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IL BRIGANTAGGIO PRIMA DELL’UNITÀ D’ITALIA A CASTELLINO DEL BIFERNO

Posted by on Dic 26, 2020

IL BRIGANTAGGIO PRIMA DELL’UNITÀ D’ITALIA A CASTELLINO DEL BIFERNO

Per quanto attiene il Molise già durante il regno della regina Giovanna I (1352-1382), specie verso l’ultimo periodo, come pure durante le lotte per la successione, fu percorso da bande di briganti e di soldati di Ludovico di Durazzo.

In tutto il periodo della dominazione spagnola, ma particolarmente verso la fine del 1500, bande di briganti scorrazzavano per le campagne ed i villaggi. I1 4 luglio 1592 una banda di briganti assalì il comune di Ripabottoni.

  Durante il periodo della Repubblica Partenopea (1799) le squadre dei reazionari percorrevano le contrade molisane abbattendo, nei comuni dove passavano, il simbolo della repubblica. Così vennero svelti, bruciati o abbattuti gli alberi della libertà a Colle d’Anchise, Sepino, Macchiagodena, Sant’Elia a Pianisi, quest’ultimo da una banda di realisti capitanata da Zarrelli (che poi ritroveremo nelle vicende dei briganti inerenti Castellino), ecc.

  Nel 1799 le squadre dei repubblicani (a volte chiamati francesi o giacobini o patrioti) erano alla caccia degli insorgenti ed avevano il compito di ripiantare l’albero della libertà dove era stato divelto. Già dai primi di maggio del 1799 le notizie che giungevano in provincia da Napoli sulla situazione della repubblica erano preoccupanti, sì che vari presidenti municipalisti si affrettarono, con scuse più o meno plausibili, a dare le dimissioni. Gli insorgenti aumentarono di numero in tutta la provincia e bande di briganti scorrazzavano per i territori dei vari comuni.  De Cesare, proseguendo ormai la marcia senza alcun ostacolo, il giorno 5 giugno 1799 giunse a Matrice accolto al grido di “Viva il Re, Viva la Regina, viva Sua Altezza, abbasso la Repubblica, morte à Giacobini !”. Con De Cesare giunsero a Campobasso molti insorgenti con a capo don Paolo Norante di Campomarino.

  Il periodo che va dal 1799 al 1806 anche nel Molise fu un periodo di restaurazione, nel quale si ebbero già avvisaglie dei turbamenti che si svilupparono poi in quello successivo. Furono abolite tutte le leggi emanate nel periodo della Repubblica, mancò anzi il tempo per potere farle applicare. Si cercò di tornare all’antico regime, ma il seme già seminato con la Repubblica Francese, aveva iniziato a germogliare e far finta che nulla era accaduto era impossibile.

  In Castellino l’infame albero, denominazione che sicuramente gli fu data solo dopo il ritorno dei Borboni sul trono di Napoli, molto probabilmente fu piantato nel luogo detto La Piazzetta all’incrocio tra piazza Municipio, via Roma, via Marconi, via Fontana e via Delle Grazie, sopra l’attuale fontana, dove attualmente c’è la statua di San Pio da Pietrelcina e dove fino agli inizi del XX secolo si trovava una stele in pietra con sopra una croce, attualmente sita in via Roma. Infatti al ritorno dei Borboni, sradicato l’albero della libertà, al suo posto venne piantato, quasi in espiazione, una croce, che probabilmente è quella sita in via Roma. Questa croce è forse la stessa contro la quale il brigante Zarrelli nel 1807, durante l’assalto dei briganti, si vuole abbia tirato un colpo di schioppo. 

  Il 10 agosto 1805 passarono per Castellino dei soldati borbonici “con a Capo Guidato Giovanni Zarrelli di S. Elia a Pianesi”, “che poi fu brigante”, e ricevettero ospitalità e quanto necessitava dall’università. In detta circostanza si suppone che Zarrelli prese informazioni sul paese.

  Durante il decennio francese (1806-1815) infruttuosi risultarono i tentativi di riconquista del Regno da parte di Ferdinando IV che ricorse anche al brigantaggio. In detto periodo per il Molise e per Castellino fu un fiorire di iniziative ed idee nuove. Neanche il

brigantaggio, che investì anche le contrade molisane e castellinesi, riuscì ad offuscare il risplendere di iniziative e di idee. Il costo della vita lievitò però sensibilmente, nuove imposte furono emanate.

