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Il mito nero dell’Inquisizione

Posted by on Nov 3, 2016

Il mito nero dell’Inquisizione

Gennaro Conte mi ha segnalato un articolo che trovo molto interessante e che merita di essere pubblicato.

L’Inquisizione fu responsabile nel corso del Medioevo e dell’età moderna della morte di migliaia di persone.

La cattiva immagine di cui si è macchiata l’Inquisizione in molti casi è stata tuttavia esagerata, spesso nascondendo la responsabilità dei tribunali civili, ovvero non guidati dalle autorità ecclesiastiche, non considerando la volontà popolare e le sue superstizioni.

Durante l’epoca illuminista si criticarono molto duramente le pratiche religiose e la stessa Inquisizione. Spesso però, nel descrivere il passato e glorificare il nuovo pensiero, si finì col descrivere ingiustamente un’altra epoca, quella medievale, oggi in parte riabilitata.

Dove e quando nasce l’Inquisizione?

L’inquisizione nasce quando il Medioevo è nella sua fase conclusiva. Siamo infatti nel 1231. Di fronte al diffondersi della resistenza di alcune eresie, come quella catara, papa Gregorio IX fece istituire in tutte le più importanti città d’Europa dei tribunali speciali, guidati da preti domenicani e alla quale vennero affiancati i francescani più tardi.

Questo non vuol dire che prima di questo momento non vi fossero persecuzioni ai danni degli eretici; semplicemente non vi era un’istituzione così formalizzata ed organizzata. Molta della documentazione su questi processi ci è in effetti pervenuta proprio grazie alla razionalità e alla conseguente burocrazia con la quale era gestita l’Inquisizione.

Si trattava di un’istituzione che si trasformò nel tempo e si divise nelle componenti delle diverse chiese nazionali. Nel corso del XV e XVI secolo i sovrani iberici, grazie alla diretta concessione di Papa Sisto VI, posero sotto il controllo della corona l’inquisizione locale, utilizzandola come estensione della stessa sovranità spagnola. Per questo quando si parla di Inquisizione moderna si dovrebbe in ogni caso far riferimento a quella spagnola e romana. In questo caso mi concentrerò generalmente sull’inquisizione medievale e sui suoi procedimenti, in gran parte ereditati nei secoli successivi.

Chi è l’inquisitore?

Era necessario superare diversi requisiti per diventare inquisitori. Bisognava aver compiuto almeno 40 anni di vita ed essere esperti sia di diritto canonico che civile. Gli inquisitori non sono infatti semplici giudici il cui ruolo si limitava a condannare a morte gli eretici. In una società dove la religione presiedeva ogni aspetto della vita, il tribunale diventava un luogo di correzione, dove gli inquisitori (almeno nelle intenzioni) dovevano agire più da catechisti che boia (ruolo che aspetta invece molto spesso ai tribunali civili).

Certo il loro ingresso in città non doveva certo scatenare ondate di giubilo tra la popolazione; va ricordato che si poteva finire sotto processo solamente a causa di alcune voci che giravano ma vediamo ora nel merito come agivano.

L’inquisitore arriva in città

Per prima cosa vi era un incontro tra le autorità locali e l’inquisitore, il quale mostrava le proprie credenziali e invitava il potere civile alla collaborazione nelle indagini. Se dai signori locali non otteneva risposta positiva, l’inquisitore poteva chiedere l’aiuto al papa o al sovrano (dando vita così a lunghe controversie politiche, senza risparmiare anche l’utilizzo della scomunica papale) altrimenti si stabiliva il giorno in cui avrebbe avuto luogo il sermone generale di fronte alla cittadinanza, attraverso la quale venivano ribaditi i principali dogmi religiosi e gli errori degli eretici.

Veniva concesso poi il cosiddetto tempo di grazia, momento nella quale gli eretici potevano venire tranquillamente allo scoperto, confessando le proprie colpe ed ottenendo la possibilità di conciliarsi subito con la Chiesa.

