Il “Diavoletto Indipendente” (XIII)
Il Diavoletto, Anno XIII, N. 167, 17 luglio 1860
Se il Constitutionnel è stanco della questione italiana e dice che l’Europa ne ha piene le scatole di
essa, noi da parte nostra siamo della stessa opinione, e crediamo finalmente che all’una maniera o all’altra sia necessario di farla finita. Quando poniamo in carta il nome del Constitutionnel preghiamo i nostri lettori a sostituirvi quello di Napoleone III, così intenderanno meglio le cose, ed avranno il mezzo per ispiegare la volontà del padrone della Francia. Ciò detto, tiriamo innanzi.
E un destino che di tanto in tanto le cose vecchie tornino di moda – e così è della Confederazione
italiana – a Zurigo la si credeva sepolta così bene che non se ne dovesse parlar più per secoli; ma adesso, come Lazzaro, vien fuori dalla cassa, e sparuta in volto, senza carni sulle ossa, spolpata dal Piemonte, che s’è beccato Parma, Modena, Firenze e Bologna, ricompare sulla scena sostenuta da Napoleone III che se n’è fatta una idea fissa. E se Napoleone la vuole, bisognerà bene che presto o tardi la si faccia questa Confederazione, anche se non la accomoda Cavour, non fosse altro per essere anch’ essa registrata nel novero dei fatti compiuti. Della durata della medesima dateci poi il tempo che potete concedere ad una moda e ve ne sarà anche troppo, nel caso sempre che a Napoleone riesce di effettuarla.
Con che elementi la si voglia impastare non lo sappiamo – se il Piemonte s’è anmesso la Toscana, il
Parmigiano, il Modenese e le Legazioni, di Stati in Italia non restano se non quel poco che s’è
lasciato al Papa, la Venezia, che Dio grazia è ancora dell’Austria col suo quadrilatero, il reame di
Napoli, fino a che Garibaldi non si muove, e la repubblica di San Marino; questi sono gli elementi
dei quali potrebbesi comporre adesso la Confederazione italiana; a meno che a Napoleone non sia
venuto il pensiero d’unirvi il Nizzardo; che allora la Francia sarebbe altro dei membri componenti la
Confederazione. Chi sa che non ci pensi, sarebbe una bella idea… per i suoi progetti… avvenire.
L’imbrogliarsi delle cose in Italia che Napoleone vede ben chiaro minacciare uno di quei tai colpi,
che dati, non si sa ove vadano a posare; La Farina messo alla porta da Garibaldi e sfrattato dalla
Sicilia come una persona…. inutile ai progetti del dittatore della Trinacria; la parola repubblica che
si fa udire or qua or là, e nello stesso Stato-modello, non è un mistero la sua propaganda; Toscana
che pensa più alla libertà che all’annessione completa al Piemonte; ecco l’Italia; e non bisogna
stupirsene; per chi conosce le tendenze dei popoli italiani, non fa senso il quadro della dissensione
che presente la penisola. Balbo lo scrisse in più luoghi; dei diversi paesi d’Italia non si può farne
uno solo, ed è la più assurda delle utopie il credere ciò possibile; il Carbonaro Felice scriveva pure
in questo senso:
“L’unità e l’indipendenza d’Italia, sono chimere come la libertà assoluta, di cui alcuni de’ nostri
seguono il sogno nelle loro impraticabili astrazioni. Questo è un frutto che non sarà mai dato
all’uomo di cogliere; ma chimera più che realtà; ciò produce un certo effetto sulle masse e sulla
vivace gioventù. Noi sappiamo che cosa credere di questi principii: essi sono vuoti e resteranno
sempre vuoti”.
Ora domandiamo noi se questa unità che non speravano d’ottenere i repubblicani, la può ottenere il
conte di Cavour imponendo Torino a tutta l’Italia; esso non otterrebbe che l’anarchia della quale
assaggia a quest’ora i frutti che gli vengono spediti da Firenze, da Bologna, da Modena e da Parma,
come da Milano ove Garibaldi gli ha dato lo scacco, ed è ora l’eroe della festa.
