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Il “Diavoletto Indipendente” (XI)

Posted by on Ott 26, 2024

Il “Diavoletto Indipendente” (XI)

Il Diavoletto, Anno XIII, n. 163, 14 luglio 1860.

Pericoli di guerra.

Sotto questo titolo l’Armonia di Torino pubblica il seguente articolo che ci piace di riportare, certi di fare cosa grata ai nostri lettori:

Nell’unica tornata che il Senato del Regno consacrò alla discussione del nuovo prestito di cencinquanta milioni, dai diversi oratori ci venne concordemente annunziata come possibile, probabile, anzi vicina una guerra, guerra assai più viva, assai più lunga, assai più spaventosa di quella del 1859. E lo stesso conte di Cavour, ben lungi dal contraddire a tali previsioni, le confermò invece coll’autorità della sua parola.

La guerra è inevitabile, cominciò a dire il senatore Pallavicini-Trivulzio, e sperava che i centocinquanta milioni verrebbero spesi negli apparecchi. “Io voterò il prestito, diceva egli, perchè infiniti pericoli circondano il nuovo Regno, e questi pericoli noi dobbiamo scongiurarli, costi che può!

Ma donde mai possono venire questi infiniti pericoli? Dalle popolazioni no, perchè si dice che sono unanimi col conte di Cavour.

Dai Principi spodestati nemmeno, perchè non hanno in mano nessuna forza e si dichiarano, dai liberali, in uggia alle loro antiche città.

Dall’Austria né anche, giacchè si afferma indebolita, umiliata, povera, e colla rivoluzione in casa propria.(?) Non dalla Russia che ci è amica, come strombazzano sempre i nostri diari. Non dall’Inghilterra che ci protegge colle sue simpatie e co’ suoi danari. Non finalmente dalla Francia, di cui abbiamo recentemente comperato l’alleanza con la cessione di Savoia e di Nizza.

Quali sono adunque questi infiniti pericoli a cui alludeva il senatore Pallavicini-Trivulzio?

Una volta dicevasi che il re di Napoli volea romperci la guerra; ma oggidì invece s’è messo sulla nostra strada, e ci ha offerto l’alleanza. Il Papa è sempre stato, e sarà a qualunque costo il Principe della pace, né mai per cagion sua ricadrà l’Europa nei mali della guerra. Dunque donde possono venirci questi infiniti pericoli a cui andiamo esposti?

Eppure il senatore Pallavicini-Trivulzio insisteva dicendo che il pericolo era grave e grave l’urgenza degli apparecchi guerreschi, e indicava pericoli di due sorta dicendo: “si tratta di evitare le rivolture civili e le terribili calamità di un’occupazione straniera”.

Ma come conciliare le civili rivolture colla tanto decantata unanimità? E quale può essere la potenza straniera che venga a occupare gli Stati nostri?

“I demagoghi si agitano, continuava a dire l’onorevole senatore, i retrivi cospirano, e i soldati austriaci si fortificano nel quadrilatero pronti alla riscossa”. Quanto all’agitarsi dei demagoghi è un fatto, ma essi vogliono ciò che desidera il conte di Cavour, salutato come il primo dei rivoluzionari. Quanto al cospirare de’ retrivi è una ciancia, e noi abbiamo visto di questi giorni dove andasse a finire la pretesa cospirazione. Finalmente quanto al fortificarsi dell’Austria, non crediamo che esso sia effetto di divisata aggressione.

Roberto d’Azeglio vide pure possibile e prossima una guerra, e accordò i centocinquanta milioni al ministero, affinchè potesse “provvedere di buone armi, di cavalli, di vestiario, di attrezzi di guerra l’esercito; di nuovi navigli e di nuovi marinai l’armata; di munimenti e di artiglieria le fortezze, e prepararsi alle emergenze che nell’attuale stato d’Europa possono occasionare dispendiose ed improvvise risoluzioni”. E pare che la guerra prenunziata dal senatore Roberto d’Azeglio debba durare per tutta questa generazione, avendo egli dichiarato così: “La nostra generazione deve offrirsi in olocausto per le generazioni venture. Non è più un solo Decio, ma milioni di Decii che devono sacrificarsi per la salute della patria. A noi i pericoli delle battaglie, le sventure, le agitazioni; la pace e la felicità nazionale ai figli dei nostri figli”.

Tutto il discorso del d’Azeglio si raggirò sulla imminenza della guerra, come quello del Pallavicini- Trivulzio che l’avea preceduto. “Il mondo politico si agita in una vasta sfera, e ne suoi penetrali ferve una fiamma che sta per prorompere”. Solo tra il Palavicini e il d’Azeglio corse questo divario, che, mentre il primo vedeva per noi infiniti pericoli, l’altro scorgeva magnifiche eventualità.

I fatti diranno chi si apponesse.

Nell’opinione dei due senatori sulla probabilità della guerra convenne anche il conte di Cavour, il quale dichiarò che noi vogliamo armarci, “poichè crediamo, od almeno abbiamo, non dico la certezza, ma la possibilità di una guerra grande”. E il presidente del ministero aggiungeva di non voler pagare le indennità della guerra passata, perchè siamo “nella possibilità di avere altri gravissimi danni a soddisfare”. Laonde raccomandava la pazienza fintanto che la nuova e grande guerra fosse finita.

Sebbene pertanto non si sappia ben dire né donde, né quando, né come scoppierà la guerra, tuttavia i senatori e i ministri del Piemonte la reputano inevitabile. E certo la guerra precedente fu troppo breve per poterci rendere la pace. Ma nella nuova guerra noi saremo assaliti, o assalitori? Il Dio delle battaglie starà sempre per noi? La nuova grande guerra servirà a fare la Penisola o a disfarla? E al levar delle tende saremo più liberi e più indipendenti? E lo straniero si dipartirà da noi, oppure il nuovo signore verrà ad aggiungersi all’antico? E i figli dei nostri figli ci benediranno o malediranno? E la guerra non si potrebbe evitare? E l’evitarla non tornerebbe a conto all’Italia in generale, ed al Piemonte in ispecie?

A tali questioni non pensarono e non pensano i nostri uomini politici. Forse ci penseranno più tardi, ma troppo tardi. Fatto è che noi ci troviamo oggidì nella più desolante incertezza, ed andiamo incontro ad un avvenire, che mente umana non sa prevedere. In qualunque caso noi speriamo che la misericordia divina salverà questa Italia, dove vive il Romano Pontefice. Fermi sulla pietra che non crolla, attendiamo fidenti e rassegnati le nuove ed imminenti battaglie. (Così l’Armonia).

Dispaccio particolare del Il Diavoletto.

Genova 13 luglio.

Notizie di Palermo dell’8 corrente annunziano che l’incaricato sardo La Farina venne arrestato durante la notte del 7 e fu obbligato di partire immediatamente per ordine del dittatore Garibaldi. Il ministero, venuto a cognizione di ciò, diede tosto la sua

dimissione, che fu accettata. Le altre autorità seguirono l’esempio dei ministri.

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