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Il volto nero della Rivoluzione Francese

Posted by on Lug 16, 2018

Il volto nero della Rivoluzione Francese

E’ il volto nero di quella rivoluzione francese, distintasi per mostruosità di ogni genere, a loro volta ispirate da un pensiero aberrante. Ma, fra di esse, ce n’è una che ha riassunto in sé tutte le altre: è la profanazione e distruzione delle tombe dei Sovrani. Sono stati esumati i resti di più di 170 persone: 46 Re, 32 Regine, 63 principi del sangue, 10 servitori della monarchia e due dozzine di abati di Saint-Denis. Si concluse così l’incredibile atto di autodemolizione di un popolo per mano dei propri presunti rappresentanti.

La rivoluzione francese ha elargito ai contemporanei mostruosità di ogni genere e ha lasciato in eredità ai posteri il pensiero aberrante che le aveva ispirate. Ma fra esse ce n’è stata una che ha riassunto in sé tutte le altre: per l’idea che l’ha guidata, per la sconcertante barbarie e per la cieca irresponsabilità di quanti l’hanno realizzata o ne sono stati in qualche modo partecipi. Si tratta della profanazione e distruzione delle tombe dei propri Re, tombe che la Francia aveva conservato per secoli e che erano state poi raccolte alle porte di Parigi, nell’antica e splendida cattedrale di Saint-Denis. Fondata da Dagoberto nel VII secolo, Luigi XIII l’aveva destinata a custodire in una necropoli unica le spoglie di tutti i Sovrani, delle loro spose e discendenti e tutti da allora vi avevano trovato sepoltura fino a Luigi XV ed al figlio, il delfino Luigi. Non a caso la chiesa era anche il luogo di venerazione delle reliquie di San Dionigi, morto martire nel 224 ed eletto patrono della nazione. Ma con un decreto del 1° agosto 1793, la Convenzione ordinò che entro il 10 del mese fossero demolite tutte «le tombe e i mausolei dei precedenti Re, costruiti a Saint-Denis, nelle chiese o altri luoghi per tutta l’estensione della Repubblica» e che si procedesse poi alle esumazioni ed alla distruzione dei cadaveri.

Recuperare piombo
La proposta era stata presentata da Barère e subito approvata già nella seduta del 31 luglio, presieduta da Danton, per “festeggiare” l’anniversario della presa del palazzo delle Tuileries del 10 agosto 1792 e liberarsi delle “ceneri impure” dei tiranni, anche se la ragione ufficiale data al provvedimento era la necessità di recuperare dai sarcofagi il piombo da destinare agli armamenti e altri metalli preziosi utili per i bisogni della Rivoluzione.
Il benedettino Dom Poirer dell’Ordine di San Mauro, per ironia della sorte membro della commissione per la conservazione dei monumenti e archivista di Saint-Denis, viene incaricato di assistere alle operazioni e di compilare il relativo processo verbale. Per tre giorni, dal 6 all’8 agosto, si procedette dapprima soltanto alla demolizione dei monumenti funerari «con qualche riguardo per quelle parti di essi ritenute capaci di offrire un contributo alla storia della Francia e dell’arte» e che furono raccolte in un piccolo museo. Dom Poirer redasse dunque un resoconto accurato, ripreso poi e completato da Dom Droun, custode dell’archivio abbaziale.
La prima ad essere distrutta, il 6 agosto, fu la tomba del Re Dagoberto, l’ultimo dei Merovingi, considerato come il primo a regnare effettivamente sull’intero Paese. Fondatore dell’abbazia, era morto a 36 anni nel 638, dopo avere ingrandito molto il Regno franco e avere stretto una forte alleanza con l’imperatore Eraclio. Il monumento funerario, posto nel santuario dal lato dell’epistola, constava di due statue, una in piedi della regina Nanthilde, sua moglie, e quella sdraiata di Dagoberto, che fu inevitabile distruggere perché faceva parte del blocco addossato al muro. Il resto venne conservato «perché può servire alla storia dell’arte e dello spirito umano», come annota forse sarcasticamente il religioso.