Il caos italiano è nella sua pienezza – la stessa calma che sembra regnare presentemente nella
penisola, è il segnale che un grande movimento è inevitabile; e tutti sono concordi omai in questa
credenza; Cavour pressato, spinto, obbediente per forza alla volontà della Francia, dovrà chinare
all’alleanza con Napoli; ma quel giorno che si stringerà il patto, quel giorno possiamo esser certi che
in Italia avremo una scossa completa. Lo prevede Napoleone, lo prevedono a Torino, e la guerra
ormai la si crede una necessità. Garibaldi sarà il capo d’una delle parti, l’altra si dividerà in frazioni.
Qui la repubblica, là gli unitarii, gli annessionisti, i piemontesisti – e al paese i dolori, i sagrifici.
Intanto, l’Unione di Torino, ministeriale fin nell’inchiostro, dice che si accetteranno le proposte
d’alleanza fatte da Francesco di Napoli, e Cavour ha continue conferenze con Canofari e
coll’ambasciatore francese a Torino. Ma a Napoli continua la freddezza per il nuovo ordine di cose;
e i comitati annessionisti lavorano per Vittorio Emanuele – Garibaldi arma e arma – mentre ha
spedito a Genova La Farina a portare notizie di sé e del suo modo di pensarla ai signori della Corte
di Torino, e si prepara all’ultimo colpo.
Nello Stato del Papa sono sedati i moti insurrezionali, di cui si è parlato nei giorni scorsi, ma anche
qui la rivoluzione lavora a danno di Pio IX, e dell’ ordine e della legittimità.
Insomma le nubi sono grosse e la tempesta è imminente. La costituzione a Napoli, e le riforme a
Roma non potranno certo scongiurare il brutto tempo.
I Mazziniani si spiegano.
I mazziniani hanno, se non altro, il pregio d’essere sinceri. Lasciando che altri accenni a sinistra per
colpire a destra, secondo la teoria del Gioberti, e seguono la loro via senza tanti ambagi. Una
preziosa confessione sulle loro intenzioni la troviamo nell’Unità Italiana di Firenze dell’11 corr. In
essa havvi un articolo che combattè il Vessillo Vercellese che aveva difeso il signor La Farina. Ecco
come si esprime a riguardo d’un alto personaggio la citata Unità:
“Il Vessillo ci accusa di non avere avuto rispetto alcuno alla corona Piemontese in passato e di
piegarvisi oggi. Noi non tenemmo la corona Piemontese, in conto maggiore che non si tenesse la
Estense, la Lorenese, la Borbonica. Se noi ci dovevammo piegare ad una corona che emergesse dal
frazionamento italiano, non ci saremmo mai preso l’incomodo d’andare fino a Torino. La corona che
oggi è sulla testa di Vittorio Emanuele, è nel nostro intendimento completa corona d’Italia.
La corona che oggi è sulla testa di Vittorio Emanuele, è corona che il partito nostro in gran parte
gettò struggendovi dentro per ora tre corone, e qualche altro troncone, e fu lavorata dalla sovranità
popolare. (Dal Cattolico di Genova)
Carteggio del Diavoletto.
Napoli ha ora un aspetto abbastanza tranquillo. Questi giorni si vide spesso Sua Maestà il re guidare
da solo i cavalli e fare dei giri con a fianco la regina a Chiaia, in via Toledo ecc. La popolazione è
tranquilla e lieta, i teatri sono sempre stipati di spettatori. Si è sparsa la voce che Garibaldi si porti
nelle Calabrie, per cui il governo fece partire a quella volta delle truppe, per lo più svizzere. Tutti i
generali che fecero la campagna di Palermo trovansi al bagno sull’isola d’Ischia. La polizia è del
tutto abolita in Napoli, molti militari tengono all’incontro pattuglie in città. Come avrete rilevato dai
giornali, tutti i bastimenti da guerra salutarono la sera del 26 giugno alle ore 6 e mezza, la bandiera
tricolore. Ed a proposito di questa bandiera, rilevo dalla bocca d’un ufficiale francese un anedotto
che difficilmente sarà stato comunicato ad altri giornali. Rilevo cioè che al momento in cui si
doveva salutare la bandiera tricolore collo stemma borbonico, questa non si trovava nemmeno a
bordo dei bastimenti francesi, per cui invece di vedere issata la bandiera su tutti i navigli di potenze
straniere ad un tempo, la si vide prima sui legni napoletani, indi sui francesi,
questi la prestarono agli inglesi, da questi fu passata ai russi, i quali la consegnarono agli austriaci, e
questi finalmente agli spagnuoli; talchè quella stessa bandiera fu salutata 6 volte.
