Alta Terra di Lavoro

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LA GUERRA DI CRIMEA sulle pagine de “IL VERO AMICO DEL POPOLO”

Posted by on Ott 9, 2023

LA GUERRA DI CRIMEA sulle pagine de “IL VERO AMICO DEL POPOLO”

“La restituzione della Crimea all’Ucraina, di cui è una parte inseparabile, è essenzialmente un requisito del diritto internazionale”. Il virgolettato apre il lancio dell’ANSA del 23 Agosto 2022. Una chiara presa di posizione da parte turca non proprio scontata visto il ruolo di “grande mediatore” – fra le parti in conflitto – che ha cercato di ritagliarsi l’epigono dell’Impero Ottomano. Cogliendo anche un discreto successo d’immagine con lo sblocco del commercio del grano.

Molti dei giocatori di una partita che ormai riguarda questioni geopolitiche globali sono gli stessi o gli eredi (come nel caso dell’Italia) di quei giocatori che nel non lontano 1855 si affrontarono militarmente e diplomaticamente nella guerra di Crimea.

Se si guarda allo svolgersi degli eventi non come ad una serie di fermi-immagine ma come ad un lenzuolo dove gli eventi scorrono e si susseguono uno dopo l’altro o contemporaneamente, si rimane impressionati non soltanto nel ritrovare gli stessi attori di ieri ma gli stessi apparati, spesso le stesse posizioni, finanche la stessa narrazione. Dove si fronteggiano ancora oggi modernità (il diritto) e barbarie (la forza), almeno a quanto si racconta da parte del 99% dei media, tv, giornali, agenzie di informazione.

Contrapporre modernità e barbarie fa parte di una narrazione che cela ben altri interessi e timori, non ultimo quello di tenere la Russia lontana dal Mediterraneo. Ovviamente è innegabile che questo è sempre stato un obiettivo russo, in quanto la Russia, se si escludono i mari gelati artici, gli unici sbocchi a mare passano attraverso lo stretto dei Dardanelli a sud e gli stretti danesi nel Baltico. Questo le ha impedito di divenire una vera potenza talassocratica come gli Stati Uniti. Destino che la Russia condivide con la Germania, altra potenza non talassocratica.

Per darvi una idea di quanto si scriveva su “IL VERO AMICO DEL POPOLO” riportiamo una serie di stralci tratti da quel giornale, che fu uno dei pochi a raccontare la GUERRA DI CRIMEA del 1855 usando toni e argomenti fuori dal coro della stragrande maggioranza dei giornali di allora, tutti schierati dalla parte occidentale contro la “barbarie russa”.

Da notare che gli alleati, tutte potenze cattoliche o protestanti, si schierarono con l’Impero Ottomano islamico contro la Russia cattolica. Ma questo è solo un dettaglio. Ultima annotazione, il Piemonte inviò 15000 uomini a combattere con gli alleati, sui giornali circolò la notizia che 18.000 uomini si preparavano a partire da Napoli per la Crimea ma non se ne fece nulla. Il Regno delle Due Sicilie scelse una neutralità che ne segnò il destino, fornendo agli alleati pretesti per accelerarne la fine.

Zenone di Elea – 3 settembre 2022

Stralci tratti da

IL VERO AMICO DEL POPOLO

1855 – ROMA 11 GENNAIO – N° 4

Una ben ordinata coalizione giornalistica imprese anzi tutto a combattere la Russia sul campo della civiltà europea; e spezzò non poche lancie ora contra la barbarie cosacca, ora contra la prepotenza moscovita, ora contra i violati diritti delle genti, insomma contra tutte le pretese colpe politiche, morali, legislative, pubbliche e domesticità dell’estremo settentrione. per conchiudere che il castigo esser debbe una perpetua relegazione nei geli della Siberia. Ma tornati inutili si grandi sforzi, ché il colosso nordico non retrocedette d’un passo; la medesima coalizione da qualche tempo in qua mutò sistema strategico, e non essendo riuscita a indebolir materialmente la Russia, si rivolse a indebolirla moralmente. Indi a sentire certi giornalisti, la Russia dichiara di essersi impegnata in una contesa fatale per lei, riconosce la propria impotenza, domanda umilmente una conciliazione ad ogni patio che imporre le si voglia. Havvi però nulla di vero in tante dateci assicurazioni. Nulla, assolutamente nulla! La Russia spedisce i suoi eserciti e li dispone in guisa che sembra dire: la Russia sola contro Europa tutta! E di ciò è prova eziandio un imperiale proclama pubblicato a Pietroburgo. (a) Apparisce in esso che lo czar non chiede la pace, un soltanto che non ne respingerà le proposte che sien per lui e pel suo Impero onorevoli! E in qual modo onorevoli, ei non permette che altri decida. Indi la irremovibilità pietroburghese è sempre più dimostrata. Fra non molto sapremo qual altro tentativo faranno i giornali succedere alla inespugnazione dell’orgoglio cosacco.

