Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

IL PLEBISCITO DEL 1860 (II)

Posted by on Ott 7, 2022

IL PLEBISCITO DEL 1860 (II)

I battaglioni della guardia nazionale furono i primi a votare recandosi in drappelli ai seggi designati.[1] Al milanese prodittatore Giorgio Pallavicino fu concessa la cittadinanza per permettergli di votare. Anche Garibaldi, nizzardo, andò a votare e con lui tutti i garibaldini. Narra un anonimo autore: «Qui Garibaldi era venuto la mattina a deporre un sì pel suo re nell’urna con­quistata dalle sue armi. Poi si è recato all’Albergo d’Inghilterra, per pranzarvi con un Colonnello suo amico».[2] La notizia fu confermata dal giornale Il Pungolo che scrisse:

Ieri il Generale Garibaldi dopo aver deposto il suo voto nell’urna, si recò a far visita al suo intimo amico Colonello Daveri, che giace malato all’Albergo La Reine d’Angleterre. Vi si recò verso alle 3 pom. restò a pranzo con lui, e lo lasciò oltre alle 6 pom. Il Municipio di Napoli ha conferito la cittadinanza al Prodittatore, March Pallavicino, ond’egli potesse dare il proprio voto per la formazione di quella Italia una e indivisibile che fu il sogno e il pensiero di tutta la sua vita. Ieri nello scendere dall’aver compito quell’atto egli fu fatto segno di viva dimostrazione di affetto e di stima dalla Guardia Nazionale, e dal Popolo.[3]

Il generale Sirtori, nell’avviso pubblicato il 20 ottobre per ordine del dittatore, non fece alcuna distinzione dei votanti; deduzione, votarono tutti indistintamente: inglesi, ungheresi e francesi. Ecco l’avviso di Sirtori:

Il Generale Sirtori alle Autorità Civili, e Militari del Regno…

Ordine del Dittatore

Tutti i soldati dell’esercito Meridionale hanno dritto al voto di domani. I militari voteranno separatamente dai civili ad ora determinata, guidati dai proprii uffiziali, o da uffiziali di piazza. I Comandanti di Corpo o di Posti militari si metteranno di accordo colle autorità civili e veglieranno col massimo zelo ad impedire qualunque disordine.[4]

Fu una farsa. Ecco alcune testimonianze di autorevoli personaggi, che furono attori e spettatori del plebiscito. Ha scritto l’avvocato Domenico Valente:

Frattanto il giorno 21 si approssimava, ed i necessarii preparativi precedevano l’atto solenne della espressione sovrana della volontà nazionale. Nella vasta Napoli ove alberga un popolo, ch’educato al dispotismo, ignora i più semplici concetti della politica, si credé necessario istruirlo anticipatamente sulla importanza ed il significato dell’atto, che doveva emettere. Ciascuno dei 12 quartieri della Città fu diviso in rioni, e ad ogni rione fu destinata una Commessione nominata dal Municipio, la quale ebbe incari­co di compiere per mezzo dei suoi membri il giro di tutte le abitazioni del proprio rione, e raccorre [raccogliere] le singole volontà degli abitanti di concorrere oppur no al plebiscito. Le Commessioni avevano principalmente la missione di fare comprendere al popolo l’indole e la importanza dell’atto, cui era chiamato: spiegare soprattutto, ch’esso era essenzialmente libero e spontaneo, che chi voleva astenersi era padrone, e che il voto essendo segreto, ciascuno poteva votare pel sì o pel no senzaché altri il sapesse.[5]

Il voto fu essenzialmente libero e spontaneo come si disse? Commentò Carlo Ulloa: «I volontari cosmopoliti di Garibaldi versavano voti a piene mani nell’urna, come sovra una tomba si gittano dei fiori… La Terra di Lavoro, che era la più vasta di tutte le provincie, essendo occupata dalle truppe reali di Francesco II, non votò affatto».[6] Narra La Cecilia:

Alle 7 del mattino del 21 ottobre, le campane delle chiese principali di Napoli, suonarono a stormo per dieci minuti onde annunziare ai cittadini l’apertura dei comizii, salutata eziandio dai cannoni dei forti. I luoghi nei vari quartieri destinati alla votazione, si videro tantosto affollati dal popolo il quale era pure ansioso di deporre nell’urna quel voto che doveva unirlo alla libera famiglia italiana. La guardia nazionale, tutta sotto le armi, fu vista portare alle rispettive sezioni il suo voto d’annessione, in mezzo agli applausi della popolazione festante, per poi sfilare lungo Toledo fra gli evviva a Vittorio Emanuele, a Garibaldi, all’Italia. Le bandiere di tutti i quartieri della città erano portate da preti e frati seguiti da moltitudine di popolo, il quale preceduto dalle bande cittadine faceva risuonare l’aere dei gridi d’entusiasmo. La via Toledo percorsa da musiche, da canti, da una doppia fila di carrozze, offriva imponente spettacolo. Allegro era l’aspetto dei palazzi e delle case, i cui balconi ornati di bandiere nazionali, erano zeppi di gente. […]

Quando la gente del popolo sopravveniva, uno dei giurati, mostrandole le due ceste del sì e del no, e avvertendola della libertà del voto, e della coscienza franca con cui conveniva darlo, soggiungeva: ebbene, si tratta di votare per Francesco o per Vittorio; voi sapete che cosa è l’uno e l’altro; indi spiegava brevemente ciò che essi fossero e lasciava libera quella gente a votare.[7]

Nel rione Montecalvario, a Maria De Crescenzo, detta la Sangiovannara perché era nata nel rione di San Giovanni a Teduccio, sorella del capo camorrista Salvatore De Crescenzo detto Tore ‘e Criscienzo, «per una onorevole eccezione fu concesso il diritto del voto» e andò a deporre nell’urna il suo SI tenuta a braccio da Silvio Spaventa.[8] La camorra, che s’illudeva d’avere l’impunità nel nuovo governo, votò per il SI.

