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IL BRIGANTAGGIO LUCANO (XI)

Posted by on Giu 30, 2024

IL BRIGANTAGGIO LUCANO (XI)

Episodi di brigantaggio nel territorio di Genzano

Il fenomeno del brigantaggio, tranne che per alcuni episodi successivamente considerati, interessa solo marginalmente l’agro di Genzano; tuttavia le autorità governative, nell’intento di assicurare tranquillità anche in queste contrade, decidono di istituire una squadriglia di volontari per prevenire eventuali episodi delittuosi ad opera dell’ Ingiongiolo e del Tortora che in questo periodo vengono spesso avvistati nel territorio di Genzano e nel vicino bosco di Palazzo San Gervasio e Montemilone.

Con nota numero 2735 dell’8 marzo 1864 il Prefetto di Potenza comunica al sindaco di Genzano:

II Ministro Interni desideroso di corrispondere con ogni mezzo alla pronta repressione del brigantaggio, ha decretato, sopra mio proposta di stabilire in codesto comune una squadriglia di 30 volontari a piedi. Questa squadriglia sarà formata appena si abbiano 30 giovani animosi e pronti ad esporre, se occorre, anche la loro vita per sterminare il brigantaggio. Io son sicuro che codesta gioventù non mancherà all’appello giacché fu sempre madre di uomini valorosi codesta terra.

Chi ama la Patria accorra agli arruolamenti la S. V. ne impegni lo zelo. Appena ne abbia raccolto un numero di 30 li faccia munire dell’attestato di buona condotta dell’autorità municipale e del comando dei RR. Carabinieri, nonché della fede di nascita, e tosto qui l’invia per essere armati e vestiti. Quel che vorranno far parte della squadra a cavallo devono avere il cavallo del proprio e mantenerlo, giacché hanno la paga di lire 5 al giorno.

Il Prefetto Veglio

Costituita la squadriglia, essa è posta inizialmente ed arbitrariamente sotto la dipendenza del Sindaco fino a quando con nota del 2 maggio 1864 e successivamente con quella numero 7104 del 24 maggio 1864, il Prefetto perentoriamente ordina al Sindaco di rimettere sotto le dipendenze dei RR. Carabinieri la squadriglia dei volontari.

Tale disposizione è ulteriormente ribadita in occasione dello scontro avvenuto, nell’agro di Genzano, con la banda Ingiongiolo; il Prefetto infatti comunica al Sindaco quanto segue:

Ho appreso con mia soddisfazione il fatto dello scontro avvenuto da codesta squadriglia diretta dalla S.V. contro la banda Ingiongiolo che fu dispersa togliendole quattro cavalli, una giumenta ed altri oggetti. Nell’estemarle la mia riconoscenza pei servizi che Ella presta alla pubblica sicurezza, devo però invitarla di nuovo a voler mettere immediatamente sotto la dipendenza del comando di codesta stazione dei RR. Carabinieri la squadriglia dei volontari non potendo io assolutamente deviare da quanto la legge ordina a tale riguardo, nè far pagare diarie ai volontari se gli stati paghe non sono vistati dal comandante l’Arma, dal quale devono assolutamente dipendere. Conciò riscontro al suo rapporto 22 corrente numero 86 pregandolo di avvertirmi a volta di corriere della esecuzione della presente.

Dopo quest’ulteriore nota del Prefetto, la squadriglia passa definitivamente agli ordini del brigadiere Carlo Todeschini, comandante la stazione dei RR. Carabinieri il quale, qualche mese più tardi, si scontrerà con la banda Crocco nel bosco Ralle. Dalla Prefettura sono istituiti anche posti fissi di guardie nazionali al fine di proteggere gli agricoltori e consentire loro di ottemperare ai lavori campestri.

Nel nostro comune è predisposto un distaccamento di 150 uomini distribuito nelle seguenti località:

1) – Contrada Mattina Piccola, masseria Di Pierro, 30 uomini;

2) – Bosco Cerreto, Casone di Berardi, 30 uomini;

3) – Monteserico, Masseria Dell’Agli, 30 uomini;

4) – Masseria Regina, 30 uomini;

5) – Alla Panetteria, tenimento di Banzi, 30 uomini;

Vengono anche istituiti posti fissi affidati a Granatieri e Lancieri del Reggimento d’Aosta come quello del secondo squadrone che è stanziato presso la masseria Dell’Agli.