[…] Riflette il Corriere italiano che innanzi alla pubblicazione del nuovo Proclama dello czar già conoscevasi a Pietroburgo la interpretazione data a Vienna, a Parigi e a Londra ai punti delle garanzie; laonde è da ritenersi che il Proclama del 26 dicembre sia una risposta indiretta alle informazioni spedite dall’ambasciatore Gortschakoff al suo governo. Il Proclama invita i russi a mettere in non cale il sangue, la vita, i figli, le sostanze per sostenere la grande impresa; annunzia che l’imperatore e i sudditi accorreranno insieme sul campo delle battaglie per difendere la sicurezza e l’onore della patria. Indi il Corriere è persuaso essere assai difficile un accomodamento quand’anche la Russia fosse convinta che le sue forze non sieno da tanto da vincere la coalizione formatasi per farle resistenza; e crede che, sebbene lo czar dichiari di essere disposto ad una pace che non leda l’onor suo, questa pace non si avrà, mercecché non si sa quale estremo limite l’imperatore Niccolò abbia stabilito varcare senza ledere il proprio onore e quello della Russia. Finalmente ciò che più fa impressione all’articolista viennese è il carattere religioso che lo czar anche nel suo ultimo Proclama vuol conservare alla guerra. Ben si consola il Corriere conchiudendo che la Russia continuerà la guerra con la certezza di esser vinta! Oh quanto spinge oltre i suoi comenti! Anche a scrittore le interne convinzioni! Noi peraltro crediamo che le convinzioni russe sieno di poter vincere qualunque ostacolo; ché se tali non fossero, lo czar è tanto perspicace e freddo calcolatore ch avrebbe già trovato il modo di esimersi da ogni imbarazzo.

Un nuovo articolo di Cassagnac nel Constitutionnel torna a ripetere che la Russia oggi vuole attuare la sua vetusta aspirazione all’Impero universale, appoggiandosi sulla greca eterodossia che pur sempre vagheggia la ripristinazione dell’Impero d’Oriente in Costantinopoli.

«Che quando il colosso moscovita (Cassagnac invoca una sentenza di Thiers) avrà un piede ai Dardanelli e l’altro al Sund, l’Europa sarà schiava della Russia.»

Indi vuole che si resista energicamente perché l’autocrate di Pietroburgo non si distenda tanto sul Continente europeo. E Cassagnac ricorda pure le parole che nel 1807 Napoleone I disse al Senato:

«Se la tiara greca fosse rialzata e trionfante, le provincie che sono dal Baltico al Mediterraneo si vedrebbero coperte da un nuvolo di fanatici e di barbari; e qualora in una lotta troppo tardiva l’Europa dovesse soccombere, la colpevole indifferenza dell’Occidente ecciterebbe a ragione i lamenti della posterità e sarebbe nella storia un titolo di obbrobrio!»

[…] Asserisce (ma non lo prova) il Times che la Russia ha cercato agenti e alleati fra i proscritti d’Europa! Forse ciò è in relazione con le simpatie che il partito democratico e i suoi agitatori continuano a dimostrare per la causa moscovita. Ma bisogna ricordarsi che se questi fanno voti por la vittoria della Russia, probabilmente non è già perché amino lo Knout, bensì perché in un disastro occidentale sperano riaversi dalle patite sconfitte, e, come suoi dirsi, dommare la situazione!

[…] E il Corriere Italiano chiosava: «Il primo passo verso la pace è fatto; il primo passo e nulla di più; né questa è la prima volta che da Pietroburgo, durante la imbrogliata quistione, calarono voci di pace, alle quali segui la guerra con tanto maggiore violenza. Noi vorremmo ingannarci, ma se il cuore ci dice che queste nuove trattative, che vanno ad incominciare sulle basi accettate dalla Russia, dovrebbero avere miglior successo delle altre, la fredda ragione all’incontro si ribella contro i voti del cuore e distrugge la fede in una prossima conclusione di una pace reale. Le difficoltà si presentano grandi, particolarmente se dobbiamo basarci nelle argomentazioni sull’ultimo Manifesto dello czar. Che dice infatti il Manifesto? Lo czar dichiara nel medesimo che le sue pretese sono giuste, che egli non volte soddisfare alcuna ambiziosa passione, e non fece che rivendicare privilegi fondati sui trattati; che le Potenze, le quali intervennero nella guerra, non si contentarono di accordare alla Porta la loro protezione, ma invasero il territorio russo, dove subirono disfatte, da riguardarsi quale castigo inflitto ad esse dalla Provvidenza. Sin qui nulla di pacifico. Lo czar persiste a dichiarare che la sua causa è giusta e ad affermare che ei non ha mai voluto la guerra. Tuttavia non respingerà proposte di pace, quando sieno compatibili con l’onor della Russia. Spetta dunque alle Potenze occidentali il far concessioni e cancellare dai quattro punti di garanzia tutte le pretese in disaccordo con l’onore della Russia e coi privilegi rivendicati dallo czar. Indi il Corriere scorge nelle nuove pratiche di Gortschakoff soltanto un nuovo atto della storica sottigliezza ed abilità della diplomazia russa, atto che non vale a mettere gl’instruiti dall’esempio del passato in braccio a speranze troppo fiduciosa di vedere realizzato il voto di Europa.»