Rodriguez Maria Velázquez, che era a Napoli, così descrisse la giornata del 21 ottobre:

La guardia nazionale e le truppe piemontesi sono nelle strade e nelle piazze; la città offre un aspetto interamente militare, e maggiormente nei dodici seggi in cui è stata divisa la città. In ciascuno d’essi c’è un presidente e due segretari, due sentinelle della guardia nazionale, e nel mezzo un’urna tra due canestri, una dei quali contiene le schede con il Sì, e nell’altro quelli con scritto No. L’elettore deve prendere visione delle schede e depositarne una nell’urna di sua scelta […] alcuni uomini determinati che isolatamente e ad intervalli prendono una scheda con il No, e la depositano nell’urna corrispondente, vengono insultati, maltrattati e due di loro gravemente feriti con due coltellate mentre escono in strada, davanti ai soldati piemontesi e alla Guardia Nazionale.[9]

L’ammiraglio inglese Mundy annotò nel suo giornale:

22 ottobre – Ieri ho visitato alcuni seggi elettorali della città durante le elezioni. Più di centomila persone hanno approfittato dell’opportunità di registrare la loro opinione, ma uno sconosciuto che passava per le strade non avrebbe scoperto alcuna eccitazione, nemmeno una folla raccolta in un punto particolare. L’ordine perfetto regnava ovunque; ma credo che, considerato il generale temperamento degli abitanti, sarebbe stato necessario un forte coraggio morale per qualcuno annunciarsi pubblicamente come nemico della sacra parola d’ordine di “Italia Una”. […]

Sono rimasto un’ora a guardare l’andamento delle elezioni e durante quel periodo ho visto solo tre individui che, dopo alcuni momenti di apparente riflessione, sono avanzati lentamente a sinistra e hanno pescato un “No”. Devo, tuttavia, osservare che nessuna osservazione offensiva è stata fatta né dai sorveglianti né dagli astanti a questa manifestazione aperta di preferenza per la dinastia dei Borbone; ma poiché gli elettori dovevano consegnare i loro documenti di identificazione, i loro nomi e la loro chiamata erano ovviamente noti. In base a normative come queste, metto in cronaca la mia opinione che un plebiscito a suffragio universale non può essere accolto come una corretta rappresentazione del vero sentimento di una nazione. [10]

Eloquente è la testimonianza di uno scrittore anonimo che descrisse il clima «di terrore» in cui si svolse la votazione a Napoli e come i camorristi votarono in tutti i seggi della città lanciando a piene mani le schede del SI nell’urna là dove l’affluenza dei votanti era poca, e falsificarono il numero dei votanti con la penna. Ecco le sue parole:

In quel momento di terrore, quando a un girar di ciglio un uomo era morto; quando i cartelli sulle cantonate dichiaravano NEMICO chi votasse pel NO; quando battiture e ferite e morti seguivano nelle sale dei comizii; quando anche l’astenersi era apposto a colpa di stato; in quel terribile furor di guerra fra cannoni e pugnali e revolver; quando eran poste due urne pa­lesi per far che la paura sforzasse la coscienza, e quelle del NO eran coperte da camorristi, quando i costoro in frotta, di piazza in piazza, votavan le dodici volte; quando minacce, insinuazioni e promesse sforzavano la volontà; quando gl’impazienti vincitori, frementi dell’aspettare e del veder pochi votanti lanciavano a piene mani il SI dentro l’urne; quando gli scru­tinatori moltiplicavanli con la penna, e ne facevano a forza numero di maggioranza, oh!.. quel famosissimo suffragio universale è crudo scherno.

Niun pacifico uomo, in quei miserevoli giorni, poneva mente a quanto la setta operava. Salvar la vita era il pensiero universale; e il poter salvarla col gettare una schedula nell’urna era sovente opportuno modo. Il popolo udì il non più udito plebiscito, senza intenderlo; e dove intese si astenne o riluttò.[11]

Indicativo è l’articolo pubblicato il 9 novembre dal giornale di Napoli Mondo vecchio e mondo nuovo, diretto da Petruccelli della Gattina:

AL MINISTRO DELLA MARINA

Un tale Francesco Fiorini sergente maggiore dei Cannonieri di Marina si presentò il giorno 21 corrente alle ore 2 p. m. al Plebiscito della sezione Porto, ove, chiestogli se volesse il Si o il No, rispose di non comprendere bene il significato de’ due monosillabi. L’incaricato della distribuzione dei voti, dopo avercelo bene e chiaro spiegato ad alta voce, scegliete, gli disse o il Si, o il No. Il Fiorini prese il No, e lo depose nell’urna elettorale. Simile procedere del Fiorilli, non fece che attirare l’ammirazione [la meraviglia] del pubblico che, senza forse approfondire che egli come militante sotto la bandiera italiana non era più libero nella votazione, fece però grande impressione ai sottoscritti che rinfacciandogli la tradita fede al Re d’Italia Vittorio Emmanuele, lo dissero immeritevole di più indossare quell’uni­forme. Il Capitano della Guardia Nazionale, secondando il parere dei sottoscritti, gli chiese il suo nome e lo condusse innanzi a quell’Eletto che promise ne avrebbe subito fatto rapporto alla competente autorità. I sottuffiziali dunque, interpreti del voto del pubblico chiedono al ministro della Marina la pronta destituzione del Fiorilli come traditore e indegno di appartenere alla Nobile Armata Italiana.