  Con legge 27 settembre 1806, n. 189 la provincia di Molise venne separata da quella della Capitanata ed eretta in provincia a parte. Campobasso fu eletta sede dell’Intendente e capoluogo di provincia, ad Isernia fu istituita una sotto intendenza. 

  Il 21 settembre 1806 trenta facinorosi, con a capo il brigante Furia, da poco evaso dal carcere di Alessandria, si riversarono su Ripalimosani e al grido di “Viva Re Ferdinando, morte ai giacobini” eccitando ed istigando la popolazione alla rivolta e al saccheggio. Furia e il compagno di Coccitto, con i resti della banda, continuarono a  scorrazzare nei territori di Ripalimosani, Montagano e Petrella. Il 27 ottobre la Guardia Urbana che si trovava a Castellino arrestò un brigante, che venne inviato al comandante francese che si trovava a Petrella. Su ordine del commissario di polizia venne condotto da otto uomini. 

  Il 28 ottobre giunse a Castellino la “cavalleria Francese con genti d’armi di Campobasso e Ripalimosano, perseguitanti i Briganti, in totale erano 70 uomini e furono accompagnati verso San Nazzaro e Morrone. Il 30 ottobre giunse a Castellino “Marco Vincenzo Paonetti Capoguidato con 20 di sua squadra”, provenivano da Casacalenda con due briganti arrestati, che conducevano“al Comandante della Piazza di Campobasso. La sera del 30 novembre giunse e pernottò a Castellino il tenente Luigi Di Rosa con una squadra di 20 soldati, portava con se“la testa del Brigante Costanzo Sorra di Riccia”. Il 14 ottobre 1806 Napoleone sconfisse a Jena i Prussiani ed anche a Castellino dal 27 al 29 dicembre si festeggiò spendendo 4 ducati per 4 rotola di polvere da sparo.

 Il 13 gennaio 1807 giunsero a Castellino 6 soldati con l’incarico di “arrestare gli Amministratori municipali, i quali non avevano ancora spedito il cavallo di quota per la ri-monta”; il 5 febbraio tornarono gli stessi soldati e per il medesimo motivo.  Nella notte del 22 marzo a Lucito fu assaltata con tiri di pietre e fucilate la casa del sindaco Radislao Palombo. 

 Quelli che nella narrazione degli eventi del 1807 vengono chiamati briganti erano, in gran parte, soldati sbandati che miravano anche alla restaurazione del regime borbonico, erano pertanto dei briganti politici o insorgenti. E’ contro questi sbandati che le nuove autorità francesi del nuovo regno Napoletano di Giuseppe Bonaparte mandarono squadre di gendarmi per combattere e catturarli.

 Emblematica è l’evoluzione brigantesca di Giovanni Zarrelli da Sant’Elia. Questi nel 1799 era stato un fervente repubblicano, tanto che al ritorno dei Borboni  fu incarcerato e condannato all’esilio. Successivamente agli inizi del 1807, avendo cambiato bandiera, si rifugiò tra Casacalenda, Bonefro e San Giuliano di Puglia e si diede al brigantaggio.

 Alcuni briganti, forse guidati da Zarrelli o dal montaganese Giovanni Carlozzi detto Furia, la notte del 23 marzo rubarono dalla sede della Guardia Civica di Castellino la polvere da sparo e le munizioni che ivi si trovavano, costringendo i Castellinesi ad inviare un corriere a Campobasso per rifornirsene. Il 30 marzo la banda di Carlozzi, costituita da una trentina di briganti, assalì Castellino, ma venne respinta dalla Guardia Civica del paese, soccorsa da quella di Montagano. Dopo qualche sosta la banda si fece viva a Ripalimosani. Il 10 aprile l’ispettore della contribuzione fondiaria, che si trovava a Castellino, si fece accompagnare da otto persone. Il 17 aprile Montagano fu assalito da briganti. La notte tra il

17 e 18 aprile la “compagnia di Zarrelli Giovanni” passò per la Taverna di Campolieto e il 18 saccheggiarono Limosano.

