] Sono vietati i seminterrati e gli scantinati. Sono vietati risvolti e corpi di fabbrica formanti angolo. Non sono consentite sopraelevazioni parziali nemmeno se arretrate. Tutti gli appartamenti dovranno avere la doppia esposizione e conseguentemente il necessario riscontro d’aria. Nei corpi di fabbrica con andamento est-ovest si avrà cura di disporre in ogni appartamento i vani delle scale, le cucine, i bagni al nord, le camere da letto e gli ambienti di soggiorno a sud. Le scale, i gabinetti e i bagni dovranno essere direttamente illuminati. Nel caso che i corpi di fabbrica siano perpendicolari alle strade pubbliche l’accesso alle scale sarà effettuato per mezzo di strade private.

L’art. 6, tra l’altro, prescriveva che le costruzioni per abitazione isolate o abbinate non potessero avere più di due piani fuori terra e che il rapporto superficie coperta – lotto non fosse superiore ad un ottavo.
Infine l’art. 7 prevedeva che gli edifici pubblici e gli istituti religiosi avessero cortili con superficie minima equivalente almeno all’altezza del fabbricato.Ho riportato queste norme per far comprendere come l’esigenza del “comfort” ambientale (case non molto alte ed ampi spazi circostanti) fosse alla base del piano; purtroppo tali esigenze non trovarono riscontro nell’attuazione pratica perché quel piano di ricostruzione fu cestinato per dar luogo ad uno nuovo firmato dal solo Nicolosi ed approvato dal Consiglio comunale il 10 maggio 1946 (n. 54 bis).
La seconda edizione del piano fu determinata, oltre che da una situazione di fatto ormai mutata e non contemplata nel precedente, dalla volontà di consentire ai privati di rifarsi la casa sulle fondazioni del fabbricato distrutto ed al comune di utilizzare la vecchia rete stradale per un risparmio economico grazie alla riduzione del numero degli espropri. Furono respinte le opposizioni presentate dalle famiglie Petrarcone, Masia, Di Mambro, De Falco e Colucci, Abate, da Amerigo Rongione, Giuseppe Poggi, Mario Marchegiani, Eugenio Cocomello, Aurelio Malatesta, Roberto Tamburrino e dalla badia di Montecassino tramite il suo amministratore Tommaso Nasta. L’approvazione definitiva si ebbe con il decreto ministeriale n. 2843 del 21 novembre 1946 a firma del ministro Romita.
Il piano non ebbe vita facile per le numerose varianti, più volte richieste e spesso concesse, motivate dalla necessità di prendere atto della nuova situazione edilizia di fatto esistente: fabbricati privati ricostruiti sul vecchio sito senza le dovute autorizzazioni, complessi di case per senzatetto, edifici pubblici di proprietà dello Stato; si ravvisava, inoltre, la necessità di dare ascolto alle richieste di quei cittadini di Cassino che, essendo sfollati in altre città all’epoca della redazione del piano, non ebbero la possibilità di presentare le proprie opposizioni. Quest’ultima motivazione, però, anche se fondata, consentì una certa libertà d’azione per la manomissione del progetto urbanistico originario, il che diede adito alle inevitabili accuse di favoritismi.

Fu proprio attraverso le varianti che si consentì l’edificabilità nelle aree vincolate per motivi archeologici, come i ruderi della guerra (ritenuti di “nessun interesse archeologico”), che si consentì la costruzione di una inutile strada sulle pendici della Rocca Janula (la “panoramica”), motivata dalla necessità di facilitare la visita delle rovine (variante n. 4 del 1950). Sempre nel 1950 si volle rimuovere il vincolo a non costruire su un’area di 8.000 mq. al centro della città, destinata alla ricostruzione del cinema teatro; le motivazioni furono: l’esistenza di un’analoga struttura già realizzata dalla famiglia Miele e la necessità di restituire alla edificabilità a carattere intensivo quella zona del centro urbano (variante n. 7). Furono ridotte le aree destinate alle nuove scuole elementari ed all’asilo infantile lungo la ex via Conte (oggi in via D’Annunzio).
Infine alle norme edilizie fu aggiunto un articolo 20 che recitava: “Lo spazio di isolamento tra fabbricati che si ricostruiscono nel sito preesistente e che si fronteggiano per non oltre metri lin. 15.00 è ridotto a larghezza minima di ml. 5.00”. Questa aggiunta servì, evidentemente, a ridare l’assetto di tipo medioevale ad alcune zone del nuovo centro urbano.
Ma non tutto si svolse a norma del piano di ricostruzione, sia per gli abusi edilizi dei privati, sia per le forzature del pubblico: esempio notevole fu la collocazione del nuovo edificio postale in maniera difforme al piano di Nicolosi: fu accostato al palazzo di Giustizia (creando il vicolo alle spalle, che conosciamo) per ottenere l’allineamento al palazzo comunale: ebbe a lamentarsene lo stesso Nicolosi in una lettera al sindaco Malatesta (1 agosto 1952), invitandolo, tuttavia a “non propagandare la notizia e a far approvare dal Consiglio la soluzione che già aveva avuto il consenso”, ritenendo più facile fare accettare le future varianti.
Questa era l’aria che spirava in quegli anni. Così abbiamo visto sparire tutte le tracce della Cassino medioevale, l’antica torre campanaria, i ruderi della bella chiesa del Carmine, il nero basolato di viale Dante.
Su una situazione urbanistica ormai consolidata e difficilmente modificabile e, forse, irrimediabilmente insanabile, fu redatto un piano regolatore generale tra gli anni 1975 e 1977 a firma dell’urbanista De Santis e approvato definitivamente dal Consiglio comunale con delibera n. 12/10 del 19 luglio 1977. Ora è prossima la pubblicazione di un nuovo strumento urbanistico.
Ma questa è storia di oggi.

ALLEGATO

LEGGE N. 154 DEL 1 MARZO 1945
Art. 1. Allo scopo di contemperare nei paesi danneggiati dalla guerra le esigenze inerenti ai più urgenti lavori edilizi con la necessità di non compromettere il razionale futuro sviluppo degli abitati, i Comuni, che saranno compresi negli elenchi da approvarsi dal Ministro per i lavori pubblici, dovranno, nel termine di tre mesi dalla relativa notificazione, adottare un piano di ricostruzione.
La spesa occorrente per la compilazione di detti piani sarà a carico dello Stato, nell’importo riconosciuto ammissibile dal Ministero dei lavori pubblici.

omissis

Art. 2. Il piano di ricostruzione, che ha efficacia di piano particolareggiato, dovrà indicare:
a) le reti stradali e ferroviarie;
b) le aree da assegnare a sede di edifici di culto, di uffici e servizi pubblici e a spazi di uso pubblico;
c) le zone destinate a demolizioni, ricostruzioni, riparazioni e costruzioni di edifici e quelle sottoposte a vincoli speciali;
d) le zone che fuori del perimetro dell’abitato sono destinate all’edificazione perché riconosciute necessarie per la ricostituzione dell’aggregato urbano;
e) le caratteristiche delle zone di cui alle lettere c) e d).

Emilio Pistilli

fonte

http://www.cassino2000.com/cdsc/studi/archivio/n08/n08p06.html

Progetto del Piano di ricostruzione di Cassino redatto
dal Genio Civile secondo la legge n.154/1945.
Da Pianificazione urbanistica, UTET, vol. 2, 1986, pag. 646
La vita e le attività economiche ripresero nelle barracche.
nella foto il sarto Tomassi con la famiglia
Le vecchie strade ripristinate costituiranno
l’ossatura urbanistica della nuova città

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