Antonio Bonelli — Ferdinando Buchignani[12]

Sulla libera espressione del voto, indicativo è l’episodio seguente, narrato da Giuseppe Giuliano:

Nel quartiere Montecalvario, un uomo assai dimesso si avvicinò al banco, prese con particolare ostentazione un NO e prima di lasciarlo cader nell’urna disse a voce sonora: Per me no e sempre no! Senonché, a quello sconsigliato tenne dietro, nel partirsene, una mano di popolani che si lasciò andare a maltrattarlo. Deplorabile eccesso, ma provocato dalla sfida che quell’insano avea voluta gittare al sentimento universale.[13]

Un’ulteriore testimonianza su come si svolse il plebiscito a Napoli è data da Marc Monnier, che volle vedere con i suoi occhi lo svolgimento delle votazioni. Ecco la sua testimonianza:

Ho voluto vedere le elezioni, e mi sono portato sulla piazza di San Fran­cesco di Paola. [oggi piazza del Plebiscito] Si votava qui. Difronte al Palazzo reale s’eleva il portico della chiesa: si votava qui, la Guardia nazionale era schierata sulla piazza e sotto le colonne. L’ordine era rigorasamente e meravigliosamente tenuto. C’era qualcosa d’antico e di singolare nella folla che saliva i gradini bianchi per andare a votare all’aria sull’ingresso di un tempio ionico. Sulla facciata della chiesa si leggeva ancora l’iscrizione latina con la quale il re Ferdinando aveva consacrato quel edificio divino a San Francesco di Paola. Più sotto, tra le colonne, si leggevano queste parole italiane: “Comizi del Popolo”. Di fronte il palazzo del re, che conserva i suoi gigli; a sinistra la Foresteria, la residenza attuale del prodittarore; al di sopra c’è il forte di Sant’Elmo con i suoi cannoni; a destra, in fondo, il Vesuvio. Il tempo era bello, il cielo allegro, il popolo come ubriaco. Non dimenticherò mai questo spettacolo. Sotto il portico, tuttavia, lo spettacolo era meno pittoresco.

La libertà del voto, promessa il giorno prima, era stata mantenuta, ma le modalità delle votazioni lasciava molto a desiderare. Vi era un’urna tra due panieri. Uno era pieno di «si», l’altro pieno di «no»; l’elettore sceglie­va la risposta alla presenza delle guardie nazionali e dinanzi alla folla. La risposta negativa era molto difficile, e anche pericolosa a darsi. Nel quartiere di Monte Calvario, un uomo che diceva «NO» e ostentava il suo voto con iattanza, fu punito con una coltellata. L’assassino e l’elettore sono in prefettura. Mi si assicura che lo stesso sistema è stato usato in Toscana; non è il migliore.

In un momento d’agitazione, dove è pericoloso esprimere la propria opposizione, non si deve eledure in nessun modo il segreto del voto. La paura è arma infausta e del resto inutile. La maggioranza della popolazione si è apertamente pronunciata a favore di Vittorio Emanuele perché non vi è opposizione alla paura. A Napoli, l’ho già detto cento volte, il sentimento dominante è la paura. […]

Sono pochi, francamente, gli annessionisti convinti; ma l’annessione è la sola soluzione possibile.[14]

A Napoli, come altrove, dominava la paura e se la «risposta negativa era molto difficile, e anche pericolosa a darsi, potevano i NO essere 1609?[15] Era questo un numero reale o inventato?

Se questo avveniva Napoli, che cosa accadeva in Sicilia? Ecco come Pietro Oliveri descrisse la vigilia del plebiscito a Palermo:

Era la sera del 19 ottobre. Fin dal mattino mestatori, faccendieri, appa­recchiavano il nuovo Varsaille; denari si prodigarono in gran copia, e si arruolarono gridatori, racimolando bravi, guappi, capaci ad imporre i dub­biosi e spaventare i restii. Di monelli si fece larga richiesta e loro si diedero istruzioni. Percorressero le vie, strepitando, schiamazzando, saltando, urlando Si, e chiunque non volesse secondarli nel motto sedizioso, perseguissero, malmenassero, ingiuriassero. Imponessero ai cittadini far luminarie nei veroni, se no, pietre scagliassero, e minacciassero gli inquilini con impre­cazioni e bestemmie. Caso volle, che incontrassi un antico domestico di casa mia, licenziato da fresco. Al vederlo colle gote rubiconde e senza fiato per gl’urli [sic] terribili che avea fatti, sorrisi e lo interrogai: «Sai tu perché strepiti gli dissi?». (Ed egli a me) Oh! Mio signore, il mio di stasera è un mestiere come tutti gli altri. M’han dato tarì sei, per ciò fare, e lo fo. «Adunque non sei persuaso di quello che dici?»