Trovare i colpevoli

Oltre a confessare spontaneamente la propria eresia, vi erano diversi modi in cui finire sotto il tribunale dell’inquisizione.

La prima era la semplice denuncia da parte di terzi, magari da parte di qualche vicino o per via di alcune voci che giravano in paese. Occorrevano tuttavia almeno due testimonianze, il cui racconto doveva però essere coerente. Neanche questo bastava; occorreva fornire prove certe per accusare qualcuno, cosa ovviamente più difficile da fare nel caso di eresia intellettuale. Bastava in ogni caso comunque aver pronunciato in pubblico qualcosa di “sbagliato” per finire sul banco degli imputati.

Qualora non si fosse risposto alla richiesta di comparire davanti al tribunale, si era condannati anche in propria assenza (vi era comunque la possibilità di riconciliazione).

Il processo

Per prima cosa il sospettato viene convocato per rispondere ad un interrogatorio attraverso la quale l’inquisitore può capire quale sia la levatura morale ed intellettuale del soggetto. In sostanza non ci si limita a capire di quale colpa si sia macchiato l’imputato ma se ne indaga anche l’aspetto psicologico.

Ad affiancare l’inquisitore ci sono i rappresentati della diocesi, un giudice civile, un notaio che dirige il verbale della seduta ed una giuria popolare che partecipa attivamente al processo. D’altro canto il sospetto ha un avvocato difensore e può ricusare i suoi accusatori di pregiudizio. E l’accusatore? Non può essere conosciuto da colui che viene convocato in giudizio, per la paura ovvia che possa compiere ritorsioni.

Nella gran maggior parte dei casi l’inquisizione finiva col ribadire all’accusato precisazioni sulla fede. Le punizioni si limitavano a pene blande e simboliche come preghiere, digiuni, multe o semplici pellegrinaggi (crociate incluse). Come scrive Giordano Berti, gli inquisitori:

“svolgevano il ruolo di catechisti chiamati a diffondere la conoscenza della religione cristiana” [1]

Certamente qualora l’imputato avesse continuato a sostenere le proprie tesi ed a minacciare “l’unità religiosa” del gruppo non sarebbe restata che una soluzione molto più drastica. san Tommaso d’Aquino (non fu inquisitore) pur chiedendo pietà per i reticenti, sostenne che:

“La Chiesa, non potendo più sperare nella sua conversione, dovrà provvedere alla salute degli altri scomunicandolo e separandolo dalla comunità in modo tale che, lasciato al braccio secolare, sia messo a morte” [2]

Tortura e  Condanna

I tribunali erano solitamente molto restii a condannare gli imputati in base alle semplici accuse e testimonianze. Si cominciò così a richiedere una piena confessione delle colpe mediante strumenti coercitivi come il carcere preventivo o in casi estremi alla tortura. Certo il principio di “innocenza fino a prova contraria” era ben lontano e comparirà solamente grazie all’illuminismo.

Anche qui emerge un altro luogo comune da sfatare. I tribunali ecclesiastici erano gli unici dove la tortura era sottoposta al controllo, al contrario dei tribunali civili. Fu legittimata nel 1252 da papa Innocenzo IV con la bolla Ad extirpandam, un nome tutto un programma.

Alessandro IV fece un passo successivo alcuni anni più tardi, autorizzando i religiosi ad assolversi a vicenda nel caso in cui la tortura infrangesse i divieti canonici e prevedesse spargimento di sangue. Sono molteplici le tipologie di supplizi a cui potevano essere sottoposti i sospetti (come la tortura del tavolo, attraverso la quale si induceva la slogatura degli arti). Un falso storico è però la Vergine di Norimberga, mai utilizzata dai tribunali ecclesiastici. Non tutti potevano essere torturati; diverse erano le categorie protette come bambini, i vecchi, i malati, le donne incinta, i nobili, i chierici e i militari.