[…] Il Corriere Italiano pubblica una sua corrispondenza parigina per dimostrare che la Russia non ha verun titolo di esigere gratitudine dall’Austria. La corrispondenza principia col Panslavismo, di cui si servi la Russia per lanciare il disordine fra le pacifiche popolazioni dell’Austria, predicando la effimera unione della razza slava e scagliando l’anatema sulla schiatta teutonica. La Dalmazia, l’Illirico, il Banato, la Servia e tutta la Boemia furono i paesi dove mossero più energica propaganda i concionatori del Panslavismo, il quale primieramente s’insinuò sotto la forma letteraria, valendosi del pretesto di ricercare la consanguineità tra le nazioni slave. E gli eloquenti promotori dello slavismo percepivano dalla Russia le loro | pensioni, erano inspirati da Suvaroff ministro della instruzione pubblica, il quale mandava pure Srzenfiski, Elaghine, Michele Pogodine e parecchi altri commissari panslavistici a secondare i favori di altri che li precedettero. Tutti questi agenti della Russia, per sopperire alle spese della loro missione patriottica, ricevevano larghi stipendi dalla cassa del ministero della pubblica instruzione e da quella degli affari esteri, e le loro ricevute erano registrate nelle colonne delle spese impreviste e straordinarie. Contemporanea era l’altra non meno terribile propaganda eterodossa, che pria di andare a turbare l’Impero ottomano fece le sue prime campagne negli Stati austriaci. Tutti, conoscono la smania dello czar di farsi protettore della chiesa greca eterodossa. Ed egli, disponendo a suo talento dei tesori russi, cominciò a provvedere al mantenimento delle parrocchie greche nelle provincie dell’Austria. Tali beneficenze gli acquistavano la gratitudine dei clero greco, il quale con la sua influenza su i suoi fedeli iniziava una propaganda politica a favore dello czar, e questa crebbe in modo che il governo di Vienna dovette seriamente pensare a porre un termine al benigno intervento dello czar a vantaggio delle chiese greche nei cesarei domini. Il quale intervento nei primi tempi limitavasi a doni distribuiti di tanto in tanto, ad ornamenti di chiese, a libri di religione stampati in Russia per cura del Sinodo di Pietroburgo. A poco a poco vi si aggiunsero pensioni annue, ed allora più che mai venuto in sospetto il governo austriaco, per togliere all’autocrate ogni pretesto di esercitare la sua pietà negli altrui paesi, dotò generosamente le parrocchie greche. Ma il gabinetto russo geloso di conservare il suo dominio e ritroso a battere la ritirata da un terreno si favorevole al suo interesse; perchè ogni seme caduto dalle sue mani portasse il desiderata frutto, organizzò in molte città dell’Impero austriaco depositi di oggetti e libri religiosi da vendersi ad uso delle chiese eterodosse. E questi oggetti e libri si diffondevano a prezzi vilissimi, mentre alcune gentili persone, come Mouranieff, Tschigaff, Galagan ed altri, versavano oro russo nelle mani del clero greco, deplorando la triste sorte degli slavi soggetti al dominio alemanno! Finalmente l’amicizia della Russia verso l’Austria apparve in tutta la sua luce dal 1843 al 1845, quando la operosità moscovite sviluppavasi nel regno Lombardo-veneto per emanciparlo dallo scettro della Casa di Absburgo e darlo a un ramo di dinastia dei Romanoff nella persona del duca di Leuehtenberg. Se poi vuolsi memorare il soccorso russo per abhattere la rivoluzione ungarica, non solo si fanno derivare dall’estremo settentrione i primi germi di essa, ma dicesi ancora che la Russia fece il suo grande interesse ad aiutar l’Austria a spegnere in Ungheria un incendio, le cui vampe si sarebbero furiosamente allargate in Polonia.