L’uccisione di tre carabinieri in contrada Ralle

Il territorio affidato dal Crocco al feroce brigante aviglianese Ninco Nanco e la sua comitiva, và dal ponte di Cerasale fino ai boschi di Lagopesole, Forenza, Ripacandida, Avigliano e Ruoti; di tanto in tanto la banda si porta in altri luoghi, compreso l’agro di Genzano dove, alla fine del settembre 1863, Ninco Nanco uccide il genzanese Annecca Francesco perché riconosciuto appartenente alla Guardia Nazionale del nostro comune.

Tuttavia l’episodio più cruento accaduto nel territorio di Genzano è, senza dubbio, l’uccisione di tré carabinieri reali avvenuta nella difesa demaniale Ralle, nei pressi del torrente Ginestrello che divide l’agro di Genzano da quello di Acerenza.

Allo scontro non prese parte la Cavalleria Nazionale perché impegnata, con i suoi reparti, in altri luoghi, della provincia; l’episodio destò viva impressione nella popolazione tanto da far temere una imminente invasione del paese. Sin dal mese di gennaio 1864 la comitiva di Ninco Nanco è segnalata nel territorio di Acerenza verso la masseria La Gala e successivamente in quella di Rosa Canio dove depreda polli, avena, una giumenta e diversi oggetti per poi dirigersi verso la valle di Genzano.

Nelle prime ore del pomeriggio del 7 febbraio 1864, cinque carabinieri reali della stazione di Acerenza, rientrano da Genzano dopo aver espletato un servizio di perlustrazione. Poco prima di attraversare il Ginestrello, vengono improvvisamente accerchiati dalla banda di Ninco Nanco, forte di ventisei briganti a cavallo. Cadono subito mortalmente feriti il brigadiere e due militi, mentre gli altri due, dopo essersi accanitamente difesi per oltre due ore rimanendo al riparo di un mucchio di canne, vengono salvati dall’intervento del Sindaco di Genzano, alla testa della Guardia Nazionale.

I briganti fuggono allora precipitosamente nel bosco Finocchiaro lasciando sul luogo un cavallo ed una giumenta sequestrate dai militi accorsi sul posto. Dal luogo dell’assassinio, ancora oggi indicato come “U fuss di Carbùnir” (il fosso dei carabinieri) si raccolgono le salme degli estinti ritrovate svestite e le stesse trasportate a Genzano ove si celebrano solenni esequie.

Il giorno 8 febbraio il Sindaco indirizza al Prefetto della provincia e al Maggiore Generale Dalegna il seguente rapporto:

Con grandissimo dolore dell’animo mio o ad annunziare alla S.V. un tristissimo caso occorso ieri ai Carabinieri Reali della stazione di Acerenza per un improvviso scontro avvenuto con la banda di Ninco Nanco. Mentre nel giorno predetto il comandante della menzionata stazione Furlone Michele, con i suoi dipendenti carabinieri Rizzi Gianbattista, Favuta Antonio, Lucarino Domenico, Bernardi Domenico da Genzano restituivasi alla propria residenza, dopo aver adempito ad un pubblico servizio, approssimandosi al torrente Ginestrello, che forma confine tra questa difesa bosco Ralle ed il lenimento di Acerenza, si avvide che quest’ultima parte, discendeva un numero di 26 comandati dal famigerato Ninco Nanco.

Sul principio da un individuo della detta arma dei Carabinieri Reali, dubitavansi che fosse un drappello di colonna mobile ma il dubbio cessava al precipitoso avvicinarsi della banda, la quale a mezzo tiro sparava una scarica simultanea. Attaccati così vivamente ed all’improvviso la ripetuta arma retrocedette come in militare ritirata difendendosi però egregiamente.

Allora i masnadieri passati il detto torrente, violentemente caricavano e raggiungendo i cinque prodi, sempre intenti a pugnare con valore con nuova esplosione delle loro armi facevano quasi simultaneamente vittime il benemerito brigadiere Furlone ed il Carabiniere Favuta dopo che i medesimi insieme agli altri intrepidi loro compagni avevano sostenuto un vivo e lungo fuoco senza mai cedere alle intimidazioni della banda che rimaneva attonita ed esitante. Ben vero vedendo come si è detto, ottenuto il frutto di due vittime, animavasi ad un nuovo assalto contro i superstiti, che non cessarono di battersi da leoni. Una nuova vittima cadde tra i carabinieri in persona di Rizzi ed in quel momento stanandosi un buon numero di briganti, cercava mettere in mezzo gli altri due, Lucarini e Bernardi, che continuavano, dopo la morte dei loro compagni a difendersi valorosamente, sempre in ritirata perché sopraffatti dal numero dei nemici, e con la intenzione di guadagnare una posizione elevata e più prossima a questo abitato, sperando così di aver soccorso, ovvero di vendere a caro prezzo la loro vita; ma una nuova manovra degli assassini mirava a circuire e distruggere i due valorosi dei quali il Lucarini, senza punto smarrirsi, prendendo di mira quel brigante ch’era più prossimo ed ostinato all’assalto cagionavagli mortale ferita come si giudicò della sua caduta e del pronto accorrervi di molti compagni che caricatolo anziché ripostolo in sella, altro saltò in groppa per sostenerla, rimanendo a discrezione il proprio cavallo.