Dubito che l’attuale tranquillità possa durare.
Non essendo iniziato nè nei misteri della Corte, né in quelli dei comitati non sono
nemmeno in caso di farvi osservazioni in proposito, e mi limito a scrivervi quello che vidi. Certo è
che la costituzione fu accolta con freddezza, senza illuminazioni, senza grida di evviva, e pareva
che il popolo altro non desiderasse che veder cangiato il sistema di polizia, come lo dimostrano le
terribili scene avvenute al 28 giugno in mezzo alle grida di fuori gli sbirri, e di evviva la truppa.
I birri infatti postisi presso d’un portone d’una casa ebbero ad implorare misericordia e protezione
dal militare; ma quando questo s’era allontanato i birri furono lapidati, un prefetto di polizia fu
pugnalato, e solo alla cavalleria, accorsa sul luogo di quelle orrende scene, è riuscito a far
sgombrare le vie. Fino dalla sera del 27 vidi nella via Toledo molti venditori dei ritratti di Garibaldi,
e molte donne con grandi cassette che andavan raccogliendo danaro per gl’istigatori della
rivoluzione, gridando: “siamo tutti fratelli”. Però al 28 si fecero molti arresti e la tranquillità fu
ripristinata.
I navigli da guerra stranieri sono quasi tutti ancorati dinanzi alla Chiaia.
Notizie politiche
ITALIA. Torino 13 luglio. Questa mattina col convoglio della strada ferrata delle 10 sono partiti per
Genova, dove stasera s’imbarcano per Napoli, gli esuli napoletani Giuseppe Pisanello, Silvio
Spaventa, Giuseppe del Re, Antonio Ciccone ed altri. Il barone Poerio e gli altri suoi concittadini
che rimangono qui, erano andati alla stazione coi loro amici che partivano. Nella settimana entrante
partiranno il maggiore Carrano, il colonnello Boldoni, l’avvocato Conforti, il dottor de Meis
ed altri.
Il deputato La Farina era reduce a Torino nella giornata di ieri. Egli si esprime con molta
moderazione su ciò che gli è accaduto.
Si crede che la missione napoletana giungerà a Torino domenica o lunedì prossimo.
Pare che gl’inviati partenopei siano partiti insieme da Napoli, e che a Nizza si separeranno, il Manna
ed il Winspeare per venire a Torino, il Lagreca per andare a Parigi ed a Londra.
S. A. R. il principe di Carignano è partito oggi per Genova, e stasera s’imbarca sul Tripoli per
Livorno. Domattina l’augusto cugino del re sarà di ritorno a Firenze. (Cart. della Persev.)
- Il signor Lorenzo Valerio, che doveva andare in Sicilia, ha, per quanto si dice, procrastinata la sua
partenza. (Forse per non fare la figura di La Farina) - Leggesi nel Corr. Mercantile: Da credibili testimonianze, abbiamo che la leva procede assai
meglio di quel che molti aspettavano in Sicilia; la sola provincia di Palermo già diede oltre a 5.000
coscritti; si raccolgono questi senza le forme solite, non v’ha regolamento, i comuni scelgono i più
idonei fra coloro che si presentano; ma insomma vengono i soldati, ciò è l’importante, e purchè siavi
il necessario sussidio d’istruttori e di ufficiali, si possono in breve formare. - L’Opinione dice che le trattative per l’alleanza fra Torino e Napoli incontrano una difficoltà
insuperabile nelle condizioni presenti del governo del re Francesco. - Secondo lo stesso giornale i ministri che diedero la loro dimissione in seguito all’espulsione del
signor La Farina da Palermo, sarebbero quattro soltanto.
