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Il castello del Carmine, un antico maniero di Napoli

Posted by on Set 30, 2024

Il castello del Carmine, un antico maniero di Napoli

Il castello del Carmine o Sperone era una fortezza della città di Napoli, nel quartiere Mercato, collocabile tra piazza del Carmine, via Marina e corso Garibaldi.

Di questo che fu un maestoso castello, oggi si conservano solo due torri, che versano in stato di forte degrado, e fungono da rifugio per senzatetto e tossicodipendenti e sono ricettacolo di rifiuti.

Edificato nel 1382 da Carlo III di Durazzo (sovrano del periodo angioino), l’edificio fu collocato volutamente all’angolo meridionale della cinta muraria cittadina come baluardo difensivo, in prossimità di un torrione chiamato Sperone, laddove un tempo proliferavano gli acquitrini della Palus neapolitana. Si tratta di una delle realizzazioni militari più recenti rispetto alle analoghe costruzioni della città di Napoli, dovute al ritardo nella conurbazione dell’area orientale ed alla necessità di difenderla dagli attacchi provenienti da oriente, sia via mare che da terra. A differenza, però, degli altri fabbricati (Castel Nuovo, Castel Capuano, etc.) non presentava arredi di lusso né sale regali, essendo esclusivamente adibito ad uso militare.

Il progetto originale si caratterizzava di due torri cilindriche, di un elevato torrione e di mura merlate congiunte da robusti blocchi di piperno. Il castello fu teatro non appena quattro anni dopo la sua costruzione della battaglia che vedeva contrapposti Luigi II d’Angiò e Ladislao di Durazzo. In seguito, durante l’assedio di Alfonso V d’Aragona, che vide morire suo stesso fratello in battaglia, Pietro, sostenne la difesa degli angioini, ma non fu abbastanza per mantenere il regno.

Ulteriori modifiche furono realizzate nel 1484, quando le mura della città furono ampliate e modificate dagli aragonesi: per volere di Ferdinando I d’Aragona, si decise di arricchire le mura partendo dal maggior torrione presente presso il castello del Carmine, prendendo spunto dall’ingegner Francesco Spinelli che fu preposto ai lavori e che appose una lapide in ricordo dell’evento:

«DIVUS ARAGONEA QVI SVURGIT ORIGINE CAESARITALUS ET PACE INGENS FERDINANDUS ET ARMISDUM TIBI PARTHENOPE MIRI NOVA PERGAMA FASTUSET SIMUL AETERNAS MANSURAS CONDERET ARCESHIC LAPIDEM PRIMUM FUNDAVIT NUMINE DEXTROFRANCISCUS SPINELLUS EQUES PORREX ERAT ILLUMTEMPORE QUO IUNII LUX TERNAQUE FULSERAT HORAEX ORTU CHRISTI TRIA LUSTRA DEME TRECENTIS.»

Nel 1512, a causa di un’alluvione, il torrione principale fu riedificato in forma quadrata. Fra il 1647-1648, durante la rivolta di Masaniello, fu la dimora del capopopolo Gennaro Annese.

Nel 1662, a seguito delle mutate condizioni belliche, per decisione del viceré conte di Peñaranda, fu seriamente rimaneggiato dal punto di vista militare, conferendo maggiore risalto agli arredi e alle stanze che avrebbero dovuto ospitare i capitani di ventura e i mercenari più esigenti e separandone nettamente gli ambienti dall’area conventuale dei Carmelitani. Il viceré affidò la progettazione dei lavori a Bonaventura Presti e la sua realizzazione agli ingegneri Donato Antonio Cafaro e Francesco Antonio Picchiatti.

Tra gli eventi più celebri che si sono svolti in questa sede si ricordano: la proclamazione della “Serenissima Real Repubblica Napolitana” che, però, durò solo alcuni giorni; la congiura di Macchia, verificatasi nel 1701, che anticipò l’arrivo degli Austriaci; l’occupazione delle truppe francesi di Championnet nel 1799; lo strenuo tentativo di resistenza del contingente borbonico di stanzia ai Mille di Garibaldi.

Il castello venne demolito nel 1906 per rettificare l’ultimo tratto del corso Garibaldi. Al suo posto sorse la caserma Giacomo Sani in stile neorinascimentale, adibita a panificio militare e che sarà tagliata della parte meridionale alla fine degli anni settanta per il nuovo tracciato di via Marina. Sulla parte ovest del forte, negli anni trenta fu realizzato l’edificio dei Magazzini militari, progettato da Camillo Autore e anch’esso demolito alla fine degli anni settanta. Questo era situato tra il vado del Carmine (ancora nella sua posizione originaria) e la torre Brava (in esso inglobata) e mostrava uno stile tipicamente fascista.