Che sappiamo noi grulli e povera gente come voi signoroni? Dicono che verrà Re Vittorio Emmanuele con casse d’oro, che darà a tutti l’impiego e la libertà, che d’ora innanzi potremo fare tutto quello che vorremo, senza tenerci dietro, birri, e commissari di polizia, con tante belle storie che non ricordo tutte […]. Ma saran poi vere? […]

La dimani passò nello stesso trambusto, e marasmo, finché giunse il 21 destinato a votare pubblicamente nelle chiese. Queste eran gremite di agenti lafarineschi [seguaci di La Farina] travestiti, co’ visi arcigni e l’aria misteriosa. In fondo al trivio e nella nave [navata] di centro assisi intorno a tavola a semicerchio, stavano i cosiddetti rappresentanti del Municipio e dello Stato, tutte persone vendute a vilissima canaglia. Costoro teneano entro un vaso un numero sterminato di Si in stampa, ed appena un pizzico di No chiusi entro una scatoletta. La calca curiosa e compatta irrompeva a storma ov’era un dispensare di Si che ratto piombavano nella grand’urna sul davanzale del tavolo. Se alcuno esitava, qualche ceffo gli si accostava pregandolo seguire la corrente, per la sua meglio. Da che può dedursi che i 400 mila voti furono così divisi: 1000 votarono per progetto, 1000 per denari, ed il resto per ghiribizzo, paura, pressione, minacce, e far tempo.[16]

In Sicilia c’erano 2.309.172 abitanti, secondo il verbale redatto dalla Corte di Giustizia votarono 432.720 cittadini, 432.053 votarono SI e 667 NO.[17] Riportando su foglio Excel i dati pubblicati dalla Corte Suprema, i risultati sono: votanti 432.716; voti Si 432.054 – voti No 662 (c’è un errore di 4 voti). [18]

Secondo una stima pubblicata dal giornale francese Journal de Dèbats, «i nove decimi delle popolazioni parteggiavano per Fran­cesco II, rifugiato coi resti del suo esercito a Gaeta».[19]

Nello “STATO DELLA VOTAZIONE”, pubblicato dalla Corte Suprema di Giustizia di Napoli, si osservano 24 voti espressi per il SI da Napoletani residenti a Torino e 201 da residenti in Toscana; ma non avevano diritto a votare anche i 40.000 soldati e ufficiali dell’esercito borbonico, i cittadini di Gaeta, quelli del Principato Citra (occupato dall’esercito borbonico), i soldati prigionieri dei piemontesi, i reazionari messi in carcere e le numerose famiglie nobili e benestanti, che temendo i disordini avevano lasciato Napoli per Marsiglia, Roma, Malta, Corfù e Trieste? Prima del Plebiscito, infatti, moltissime famiglie benestanti avevano lasciato la città per timore della rivoluzione e il prodittatore Pallavicino le aveva pubblicamente invitate a tornare a Napoli. Ecco il testo dell’invito, pubblicato il 7 ottobre 1860:

Parecchie onorevoli famiglie, o troppo timide o mal consigliate, esula­rono spontaneamente per timore della rivoluzione. Ma qui non esiste la rivoluzione demente, quella rivoluzione che troppo spesso si accompagna coll’anarchia. Parlò il popolo e la libertà maritavasi coll’ordine. In questo stato di cose io invito gli assenti a ritornare, assicurandoli che un Governo forte ed onesto saprà proteggerli contro qualsiasi sopruso dei partiti estre­mi. Lo prometto sull’onor mio. Dunque fiducia nel governo inaugurato da Garibaldi sotto gli auspici di Vittorio Emanuele. Questi due nomi sono arra [garanzia] di sicurezza per noi tutti. Tenersi lontani dalla terra natale in queste congiunture non è prudenza è delitto verso la patria.[20]

Se le modalità del voto furono queste, come non dubitare del risultato? In tutto il regno continentale potevano i NO essere solo 10.312 con il gran numero di paesi insorti che si erano opposti al plebiscito? Votarono per il SI soltanto tutti gli interessati all’annessione e per il NO pochi coraggiosi repubbli­cani. Osservò un anonimo scrittore:

E le prigioni tutte colme di centomila infelici che Borbonici appellate voi stessi? E le vostre liste di sorvegliati indefinite? E le migliaia di fucilati da voi? E i vostri stati d’assedio. E i centomila ufficiali militari e civili da voi cacciati d’uffizio? E gli esiliati che van raminghi per la terra? E le bande, insorte in tutte provincie, che vi combattono con l’arme alla mano? E gli abitanti di quindici città reazionarie da voi rovesciate e bruciate? E i villaggi, e i molini, e le cascine, e le case in ogni parte saccheggiate da Garibaldini, e da voi? Tutta questa immensa enumerazione di gente, cui voi stessi dichiaraste inimica, va dunque compresa nei 10.312 voti negativi, ovvero votarono pel SI?[21]

Tre giorni dopo il plebiscito, il 24 ottobre, Cavour inviò al prodittatore Pallavicino un telegramma di congratulazioni: «L’Italia esulta per lo splendido risultato del plebiscito, che al suo senno, alla sua fermezza ed al suo patriottismo è in gran parte dovuto. Ella si è acquistata cosi nuovi e gloriosi titoli alla riconoscenza della nazione».[22]

La pubblicazione del risultato era stata fissata al 6 novembre per farla coincidere con la venuta a Napoli di Vittorio Emanuele, ma fu anticipata a sabato 3 novembre. Circa le ore 13, nella piazza di S. Francesco di Paola, il presidente Niutta proclamò i risultati alla presenza di numerose persone e concluse il discorso dicendo:

… La Corte Suprema di Giustizia dichiara esser questo il risultato generale della votazione; e poiché esso importa piena ed assoluta accettazione del Plebiscito, vi è luogo a proclamare, come io proclamo, che il popolo delle provincie continentali dell’Italia Meridionale vuole l’Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele Re Costituzionale e suoi legittimi discendenti. È questo il voto solenne del popolo, a i ogni cuore farà plauso col grido di Viva Vittorio Emanuele.[23]