La tortura non poteva durare più di mezz’ora e andava eseguita sotto stretto controllo medico. Certo non cancella l’atrocità del gesto, ma la differenza rispetto a quella riservata dai tribunali civili, è indice di un’intera società che vede nella tortura un valido strumento giuridico.

Si obbietterà ovviamente che una confessione non può che essere invalidata dalle condizioni a cui era sottoposto il sospettato. Per questo motivo era necessaria una confessione doppia, anche dopo una volta finito il supplizio. Qualora il “candidato” fosse resistito l’inquisitore era tenuto a liberare il soggetto a proclamarne pubblicamente l’assoluzione.

La sentenza di colpevolezza/assoluzione veniva letta la domenica mattina, sul sagrato della chiesa. Non si era condannati a morte per forza di cose. Vi erano diverse pene come l’espiazione delle colpe attraverso un’autoflagellazione, il sequestro dei beni, l’abbattimento della casa, il pellegrinaggio forzato o gli arresti domiciliari.

La pena di morte era prevista solamente a coloro che ricadevano in errore, i cosiddetti relapsi, o a coloro che si rifiutavano di abiurare. Una volta condannati i rei erano consegnati alle autorità civili che provvedevano ad eseguire la sentenza. Era anche possibile pentirsi in extremis, tuttavia si dovevano denunciare i propri complici (a questo punto però veniva riservata la galera a vita).

Per quale motivo l’Inquisizione gode di una reputazione così negativa?

Vista con gli occhi dell’uomo moderno, l’istituto dell’Inquisizione non può che apparirci come un organo criminale. Nella possibilità che godiamo ogni giorno di poter esprimere la nostra personale opinione, l’idea che si potesse essere messi a morte solamente per via delle proprie posizioni non può che far storcere il naso. L’uomo medievale è stato spesso a lungo il centro del disprezzo intellettuale, soprattutto durante l’illuminismo, quando di fronte alla liberazione del genere umano da molte superstizioni, si incominciò a guardare il passato con ribrezzo.

Non va dimenticato mai però che l’Inquisizione godette di grande popolarità [3] e fu il frutto della stessa mentalità di quel tempo. Se da un lato la comunità cristiana guardava a molte delle antiche superstizioni locali come l’incarnazione del male, altre-sì molte comunità vedevano la stessa immagine nella Chiesa cattolica. In un’epoca in cui il fine ultimo della vita era quello di salvare la propria anima, non deve sorprenderci l’esistenza di tali istituzioni che continuarono ad operare e mietere vittime soprattutto in età moderna (si pensi alla caccia alle streghe o alla persecuzione degli ebrei).

A completare il quadro negativo sull’Inquisizione ci furono d’altronde anche i molti eccessi che accompagnarono la mano degli stessi inquisitori. Come detto la tortura doveva essere in teoria controllata, lo stesso papa Innocenzo IV esortò ai domenicani ed ai francescani di deporre quegli inquisitori troppo duri; ciò non vietò a figure particolarmente severe di cercare di debellare l’eresia con particolare durezza. Alcune figure come quella di Roberto il Bulgaro, inquisitore di quasi tutta la Francia, e Corrado di Marburgo, inquisitore generale di Germania hanno alimentato l’immagine negativa di questa istituzione.

Se da un lato il primo fece condannare a morte 250 eretici (scatenando la reazione degli arcivescovi) e pagò i suoi eccessi con l’arresto e la condanna a prigione perpetua, il secondo scatenò un vero e proprio terrore in diverse città della Germania. Quando però fece l’errore di condannare un nobile locale, Enrico di Sayn, devoto cattolico e ben voluto dalla comunità, fu cacciato dalla città di Magonza ed ucciso da un gruppo di cavalieri.

Articolo di Stefano Borroni

fonte amantidellastoria.com

Bibliografia

[1] [2] Giordano Berti, Storia della stregoneria, Oscar Mondadori

[3]  John Edwards, Storia dell’inquisizione, Oscar Mondadori

 

 

 

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