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Il “Diavoletto Indipendente” (VI)

Posted by on Set 30, 2024

Il “Diavoletto Indipendente” (VI)

Il Diavoletto, Anno XIII, n. 157, 7 luglio 1860
I misteri di Napoli

L’Armonia di Torino col titolo i misteri di Napoli ha un articolo che merita tutta l’attenzione degli amanti della politica; noi a causa della ristrettezza del nostro giornale non possiamo riprodurlo per intero, e quindi ci accontenteremo di citarne alcuni brani onde i lettori possano farsi un’idea del bel lavoro dell’Armonia, che tratteggiata la storia del reame in questi ultimi tempi, mette innanzi i misteri che presenta l’attuale situazione del re veramente infelice. –

“Non sarebbe stato meglio pel nuovo re di Napoli di continuare come suo padre ad essere in piena rottura diplomatica coi governi di Francia e di Inghilterra, oppure tornò alla Corte di Napoli qualche vantaggio l’avere ristabilito le sue relazioni con queste due Potenze riacquistandone l’amicizia? Mistero!” E la Russia che rimproverò tanto all’Austria la sua ingratitudine, la Russia, a cui il governo di Napoli restò fedele durante la guerra d’Oriente, la Russia che prese a sostenere il re delle Due Sicilie quando Francia e Inghilterra lo minacciarono e gli tennero il broncio, perchè oggidì la Russia abbandonò Francesco II, e non lo sovvenne almeno di un suo consiglio e d’un suo conforto? mistero!»

E la Russia che rimproceerò tanto all’Austria la sua ingratitudine, la Russia, a cui il governo di Napoli restò fedele durante la guerra d’Oriente, la Russia che prese a sostenere il re delle Due Sicilie quando Francia e Inghilterra lo minacciarono e gli tennero il broncio, perché oggidì la Russia abbandonò Francesco II, e non lo sovvenne almeno di un suo consiglio e d’un suo conforto?

E poi se le riforme erano un grande bisogno di Napoli e del reame, e quel popolo le invocava, perchè, oggidì che le ha ottenute, non se ne allieta, non fa festa, non ringrazia il Principe che gliele ha accordate?  Perchè invece i disordini incominciano a Napoli colla promulgazione dell’atto sovrano che accordalo Statuto? mistero!”

Perchè l’Inghilterra, la quale pretese con tanta insistenza dal re di Napoli la concessione di libere istituzioni, ora che vennero appagati i suoi desiderii, e fu inalberata la bandiera tricolore non piglia le parti del re generoso, ma invece continua a piombargli addosso più accanita, e lo vuole esautorato ad ogni costo? mistero!”

E il Piemonte che tanto sospirava una lega con Napoli, e vedeva in questa la salute d’Italia e la sua indipendenza, perchè non l’accetta oggidì che gli viene offerta? Ama forse più d’una lega un’annessione, e rinunzia a quella per questa? E allora che cosa significano le protestazioni di disinteresse e di amore sincero verso l’Italia e i Principi che ancora vi comandano? Mistero!”

Noi per ora ci ristringiamo ad accennare queste difficoltà senza recarne giudizio.

Ci dorrebbe troppo di non poterlo recare favorevole al re delle Due Sicilie. Certo noi non possiamo rallegrarci della condizione in cui si trova. L’avremmo visto più volontieri in compagnia dell’Arciduca di Toscana e dei Duchi di Modena e di Parma. Ad ogni modo ci mancano ancora i documenti e le cognizioni necessarie per giudicare questo Principe. Il tempo e gli eventi diranno chi fossero  i suoi  consiglieri, e  se  gli  dessero buoni consigli”. [1]

Un bell’incontro.

Il principe Petrulla deve battere il mare per giungere a Genova[2]  e colla sua nobile comitiva, (altri cinque diplomatici napoletani;) portare al Re Vittorio Emanuele le proposte di pace e l’ulivo simbolico; non vorressimo che l’ambasciata a bordo dei vascelli borbonici si incontrasse con un’altra ambascieria, d’un altro genere, comandata dal capitano Cosenz, che per consolidare la pace parte da Genova con 2.000 volontari per la Sicilia, davvero che i complimenti non potrebbero essere

fra le due squadre tanto graziosi.

A questo mondo ed ai nostri giorni dobbiamo essere preparati a tutto, e se domani ci dicessero che Francesco di Napoli andò a far visita a S. E. Garibaldi non ne stupiressimo per niente.

Un’ambasciata parte dalla regia di Francesco II per recare a Torino messaggi e trattative d’alleanza, e da Genova, dalla seconda città del Regno di Vittorio Emanuele partono 2.000 uomini che devono portare aiuti agli insorgenti di Sicilia pronti a gettarsi su Napoli, quando il loro capo ne crede venuto il momento. Misteri direbbe l’Armonia, e noi replichiamo: misteri![3]

La tortura in Sicilia.