Fortuna volle che profittando di questo smarrimento momentaneo dei masnadieri, i carabinieri Lucarini e Bernardi, celermente indietreggiarono per mettersi in una posizione più favorevole; nel ripassare il vallone, il Bernardi cadeva con la propria carabina la quale rimaneva fuori di uso per essersi sensibilmente infangato il cilindro. I briganti incalzavano ma i due prodi non perdevano coraggio. Raggiunsero un mucchio di canne ed ivi si trincerarono. Assaltati di nuovo nel fragile baluardo, il Lucarini con valore immenso di bile fece funzionare la unica carabina che rimaneva esaurendo le corrispondenti munizioni sue proprie e quelle del compagno Bernardi il quale col suo revolver battevasi intrepidamente. Nessuno scampo!

Un piccolo pastore, temendo della vita perché guardato dai briganti, si

rifiutò di portare la notizia a questo paese nonostante le generose offerte. Intanto giunse qui l’avviso per mezzo dell’egregio comandante di questa stazione, Todeschini Carlo, che trovavasi in Banzi ove veniva informato da un vaticale ivi giunto da un luogo vicino al conflitto; questo incominciava alle ore 2 pomeridiane e si protrasse fino a circa le 5. I prodi Lucarini e Bernardi, ridotti all’estremo, non vollero arrendersi alle repliche intimazioni della banda, ed ebbero tale coraggio ed abilità da permettere che fossero giunti sul luogo i primi uomini da me spediti a cavallo, e questi poi seguiti da un numero di guardie nazionali a piedi, oltre della forza partita dal prossimo villaggio di Banzi guidati dal predetto signor Todeschini, della quale faceva parte il capitano della Guardia Nazionale.

I briganti, avvistati da un loro compagno del sopraggiungere del soccorso, precipitosamente mettendosi a cavallo, retrocedettero prendendo la volta del Finocchiaro, tenimento di Acerenza inseguiti sempre da queste forze fino alle ore sette e mezzo.

Nel deplorare il triste caso e la perdita di tre carabinieri reali, da gettare in gravissimo duolo una intera popolazione, non posso non rendere omaggio allo straordinario valore ed alla intrepidezza dei superstiti Bernardi e Lucarini, dei quali l’ultimo, come di sopra ho avuto l’onore di accennare alla S.V., cagionava la grave ferita se non morte ad un brigante e la perdita di un cavallo e di una giumenta alla banda.

Interprete fedele delle giuste impressioni provate da questo municipio della autenticità dei fatti straordinari che hanno comprovato l’eroico valore dei carabinieri soprascritti salvi per vero miracolo della Provvidenza, oso rivolgermi alla S.V. perché facciano valere la di lei autorità onde ottenere, a prò dei carabinieri anzidetti, la giusta rimunerazione dovuta al valore che meritarono tanta ammirazione di questa popolazione.

Metto fine a questo doloroso rapporto manifestando alla S.V. che le spoglie delle tre vittime sono state con pompa, accompagnate da gran numero di militi nazionali, notabili del paese e municipio nonché dei loro fratelli d’arme, trasportate in questa chiesa dei Padri Riformati ove si è proceduto stamane alla solennizzazione di una messa funebre, per aver luogo domani l’esequia disposta in modo degno di onorare la cara memoria dei tre valorosi soldati italiani, e ciò dietro concerto col su lodato brigadiere Todeschini.

Da ultimo sottometto la S.V. il mio desiderio e quello di questo municipio, che cioè sarebbe di vendere i due animali presi ai briganti per convenirne il prodotto nella forma di un tumulo che comprenda le spoglie preziose di quei tre che perirono per la patria. Su tale argomento si degnerà la S.V. comunicarmi il suo avviso.

Il Sindaco: Nicola Saverio Polini

Ormai la carriera brigantesca del feroce e balbuziente brigante di Avigliano può dirsi conclusa; braccato da guardie nazionali e truppe regolari la banda è quasi completamente distrutta, presso Tricarico, il 3 marzo 1864. Il giorno dopo il Prefetto della provincia comunica ai sindaci l’avvenuto scontro nel corso del quale e altresì arrestata, dalla squdriglia di Matera, la donna di Ninco Nanco, mentre il fratello Francescantonio è ferito mortalmente.