[…] Scrive l’Armonia che i ministri piemontesi all’occasione del trattato 10 gennaio chiesero che Francia e Inghilterra si obbligassero, dopo la guerra, di prendere ad esame lo stato politico d’Italia per portarvi cangiamenti; ma che venne risposto al ministero, senza nemmeno lasciargli terminare la frase, che esso rappresentava il Piemonte e non l’Italia, e che in conseguenza non aveva né il diritto, né il mandato di parlare in nome di tutta la penisola. Francia e Inghilterra non ammettono il principio che l’Italia sia in Piemonte.

Il 13 furono chiamati al ministero della guerra i comandanti delle milizie che sono di guernigione a Torino Dicevasi che argomento della conferenza fu di stabilire quali truppe avrebbero preso parte alla spedizione in Crimea.

Appena il generale Dabormida diede le sue dimissioni da ministre degli affari esteri fu nominato tenente generale d’artiglieria. Corre voce che, in luogo di Alfonso Lamarmora, sarà eletto comandante supremo delle truppe piemontesi da spedirsi in Crimea il generale polacco Chzarnowski; e che la partenza delle truppe è fissata pel 28 febbraio.

Da una recente Statistica correzionale risulta che il numero dei carcerati in Piemonte ascende a 40, 453; e la Voce della Libertà scrivo che presso il magistrato di appello in Torino si trovano 1132 processi in ritardo di spedizione da più di un anno, numero che fa sgomento se si riflette che più di 3000 persone sostenute in carcere aspettano invano di essere giudicate.

[…] Una congiura giornalistica per alcuni mesi non ebbe altro scopo che di far prevalere la pazza opinione che la Russia che or ha due o tre anni denominavasi formidabile e invincibile, tanto scemò di forze e di militare consiglio che ornai non rimanevale altro destino che di avere in ogni prova una sconfitta o almeno di essere in ogni guerresco tentativo sempre respinta. E cosi gelosamente mettevasi studio a corroborare questa opinione che a qualunque, avvegnaché piccolo, vantaggio riportato dalle armi moscovite si che colore di favoloso racconto, o di poetica esagerazione dell’Invalido russo affaticantesi a ridar moto e vita all’estinto valor nazionale! E questa fierezza di rettorica opposizione non isvelossi mai con energia maggiore di quella che i giornali addimostrarono nel recentissimo fatto del passaggio de’ russi nella Dobrusca.

[…] Il Morning Chronicle è informato che il governo austriaco abbia fatto sapere ai governi, di Francia e Inghilterra una sua opinione, la quale è non esservi probabilità che dalle negoziazioni diplomatiche possa risultare la pace. E in seguito di ciò, lo Potenze occidentali, secondo il Pays, dichiararono al gabinetto cesareo che la sua opinione, era conforme in tutto e per tutto alla loro, e che perciò esse stimarono conveniente che le proposizioni dell’ambasciatore russo Gortschakoff non dovessero arrestare, come non arrestarono, né la azione né i provvedimenti destinati a spingere innanzi più vigorosamente la guerra. Al che l’Austria replicò che questa era pure la sua risoluzione. Se cotale intreccio di reciproche spiegazioni è determinazioni non fosse una combinazione di giornalistiche conghietture, bisognerebbe conchiudere che i primi a non aver fiducie al conseguimento della pace son quelli che in tanti svariati modi si studiano a conseguirla.

[…] Ha saputo il Daily News che il ministro svevo a Londra ha fatto conoscere al governo inglese il desiderio del suo re Giuseppe Oscar I di aderire al trattato viennese del 2 dicembre. Questa notizia sembra essere, benché sotto altra forma, quella stessa che fu recata dal Morgenblad, il quale asseri che il re di Svezia ha detto sperare che nella prossima primavera la Svezia e la Norvegia prenderanno parte agli avvenimenti europei, se pria che finisca l’inverno non sarà conchiusa una pace generale. Si variano le frasi e io circostanze, ma la sostanza è sempre la medesima.

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Il Journal des Débats afferma che «la Francia e l’Inghilterra si impegneranno a persuadere all’Austria che il Piemonte si diportò sempre non meno con prudenza che con lealtà, e che a torto gli si attribuiscono intenzioni ambiziose è tendenze rivoluzionarie, mercecché esso combatte energicamente le idee funeste sparse d’intorno a lui.» Non dice però quali sono i fatti che la Francia e l’Inghilterra dedurranno per giustificare tanto cose. Probabilmente il gabinetto austriaco, onde rimanere viemeglio persuaso, ne domanderà informazione a Radetzky.

1855 – ROMA 1 FEBBRAIO – N° 13

[…] Oggi comincia il blocco occidentale nel Mar Nero. Alcuni vapori alleati, in attitudine piuttosto minacciosa, da parecchi giorni van su e giù innanzi al porte di Odessa. È superfluo il dire che queste dimostrazioni sono i preliminari delle tanto aspettate conferenze della pace, che si apriranno a Vienna (almeno così si assicura) martedì prossimo 6 febbraio!