L’Universel di Brusselles pubblica la seguente lettera indirizzatagli dal signor Maniscalco ex direttore di polizia a Palermo.

«Signore, mi viene tra le mani un piccolo opuscolo pubblicato a Parigi sotto il titolo: La torture en Sicile. Esso è firmato: Carlo de la Varenne, e contiene quattro lettere ch’erano già state inserite nell’Opinion Nationale e indirizzate al sig. Guéroult, redattore in capo di detto foglio. Gli alti funzionarii del governo del Regno delle Due Sicilie hanno l’abitudine di non opporre che il
disprezzo alle ingiurie che contro di loro sono da molti anni lanciate da una parte della stampa
estera, perchè si mostrano esatti nell’adempimento del loro dovere. Tuttavolta vi ha circostanze in
cui bisogna rispondere per quanto bassi sieno gli insulti.

Dichiaro dunque che il titolo del suddetto opuscolo è una menzogna. La tortura non esiste in Sicilia né a Napoli. Il governo reale non riceve da nessuno lezioni d’umanità.

Dichiaro che tale opuscolo è un tessuto di calunnie per gettare l’odio sopra un governo che ha il torto di non lasciarsi rovesciare. Dichiaro particolarmente che in ciò che riguarda i fatti imputatimi, la buona fede e la verità furono indegnamente disconosciute.

Sono dieci anni che la fiducia dei miei principi mi ha posto e mi mantiene alla direzione della
polizia in Sicilia. Io avea goduto fino al 1859 d’una popolarità, che è raro d’acquistare in una simile posizione, e la mia coscienza mi rende testimonianza di aver operato qualche bene.

Ma dacchè un soffio di rivoluzione è passato su questa terra, ho l’onore di esser fatto segno agli attacchi più violenti per essermi adoperato a contenere le passioni sovversive.

Affin di mostrare al pubblico che il silenzio non è un confessarsi colpevole, e cheio non temo punto il gran giorno per gli atti del mio ministero, deferisco ai tribunali il signor Carlo de la Varenne, sottoscrittore dell’opuscolo: La torture en Sicile, e il giornale l’Opinion Nationale, che pel primo ha inserito le lettere di cui si compone il libello.

La giustizia dei tribunali francesi avrà ad esaminare le imputazioni che mi sono personali e vendicare il mio onore oltraggiato. Spero, signore, che la vostra imparzialità non si rifiuterà di far conoscere la presente ai vostri lettori. Aggradite l’espressione della mia distinta considerazione.

J. Maniscalco

Napoli, 20 giugno 1860»[4]

pti.regione.sicilia.it Salvatore Maniscalco (Messina 1813 – Marsiglia, 11 maggio 1864).


Poco o nulla si conosce delle sue origini, tranne che nacque su un bastimento che si dirigeva a Messina da Palermo. Iniziò la carriera militare, ma la sua vera fortuna fu l’incontro con Filangeri, il comandante delle truppe inviate da Ferdinando II per reprimere il moto del 1848: l’uomo ebbe molta stima di lui e favorì la sua carriera. Nominato Direttore di Polizia presso il ministero a Palermo nel 1851, nel corso degli anni divenne sicuramente uno dei personaggi più potenti del tempo. La sua attività era intensissima: riusciva a controllare, attraverso una fitta rete di spie collocate su tutto il territorio siciliano e all’estero, le azioni di liberali e antigovernativi e a scoprire le trame cospirative prima che si trasformassero in ribellioni. La sua indiscussa capacità nella prevenzione del crimine non si fermava solo alla lotta contro le attività politiche, ma si estendeva al conflitto contro le terribili bande armate che terrorizzavano i paesi interni della Sicilia, per lo più occidentale. Il ritratto che dipingono i liberali del direttore, non certo lusinghiero, gli epiteti utilizzati, come “sbirro infame”, erano dovuti in gran parte ai suoi successi professionali. Lo storico Raffaele De Cesare gli riconobbe invece un grande merito: “si disse che gli eccessi di lui facessero ai Borboni più male di Garibaldi. Io credo che sarebbe più giusto affermare che, senza Maniscalco, i Borboni avrebbero perdutala Sicilia, appena dopo la morte di Ferdinando II”. Nel descriverlo, De Cesare cercò di ridare giustizia a un personaggio che molto probabilmente, per il suo ruolo di alto funzionario di polizia e per la sua bravura nello svolgere il suo mestiere, era diventato il capro espiatorio contro cui si scagliavano congiuntamente i memorialisti liberali e quelli filoborbonici. All’incalzare degli eventi, nel 1859 Maniscalco divenne il punto fermo contro tutti i fermenti che si succedevano Napoli, 20 giugno 1860”.

