La controrivoluzione Casoriana del 1799: duecento anni di oblio
La controrivoluzione del 1799
La contorivoluzione Casoriana : duecento anni di oblio
Alla riscoperta delle nostre origini
La città di Napoli commemora quest’anno il bicentenario della sua breve e gloriosa Repubblica Napoletana, la più importante e innovativa delle varie Repubbliche italiane che sorsero sulla scia rivoluzionaria della Francia e di quegli ideali di libertà e democrazia che fecero di quel periodo una esperienza storica senza eguali, anche se purtroppo, come accadde a Napoli, la Repubblica finì nel martirio dei suoi sostenitori.
Anche la nostra Casoria, comunque, potrebbe ricordare di quello stesso periodo i suoi piccoli episodi storici, i suoi eroi sconosciuti ed i suoi martiri dimenticati. Ma cosa accadde dunque duecento anni fa? E chi furono questi nostri concittadini eroi e martiri e perché? Era il giorno 16 Pratile dell’anno VII della Libertà, I° della Repubblica Napolitana, ovvero martedì 4 giugno 1799, quando un acceso proclama fu bandito da Napoli, capitale della neonata Repubblica, per incitare la popolazione della città e delle sue province ad arruolarsi in difesa della patria. Anche per le vie ed i campi della cittadina di Casoria corse allora la voce dei banditori che proclamavano solennemente il patriottico appello con cui la Repubblica in citava tutti i suoi cittadini, abili alle armi, a muovere in sua difesa.
Il giorno precedente, la Commissione legislativa aveva dichiarato la patria in pericolo e aveva istituito una commissione per giudicare immediatamente cospiratori e “insurgenti” e un’altra commissione per procedere alla circoscrizione militare giacché, infatti, da pochi giorni, l’esercito sanfedista era arrivato ad Ariano e minacciava ora di puntare direttamente su Napoli per spazzare via tutti i giacobini che si erano messi alla testa di quella rivoluzione che verso la fine di gennaio di quell’anno aveva rovesciato i Borbone e proclamato la Repubblica.
Il governo repubblicano aveva dovuto affrontare tanti problemi interni, come la leva per la Guardia Nazionale, la precaria situazione finanziaria e le rivolte nelle province, ma aveva anche cercato inutilmente di far partecipare i popolani alla vita della repubblica, di trasformarli in cittadini.
Era sorto a tale scopo anche il Monitore Napolitano, un giornale politico fra i più importanti d’Italia ed erano nate le prime associazioni politiche. Intanto però da Febbraio il cardinale Ruffo aveva formato un esercito, chiamato della Santa Fede (da cui sanfedisti), formato da soldati borbonici, realisti e popolani con cui stava riconquistando il regno, mentre i Francesi, richiamati al Nord per altre guerre si erano ritirati, fra Aprile e Maggio, lasciando solo un presidio in Sant’Elmo. Il 4 giugno, dunque, con i sanfedisti alle porte, i malumori accumulati e la speranza di ritornare alla monarchia borbonica, quando venne bandito il proclama repubblicano per l’arruolamento scoppiò la rivolta. Insorsero allora molti popolani, vari abitanti di Casoria, fra cui Antonio Cortese e Luigi Di Caro, ed altri di Afragola, che armandosi con ciò che trovarono come armi, soprattutto forconi, falci ed altro, si spinsero fino a Capodichino. Qui si scontrarono contro una compagnia giacobina di Guide a cavallo e duecento soldati della fanteria francese. Militari addestrati, chiusi nelle loro uniformi ed armati fino ai denti, contro una folla disordinata di contadini e artigiani.
Fu un vero massacro e gli insorti caddero a decine sotto i colpi dei militari. Vennero così ricacciati con gravi perdite fino a Casoria, nonostante altre inutili imboscate che i ribelli continuarono a tendere nei campi, sperando di fermare l’avanzata dei nemici. E qui nei campi molti furono gli innocenti uccisi dai militari perché ritenuti ribelli. A Casoria gli insorti continuarono a fare fuoco da due case, ma alla fine queste vennero date alle fiamme. I soldati corsero per le strade del paese, dove uccidendo altri innocenti fra la gente che scappava terrorizzata. Soltanto a tarda sera, verso le 22:00, sotto un cielo senza luna, nero come il lutto, i militari si ritirarono, lasciando la città atterrita dal terrore e disperata dal dolore. Erano stati uccisi circa duecento insorti, contro un solo sergente delle Guide. Il curato di San Mauro, Nemesio Maria Rossi, annotò fra i morti vari suoi parrocchiani, come i due insorti Cortese e Di Caro ed altre persone, come Giuseppe Marino, Antonio Russo, Giovanni Palmentiero, (bruciato in un pagliaio) e anche vari giovani, come Sabato Pagano (di 14 anni ca.), e Domenico Russo ma anche anziani come Carmine Mastronzo e Silvestro Russo. Pochi giorni dopo, il 13 giugno, l’esercito sanfedista era a Napoli e nel giro di una settimana sarebbe caduta la Repubblica e sarebbe iniziata la vendetta dei Borbone.
Fra le vittime illustri anche uno stimati medico, Domenico Cirillo, che a Casoria aveva esercitato la professione di ginecologo ed a cui sarebbe poi stata intitolata la piazza centrale del nostro Comune. Questo dunque quello che accadde e alcuni dei nomi di quelli che caddero lottando o innocenti. Sono passati duecento anni e loro sono ancora sepolti in San Mauro, e non solo lì, ma soprattutto sotto l’oblio della storia, da dove chissà mai se saranno liberati e ricordati degnamente in un futuro non troppo remoto, loro che furono ribelli per i repubblicani e non furono mai eroi neppure per i borbonici, chissà mai cosa saranno per noi, loro concittadini.
I fatti sono narrati brevemente nel Monitore Napolitano, come ci segnalò anche il signor Egidio Calabrese, mentre per le altre notizie sulle persone che presero parte ai fatti o che ne furono vittime dobbiamo ringraziare anche lo studioso Mauro Nemesio Rossi.
(Pubblicato sul “Casoria Oggi” anno 5°, n° 38, domenica 6 giugno 1999)
Giovanni Grimaldi Lo dedica ai caduti.
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