L’assassinio dei tre carabinieri reali nell’agro di Genzano può ritenersi l’ultimo e sanguinoso atto compiuto dal brigante aviglianese; è ucciso infatti, il 13 marzo 1864 in una capanna, presso Lagopesole, da un colpo di fucile sparategli alla gola, dopo essersi arreso, da un milite della guardia nazionale di Avigliano.

L’uccisione del Cancelliere di Genzano don Pietro Vincenzo Polini

Riferiamo, ora, un altro episodio accaduto nel nostro territorio e precisamente nella difesa demaniale Ralle, nei pressi della contrada “Parnaboia”. Questo che narriamo è l’ultimo scontro attribuito al Crocco e nel quale è coinvolto anche un reparto della Cavalleria Nazionale.

Prima di rifugiarsi nello Stato Pontificio il “generale” Crocco è incalzato sempre più dal suo ex luogotenente Giuseppe Caruso che passato alle dipendenze del generale Pallavicini guida le truppe nei suoi nascondigli. Il Crocco abbandona, allora le sue abituali e non più sicure boscaglie di Monticchio e Lagopesole e si sposta nelle aree limitrofe anche perché, braccato e solo, non si sente più sicuro soprattutto dopo che molti dei suoi feroci capobanda come Coppa e Ninco Nanco sono stati uccisi e molti altri si sono arresi alle truppe.

Negli ultimi giorni del giugno 1864, Crocco si porta prima nel territorio di Ripacandida e successivamente in quello di Genzano dove si unisce al Tortora e all’Ingiongiolo. Il 29 giugno, giorno di San Pietro, la banda costituita da una settantina di briganti a cavallo, uccide in contrada Macchione di Acerenza due Reali carabinieri in servizio di corrispondenza tra Oppido e Genzano.

Dopo questo fatto delittuoso, l’Ingiongiolo spoglia i cadaveri e ne indossa l’uniforme insieme ad un compagno. Si separa subito dopo dal Crocco; questi risale il Bradano, passa successivamente il Ginestrello e si inoltra nel bosco Ralle, mentre l’Ingiongiolo si porta nei pressi dell’aia di un certo Rocco Martino luogo in cui un gruppo di donne oppidane svolge lavori campestri.

Non sospettando il pericolo, a causa del travestimento, le povere donne vengono circondate dai due uomini e da altri sopraggiunti ed assoggettate alle più turpi ed oscene voglie. Pervenuta a Genzano la notizia della morte dei due carabinieri e della presenza del Crocco nel bosco Ralle, esce subito in perlustrazione il terzo squadrone cavalleggeri “Lodi” al comando del luogotenente Balagh, che si trova di passaggio a Genzano, un reparto di bersaglieri del quinto reggimento, anch’esso di passaggio e cinque volontari della Guardia Nazionale tra i quali si trova anche Pietro Polini, sostituto cancelliere del comune di Genzano.

Le vedette accortamente disposte dal Crocco, mettono in allarme il resto della banda che ha tutto per tempo di prepararsi allo scontro.

L’impatto è violentissimo e si protrae per diverse ore. Nel frattempo attirato dagli spari, sopraggiunge, dalla vicina Acerenza, un reparto della Cavalleria Nazionale. Le truppe, incalzate insistentemente dai briganti ed ostacolate dalla fitta boscaglia, sono costrette dapprima a ripiegare per occupare posizioni meglio difendibili e successivamente a ritirarsi verso Genzano percorrendo il tratturo che collega Genzano ad Acerenza.

Sfiancato da un percorso lungo e disagevole, il cavallo montato dal Polini rallenta dapprima il suo galoppo per poi fermarsi in località “Pamaboia”. Subito raggiunto e circondato, l’infelice cerca disperatamente di convincere i briganti della sua estraneità, ma sordi ad ogni invocazione lo uccidono con una fucilata alle spalle.

Una rozza croce di legno, infissa ad un albero nel luogo della tragedia, ha ricordato per lunghi anni la tragica fine del giovane sostituto cancelliere di Genzano.

In questo scenario tenebroso di lutti e disgrazie ben s’inseriscono i canti epico-lirici della tradizione popolare genzanese che non rievocano gesta di antichi eroi e cavalieri, non esaltano ideali di eroismo e virtù, ma rievocano drammatici avvenimenti realmente accaduti che hanno scosso la fantasia popolare.

fonte

http://www.archeopolis.it/Pubblica/genzano/brigantaggio/index.htm?episodi.htm&2

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