Napoli, 20 giugno 1860”.[5]

 Cose di Sicilia e di Napoli.

«Vedrà quanto prima in Napoli la luce un giornale sussidiato dal governo, che avrà per titolo: Il Risorgimento. Ha già pubblicato il suo programma che si riassume così: alleanza col Piemonte, e libertà; propugnerà i principii costituzionali colla casa di Borbone. (Gazz. di Tor.)

È partito dalla Sardegna per la Sicilia il colonnello Cosenz alla testa di duemila volontarii. (Diritto).
Leggesi nella Gazz. di Torino in data di Messina 22 giugno: “Il paese è pieno zeppo di soldatesca: tutta la notte sta schierata sugli spalti e nelle strade maestre: in tutti i punti s’incontra fanteria, cavalleria, artiglieria. La notte appostano sentinelle fino alle botteghe, e da ultimo le hanno messe anche agli acquedotti, temendo che Garibaldi s’impadronisca per sorpresa della fortezza».

Il Giornale Costituz. delle Due Sicilie del 29 pubblica i nomi dei nuovi ministri, e poi soggiunge: “La Maestà del re ha disposto che per la fausta pubblicazione dell’Atto Sovrano del dì 25, domani28 vi sarà gran gala facendosi le solite salve con grande illuminazione dei pubblici edifici e nei teatri. Ci è grato aggiungere che oggi il vessillo fregiato de tre colori nazionali italiani si è innalzato fra le salve de’ castelli e de’ legni da guerra: festeggiamenti cui han fatto eco i navigli stranieri ancorati in rada di bandiera francese, inglese, russa, austriaca, spagnuola ed americana. Alle loro salve ha corrisposto l nostra pirofregata Trancredi”.[6]

continuamente nell’isola, a seguito delle notizie – più o meno vere – che giungevano dai campi di battaglia del nord. Di fatto, divenne quasi più importante dello stesso luogotenente: a lui pervenivano le informazioni di tutte le autorità di polizia locali, delle spie e di intendenti e sottintendenti. Il militare, percependo il clima non favorevole per la monarchia, tentava di stimolarla verso un piano di moderazione e di modernizzazione, rendendosi perfettamente conto che oltre la prevenzione, le attività di spionaggio e la repressione era necessaria una politica riformatrice. Il precipitare degli eventi non favorì certamente il suo operato.

“Lo scoglio, contro il quale s’infrangeva ogni conato rivoluzionario, era Maniscalco. Tolto lui di mezzo, si credeva impresa facile compiere la rivoluzione. Sul suo capo si erano cumulati grandi odii ed erano odii di liberali e di facinorosi insieme, perché Maniscalco colpiva con la stessa severità gli uni e gli altri”.

Contro il Direttore di Polizia fu organizzato anche un attentato, che tuttavia fallì: i mandanti non furono mai identificati e tutt’ora non vi è certezza su chi fossero. Lo storico De Sivo puntò il dito contro i giovani nobili siciliani (il principe di Sant’Elia, il principe Antonio Pignatelli, il barone Riso, il principe di San Cataldo, Casimiro Pisani junior e il marchese Di Rudinì) che furono aiutati dalla malavita; ma la sua tesi non fu mai verificata. Dopo l’attentato, Maniscalco divenne
comprensibilmente più diffidente e duro verso tutti. Mano a mano che si avvicinava il momento dello scoppio del moto a Palermo, le attività investigative sotto la sua direzione si facevano sempre più intense. Emblematica è la lettera che inviò, il 1° aprile 1860, al luogotenente del re in Sicilia, Castelcicala, nella quale fece presente lo stato agitazione in cui si trovava la popolazione che, nell’imminenza una rivoluzione, faceva incetta di beni di prima necessità. Prontamente, sotto le sue direttive, la polizia aveva individuato alcuni sospetti membri del comitato rivoluzionario, ma si era preferito non arrestarli tutti per non mettere a repentaglio l’attività degli infiltrati, per poter continuare lo spionaggio e carpire più notizie possibili.

