“Il biografo calabrese del calabrese Cardinale Ruffo”
“Le gloriose (preunitarie e pregaribaldine) legioni francesi arrivarono ai confini del Regno di Napoli nel 1798, dopo cinque anni dal loro primo ingresso in Italia. L’esercito napoletano, battuto, si disperse. Il re e la corte coraggiosamente si rifugiarono a Palermo.
Gli altri napoletani, non avendo anche loro la flotta inglese a disposizione, rimasero con la faccia rivolta all’invasore. Anche senza radio o televisione, cinque anni sono un tempo sufficientemente lungo perché una cattiva fama viaggi di bocca in bocca. Cosicché l’onere della difesa (anzi della legittima difesa) passò a carico delle popolazioni inermi, che così divenne resistenza nazionale. Secondo la retorica risorgimentale queste popolazioni erano accanitamente contrarie al progresso e così primitive che mangiavano i francesi senza prima arrostirli, cosicché non li accolsero come dovevano, con trombe, tamburi e fuochi d’artificio; non li invitavano a casa a dormire con le proprie mogli e con le proprie figlie; non regalavano loro, in segno di ospitalità e di gratitudine, i ducati che tenevano nascosti sotto il mattone, le collanine, gli orecchini e le fedi d’oro. Insomma non stavano dalla parte della futura patria italiana, ma dalla parte dei sozzi borboni e dell’immonda chiesa cattolica.
Qualche giorno prima dell’entrata delle truppe francesi a Napoli, ai giacobini napoletani venne finalmente il coraggio, dopo cinque anni che se n’erano stati buoni buoni. Per mostrare il loro zelo, con un tranello s’impossessarono di un forte posto su un colle, e da questa comoda e sicura postazione presero a bombardare i quartieri poveri della città, disseminandola di migliaia e migliaia di morti.
Il giacobinismo e il sanfedismo sono il displuvio della storia d’Italia.
[…] L’inquinamento della verità giunse al culmine dopo l’unità. Siccome, nonostante le proclamazioni, il Sud venne trattato come una terra da sfruttare, l’Italia unità, per salvare la faccia, dovette crearsi un alibi e mise in piedi la retorica negativa dei Borbone, dei sanfedisti, del Cardinale Ruffo, mostri contro i quali tenere sempre i riflettori accessi.
Le varie versioni del moto di Santa Fede girano intorno agli stessi fatti. Solo che, chi li racconta, li condisce in modo diverso. Il fatto certo è la lotta tra popolazioni napoletane ed esercito francese, affiancato dai giacobini partenopei. Di fronte al tribunale della storia ogni rivoluzionario ha il diritto di esserlo e di farlo, se lo fa a proprio rischio e pericolo. Ma a Napoli i rivoluzionari si mossero solo dopo che l’esercito francese fu entrato nelle province napoletane. Un simile comportamento, a voler essere parchi con gli aggettivi, appare poco elegante per qualunque rivoluzionario o controrivoluzionario, anche se partenopeo.
Dagli Abruzzi alle Calabrie, le popolazioni, resistenti o no, vennero disinvoltamente massacrate. In molti luoghi, per risparmiare cartucce, i francesi serrarono gli abitanti in una chiesa e gli dettero fuoco (lo racconta uno di loro). Un generale francese, nelle sue memorie, afferma che in poche settimane furono passati per le armi sessantamila resistenti, cifra a cui bisogna aggiungere i morti in battaglia. In sostanza le popolazioni aggredite si difendevano con coraggio, ma non riuscivano a bloccare l’invasore. Dalla Sicilia, dov’era con la corte, Ruffo si rese conto di tale debolezza.
scritto nel gennaio del 2008 per FORA… da Nicola Zitara.
no signora serena le cose non andarono cosi bisogna capire e studiare se fu per ordine di pignatelli o gli inglesi. i tradimenti furono tanti
Io avevo letto che le barche ormeggiate nel porto di Napoli furono bruciate prima subito prima della partenza di Ferdinando per la Sicilia, per suo stesso ordine. Mi sono sempre chiesta come potesse il popolo amare un tale sovrano. Vi ringrazierò se mi consigliate qualche lettura in proposito.