L’Austria crede che nelle presenti condizioni e posizioni militari della Russia sia necessaria (e perciò la domanda) la mobilizzazione dei contingenti federali della Germania; la Prussia risponde che «i movimenti delle truppe russe non sono di tal natura da giustificare le inquietezze del gabinetto viennese» e perciò dichiara inopportuna la richiesta mobilizzazione. Ma l’Austria non è punto persuasa delle assicurazioni prussiane; indi torna a insistere perché l’esercito germanico sia posto sul piede di guerra. In questa divergenza dei parer delle due maggiori Potenze alemanne, sembra elle la quistione debba esser portai alla decisione della Dieta di Francoforte; anzi v’ha chi assevera che non si frapporrà lungo indugio a provocar la definitiva sentenza della federale assemblea. Quinci la politica di Berlino, quindi la politica di Vienna faranno i supremi sforzi nell’oratorio conflitto. A chi la vittoria? Noi non ci reputiamo competenti né acconci a pronunziar l’esito della grande controversia. Certo e però che questa include i germi di fatali scissure.

[…] È informato il Morning Post che la Francia e l’Inghilterra si dispongono ad interrogare alcuno delle minori monarchie d’Europa se abbiano intenzione di collegarsi con le Potenze occidentali vuolsi che anche il re di Napoli sarà richiesto sul proposito, tanto più che avendo egli un’armata di ben 100,000 uomini, potrebbe spedirne, senza dilazione, una parte sul teatro della guerra. Sono però idee che si sviluppano da qualche giornalista britannico, che nelle attuali circostanze del suo paese vorrebbe che altri desse il suo di più a chi ne ha bisogno.

[…] Nella nuova emissione di carta monetata che si ordinò dallo czar il Times credo trovare un argomento per dimostrare pessime le condizioni finanziarie della Russia. Ma il Times non si è ricordato che nei sotterranei della Cattedrale di Pietroburgo furono, or ha pochi anni, depositate parecchie arche piene di verghe d’oro dei monti Urali di un valore che fece trasecolare il giornalismo europeo. Ridotte a moneta quelle verghe non solo potrebbero fare sparire ad un tratto tutta la carta monetata che oggi circola pell’Impero russe, ma eziandio ve ne rimarrebbe una quantità soprabbondante per altri futuri bisogni.

PIEMONTE – Non ostante la fiera opposizione fatta dal partito democratico, il trattato di alleanza del Piemonte con la Francia e l’Inghilterra fu approvato dalla Camera dei deputati il 10 corrente alle ore 6 e mezzo pomeridiane con voti favorevoli 101, mentre i contrari furono 69.

[…] Il Journal che Débats, vedendo che poco può dirsi intorno alle operazioni della guerra si diverte a suggerire ciò che avrassi a fare dopo la conclusione della pace. Ed anzi tutto ei pensa alla nuova sistemazione della Turchia. Problema invero un po’ troppo difficile a risolversi; ma qual cosa è sì ardua che pertrattata da un giornalista non divenga la più agevole e la meglio attuabile d’ogni altra? «Se vuoisi,ei riflette, una Turchia viva e non un cadavere, debb’essere; aiutata ad adottare la civilizzazione europea. Spesso s’intese a dire che la Russia favorisce il vecchie a partito turco. Ma favorire il vecchio partito turco equivale a favorire l’anarchia e la barbarie, a conservare la debolezza della Turchia, a lasciarla insomma perire. Questa però non è la intenzione delle Potenze occidentali, esse proteggono in Turchia quel partito che vuole abbracciare la loro civilizzazione. Nell’Occidente e non già nel Corano trovasi la vitalità, di cui ha bisogno la Turchia; quindi la vitalità dell’Occidente dee venire in soccorso dell’impero ottomano.» Ecco spianate tutte le difficoltà. Dopoché siasi firmato l’atto solenne della pace, la Francia e l’Inghilterra dovranno trapiantare in Turchia i costumi e le instituzioni dell’occidente europeo. Ma il Journal da Débats accenna che la Russia è onninamente avversa a cosiffatte innovazioni. Indi e’ sarà mestieri che nel trattato della pace appongasi un articolo, una condizione sine qua non che la Russia rinunzi ad ogni ingerenza e influenza sulla Turchia, lasciando questa all’arbitrio civilizzatore dell’occidente. Che senza un tale articolo, la Russia avrebbe il pretesto di fare un’altra guerra per la tutela del vecchio partito turco; e allora saremmo da capo con la questione orientale. Bisogna dunque che il Journal des Débats ci faccia intendere come potrà essere che la Russia si contenti di ritirarsi nell’isolamento onde la supposta missione occidentale proceda vantaggiosamente nell’impero ottomano. Attenderemo positivi schiarimenti su questo proposito, senza i quali l’interessantissimo argomento si rimarrà sempre circoscritto nella sfera dei sogni, o al più al più potrà somministrare materia acconcia per un accademico trattato di politiche disquisizioni da servire di secondo volume alla chimerica Repubblica di Platone.