Un resoconto dettagliato
Il resoconto di tutte le operazioni è dettagliato e non trascura alcun elemento essenziale. Distribuiti sui lati dell’ Epistola e del Vangelo, lungo le grate che delimitano l’altare, ci sono i monumenti in pietra fatti costruire da san Luigi nel XIII secolo e contenenti piccole urne cinerarie a schiena d’asino: da quella di Carlo Martello, il vincitore di Poitiers, di Pipino, primo re della seconda dinastia, del figlio Carlomanno, fratello di Carlomagno, poi di Ugo Capeto, fondatore della terza dinastia. Ultima delle tombe in pietra, quella di Costanza di Castiglia, seconda moglie di Luigi VII. Tutte le altre, in marmo, situate nella crociera del coro sui due lati o nelle cappelle laterali, sono coeve ai personaggi di cui contengono le ceneri. Da quella di Filippo l’Ardito e di Isabella d’Aragona a quelle di Enrico II e Maria de’ Medici.

Scopo ufficiale delle demolizioni, come si è detto, è quello di recuperare il piombo e altri metalli utili per l’economia della Repubblica, ma si tratta di un proposito veramente audace per quanto riguarda le sepolture vecchie di un millennio già rimaneggiate e raccolte in vista del loro valore evocativo e cultuale. Infatti annota il testimone: «Si è trovata ben poca cosa nelle urne delle tombe cave; c’era solo un po’ di filo d’oro falso in quella di Pipino. Ogni urna conteneva la semplice iscrizione del nome su una lamina di piombo e la maggior parte di queste lamine era fortemente attaccata dalla ruggine. Queste iscrizioni, assieme alle casse di piombo di Filippo l’Ardito e Isabella d’Aragona, vengono portate all’Hotel de Ville e poi alla fusione. L’unico oggetto di un qualche valore è il sigillo d’argento di Costanza di Castiglia, che pesa tre once e mezzo ed è inviato alla municipalità per essere conservato».

Il cronista apparentemente distaccato che ha annotato con diligenza il procedere delle operazioni, conclude così l’insolito verbale: «Il numero dei monumenti distrutti dal 6 all’8 agosto 1793, di sera, a demolizioni compiute, ammonta a 51: così in tre giorni è stata distrutta l’opera di dodici secoli». La tomba del maresciallo Turenne è per il momento l’unica ad essere lasciata intatta, ma sarà smontata nell’aprile 1796 per essere trasportata a Parigi nel convento dei Piccoli Agostiniani, «dove si raccolgono tutti i monumenti che meritano di essere conservati per le arti».

L’empio scempio
Ma la distruzione dei monumenti doveva essere soltanto il rito preparatorio del sacrilegio, quello che segnerà una colpa non più emendabile. Il decreto dei Giacobini prevede infatti anche l’esumazione dei morti e la distruzione delle spoglie mortali. Non ci si accontenta di cancellare le immagini, si devono eliminare le anime che nel tempo parlano ai vivi dell’eternità di Dio.
Tuttavia questa seconda parte del provvedimento tarda ad essere eseguita. Qualcuno lamenta l’inadempienza. Del resto una qualunque manovra diversiva o magari un semplice disguido organizzativo possono costare cari se si sospettasse che vengono provocati ad arte. Il 7 settembre il deputato Lequinio denuncia il ritardo.

Tuttavia l’esumazione dei cadaveri comincia e va avanti senza interruzioni fino al 25. Forse c’è l’intento di avvicinare la profanazione dei morti all’assassinio in via giudiziaria della Regina, perché si legittimino e si potenzino a vicenda. Dunque, il lavoro viene ripreso ad ottobre. Nel frattempo, però, nella notte tra l’11 e il 12 settembre era stato prelevato tutto ciò che vi era nel tesoro dell’Abbazia, insieme ai ricchi paramenti della chiesa: «Tutto è stato messo in grandi casse di legno ed è partito per la Convenzione, con grande apparato e grande corteo della guardia degli abitanti della città».