  Domenica 19 aprile 1807 “due bande [di briganti] capitanate da Giovanni Carlozza alias Furia e Zarrelli”, composte da 24 uomini, si erano riunite ed avanzavano verso Castellino da dove si provvide subito ad inviare un corriere a Petrella per chiedere soccorso al capitano Salentini. La Guardia Civica del paese incominciò, da dietro le finestre, a far fuoco contro gli assalitori “che venivano a cavallo dalla via della Macchia”e “coraggiosam.e per lo spazio di un’ora e mezza li tenne lontana, ed avrebbe continuata a sostenerlo, se non si fosse veduta mancar la muniz.i per cui ritirossi dentro la Piazza. I briganti, incuranti degli spari, quasi conoscendo che i difensori avessero poche munizioni, avanzavano dicendo «Vi dovete finire coteste quattro tric-trac» e coll’idea di esterminare in particolare la famiglia di Tommaso e Cassiano De Lisio.

Arrivati in paese i briganti legarono i cavalli “nella strada Calata delle Cese”, all’ingresso del paese “e salirono al piano della porta”, attuale Piazza Municipio. Sembra che Zarrelli bestemmiasse dicendo“«Vogliamo ammazzare tutti, piccoli e grandi e anche il Salvatore del Mondo». Vuolsi in tanta ferocia tirasse una fucilata alla croce del paese che allora stava situata presso l’attuale Municipio” ed oggi si trova in Via Roma.

La gente, inerme e paurosa, a quell’ora era in chiesa ad assistere alla messa cantata. “Si aspettava già la desolaz.e dell’intiero paese, ove entrati quei cani arrabbiati cercavano esterminare le famiglie, ed incendiare le case.

I briganti si diressero verso la chiesa, ma davanti alla Rua Tunni, oggi Vico VIII Chiesa, Zarrelli cadde esanime a terra colpito in fronte da una schioppettata sparata dal comandante della Guardia Urbana Tommaso De Lisio, fratello dell’Arciprete (don Domenico De Lisio, “da una saettiera della sua abitazione, che era quella presso la chiesa a destra che guarda uno dei suoi lati.

Allora un giovane di 30 anni, Luigi Palombo detto Ciammarichillo, “tornato da poco dalla milizia”, avido più di armi che di denaro, con tempismo gli si avvicinò, “gli toglie lo schioppo” e si appostò dietro uno scalone in detta Rua Tunni. Arrivato Furia e visto il compagno a terra morto, diede uno sguardo da dove presumeva fosse partita la fucilata ed a sua volta sparò senza alcun successo. Si meravigliò del fatto che “non la borsa dell’oro, ma solo lo schioppo avevano tolto a Zarrelli” e, non sapendo come considerare il fatto, baciò il compagno e mentre stava per prendere la sua borsa fu a sua volta colpito da una fucilata, sparata da Luigi Palombo, che lo fece cadere a terra morto. Erano le ore 16.

Privi dei loro capi i briganti si diedero ad una precipitosa fuga, tanto che nel riprendere i cavalli non badarono o non poterono curarsi della “mancanza di una bisaccia piena di oro e d’argento, che un tale aveva con un uncino dalla finestra tolto su d’un cavallo, e seppellita in una sua stalla. Si disse che detta persona avesse poi trovato in un suo terreno un’altra bisaccia piena di soldi caduta ai briganti nella fuga. La tradizione popolare vuole che la suddetta persona, che s’impossessò delle due bisacce d’oro, fosse zia Annuccia Iocca.

In quel frangente rimase a Castellino “un garzoncello di una quindicina di anni, condotto da Casacalenda dal suo parente Zarrelli, a nome Nicola Lipartiti, soprannominato poi il «Bri-gantiello», agnomino che conservano tutt’ora i discendenti”. Il giovanetto fu poi adottato da don Tommaso De Lisio.  

I briganti in fuga si diressero verso Lupara, ma non passarono per questo paese, un informatore che lì fu inviato non riuscì in tre giorni ad individuare la direzione che i briganti avevano preso. Si sparse però la voce che i “fuggiti briganti affondassero co’ loro cavalli in certa frana presso Lupara. Secondo una relazione che l’Intendente di Molise inviò il 20

giugno 1808 al Ministro dell’Interno “Il resto della comitiva sbandata, ed inseguita, dovè ricorrere alla Sovrana clemenza, presentandosi spontaneam.te.

Il capitano della piazza di Petrella fu sollecito nel comunicare la notizia della disfatta dei briganti, tanto che giunse subito a Castellino il Governatore Calcaterra con la gendarmeria civica di Montagano, Petrella, Ripalimosani, e Civitacampomarano; subito tornò la calma. Nell’occasione furono spesi dal comune di Castellino 18.44 ½ ducati.