Nello stesso giorno il giornale liberale La Bandiera Italiana di Napoli N. 80 pubblicò i risultati del plebiscito in un angolo della quarta e ultima pagina, in basso a destra. Ecco il testo: «Ultime Notizie: Proclamazione del risultato della votazione sul plebiscito nelle Provincie continentali: SI 1.302.064 – NO 10.312». Ciò dimostra quanto fosse poco importante il risultato della consultazione popolare. Il Pungolo di Napoli, lamentando il silenzio delle autorità, commentò: «che il popolo lo sapesse o lo ignorasse, poco premeva!» Ecco il testo dell’articolo

Quest’oggi a mezzogiorno ebbe luogo la proclamazione del risultato complessivo del plebiscito. Se non erano le salve delle artiglierie, proba­bilmente una gran parte della popolazione lo avrebbe ignorato. Ci voleva molto buon volere a scoprire sulle cantonate delle vie quel pezzettino di carta mingherlino e invisibile che annunziava, con un probabilmente il compimento dell’atto il più grande, il più solenne che un popolo, redento in sovranità di sé stesso, possa esercitare. Il Ministero dell’interno non è economo e sparagnino che nella carta dei suoi proclami. Questo avviso non fu affisso che ad ora tardissima, il Giornale Ufficiale non lo conteneva. Siamo alle solite. Il ministro Conforti calcola il popolo per nulla. Affac­cendato a nominare impiegati e a dare pensioni, non si ricordava più né del plebiscito, né della sua proclamazione. Il conte di Cavour ne sapeva già da due giorni il risultato – che il popolo lo sapesse o lo ignorasse, poco premeva! Quale idea volete voi che si formi questo popolo, nuovo alla vita pubblica, dell’atto ch’esso ha compito, se vede che i Ministri gli danno sì poca importanza? Bisogna avvezzarlo a calcolare le solennità, nazionali come solennità nazionali e perciò convien farle celebrare come devono essere celebrate. Per la proclamazione del plebiscito i municipii di Milano, e di Firenze hanno ordinato pubbliche feste, e luminarie di esultanza. E il Governo locale, e il Municipio di Napoli che cosa hanno fatto? – Nulla – E troppo poco! Sapete voi, popolo Napoletano, che cosa si è fatto oggi in Piazza di S. Francesco, su quel gramo tavolato, malamente addobbato da quattro cenci bianchi e neri, alla presenza di pochi curiosi, e di una parte della Guardia Nazionale? -Ve lo diremo noi perché nessun altro s’incarica di farvelo comprendere: SI È FATTA LA ITALIA. Ciò che oggi si è compito a Napoli farà esultare tutta Italia, ma più di ogni altra parte Roma e Venezia.[24]

È evidente che il plebiscito serviva solo a giustificare e a legalizzare l’annessione, di fatto già avvenuta con l’invasione e l’occupazione militare. Qualunque risultato avesse ottenuto il plebiscito, non avrebbe mutato la situazione. Gli unici dati numerici che La Bandiera Italiana pubblicò il 6 novembre, in un angolo della terza pagina, furono quelli della Sicilia:

Napoli 5 novembre 1860.

Il Segretario Generale del Governo al Generale dittatore, Prodittatore, Duca di Verdura e Generale Turr in Napoli. Il Presidente della Suprema Corte di Giustizia ha promulgato solennemente il risultato del Plebiscito: 432.054 voti pel Si, e 667 pel No. Entusiasmo Generale. [25]

Secondo il verbale redatto dalla Suprema Corte di Giustizia di Napoli, nelle province continentali votarono 1.312.376 elettori di cui 1.302.064 per il SI e 10.312 per il NO.[26]

Dalla verifica dei dati pubblicati negli Atti Governativi per le Provincie Napoletane risulta una discordanza di 676 voti, i sin­goli dati, verificati su foglio Excel, hanno dato questo risultato:

Voti per il SI: Corte Suprema: 1.302.064 – Somma calcolata con il programma excel: 1.302.724 (+ 660 voti);

Voti per il NO: Corte Suprema: 10.312; somma reale calcolata: 10.328 (+ 16 voti).

Totale dei voti espressi: Corte Suprema: 1.312.376;

somma reale calcolata: 1.313.052 (+ 676 votanti).

(Si osservi che nel prospetto pubblicato dei dati ufficiali, il nume­ro degli aventi diritto al voto è riportato solo per alcune pro­vince.)

Il 30 ottobre, il ministro Conforti aveva scritto a Cavour: «Di due sole Provincie non si conosce il risultato della votazione, quantunque si sappia che in generale è splendido. Delle rimanenti il risultato è il seguente: si 1.102.499; no 9371».[27] Il giorno dopo, il ministro Villamarina a Napoli telegrafò al ministro Cavour:

Ecco la risultanza del Plebiscito di terraferma [nel regno continen­tale o di Napoli]; inscritti 1.400.000 all’incirca; pel sì 1.293.517 [8.547 voti in meno rispetto al 1.302.064 dichiarato]; pel no 10.301 [11 voti in meno rispetto ai 10.312 dichiarati]. Unendo i voti favorevoli della Sicilia, il totale pel sì ascende a 1.500.000 circa.[28]

In un secondo dispaccio, Conforti precisò che i voti affermativi erano 1.295.723, i negativi 10.310.[29] Comunque sia, su 7.177.522 abitanti del regno continentale, secondo i dati ufficiali,votarono per il SI 1.302.064, vale a dire circa il 18,14% della popolazione.