Il Moniteur raccomanda una patriottica prudenza ai giornalisti nelle notizie della guerra. E Lansdowne ha detto alla Camera dei Lordi che «corre obbligo a tutti i giornalisti di nulla dire, di nulla fare, di nulla scrivere che possa avere per risultato di paralizzare la forza naturale e di nuocere alla causa nazionale.» Che potrà conseguitarne? I giornali di Pietroburgo racconteranno le vittorie dei russi, i giornali dell’Occidente le vittorie degli alleati. E si farà una guerra, nella quale una parte vincerà sempre e l’altra non perderà mai.

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Lettere particolari da Napoli al Journal de Genève annunziano essere un fatto ufficiale la sottoscrizione della alleanza di re Ferdinando II con le Potenze occidentali. Indi circa 18,000 uomini s’imbarcheranno nei porti napolitani per la Crimea, fra i quali sarà pure il battaglione dei cacciatori svizzeri comandato da Mechel. Sebbene questa notizia diasi tanto circostanziata, noi finora non ci crediamo tenuti ad aggiustarle alcuna benché minima credenza. Ne saremo persuasi quando la leggeremo nel Moniteur o nel Giornale delle due Sicilie.

[…] L’altr’ieri davasi come un fatto officiale l’alleanza fra Napoli e le Potenze occidentali, e asseveravasi perfino che 18,000 soldati napolitani erano li li per imbarcarsi alla volta della Crimea. Noi, andando sempre a rilento in certi affari, trovammo essersi assai sollecitamente annunziata una notizia, che avrebbe recato molto lume sull’indole di una quistione che tutta via e sembra circondata da tenebra misteriosa. E oggi il Fremdenblatt dice essergli state spedite direttamente dalle sponde del Sebeto sicure informazioni, le quali affermano che non si è mai trattato di una adesione di Napoli a questo riguardo. Ma il Times, cui molto gioverebbe l’alleanza, di cui è proposito, si fa scrivere da Parigi che «l’adesione del governo napolitano alla alleanza delle Potenze occidentali dee riguardarsi come un fatto compiuto; soltanto con la differenza che il re delle Due Sicilie vuol fare il suo trattato unicamente con l’Austria. E il Times lo crede, ché

»…………….. il miser suole

» Dar facile credenza a quel che vuole.

[…] PIEMONTE -Tornò a Torino dalla Crimea il maggiore Govone. Egli reca la conferma della notizia che il Sultano non voglia riconoscere il trattato conchiuso dal Piemonte con le Potenze occidentali (Armonia). Ai 2 marzo il medesimo Govone da Torino recavasi a Parigi.

Il primo di marzo nella darsena di Genova s’imbarcarono circa 1000 muli per la Crimea. Le navi di trasporto erano mercantili e, a quanto dicesi, noleggiate a spese dell’Inghilterra.

Probabilmente il maggiore generale Fanti sarà destinato ad avere un comando nella spedizione del contingente piemontese in Crimea.

REGNO DELLE DUE SICILIE – La Gazzetta di Vienna reca che le comunicazioni giunte da Napoli concordano nello asserire che il re delle Due Sicilie è deciso a mantenere la più stretta neutralità nella presente quistione fra la Russia, la Turchia e le Potenze occidentali.

[…] VIII. Caterina II vedova di Pietro III fu proclamata imperatrice ai 9 di luglio del 1762. Essa aggiunse parecchie provincie all’Impero e compié la conquista della Crimea, dove poi volle recarsi in persona. Il suo viaggio di ben 1000 leghe fu veramente una continua pompa trionfale. A Cherson trovò un arco erettovi da Potemkin con l’epigrafe: Questa è la via di Bisanzio! Il sommo Pontefice Pio VI riconobbe pel primo a Caterina II il titolo d’imperatrice; i papi antecedenti chiamarono czari i sovrani di Russia e czarine le sovrane. Caterina morì di 67 anni per colpo apopletico ai 9 di novembre del 1796.

[…] Di tanto in tanto non istà male qualche frase dei repertorio poetico. Ma seguitiamo ad ascoltare la panegirica orazione. «Fra breve vi giungeranno anche i piemontesi (dice il Corriere) ed essi confermeranno quella fama di valore che non fu loro mai contrastata dagli stessi nimici (Num. 48).»