All’estremità orientale di Napoli, in un’area che solo dalla metà del XIV secolo era entrata a far parte del perimetro fortificato della città, nel 1382 Carlo III di Durazzo fece costruire un castello, che per la sua forma fu denominato lo Sperone. L’edificio sorgeva in posizione adiacente al convento del Carmine Maggiore, costruito insieme alla chiesa a partire dal 1283, in seguito alla donazione di un appezzamento di terra da parte di Carlo I d’Angiò ai frati carmelitani, devoti al culto della Madonna bruna. Molto scarse risultano a tutt’oggi le informazioni circa questo primo baluardo difensivo  per la distruzione di gran parte dei documenti d’archivio di epoca medievale durante l’ultima guerra. Dalle trascrizioni ottocentesche, come ad esempio le Cedole della Tesoreria aragonese pubblicate da Nicola Barone, si apprende che nel 1439 – durante l’assedio di Alfonso d’Aragona alla città di Napoli, che era nelle mani di Renato d’Angiò – l’edificio era munito di bombarde e presidiato da una guarnigione di Genovesi, accorsi in quell’occasione per prestare aiuto al re francese.  In realtà, durante il periodo aragonese, più che un vero e proprio edificio, all’estremità sud-orientale della città  venne edificata una torre, denominata Spinella dal nome del suo costruttore (Francesco Spinello, sovrintendente alle nuove mura).  

L’importanza strategica attribuita alla torre Spinella nell’ambito del sistema difensivo della città aragonese è testimoniata dalle sue dimensioni decisamente maggiori rispetto alle altre torri della cortina meridionale, nonostante quello che oggi appare per la mancanza degli elementi di coronamento: archetti, beccatelli e merloni. Essa infatti presenta un diametro di circa 15 metri ed era l’unica a mostrare un doppio ordine di fuochi, con troniere sia al di sopra della parte scarpata dal lato verso il mare, sia sulla terrazza di copertura.  Nel 1511 l’equipaggiamento militare del torrione venne ancora notevolmente ampliato e modernizzato per volere del viceré Don Raimondo de Cardona conte di Albenga, convinto assertore della sostanziale importanza di una valida difesa costiera, al fine della salvaguardia dell’intera città contro gli sbarchi nemici. Malgrado ciò però, ai tempi di Pedro di Toledo, il “castello” del Carmine rappresentava sempre un punto di debolezza all’interno del sistema delle fortificazioni urbane, sebbene unanimemente ritenuto ancora strategicamente importante per la difesa. Proprio per questo motivo, pochi anni più tardi – subito dopo la morte del viceré – si fece strada la proposta sostenuta da Ferrante Loffredo, marchese di Trevico, di costruire una nuova fortezza ispirata alle più innovative forme dell’architettura militare, nei pressi dell’antico castello. Nel 1566 il Torrione venne quasi completamente distrutto da un’alluvione e pertanto, negli anni immediatamente successivi, l’edificio fu ricostruito e incluso in una struttura quadrangolare più ampia, per volere del viceré don Parafan de Rivera duca di Alcalà. Questi però respinse l’idea – caldeggiata dal marchese di Trevico – di realizzare una vera e propria cittadella bastionata fuori la porta del Mercato. La proposta fu scartata, ufficialmente per carenza di risorse finanziarie, probabilmente anche per la posizione del baluardo difensivo, che si trovava troppo distante dalla cosiddetta “città degli Spagnoli”, verso la quale maggiormente si concentravano gli interventi del Viceré.  Il progressivo disinteresse dei governanti nei confronti del Castello del Carmine, durante i primi anni del Seicento, sembra essere confermato anche dalle concessioni fatte dal Tribunale delle Fortificazioni in favore dell’adiacente convento, concessioni che inevitabilmente minavano l’efficacia difensiva dell’edificio. Tra il 1607 e il 1611 i frati ottenevano infatti l’autorizzazione a occupare parte delle mura della città e il piano terra del torrione, il che portò ad una sorta di continuità spaziale tra le due strutture – quella religiosa e quella militare – che ovviamente comprometteva la sicurezza difensiva di quest’ultima. Solo in seguito alla rivolta di Masaniello (1647-48) – durante la quale venne dimostrata l’enorme importanza strategica del bastione del Carmine, il conte di Ogñatte decise di ingrandire e fortificare l’antico maniero, edificando un castello «con planta real». In quest’occasione venne occupata una parte del convento dei Carmelitani e uno dei chiostri del monastero venne adibito a piazza d’armi dell’edificio militare. Ovviamente questa nuova sistemazione non piacque ai frati, i quali – costretti a sacrificare parte del loro convento in nome dell’alto ideale della difesa dell’intera città – più volte scrissero a Madrid al Re Cattolico, lamentando un’insostenibile promiscuità all’interno della struttura tra religiosi e militari. Solo dopo più di dieci anni fu trovata una soluzione di compromesso, tesa a conciliare le esigenze dei monaci con le necessità legate alla difesa della città. Nel 1662 infatti il viceré in carica – don Gaspare de Brancamonte, conte di Pegnoranda  – decise di cominciare i lavori necessari a liberare i Carmelitani. Il progetto fu elaborato dagli architetti Francesco Antonio Picchiatti e Donato Antonio Cafaro e consisteva essenzialmente nell’innalzare un alto muro di separazione tra i due edifici e nel realizzare un corridoio difensivo coperto.  