Nelle fosse
Le tombe medievali contenevano ormai soltanto urne cinerarie, sicché di vera e propria esumazione si può parlare con riguardo a quelle della necropoli sotterranea, che contiene il sepolcreto dei Borbone e quello dei Valois. Le spoglie mortali dei componenti le due Casate saranno gettate in due fosse distinte, per essere poi ricoperte di calce viva e quindi di terra. Poirer annota che sabato 12 ottobre scendono nel sotterraneo, con lanterne e torce di resina, degli operai accompagnati da alcuni commissari in veste di sorveglianti e da altri incaricati di recuperare gli oggetti preziosi, da consegnare alla Convenzione nazionale, ed altri ancora incaricati di recuperare il piombo delle casse, destinato alla fusione.

Per prima è stata aperta la grotta dei Borbone, dove riposano 54 bare di legno posate su grate di ferro arrugginito. Si aspergono sostanze per purificare l’aria e attenuare gli odori. Viene aperta anche la cripta dove sono disposte su più livelli le tombe reali dei Valois e dei loro successori. Si è cominciato ad estrarre la bara di Enrico IV, morto il 14 maggio del 1610 a 57 anni.

La tomba è stata sfondata a colpi di martello e la cassa aperta con le cesoie. Il suo corpo è stato trovato ben conservato e i tratti del viso perfettamente riconoscibili. è rimasto nel passaggio delle cappelle basse, avvolto nel proprio sudario ugualmente ben conservato. Chiunque ha avuto la possibilità di vederlo fino alla mattina del lunedì 14, quando alle due del pomeriggio è stato gettato in fondo alla fossa comune e ricoperto di calce viva. Poi sopra di lui sono stati gettati i resti dei suoi discendenti. Durante l’esposizione del cadavere, molte persone hanno prelevato piccole “reliquie” come unghie e ciuffi di barba. Fra questi raccoglitori di souvenirs c’è anche Camille Demoulins. Intanto, poiché le operazioni di esumazione erano rese difficili dalla folla che vi assisteva, il consiglio municipale decise di chiudere la basilica ai non addetti ai lavori, ma il provvedimento rimase inapplicato.

Anche i bambini
Nel pomeriggio si proseguì con l’estrazione delle bare dei Borboni, da Luigi XIII, riconoscibile ancora per i suoi baffi, a Luigi XIV, nero come l’inchiostro, gli altri in putrefazione liquida. Per tutto il 15 ottobre si proseguì con l’estrazione di 21 salme: vi figurano i numerosi figli di Luigi XV, alcuni morti giovani, altri in tenerissima età. Neppure questi vengono risparmiati. Di alcuni sono rimasti i cuori ricoperti di bronzo o di argento dorato: aperti gli involucri da recuperare, il contenuto finisce nella fossa comune.

Dalle sette del mattino di mercoledì si estraggono altre 20 salme, la maggior parte delle quali son di bambini che non hanno raggiunto i tre o quattro anni di età. Fra questi Sophie-Helène di Francia, morta a 11 mesi nel 1787 e il delfino Louis Joseph Xavier, morto nel giugno 1789 a sette anni, entrambi figli di Luigi XVI e Maria Antonietta. Per quest’ultimo lutto i sovrani si erano ritirati dalla vita pubblica per quindici giorni, durante i quali i rivoluzionari misero le premesse per il giuramento della Pallacorda e per la crisi istituzionale.