Livorno 11 luglio. Leggesi nella Nazione in data dell’11 corrente: “Sabato 7 del corrente fu
effettuata in Livorno la seconda spedizione per la Sicilia col vapore Medea. Il colonnello di
cavalleria Lange, polacco, conduce questa colonna, che appena giunta in Palermo ingrosserà il
corpo comandato da Vincenzo Malenchini.
Genova 11 luglio. Si dice che il bel vapore Torino, già appartenente alla cessata compagnia
transatlantica, ora di proprietà del Credito Mobiliare, sia per essere acquistato dal governo della
Sicilia. Nuovo arrivo di volontarii in Genova.
Napoli 7 luglio. Con decreto dei 30 giugno p. p. è abrogato il decreto del 27 dicembre 1858, col
quale stabilivasi la competenza dei consigli di guerra a procedere contro gl’imputati colti in
flagranza di alcuni attentati contro la sicurezza dello Stato.
L’Omnibus di Napoli, giornale che conta 28 anni di vita, e che in un suo numero dell’anno scorso
aveva portato per articolo di fondo “Educazione delle galline”, è divenuto, dopo il gran mutamento,
giornale liberalone, ed occupa tutta la sua prima pagina di articoli della nuova politica del regno.
Propugna l’alleanza col Piemonte, spera nella sua riuscita, e dopo averne diffusamente parlato,
conclude:
“Questo però ripetiamo, che tutta l’attività del Governo dev’essere rivolta su tale questione, la quale
per gli avvenimenti, di cui è teatro la Sicilia, ogni giorno divien più complicata e difficile. Che si
tratti è fuor d’ogni dubbio, ma è mestieri trattare con energia, e quel che più importa, con una
franchezza e lealtà, che attestino sempre più il fermo proposito di pervenire ad un accordo durevole
e sincero. Allora solamente si potrà forse ritrovar quella forma politica, che soddisfi alle tradizioni
storiche dell’isola, donde in tutti i tempi si diffuse tanta luce di civiltà, e che due volte in questo
secolo ha data la libertà al continente”. - Comparso di recente a Napoli un giornale sotto il titolo di Arlecchino. Ma la compilazione
dell’Arlecchino che stampavasi nel 1848-49, valendosi del diritto di proprietà, reclamò per questa
clandestina pubblicazione. - Altra dell’8. Si legge nei giornali ufficiali di Napoli del 5, 6 e del 7. Un decreto reale, in data del 5,
portante la istituzione e l’ordinamento di una guardia nazionale nei regi dominii di qua del Faro per
mantenere l’obbedienza alle leggi e tutelare l’ordine e la pace pubblica. I componenti |questa guardia
non possono prendere le armi, né riunirsi senza l’ordine superiore, dietro facoltà concessa
dall’autorità civile, o dal comando in capo. Per la città di Napoli, il numero delle guardie è fissato a
sei mila, diviso in 12 battaglioni. Gli ufficiali superiori sono di nomina del re, gli altri officiali sono
scelti dagli intendenti sulle terne proposte alle autorità municipali, i sotto-ufficiali dai capi di
compagnia. L’uniforme descritto nel decreto è a carico dei militi, ma non è obbligatoria. - Il foglio ufficiale del 5 contiene una lettera di S. E. il barone Brenier responsiva all’indirizzo
presentatogli dall’ anzianato a nome della popolazione di Napoli. L’ambasciatore si piacque vergare
in esso parole improntate di tanta cortesia e di gratitudine sì profonda per l’atto praticato a suo
riguardo, che il giornale suddetto dice riprodurre nel suo testo francese la lettera, a non diminuirne
la forza e l’eleganza. - ll Nomade di Napoli reca le seguenti notizie:
“A comandante del forte di Sant’Elmo è stato nominato il colonnello del genio Bardet di Villanova,
uomo di principii liberali ed onesti.
Pare che l’attuale ministero debba cedere il posto ad altri. Si citano, come formanti il nuovo
ministero, i nomi di Liborio Romano, Baldacchini, Ferrigni e Ventimiglia.