Il complesso sistema di gallerie che circondando la chiesa e il convento doveva garantire il rapido movimento delle truppe dalla porta del Carmine fino al forte e viceversa, in caso di imminente pericolo di un attacco nemico e un corpo di fabbrica tra la piazza del Carmine e la via Marina per gli alloggi dei soldati. Per la realizzazione della piazza d’armi e per l’acquartieramento dei soldati fu necessario invece abbattere  edifici privati che si trovavano nella piazza del Carmine, alcuni adiacenti alla chiesa e altri verso la Marina.  Le opere realizzate garantirono il funzionamento del forte durante tutto il corso del Settecento, anche se una prima ipotesi di demolire una parte dell’antico castello del Carmine si può rintracciare già nel 1789, nel celebre Saggio dell’abbellimento di cui è capace la città di Napoli di Vincenzo Ruffo.  I suggerimenti di Ruffo trovarono concreta realizzazione alla fine degli anni Trenta dell’Ottocento, quando vennero a maturazione le condizioni per la stesura di un vero e proprio programma urbanistico elaborato da Ferdinando II. In particolare, nell’area orientale era prevista la realizzazione di «una strada per sopra le mura di Porta Nolana», che seguisse il tracciato della cortina aragonese dal forte del Carmine fino a via Foria. La sede stradale – almeno per alcuni tratti – avrebbe occupato lo spazio ricavato dal riempimento dell’antico fossato e per questo la nuova arteria venne chiamata “via dei Fossi”.  Il progetto della nuova strada  fu affidato a Luigi Giura e venne approvato  nel  settembre 1840.  L’intero tracciato stradale – da via Foria fino al mare – venne completato e aperto solo nel 1860, allorché la nuova arteria prese il nome di “Corso Garibaldi”.   Intanto i lavori relativi al “taglio” del bastione del Carmine procedevano molto lentamente, soprattutto a causa dei problemi legati al passaggio di proprietà del forte dal Ramo di Guerra al Municipio.  Ancora però nel 1877 nessun accordo era stato trovato per la cessione dell’edificio al Comune e anzi in una lettera all’allora Sindaco della città, Duca di Sandonato, il Ministro dell’Interno sottolineava l’impossibilità in quel momento di «cedere al Municipio di Napoli tutto ed anche soltanto parte del forte del Carmine, essendo assolutamente indispensabile, giacché nel semestre corrente i carcerati sono aumentati di 313».

Fin dai primi anni dell’Ottocento infatti era stata adibita a prigione una parte dell’edificio e in particolare la cortina che prospettava sul porto e che «dunque confina da mezzogiorno con la via Marina, da ponente con la porta della città, da settentrione con la piazza che prende nome dalla adiacente chiesa storica del Carmine, e finalmente da levante confina con altre località del castello e con la prima torre» .   Solo   il primo agosto del 1903  aveva luogo effettivamente la tanto attesa cessione del «Padiglione Carmine» al Comune, mentre il bastione veniva “finalmente” tagliato solo nel 1906.   Quindi,  «per ragioni di rettifilo»  veniva demolita gran parte dell’antico castello e si concludeva così la storia di uno degli edifici più caratteristici della storia urbanistica di Napoli, uno dei luoghi preferiti dai vedutisti del XVIII e del XIX secolo, che da qui riuscivano a inquadrare l’intera città, adagiata tra la collina di San Martino e il mare. 

Achille della Ragione

fonte

Achille della Ragione: Il castello del Carmine, un antico maniero di Napoli (achillecontedilavian.blogspot.com)

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