Alle undici del mattino annota Poirer, mentre Maria Antonietta d’Austria, moglie di Luigi XVI, viene decapitata, è stata riesumata la bara di Luigi XV, morto a 64 anni. Era nell’entrata della cripta sul lato destro, su un banco di pietra, in una specie di nicchia praticata nello spessore del muro a circa due piedi di altezza. Era lì infatti che veniva deposto il corpo dell’ultimo Re nell’attesa che il suo successore venisse a prendere il suo posto: solo allora lo si portava nello spazio a lui destinato nella grotta. La bara di Luigi XV è stata aperta soltanto nel cimitero sul bordo della fossa. Il corpo, tratto dalla cassa di piombo, sembrava tutto intero e ben conservato, ma, una volta liberato da quanto lo avvolgeva, cadde in putrefazione e, per purificare l’aria diventata pestilenziale, si bruciò della polvere, si spararono parecchi colpi di fucile e subito lo si gettò sul letto di calce viva.

Senza pietà
In pietre cave rivestite di piombo si sono trovate le ossa di Luigi X, morto a 26 anni nel 1316 e di sua figlia Giovanna Regina di Navarra. Il piccolo Giovanni, vissuto soltanto quattro giorni, era accanto al padre in una cassettina di pietra. Le esumazioni continuarono per tutta la settimana. Si scava anche nel coro, dove viene trovata la cassa con le ossa di san Luigi, già riesumate al tempo della canonizzazione del 1297, e nelle cappelle laterali i corpi, chiusi in bare di piombo, di Francesco I, di sua madre Luisa di Savoia, della moglie Claudia, morta a 25 anni lo stesso anno della figlia Carlotta di 9 anni, nonché dei figli Francesco e Carlo. Si va avanti così fino al 25 ottobre, giorno dell’ultima esumazione, quella di Giovanni II, morto in Inghilterra nel 1364.

Qualche giorno dopo alcuni operai, accompagnati dai commissari del piombo, si recano perfino al convento delle Carmelitane per l’esumazione di Luisa di Francia, morta il 23 dicembre 1786. L’hanno portata via dal cimitero e gettata nella fossa comune «con i suoi abiti di Carmelitana assai ben conservati». Sono stati esumati i resti di più di 170 persone: 46 Re, 32 Regine, 63 principi del sangue, 10 servitori della monarchia e due dozzine di abati di Saint-Denis. Un’ultima tomba, quella di Margherita di Fiandra, fu scoperta e profanata nel gennaio 1794. Si concluse così, portato a termine scientificamente, l’incredibile atto di autodemolizione di un popolo per mano dei propri presunti rappresentanti.

Solo Carlomagno

Ma per una beffa della storia, che si era preteso di cancellare per sempre, sopravviverà allo scempio proprio la tomba di Carlomagno, che di quella storia era stato e rimane il protagonista leggendario e assoluto. Egli riposa ancora nella sua Aquisgrana, capitale prediletta di un Impero, che intendeva ereditare la gloria di Roma antica. E forse soltanto il grande Imperatore avrebbe potuto paralizzare la follia di quanti erano diventati indegni del proprio passato.

Parte dei resti dei monumenti abbattuti fu poi raccolta dall’architetto Alexandre Lenoir in un museo dei cimeli storici posto al Petit Augustin. Quando, col Direttorio, il Comitato di Istruzione cercò di porre qualche rimedio alla devastazione, vi fu ospitato anche quanto rimaneva delle tombe di Caterina dei Medici e di Francesco I e la cosa fu sentita come una piccola base ideale per la Restaurazione. Ma Chateaubriand osserverà lucidamente come per il distacco e lo straniamento dal loro luogo naturale, anche questi relitti fossero diventati irreparabilmente insignificanti e privi di quella forza rigeneratrice, che si pretendeva di attribuire loro. Intanto anche la chiesa, che era tutta ricoperta di piombo, nel 1795 fu scoperchiata e il piombo portato a Parigi. Dicono però le cronache: «Il 6 settembre 1796 sono state portate tegole e ardesia da Parigi per ricoprirla di nuovo al fine di conservare questo magnifico monumento».

 

RC n.125 – giugno 2017 di

Patrizia Fermani

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