Manna ha accettato definitivamente il portafoglio delle finanze, ed è già entrato in funzione”. - Manetta ed il suo figlio, per ordine della giustizia, sono stati tratti negli arresti come indiziati per
l’attentato contro l’ambasciatore di Francia. - Scrivono da Palermo 10 luglio, al Movimento: “Questa mattina si presentò davanti a Palermo la
corvetta napoletana Il Veloce con bandiera bianca accompagnata dalla bandiera tricolore collo
stemma borbonico.
Fu immediatamente un affollarsi di curiosi sul molo, un dimandarsi quale incarico fosse affidato a
quell’avviso; chi diceva portasse l’annunzio della promulgata costituzione a Napoli, chi un
ultimatum di Francesco II.
Ma ben presto ogni dubbio ſu dissipato.
La corvetta entrava in darsena, e il comandante dichiarava che egli e i suoi ufficiali si ponevano
sotto gli ordini del generale Garibaldi.
Ultime notizie.
Un dispaccio particolare dell’Osservatore Triestino recava ieri la notizia, che due bastimenti erano
passati dalla parte di Garibaldi – il dispaccio della Borsa di ieri sera dice mercantili i due bastimenti
entrati a Palermo. Potrebbe essere che i due navigli fossero di quelli che il re di Napoli aveva presi
in servizio per i trasporti militari e che furono armati ad uso di guerra.
I ministri a Napoli ed in Sicilia crescono come funghi; il Times dice che nuovi consiglieri della
corona surrogheranno gli attuali ministri a Napoli, più liberali s’intende dei presenti; essi sono
chiamati ad allargare la costituzione in senso liberale, a forza d’allargare, non sappiamo dove andrà
a finire il re; l’intenzione è chiara che lo si vuol porre fuori del cerchio d’allargamento.
Povero infelice re! esso si trova nella triste situazione di Luigi XVI, travolto come lui dall’onda
rivoluzionaria.
La situazione dell’Italia va facendosi ad ogni ora più minacciosa; i popoli trascinati dalle passioni
suscitate in essi dalla tristizia degli eterni nemici della pace, minacciano di esplodere in eccessi; e
ne ebbimo già tremende lezioni nei fatti di Parma, di Firenze, di Romagna, di Palermo e di Napoli;
e poiché è detto che di questa Italia si debba pur sempre parlare, eccovi o lettori, un brano di uno
scritto del Cattolico di Genova ch’esso intitola il fatto irrevocabile, nel quale sono tratteggiate le
condizioni della Penisola.
“È un fatto irrevocabile la morte di tanti sventurati negli sconvolgimenti di cui ora è teatro la bassa
Italia, come l’anno scorso lo fu la media e l’alta; è fatto irrevocabile l’imbarazzo del ministero di
Torino, che non sa più dove dar del capo; è fatto irrevocabile che i Napoletani non vogliono sentir
parlare d’annessione; è fatto irrevocabile che l’agognata unità d’Italia va in fumo; è fatto irrevocabile
che senza l’unità d’Italia il signor Guerrazzi disse in Parlamento non poter durare l’annessione
dell’Italia centrale; è fatto irrevocabile l’aumento spaventoso del nostro debito pubblico; è
irrevocabile che il dep. Macchi previde la bancarotta e parlò nella Camera dei deputati di bruciare il
libro del medesimo debito pubblico; il disinganno che comincia a farsi strada, le illusioni di molti
che svaniscono, lo scontento di tutti che aumenta, la fiducia che si dilegua, il pericolo che si
avvicina, la guerra che ci minaccia, la pace che se ne fugge e simili delizie sono altrettanti fatti mille
volte più irrevocabili della perdita della Sicilia”.
Le Hamburger Nachrichten hanno un telegramma da Torino 13, secondo cui sarebbe scoppiata al
10 luglio una rivolta militare in Napoli; le truppe gridavano evviva il conte Trani (fratellastro del
Re, figlio magiore della vivente regina-madre). Il contegno della popolazione era tranquillo.
Il Diavoletto, Anno XIII, N. 166, 18 luglio 1860. Rivista politica. Trieste 17 luglio
A Torino si aspetta non una sola ambascieria, ma due, la napoletana e la romana.