Nel meglio però delle sue liete immagini è contristato dalla idea che «sia stata d’alquanto prematura la buona nuova dell’annessione dei regno di Napoli alla lega della civiltà, giacché le ultime notizie fanno anzi credere che la politica di Napoli voglia stare in attesa degli avvenimenti sino all’estremo istante (Num. 47). Bella circonlocuzione invero per dire e a pochi fare intendere che Napoli vuole rimanersi sempre neutrale! Ma il Corriere non dispera per anco dell’annessione partenopea. E perché avvenga, ei prima con buone maniere fa riflettere «essere impossibile di far valere a lungo i principii d’isolamento e di neutralità» indi con sibillino linguaggio accenna che ove Napoli si ostinasse nel suo proposito «esistono mai sempre i germi di movimenti, che incoraggiati da chi tiene i mari, potrebbero acquistare in breve volger di tempo carattere grave e pericoloso.»

Or che intende con ciò dire il Corriere? Forse che per costringere altrui alla lega della civiltà si adopreranno ancora i mezzi della barbarie? Oh! questa volta il Corriere è ito fuori de’ gangheri. E noi portiam parere che chi tiene i mari non gli saprà buon grado dei fosco vaticinio, perché oggi è suo vitale interesse di accomunarsi alla politica conservatrice di coloro che tengono il mare e la terra.

[…] Leggiamo nell’Armonia: «Dice il conte di Nesselrode: «L’imperatore saprà salvare ancora gl’interessi privali dei nazionali sardi che conservano con la Russia antichi legami di commercio. La loro proprietà sarà rispettata.» Queste parole ci richiamano ad un doloroso, ed aggiungiamo pure, vergognosissimo confronto. Mentre la proprietà sarda è violata in Torino, sarà rispettata nell’Impero russo! Tra noi si discute, e si fa, all’ombra dello Statuto, quello che non osa fare in casa sua lo czar, non ostante tutta la sua autocrazia. Sono più sicure le nostre proprietà in mano di Niccolò che dei costituzionali; meglio l’inimicizia dei russo che la protezione dei libertini.» Noi non ci permettiamo di aggiugner sillaba alle parole dell’Armonia.

[…] Pur si vuole che la pace si conchiuderà perché la Russia non avrebbe mezzi sufficienti a resistere alla oppugnazione occidentale. Ma coloro che parlano cosi, sono assai poco informati delle forze moscovite. Il giornalismo europeo ha preteso farci conoscere assai debole la situazione finanziaria e militare della Russia; mi fatto è che il giornalismo su questo proposito ha camminato sempre per entro un labirinto di congetture e di vaghe induzioni, laonde l’Herald ha dovuto finalmente confessare che «a parlare schiettamente noi sappiamo tanto di quel che succede nell’interno della Russia quanto di ciò che avviene nel mondo della luna.»

[…] PIEMONTE – La sera del 13 il generale Alfonso Della Marmora ministro della guerra tornava da Parigi a Torino. Dicevasi ch’ei non abbia più intenzione di prendere il comando del corpo di spedizione in Crimea, perché gli toccherebbe essere subordinato ad altri generali e non avrebbe facoltà di agire liberamente. Ciò non ostante assicuravasi che al cominciare del prossimo aprile le truppe piemontesi partiranno per la Crimea (Arm.), raccogliendosi, come correva la voce (Espero), nelle pianure di Marengo. Intanto (Gazz. Milit.) al reggimento degli zappatori del genio si ordinò di tener pronte alla partenza le due prime compagnie. Si da come notizia positiva (Arm.) che nel porto di Genova furono sequestrati tre bastimenti portanti bandiera russa. Ai 10 il console russo a Nizza abbassò il suo stemma, ritirandosi a vita privata. A Genova circola un proclama firmato da Giuseppe Mazzini con la data del 16 febbraio e indirizzato all’esercito piemontese.

Si assevera (Arm.) che nella missione di Lamarmora a Parigi e Londra si è stabilito che, oltre i 15 mila piemontesi che andranno in Crimea, se ne dovran mandare altri 2500 a Costantinopoli in deposito onde surrogar subito i loro connazionali che perissero nelle guerre della Tauride.

1855 – ROMA 3 APRILE – N° 39

[…] Pur tuttavia il Governo usci vittorioso dalla lotta parlamentaria relativa al trattato anglo-gallo-sabaudo; e la spedizione piemontese allestivasi con energica sollecitudine, ed oggi è in acconcio di partenza. I conservatori acchetaronsi, rispettando le arcane ragioni, che indussero il Governo a stringer l’alleanza; ma i democratici non si rimangono dal mettere in opera i loro supremi sforzi perché le truppe, delle quali non si potè impedire l’imbarco, si elevino ad ammutinamento è si accordino alla diserzione. A questo effetto si fa circolare fra esse una declamazione che, a quanto scrivesi non meno da Torino che da Genova, nello spirito delle milizie produsse una impressione dell tutto contraria a quella che l’autore dell’ignivomo libello ebbe a suo scopo. La esortativa concione è cosi concepita:

