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La Chiesa agrigentina contro Garibaldi e il Re d’Italia (1860-1878)

Posted by on Ott 18, 2022

La Chiesa agrigentina contro Garibaldi e il Re d’Italia (1860-1878)

Alla morte del vescovo di Agrigento Domenico Lo Jacono, il 29 marzo 1860 il capitolo della cattedrale provvide a eleggere il vicario capitolare: l’arcidiacono Gaspare Gibilaro, che governò la diocesi fino alla sua morte, il 24 giugno 1871.

Il suo impegno fu finalizzato a garantire il buon andamento della vita religiosa e a evitare quanto potesse turbare l’ordine e la regolarità soprattutto nella vita del clero. Ha avuto «il grande merito di avere assicurato la continuità del governo e di non avere esasperato passioni e situazioni che, in quel periodo, avrebbero forse prodotto delle conseguenze irreparabili», ma che, rimaste sopite, «dopo la sua morte, avrebbero provocato tanto male».

Nel 1860 molti preti fecero parte dei comitati rivoluzionari nei diversi paesi della diocesi e un gruppo di loro si trasferì a Palermo per aderire al battaglione sacro, composto da ecclesiastici garibaldini, costituitosi dopo l’ingresso di Garibaldi in città. Lo stesso capitolo della cattedrale, compreso il vicario capitolare, dopo il plebiscito del 22 ottobre 1860, il 29 ottobre inviò un atto di omaggio al nuovo sovrano, Vittorio Emanuele II, e non mancò di tenere in cattedrale funzioni religiose e cantare il Te Deum per ogni evento significativo dell’impresa garibaldina, come per il compleanno del re e l’onomastico di Garibaldi. Nel 1862 non mancarono i preti che manifestarono contro il potere temporale del papa e che nel 1870 cantarono il Te Deum alla notizia della breccia di Porta Pia. Come, in contemporanea, ve ne furono molti che continuarono a coltivare il desiderio del ritorno dei Borbone e a diffondere sentimenti di intransigenza, amareggiati per la legislazione anticlericale del nuovo regime.

A seguito dell’applicazione della legge di soppressione delle comunità religiose, il vicario capitolare emanò precise norme per l’inserimento del clero regolare nelle strutture ecclesiastiche diocesane, ricordando loro il dovere dell’obbedienza ora all’ordinario diocesano e l’obbligo di partecipare alle funzioni religiose e all’esercizio del ministero sacerdotale del clero secolare.

Altre disposizioni emise pure per tutelare il più possibile le monache costrette a uscire dai monasteri e vigilare che continuassero a osservare la regola propria.

Nei confronti di Gibilaro non mancarono i preti che lo accusarono di debolezza nel governo della diocesi, di troppa accondiscendenza verso il clero liberale e di essere molto accomodante, fino al compromesso, nei confronti del nuovo ordine politico. Tra i principali avversari del vicario capitolare e dei suoi sostenitori vi furono il canonico Vito Galluzzo e i sacerdoti Francesco Dispensa, Alessandro Petta e Gerlando Genuardi (quest’ultimo sarà nel 1872 il primo vescovo della diocesi di Acireale). Alla morte di Gibilaro, Galluzzo non partecipò alla riunione del capitolo, che elesse nuovo vicario

capitolare il canonico Domenico Cannella, del gruppo del clero liberale, e inoltrò ricorso alla Santa Sede contro il nuovo eletto, accusandolo di simonia.

Da Roma non venne un giudizio sull’elezione, ma, per evitare conflitti, fu nominato un amministratore apostolico della diocesi, il canonico Salvatore Milazzo, vicario capitolare di Monreale, sede metropolitana per Agrigento.

Milazzo, però, scelse Galluzzo come suo vicario generale. Gli interventi di questi, compiuti con maniere forti e usando il massimo rigore, fino al punto di sospendere a tutti i preti la facoltà di confessare se prima non si fossero sottoposti a nuovo esame, determinarono malumore in diocesi e la divisione in due partiti tra il clero. Nel breve periodo del suo governo riuscì, tuttavia, a riaprire il seminario vescovile (ottobre 1871), chiuso da cinque anni, e a dargli un assetto di studi conforme alle direttive statali per il ginnasio e il liceo.

Del lungo periodo di sede vacante, della faziosità tra il clero e della capillare diffusione della cultura ecclesiastica riformista, esito particolarmente rilevante può considerarsi l’episodio noto come scisma di Grotte (1872- 1879), pervenuto pure alla ribalta nazionale e al dibattito parlamentare.

Sebbene la vicenda si sia verificata quando già Agrigento aveva il nuovo vescovo, Domenico Turano, fu negli anni di sede vacante che alcune posizioni politiche ed ecclesiastiche si radicalizzarono.

A Grotte la presentazione dell’arciprete era di patronato laicale e Turano non volle concedere l’istituzione canonica al sacerdote presentato: Luigi Sciarratta, perché dalla Santa Sede aveva ricevuto notizia che vi erano diversi ricorsi contro di lui (1872). Mentre Sciarratta si appellava all’arcivescovo di Monreale in quanto metropolita, Turano nominò un altro in qualità di vicario economo, in attesa di ricevere, entro quaranta giorni, la proposta di un nuovo arciprete. All’esortazione alla disciplina e all’obbedienza rivolta al clero di Grotte e a Sciarratta, il vescovo ebbe in risposta l’occupazione della chiesa matrice e, in seguito, lettere di ribellione e di insulti, tanto dal clero quanto dai fedeli di Grotte. Lo scontro sfociò nella pubblicazione di opuscoli a sostegno di Sciarratta, alcuni dei quali ritenuti da Turano scismatici ed eretici, e contro i quali altri ne vennero pubblicati. Per la loro resistenza, ricevute le istruzioni dalla Sacra Congregazione del Concilio, il vescovo comminò la scomunica a Sciarratta e ai suoi sostenitori (1874).

La chiesa madre fu tolta loro con la forza pubblica e in loro difesa in parlamento presentò un’interpellanza l’onorevole Luigi La Porta. Ne conseguì un avvicinamento degli scomunicati al gruppo dei Vecchi Cattolici, fondato da Joesph Döllinger all’indomani della promulgazione del dogma dell’infallibilità pontificia nel corso del Concilio Vaticano I (18 luglio 1870), e la formazione di una Chiesa separata, che propugnò l’introduzione di forme democratiche per l’elezione dei parroci. Dalla quaresima del 1877 molti iniziarono a rivedere la loro posizione e nel 1879, dietro le continue insistenze di Turano, anche Sciarratta e altri cinque sacerdoti riconobbero i loro errori e si sottomisero al vescovo, che ritirò la scomunica.

GAETANO ZITO

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