Della prima ne sono pieni i giornali; chi la vuol partita e chi no; e altri anzi ne mettono in dubbio fin
l’esistenza 1; della seconda ne parla oggi anche l’Adriatico. Che il re di Napoli, o diremo meglio, chi
comanda adesso nel reame voglia tentare un ravvicinamento fra Torino e la Corte borbonica, lo
crediamo benissimo, come crediamo anche che il conte di Cavour dovrà far buona cera ai messi di
Francesco II se Napoleone lo vuole; ma che Pio IX mandi i suoi rappresentanti alla Corte di Vittorio
Emanuele per cercarne l’amicizia, e in certo modo, la protezione, ecco quanto non possiamo
credere, e che non crederemo mai fino a che avremo fede nella giustizia e nel diritto. Di cose che in
questi ultimi tempi si sarebbero credute impossibili pur troppo se ne avverarono molte; ma che il
Sommo Pontefice venga tratto a tanta umiliazione, per l’onore di Lui e per il decoro della romana
chiesa non lo possiamo credere. Pio VI e Pio VII furono più grandi nell’esilio che sul trono, e Pio IX
non può venir meno a quei magnanimi esempii che diedero ad esso i martiri suoi predecessori.
L’ostinazione posta ora da Napoleone nel voler attivata l’idea della Confederazione, dopo che lasciò
si disperdessero i veri elementi della medesima, non ci rassicura per nulla, né acquieta il presente di
lui mutamento la pubblica opinione, assuefatta da molto tempo alle voltate politiche del Nipote
del gran Zio.
Intorno a Garibaldi ed alle condizioni della Sicilia, così si esprime un corrispondente
dell’Indépendance scrivendo da Palermo in data del 6 luglio, cioè prima dell’espulsione del La-
Farina.
“Cercai dopo il mio arrivo a Palermo l’occasione d’avvicinare Garibaldi, l’occasione mi si è
presentata ieri sera (5) dacchè ho potuto passare oltre a venti minuti in compagnia del dittatore.
La mia qualità di francese non era certo una buona raccomandazione presso Garibaldi, ma tuttavia,
1 Vedi dispacci telegrafici.
benchè dapprima si mostrasse renitente, pure si entrò nel campo della politica.
“Quello che mi premeva sapere erano i suoi progetti politici; ma capirete ch’esso si è guardato dal
comunicarmeli; tuttavia io credo d’aver potuto capire che l’unico suo pensiero egli si è quello
d’organizzare l’armata, colla quale egli vuole, malgrado tutte le costituzioni concesse a Napoli e da
concedersi a Roma, o per conto della Sardegna o per conto proprio, conquistare l’Italia, e ritornare a
Palermo facendo il giro dell’Adriatico.
La convinzione di Garibaldi si è che i Borboni non possono né devono regnare più oltre a Napoli;
un’alleanza del re Vittorio Emanuele con Francesco II non sarebbe possibile se non quando il re di
Napoli cedesse 150 mila uomini per liberare l’Italia; il che è assolutamente impossibile. Egli è
adunque la rivoluzione che si deve fare a Napoli e farla ad ogni costo, è la cacciata del Papa da
Roma che vuole Garibaldi.
Questi particolari vi ponno dare un idea esatta della situazione del dittatore in Sicilia; l’assedio di
Messina sembra aggiornato, e tutte le preoccupazioni di Garibaldi sono per l’organizzazione
militare; il dittatore conta poco sui Siciliani, abbastanza cattivi soldati, ed ecco perchè egli domanda
a Bertani che gli spedisca armi ed armati; lo spirito pubblico intanto è pieno d’esitazioni, e regna
dovunque confusione grandissima; qui vi sono Siciliani puri, unitarii, annessionisti ecc. ecc.
il che reca imbarazzi al dittatore che non vuole l’annessione se non che dopo aver preso
Napoli”.