Dopo il plebiscito, il ministro degli Esteri Lord Russel, favorevole all’Italia unita, scrisse a Cavour:

I voti ch’ebber luogo pel suffragio universale in quei regni e provincie non han grande val ore agli occhi del governo di S. M. la regina. Questi voti sono mera formalità dopo una insurrezione o di una ben riuscita invasione; né implicano in sé l’esercizio indipendente della volontà della nazione, nel cui nome si son dati.[30]

Il ministro inglese Elliot, che era a Napoli, riferì al suo governo: «I risultati delle votazioni in Napoli e in Sicilia rappresentano appena il diciannove per cento dei votanti designati, e ciò nonostante tutti gli artifizi e violenze usate!».[31]

Il liberale napoletano Giovanni La Cecilia così commentò «lo splendido risultato»:

Lo splendido risultato del suffragio universale sarebbe stato una prova luminosissima di un grande progresso alla libertà nelle popolazioni del Napolitano, se si potesse credere che i votanti tutti conoscessero ciò che si facevano, e se non altro che coscienza ed amore di libertà e d’indipendenza li avessero spinti a quell’atto. Ma è dovere della storia notare che in simili atti sovente manchi la riflessione e vi si trovi o quell’incerto spirito di novità o la molla dell’interesse materiale che trovasi nelle promesse come nelle speranze.[32]

Il garibaldino Maxime du Camp osservò che la gente si chiedeva: «Cos’è questa Italia unita, che significa?». Ma ciò che la storia risorgimentale non ha mai detto, è che in moltissimi Comuni del regno continentale ci fu un’aspra reazione contro il plebiscito. A titolo puramente esemplificativo e non esaustivo riporto due lettere prefettizie custodite nell’Archivio di Stato di Salerno:

San Marzano –

Nel mattino del 21 raccoltosi molto popolo nella chiesa di San Marzano per udire la messa prima dell’alba mentre quell’arciprete spiegava il Vangelo e informava di dare il voto affermativo nella votazione per il Plebiscito, che in quella mattinata doveva aver luogo, cento voci sediziose gridarono, viva il Re, viva Francesco II e molte donne sventolavano fazzoletti bianchi, grida che in chiesa furono ripetute quando l’arciprete volle meglio spiegare la sua idea, l’arciprete stesso finì il suo sermone e terminò la messa.[33]

Il sindaco di San Giorgio scriveva al Governatore:

… Nell’atto della votazione una massa di contadini irrompendo nel luogo ove avvenne la votazione medesima, apportarono seco l’urna e gravemente ferivano le persone che si volevano opporre al loro reo disegno, manifestando che si sarebbero recati nel Capoluogo, cioè a Buccino, ove avrebbero voluto proclamare il caduto Borbonico Governo, che in Buccino una massa di contadini della campagna muovevano verso il paese portando una bandiera bianca ed armati di scure, ronche e qualcheduno di fucile.[34]

Non diversamente accadeva nella provincia di Foggia se, il 24 ottobre, il Governatore scriveva al ministro dell’interno:

Ministro, il giorno del plebiscito è stato per questa provincia un giorno d’insurrezione, ed i comizi [le votazioni] in più comuni non si sono raccolti. Si sono fatti, e si fanno sforzi straordinari, perché il movimento non fosse Generale; ma mancano soldati ed armi, ed il potere ordinario qui è divenuto impotente contro i tentativi, e contro gli attuamenti di reazione.

Il più feroce di tali tentativi è avvenuto domenica scorsa in San Giovanni Rotondo sul Gargano, e con dolore debbo manifestarle, che per le forze che gl’insorti spiegano, per la disciplina che mantengono, e per l’im­munità degli atti, questa mi appare, ed è realmente, la più dura a vincere fra le ribellioni affacciatesi prima, e dopo il 7 settembre. Io sono accorso sul luogo ieri, e ne sono ritornato sta sera alle ore 8 p. m. in compagnia di 50 militi mobilizzati di questo capo luogo, e di una colonna di 260 soldati del reggimento dei Cacciatori veneti, transitanti per qui, sotto il comando del Generale Romano. Giungemmo ieri sera a due ore di notte intorno al paese, che trovammo barricato in tutte le entrate, guardato da cinque a seicento uomini armati, alla cui testa erano più che cento soldati e bassi uffiziali sbandati, provvisti di canne [fucili] rigate, disciplinati, e combattenti con ordine e santo. Avevano qualche ora innanzi fucilato a bruciapelo ventitré galantuomini, che tenevano rinchiusi nel carcere, e si apprestavano ad altri massacri, che in questa notte, ed in questo giorno avran consumato.

Quantunque l’ora fosse tarda profittammo della luna per avanzarci fino alle prime case: ma dalle feritoie aperte nelle barricate di pietra, ci piovve addosso una grandine di palle, innanzi alla quale questi militi non avvezzi si fecero indietro. I Garibaldini, che tutta la notte si erano fortificati in un convento lungi un miglio dall’abitato, e che sta mattina ne sono usciti per attaccare, hanno visto parecchi dei loro uccisi, parecchi prigionieri, ed il resto fuggire. Un soccorso di mille e più armati venuti nell’azione in aiuto dei rivoltosi, dal vicino e popoloso comune di S. Marco in Lamis, è stata la cagione della disfatta dei soldati.[35]

Il contemporaneo Antonio Garrisi ha riportato la testimonianza del deputato Sigismondo Castromediano di Cavallino, in Terra d’Otranto:

Inoltre, poiché si era saputo che questi propendevano per il ritorno del re Francesco II di Borbone, re Frangischellu nésciu [re Franceschiello nostro], alcuni soldati garibaldini, trovatisi a Cavallino, presero a insolen­tire contro i paesani presenti in piazza. Questi e parecchi altri reagirono duramente e i provocatori se ne scapparono a Lecce. […]