Nel momento dell’avvio della rivoluzione a Palermo, Maniscalco era perfettamente consapevole di ciò che stava accadendo, tanto da bloccare praticamente sul nascere la rivolta della Gancia del 4 aprile 1860. Nonostante la repressione, gli arresti e il disarmo, il vaso di Pandora era stato aperto e lo “spirito pubblico” era entrato in una spirale di tensione. Inoltre, le aspirazioni dei liberali siciliani avevano cambiato direzione, trasformandosi da autonomistiche a filopiemontesi. Maniscalco lo sapeva bene, e così scriveva: «È notevole […] che il mutamento, che va accentuandosi nella propaganda, che gl’ istigatori di disordini vanno facendo; mentre pel passato si è parlato solamente di voler attentare all’attuale ordine di cose per cercar di conseguire la separazione dalle provincie napoletane, adesso si accenna a principii unitarii, a riunione con l’Italia superiore». Per questo, dopo numerosi tentativi di stimolare il luogotenente ad agire, lo scavalcò, rivolgendosi direttamente al re, con diversi rapporti e con un famoso memorandum, datato 15maggio, che costò il posto al principe di Castelcicala, accusato di inerzia. Mentre Garibaldi distava solo due giorni di mare dalla Sicilia, il Direttore di Polizia, avendo l’esatta percezione di ciò che stava avvenendo, scriveva al re: «Sire, alle porte di Palermo si deciderà la sorte non solo della Sicilia, ma della Monarchia». Con l’arrivo di Garibaldi, Maniscalco mise in salvo la sua famiglia su una nave diretta a Napoli, ma rimase fermo al suo posto, continuando nel suo lavoro sino all’ultimo nel Palazzo Reale con il generale Lanza, il nuovo luogotenente. Dopo la presa di Palermo, il suo potere fu notevolmente ridotto e raggiunse a Napoli la famiglia, con la quale il 28 luglio scelse la via dell’esilio, prima ad Avignone e poi a Marsiglia. Nella città francese svolse un fondamentale ruolo di coordinamento tra i legittimisti che si trovavano in Europa, per ristabilire nel trono Francesco II. Tramontata definitivamente questa ipotesi, aderì ad una posizione autonomistico-federativa. Morì a Marsiglia nel 1864.

Le sue memorie, scritte durante l’esilio, più volte citate da Giacinto De Sivo nella sua “Storia delle Due Sicilie”, non sono state mai ritrovate. Numerosi sono gli scritti, le poesie e i canti popolari satirici che si ispirarono alla sua figura, e che lo dipingono come un implacabile servitore dei Borboni, capace di ogni nefandezza, nemico per eccellenza del popolo.

«Il Giornale Uffic. di Sicilia pubblica i seguenti decreti:  

“È abolito il titolo di Eccellenza per chicchessia.

Non si ammette il baciamano da un uomo ad altro uomo.

Lo stemma della Sicilia è quello stesso del Regno d’Italia.

I militi della prima categoria, che sono sotto le armi, e che necessità imperiose del raccolto
chiamano a casa, sono temporaneamente congedati.

Il Municipio di Palermo

  1. “Ha votato una medaglia memorativa da coniarsi e distribuirsi a suo tempo ai volontari della prima spedizione.
  2. Una medaglia di merito da darsi dal Generale conformemente alle relazioni dei
    rispettivi ufficiali pei fatti di Calatafimi e Palermo. – La redazione della leggenda per le due medaglie è affidata al professore Daita.
  3. Ha accordato la cittadinanza palermitana a Garibaldi ed a quelli che lo hanno seguito.
    Le navi siciliane innalzeranno la bandiera italiana. Essa, per le navi da guerra, avrà nel mezzo lo stemma della Casa di Savoia sormontato dalla corona; tutte le altre il semplice stemma.
    La stessa facoltà gli è riserbata per la nomina dei magistrati municipali sino al termine della guerra.
    Le nomine sinora fatte dai governatori, e delle quali è stata già data partecipazione al governo, son mantenute”.

 Il periodico di Napoli il Nomade di giovedì 28 giugno, dice avere notizie da varie provincie intorno al modo onde venne accolto l’atto Sovrano, col quale si concedeva la costituzione, e tutte concordemente annunziano che dovunque si serbò il massimo e più dignitoso silenzio. Il giornale augura bene se non si rinnovino oggi quelle dimostrazioni di frenetica gioia cui dette luogo simile avvenimento nel 1848. In quanto a Napoli però il giornale suddetto dice di una dimostrazione tumultuaria accadutavi la sera del 27, la quale finì atteso l’ammirabile contegno serbato dalla truppa in questa occasione. Come pure dice di qualche altro disordine popolare verificatosi nella mattina del 28, il quale parimenti ebbe termine. Crede da ultimo che il nuovo ministero metterà fuori il suo programma politico per ispargere un po’ di luce nella vera posizione delle cose».[7]


[1] «IL DIAVOLETTO», giornale di Trieste, N. 157, sabato 7 luglio 1860.

[2] Vedi il nostro telegramma

[3] «IL DIAVOLETTO», Ivi

[4] Ivi

[5] Ivi

[6] Ivi

[7] Ivi

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