Questi ragguagli ci sembrano abbastanza espliciti, e mostrano chiaro il pensiero di Garibaldi – ora
se le idee espresse dal corrispondente dell’Indépendance sono le idee di Garibaldi, come potranno
esse accordarsi con quelle di Napoleone, e con quelle di Cavour, le quali piegano per la volontà del
primo a trattative col re di Napoli? Siamo sempre a quella, o di romperla affatto colla rivoluzione o
di gettarvisi dentro a corpo morto, e il Piemonte si trova nel bivio terribile che si è da sè stesso
fabbricato. Garibaldi da Napoli vuol passare a Roma e da Roma a Venezia ; e con esso sta la
rivoluzione, e la repubblica quando Vittorio Emanuele non si metta seco lui di conserva nel
progettato viaggio di conquista.
E impossibile però che l’Europa lasci aperta la corsa alla rivoluzione che dalla Sicilia viene bandita
da Garibaldi – è impossibile che la Russia, la Germania, e le altre potenze conservatrici non sentano
la necessità di abbandonare il loro sistema d’apatia per infrenare, fin che v’ha tempo, il torrente che
allaga l’Italia e può scatenarsi sull’Europa ove vi sono pur troppo elementi preparati a riceverlo.
Napoleone, che iniziò quest’éra di miserie e di grandi prove per l’Italia, resa infelice e travolta in un
mare di sciagure, Napoleone esso pure non ha poi messo così profonde le sue radici in Francia da
non pensare all’avvenire. Gli errori del genio non si scontano il sabato – e Napoleone il Grande ne fa
la più grande delle prove.
Dolorose notizie dalla Siria. Il Moniteur del 17 ha da Bairut in data dell’11 che l’attacco contro i
cristiani è cominciato a Damasco
Il fanatismo eccitato dai Turchi ormai non sente più freno; l’incendio e la strage sono compagni
delle orde musulmane; il diritto delle genti disconosciuto, calpestato; e le sacre persone dei
rappresentanti le potenze europee, fugati dal ferro di quei barbari, che sembra vogliano col sangue
cristiano rafforzare l’idolatra fede del Corano.
I consoli di Francia, di Russia e di Grecia implorarono la protezione del vecchio
guerriero d’Africa, Abd-el-Kader. Solo il rappresentante dell’Inghilterra fu rispettato.
E perchè una tale preferenza, che nelle circostanze attuali può dirsi un oltraggio?
Tremila Turchi giunsero a Bairut; ma avranno essi il coraggio e la volontà di combattere contro i
loro correligionarii?
Notizie politiche.
[…] ITALIA. Torino 14 luglio. Leggiamo nell’Unione del 14 corr. N. 193: “Uno dei grandi torti del
signor Farini, si è quello altresì di una riprovevole trascuranza nell’opporre una energica e severa
azione al moltiplicarsi degli assassini, dei ladronecci e delle aggressioni che di continuo si
lamentano nell’Emilia. Mai la sicurezza pubblica fu così negletta quanto sotto il governo del signor
Farini”.
Altra del 15. Lo sfratto dato dal dittatore della Sicilia al sig. La Farina è un fatto assai grave nelle
presenti circostanze. La Farina, che fu uno dei più ardenti mazziniani, si è convertito al
costituzionalismo sotto il patronato del conte di Cavour. Egli è presidente della Società nazionale
italiana, la quale ha per iscopo, come si sa, di fare l’Italia a favore del Piemonte. La Società
nazionale ha lavorato grandemente per fare la rivoluzione dell’Italia centrale, e quando questa ebbe
il suo effetto, rivolse altrove i suoi sforzi. Si sa che la Società nazionale ha per organo il Piccolo
Corriere d’Italia. Lo sfratto del sig La Farina indica che la Sicilia è nelle mani dei mazziniani puri.
Questi vedendo che La Farina lavora per il Piemonte e non per la repubblica italiana, lo cacciarono
dalla Sicilia, affinchè non avvenga a mezzodì della Penisola ciò che è avvenuto nel centro e nella
parte settentrionale, dove i mazziniani fecero la rivoluzione ed i costituzionali ne colsero i frutti.