Comunque, in occasione del plebiscito istituzionale del 21 ottobre 1860, «Che cosa fare? Come votare?» si chiedevano i Cavallinesi compatrioti del duca Sigismondo. Alla fine quei rozzi campagnoli analfabeti, ignoranti, apatici verso i recenti rivolgimenti politici, seppure per pochi voti si espressero a sfavore dell’annessione al Piemonte. «Trascinati da subdole arti retrive i contadini cavallinesi si dichiararono avversi all’annessione d’Italia e dell’adottare per loro Re Vittorio Emanuele II». Il patriota [Sigismondo], tuttavia, attribuì tale inclinazione politica alla incompetenza delle bas­se classi sociali riguardo alla questione istituzionale nazionale e ascrisse tale loro comportamento a motivi contingenti e a interessi personali piuttosto che all’abituale ossequio ai monarchi Borboni.[36]

Alcuni mesi dopo il Plebiscito, il siciliano Ferdinando Malvica, Barone di Villanova, scriveva:

Esaminiamo dunque se i plebisciti, fattisi in Italia per le annessioni dei vari stati italiani al Piemonte, abbian dato l’italiana volontà, e sieno stati la vera espressione del sentimento del popolo; Dio mio! E vogliamo, dopo tutto ciò che i giornali del mondo han dichiarato, e dopo tutti i fatti che si sono consumati sotto i nostri occhi medesimi, negare la falsità di quei plebisciti, sì che omai plebiscito italiano, ed italiano vitupero suonan lo stesso? Il popolo dunque fu tradito con [un] esempio forse unico nella storia delle genti: e pure, in mezzo a tante fiaccole di verità, e alla pubblica concitazione, odesi qualche rauca voce, che parla ancora del suffragio popolare d’Italia qual fatto compiuto. Si, fatto compiuto è desso, ma fatto, che si registra nelle eterne pagine della storia, come il prodotto più reo della nequizia umana […].

Ma, di grazia, voleasi veramente l’unità italiana, ovvero farsi un giuoco di fortuna, che durasse finché la fortuna si compisse? […]

E così dunque gl’Italiani amano l’Italia, così rispettano la dignità della patria? Ditemi: volevate voi il suffragio vero, e non mentito degl’Italiani, o piuttosto volevate dare all’Italia la manifestazione del vostro pensiero? Ma voi non siete l’Italia, siete un pugno d’italiani: l’Italia è là vergine nel suo concetto, l’Italia lagrima, e grida coi fatti alla mano contro l’inganno ed il tradimento, che avete ordito a questo infelice e straziato paese.[37]

Un anno dopo, nel primo anniversario del Plebiscito, a Napoli il partito della rivoluzione ancora intimidiva la popolazione; indicativo e interessante per la conoscenza storica è l’articolo pubblicato da La Campana del Popolo di Napoli:

UN ANNO ED UN GIORNO DIVIDONO DA NOI IL 21 OTTOBRE 1860

Stamane di buon mattino sono stato arrestati a [via] Toledo due donne e un uomo che andavano appiccando per le cantonate delle cartelline con un No. A questo modo la canaglia dei reazionari tenta di ricondurre in Napoli la tirannide della loro spodestata signoria?!! Le carceri sono ben rimpinzate, ma i borbonici non ne anno [sic] ancora abbastanza. Sul balcone di un palazzo rimpetto alla Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo vi era stamane verso le 8 un gran NO. La polizia se n’è accorta e con l’aiuto dei bravi carabinieri à [sic] arrestato il proprietario di esso e pulitamente lo à portato in Vicarìa [il carcere].

Gaglioffo! Era noiato di abitare il suo palagio.

Napoli rinnova oggi il suo solenne suffragio popolare. Tutte le botteghe sono ornate di un gran SI. Le bandiere nazionali sventolano dappertutto. Evviva Napoli italianissima.

Il comitato borbonico si vede proprio ch’è onnipotente, oggi, giorno pel quale i borbonici avevano preparato il loro sforzo monstre [straordinario], si contentato di nascondere qualche schifoso loro adepto sotto il tetto di Toledo, con la missione di far piovere dei pezzi di carta sopra la folla dei passeggianti. – Que’ miserabili pezzi di carta erano tanti NO.

La brava Guardia Nazionale addatasi del tiro mariuolo, è salita su ed ha aggiustato per le feste il troppo tenero francescano.[38]

Quali garanzie offriva un plebiscito fatto in piena rivoluzione? Chi votò, chi controllò, chi registrò e chi contò i voti? Votarono proprio tutti?

Vincenzo Giannone


[1] Cfr. GIUSEPPE GIULIANO, Cronaca italiana contemporanea, dalla proclamazione del plebiscito, Tipografia Giannini, Napoli 1870, p. 22.

[2] ANONIMO, Garibaldi o la conquista delle Due Sicilie, op. cit., p. 382.

[3] IL PUNGOLO, Anno I, N. 8, lunedì 22 ottobre 1860.

[4] ATTI OFFICIALI, Estratti dal giornale officiale di Napoli, N. 15, ottobre dal 20 al 21, p. 156.

[5] D. VALENTE, op. cit., p. 287.

[6] P.C. ULLOA, Lettere Napolitane, op. cit., p. 73, 75.

[7] G. LA CECILIA, Storia dell’insurrezione siciliana, Libreria di Francesco Sanvito, Volume II, Miano 1861, p. 90 e 92.