Il giorno seguente, 20 aprile 1807, il Governatore Calcaterra spedì due messaggi, uno a Campobasso per dar notizia dell’uccisione dei due capi briganti ed uno al tenente Leone che si trovava a Lupara per avvisarlo che il giorno dopo i gendarmi sarebbero passati per quel paese.

Il 21 aprile, dopo che“per ordine del Luogotenente della Gendarmeria, furono tagliate le teste a’ cadaveri”“ed i corpi seppelliti nel Cimitero, dove attualmente è edificata la Cappella dell’Addolorata”, i gendarmi partirono per Lupara, guadarono il fiume Biferno “sulle spalle di tre uomini.

Le teste dei due capi briganti vennero mostrate in alcuni paesi “a rullo di cassa battente… al popolo radunato”.

Il 27 aprile la testa deforme di Zarrelli fu messa “in una buca dell’alto muro del Castello Ducale, sostenuta da una graticola di ferro, da qui il teschio cadde col crollo del muro la notte tra il 16 ed il 17 febbraio 1915, rinvenuto tra le macerie venne sepolto nell’attuale cimitero. La testa di Furia fu portata a Montagano, suo luogo di origine, da quegli stessi uomini che erano giunti per rinforzo da Montagano ed attaccata alle mura del paese. Lo stesso giorno giunse da Ripalimosani un ordine per il brigadiere dei gendarmi, che disponeva la sua immediata partenza per Casacalenda. Intanto a Castellino arrivarono 15 soldati.

Gli amministratori del comune di Castellino ( Eusebio Storto, Angelo De Lisio e Romualdo Ferrante e il pro cancelliere Enrico Palombo), tramite il notaio Francescantonio Palombo, poco tempo dopo scrissero al Ministro delle Finanze rappresentando che fu l’uccisione dei due capi briganti Zarrelli e Furia“che resero avvilita da comitiva, che si diede in precipitosa fuga. L’avventuroso vantaggio avuto in tal fatto per le due Prov.e di Molise, e Capitanata è stato di una gran gloria apparente alla comune principale dì supp.ti, ma un asilo di tutte le infelicità, e disturbi di animi della popolaz.e per concorso di tante squadre, che come à cani da caccia, son corso al bottino dopo il colpo, per cui indicibile spese si sono dalla comune erogate, onde si vede inabilitata alla corrisposta di pesi, se dalla M.a S.a non si abiliti con ord.e all’Intend.e Prov.le. L’altro è l’obbligo di sempre tener il popolo armato per la difesa dè briganti, che di continuo minacciano rovinarlo con nuove invasioni, onde il med.o, e per difendersi, e per il timore d’esser assalito in campagna ha quasi abbandonato il lavoro della stessa, e lo rende impoverito. La M. S. puol dare reparo a tali sconci di un picciol paese, che si tiene segnato da nemici della pubblica tranquillità, col benignarsi farle qualche rilascio sulli pesi ad essa spettanti, per sollievo della povera gente attaccatiss.m al Suo R.I Trono, e con farsi stabilire a spese delle comuni più grandi limitrofe, che eva indifferenza vedendo il pericolo, in cui la comune med.a rattrovasi, non accorsero una guardia di gente agguerrita per qualche tempo, acciò la gente della comune pred.a possa senza timore attendere al lavoro delle proprie campagne per il sostenim.o della propria vita, ed è la grazia, che sperano nel bene”.

Il Ministro delle Finanze – Consigliere di Stato il 16 giugno 1807 scrisse all’Intendente della provincia di Molise comunicandogli di cercare di ridurre i pesi fiscali per il comune di

Castellino. L’Intendente annotò sulla lettera, sotto la data 1° agosto 1807, si “scarica gli annui.

Tommaso e Cassiano De Lisio in seguito inoltrarono al re una memoria con la quale, dopo aver esposto i danni che subirono per le scorrerie dei briganti, domandarono soddisfaz.ne e chiesero “che il loro rispettivo picciol figlio, e nipote Eugenio sia ammesso a piazza franca in un dì R.li Collegi.

Il Ministro dell’Interno, con nota datata 11 maggio 1808, chiese all’Intendente della provincia di Molise l’invio di tutti gli atti inerenti l’uccisione dei briganti avvenuta il 19 aprile 1807 a Castellino.