Pare quindi che la setta abbia stabilito colà il suo quartiere generale col suo esercito, la sua flotta, e
tutta l’amministrazione del suo governo. ll conte di Cavour, il quale contava raccogliere ciò che
Garibaldi ha seminato, si trova così a denti asciutti. Ed è in questo senso che i giornali più
apertamente ostili alla politica del conte di Cavour parlano di questo fatto, mentre i diari ministeriali
vanno barcamenandosi tra il rispetto che devono al dittatore della Sicilia, e il dovere di sostenere il
loro padrone Cavour. (Armonia)
Milano 14 luglio. La r. Questura procede con rigore contro i promotori della dimostrazione degli
operai muratori. L’altro ieri ne arrestò parecchi.
Genova 11 luglio. Scrivono alla Gazzetta del Popolo: “Da ogni parte si elevano gravissime accuse
contro le questure dei principali centri dello Stato, che inette o peggio, non sanno o non vogliono né
prevenire né reprimere i disordini ed i misfatti che si commettono da una mano di uomini perversi,
vero rifiuto della società. Si direbbe in verità che nella deplorata negligenza si nasconda il tristo fine
di far prendere in uggia le libere istituzioni da cui siam retti”.
FRANCIA. Ecco il testo dell’ appello fatto dal sig. Crèmieux ai suoi correligionarii per soccorrere i
cristiani della Siria.
Parigi 11 luglio 1860.
“Miei cari correligionarii!
Tutta la terra ci era preclusa, quando nel primo giorno della sua immortale rivoluzione, la Francia ci
aperse le braccia, e ci fece cittadini.
Quella Francia, che ci ha miracolosamente liberati, che ci adotta, che ci chiama suoi figli, è la
Francia cristiana.
Ed ecco che in Oriente i cristiani, sono abbandonati alla più spaventevole persecuzione. Le torture,
le violazioni, l’assassinio, il saccheggio, l’incendio, il massacro delle donne, dei fanciulli, dei vecchi,
e persino la mutilazione dei cadaveri, tale è l’orrendo quadro che presenta oggi la contrada del
Libano. Il sangue scorre, la miseria e la fame si estendono su numerose popolazioni, cui il
fanatismo musulmano, lottando anche contro lo stesso pensiero e le forze del governo turco, vuole
annientare.
Israeliti francesi! siamo i primi a venire in aiuto dei nostri fratelli cristiani; non aspettiamo i risultati
sempre lenti della diplomazia, che regolerà l’avvenire; veniamo in soccorso degl’infortunii presenti.
Un’ampia soscrizione si apra sin da oggi a Parigi; domani si organizzi un comitato israelita.
Non perdiamo un giorno, un’ora. Che dal seno di una riunione ebrea, formata in questa capitale
della civiltà, parta il segnale di un immenso soccorso. A questo segnale risponderanno i nostri
fratelli d’Inghilterra, di Germania, del Belgio, dell’Olanda, di tutta Europa, tanto dei paesi dove
vengono riconosciuti come cittadini, quanto di quelli che tuttavia ricusan loro questo nobile titolo.
E voi, israeliti delle contrade americane, dove la libertà dei culti incede trionfante, verrete voi pure
in aiuto ai cattolici d’Asia, sì crudelmente oppressi dalla superstizione. Rechiamo tutti la nostra
contribuzione, a quest’opera; dia l’opulento la sua ricca offerta, il povero il suo pietoso obolo.
Ma un pensiero ancor più grande deve scaturire da questo primo slancio. Chi sa?
Dio, che governa tutte le cose, ha forse permesso queste desolanti catastrofi per dare a tutti i culti
una solenne occasione di aiutarsi scambievolmente, di difendersi contro questi furibondi odii, figli
della superstizione e della barbarie.
Un comitato permanente in ogni paese, che vigili sulle offese recate alla libertà di coscienza; una
cassa generale destinata a tutte le vittime del fanatismo, senza distinzione di culto, ecco lo
stabilimento che devesi creare e sostenere. Sì, i mali che in questo momento subiscono tante vittime
innocenti, destano le simpatie di tutti. Essi feconderanno il pensiero di proteggere l’avvenire contro
la ripetizione di questo flagello, cui il nostro secolo respinge con orrore, voglio dire: la
persecuzione religiosa”.