[8] G. GIULIANO, op. cit., p. 23.

[9] «La guardia nacional y las tropas piamontesas están formadas en las calles y plazas; la ciudad ofrece un aspecto enteramente militar, y los retenes son mas numerosos en los doce comicios en que para las operaciones de la votacion ha sido dividida la ciudad. Encada uno de ellos habia un presidente y dos secretarios, dos centinelas de la guardia nacional, y en medio una urna entre dos cestas, una de las cuales contenia las papeletas con el Sí, y la otra las que lleva ban escrito No. El elector habia de tomará la vista de todos la papeleta y depositarla en la urna, segun fuese su voto… algunos hombres resueltos que aisladamente y á intervalos recogían una papeleta con el No, y la depositaban en la urna correspondiente, fueron insultados, maltratados, y dos de ellos heridos gravemente de dos puñaladas al salir á la calle, á la vista de los soldados pia monteses y de la guardia nacional». (R. M. VELAZQUEZ, Historia del Joven Rey D. Francisco II de Napoles – Madrid 1861, p. 180.)

[10] RODNEY MUNDY, H. M. S. “Hannibal at Palermo and Napoles, during the Italian revolution, with notices of Garibaldi, Francis II., and Victor Emanuel, 1859-1861, London 1863, pp. 257-258. (La traduzione dall’inglese è mia.) «Yesterday I visited a few of the polling-places in the city whilst the election was going forward. More than a hundred thousand people took advantage of the opportunity of record­ing their opinion, yet a stranger passing through the streets would have discovered no excitement, not even a crowd collected at any particular spot […]».

[11] ANONIMO, Italia e il suo dramma politico nel 1861, op. cit., p. 42.

[12] MONDO VECCHIO E MONDO NUOVO, N. 1, venerdì 9 novembre 1860.

[13] G. GIULIANO, op. cit., p. 23.

[14] M. MONNIER, Garibaldi Histoire de la conquete des Deux Siciles, Parigi 1861, pp. 368-369. (Sous le portique, cependant, le spectacle était moins pittoresque. La liberté du vote, promise la veille, était gardée, mais le mode de votation laissait beaucoup à désirer. Il y avait une urne entre deux paniers, l’un plein de si, l’autre plein de no ; l’électeur choisissait la réponse en présence des gardes nationaux et devant la foule. La réponse négative était difficile, dangereuse même à donner. Dans le quartier de Mont-Calvario, un homme qui disait non et affichait son vote avec quelque jactance en fut puni d’un coup de stylet. L’assassin et le votant sont à la préfecture. On m’assure que le même système a été employé en Toscane ; il n’en est pas meilleur.)

[15] A Napoli, su una popolazione di circa 500.000 abitanti, gli aventi diritto al voto erano 229.780; votarono “SI” 188.250.

[16] P. OLIVERI, op. cit., pp. 58 64 e 65.)

[17] IL PUNGOLO, Anno I, N. 23, Napoli, 6 novembre 1860, p. 92. (Nel verbale della Suprema Corte si osserva nel Comune di Caltagirone: votanti 4187, SI 4165, NO 27, ma la somma di 4165 e 27 dà un totale di 4192 votanti e non 4187.)

[18] Raccolta degli atti del Governo della luogotenenza generale del Re in Sicilia, Tipografia Francesco Lao, Palermo 1862, p. 23. – Secondo Benedetto Radice, a Bronte votarono 1973 persone e tutte per il Si; (B. RADICE, op. cit., p. 402. Vedi anche: Archivio storico per la Sicilia orientale del 1910, nel capitolo Nino Bixio a Bronte.) Nelle Raccolte degli Atti del Governo risulta, invece, che votarono 1994 persone e tutte per il SI.

[19] M. COSTA CARDOL, Ingovernabili da Torino, Ed. Mursia, Milano 1989, p. 27.

[20] B. CARANTI, op. cit., p. 28.

[21] ANONIMO, Italia e il suo dramma politico nel 1861, Livorno 1861, p. 44.

[22] B. CARANTI, op. cit., p. 45.

[23] LA BANDIERA ITALIANA, N. 81, 4 novembre 1860.

[24] IL PUNGOLO, N. 20, sabato 3 novembre 1860.

[25] LA BANDIERA ITALIANA, N. 83, Napoli, martedì 6 novembre 1860.

[26] G. D’ETTORE, Atti Governativi Per le Provincie Napoletane dal 25 giugno al 31 dicembre 1860, Stamperia del Fibreno, Napoli 1861, p. 291.

[27] C.B. CAVOUR, op. cit., vol. III, p. 230.

[28] Ivi, p. 239.

[29] Ibidem

[30] ANONIMO, Italia e il suo dramma politico nel 1861, ivi, p. 44.

[31] G. BUTTÀ, op. cit. p. 564.

[32] G. LA CECILIA, op. cit., vol. II, pp. 94-95.

[33] Archivio di Stato di Salerno, Gran Corte criminale, Processi politici, busta 94, foglio 13.

[34] Ivi, b. 94, f. 13.

[35] F. MALVICA, op. cit., pp. 14-15.

[36] Cfr. ANTONIO GARRISI, Sigismondo Castromediano storico e letterato, cittadino di Cavallino patriota del Risorgimento, Ed. AGM, Cap. 9.

[37] F. MALVICA, op. cit., pp. 7-8.

[38] LA CAMPANA DEL POPOLO, Anno I, N. 1, lunedì 21 ottobre 1861.

(Estratto da “La GARIBALDITE”  –  Storia delle falsità e delle ipocrisie risorgimentali.)

Vincenzo Giannone

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