L’Intendente in data 20 giugno 1808 trasmise al Ministro dell’Interno “gli atti compilati dal Gov.re locale sulla memoria umiliata a S.M. da Sig.ri Tomaso e Cassiano di Lisio della comune di Castellino”, dai quali si poteva rilevare “essere pienam.te vero q.to i supp.ti han esposto nella loro memoria d’esser stati, cioè nell’anno scorso spogliati di effetti e contanti in somma considerabilie per il loro attaccam.to al Governo della comitiva di Briganti guidata da Furia, e Zarrelli che infestarono nell’anno scorso questa Prov.a”e che “essendo nuovam.te ritornati i briganti in Castellino in n.o di 24 coll’idea specialm.te di esterminare la famiglia di supp.ti, il primo di essi S.r Tommaso, sebbene quasi settuagenario ebbe il coraggio di difendersi dentro la di lui casa da questi scellerati, ed avendo fatto fuoco sopra i med.i diresse i suoi colpi si aggiustam.te che i nominati capi ne rimasero estinti. La loro morte fu la cagione, che il resto della comitiva sbandata, ed inseguita, dovè ricorrere alla Sovrana clemenza, presentandosi spontaneam.te. Sono di parere in conseguenza che i ri-corr.ti debbano anch’essi partecipare alle Sovrane beneficenze delle quali han diritto di a-spirare in forza del R.l Decreto de 4 Giug. cad.o anno coloro, che sono state vittime del fu-rore dei briganti; e siccome il tratto di bravura e di sommo patriottismo di cui dette prova il S.r D. Tommaso merita d’essere ricompensato, opinerei che gli si dovesse accordare la gra-zia da lui domandata di una piazza franca di un dì R.li Collegi per il suo nipote Eugenio”.

  A Lucito il 27 agosto 1809 una comitiva di 40 briganti capeggiati da Quici, Vasile e Testa, detto Rosignolo, con uno stratagemma e l’aiuto di un loro protetto e protettore fecero allontanare la popolazione, si recarono in municipio, si fecero consegnare le armi da quattro gendarmi che lì si trovavano e costrinsero il sindaco a fornire il vitto per tutta la comitiva. Allontanatosi poi da Lucito portarono con loro i quattro gendarmi che uccisero nel bosco di Trivento “appendendo le loro teste ai rami di un albero.

Il 13 settembre 1809 a Lucito giunse “la truppa comandata da Floristano Pepe, vi erano molti soldati corsi: furono arrestati D. Gennaro e D. Giuseppe De Rubertis, D. Beniamino Minicucci e D. Alfonso nonché il Duchino; però quest’ultimo fu subito rilasciato, mentre gli altri solo ai 31 dicembre. Il 30 novembre 1809 da Castelbottaccio giunse a Lucito il“tenente Giovanni Silese con una trentina di soldati corsi presso il ponte hanno fucilato un brigante che portavano, e per mezzo di Vincenzo del Busso gli hanno fatto troncare la testa e le braccia, ponendo la testa sopra un palo.

“… il 25 agosto 1813 ebbe inizio una vasta operazione di rastrellamento dei briganti con uno spiegamento di forze che andava dal fortore al Biferno, da Termoli a Palata, da Campomarino a Colletorto fino al bosco di Trivento, interessando buona parte dei comuni molisani.

Vi partecipavano anche le cosiddette «squadriglie», composte da un certo numero di citta-dini, in maggioranza giovani, e comandate da una persona ritenuta la più idonea ad esercitare il comando.

Tutte le spese per mantenerle erano a carico del Comune e gli appartenenti alla squadri-glia, qualora avessero dimostrato negligenza nell’impedire che i briganti fuggissero dalla Provincia sarebbero stati inviati per punizione a Capua, ove esisteva una specie di campo di deportati.

450 uomini costituenti le squadriglie guardavano la linea lungo il Biferno, da Guardialfiera fino al passo di Ripalimosani …”.

Per la bibliografia dell’opuscoletto si rimanda a quanto riportato nel libro “Castellino del Biferno tra storia e cronaca, dal 1700 al 1860” di Pietro Fratangelo, anno 2005, dal quale questo scritto è tratto

per gentile concessione di Enrico Fratangelo


timbro del Regno d’Italia su timbri  del Regno delle Due Sicilie annullati

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