«Soldati piemontesi! Quindicimila tra voi stanno per essere deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la propria famiglia. Il clima, la mancanza di strade, la difficoltà degli approvvigionamenti in una terra esaurita già dagli eserciti, e che non può provvedersi se non per la via d’un mare incerto, tempestoso, difficile, uccidono quei che non coglie la palla nimica. Su 54 mila inglesi che lasciarono la terra loro, 40 mila non rispondono più alla chiamata. Breve tempo dopo cominciato l’assedio, al quale vi chiamano, il soldato era a mezza razione. Gli stenti sono tali che i più avvezzi e induriti fra i soldati francesi d’Africa prorompono in tumulti e rivolte. La disorganizzazione nel campo tocca estremi siffatti che il popolo d’Inghilterra, commosso a si turpe spettacolo, ha già rovesciato un ministero, e non può porvi rimedio; il nimico è accampato dietro mura e posizioni insuperabili, se non da forze gigantesche e potentemente munite; contempla la tenta inevitabile distruzione degli assedianti, e non piomberà sovr’essi se non a vittoria certa su battaglioni dimezzati, sfiniti per lunghe fatiche, e privi di quella fiducia, che sola procaccia trionfo. Voi non avrete onore di battaglie. Morrete senza gloria, senza aureola di splendidi fatti da tramandarsi per voi conforto ultimo ai vostri cari. Morrete per colpa di governi e capi stranieri, i quali rifiutando, per animo avverso alla libertà delle nazioni, l’unico punto vulnerabile della Russia, la Polonia, s’ostinano a confinare la guerra in una estremità dell’Impero, sopra un breve spazio di terra, tra il mare ed il nimico, dove non può essere che carnificina. Per servire ad un falso disegno straniero, l’ossa vostre biancheggieranno calpestate dal cavallo del cosacco, su terre lontane, nò alcuno dei vostri potrà raccoglierle e piangervi sopra! Per questo io vi chiamo, col dolore nell’anima, deportati. Voi partito non guerrieri affidati al vostro coraggio, al plauso dei vostri fratelli… ma vittime consecrate in guerra non vostra, per terra non vostra, a cenni di governi non vostri. Abbandonando l’Italia, voi potete, come i gladiatori del Circo, esclamare: Vivi lieto, o Cesare, i condannati a morte ti salutano!»

[…] Il Pays ammette che la costituzione di un gran porto militare delle Potenze occidentali rimpetto a Sebastopoli potrebbe veramente essere un contrappeso ragguardevole opposto alla Russia, ma il pericolo di ulteriori aggressioni moscovite non sarebbe con ciò rimosso. Indi a levar di mezzo questo pericolo, e suggerisce che bisogna impedire che la Russia abbia una flotta da guerra nel Mar Nero, obbligarla di restar su quel mare siccome una grande Potenza commerciale, e non già una Potenza militare, e molto meno una Potenza esclusivamente militare. Ma se in tal modo svanirebbe il pericolo di un successivo attacco russo contro la Turchia, sarebbe egualmente svanito il pericolo di un attacco occidentale contro la Russia? Non sappiamo però se la Russia vorrà contentarsi di avere a Sebastopoli un porto unicamente commerciale, mentre gli alleati della Turchia vogliono rimpello a Sebastopoli un porto essenzialmente militare. Prima che la Russia acconsenta a questi patti, e sarà mestieri fare qualche cosa di più delle conferenze di Vienna.

Si ha per telegrafo il seguente articolo (o sunto d’uno articolo) del Moniteur del 27 marzo: Lo czar Niccolò ha cercato di realizzare gli antichi piani degli czari in riguardo alla supremazia russa in Europa. Dopo ch’ebbesi assicurata una totale influenza in Germania, dalla quale ora fu liberata dall’imperatore d’Austria, lo czar Niccolò persuaso che una alleanza tra la Francia e l’Inghilterra (le sole Potenze non soggette alla influenza russa) era cosa impossibile; e fermo nella speranza che il nuovo Impero francese apparirebbe sospetto, credè giunto l’istante di coronare l’opera sua con la conquista dei Dardanelli. Ma gli avvenimenti smentirono le sue previsioni; la Francia ristabilendo l’impero formava un contrappeso alla Russia e diveniva l’alleata di tutti gli Stati, la Russia rimanevasi isolata. Essendo ché lo czar in Russia è tutto in totto, con la morte di Niccolò scomparve l’ostacolo principale della pace. Voglia Alessandro restituire alla Russia la sua tranquillità ed incamminare una politica di conciliazione.

Il Times afferma che la distruzione di Sebastopoli è necessaria al ristabilimento d’una pace duratura, e che l’Inghilterra ha bisogno che la guerra continui con perseveranza onde rintegrare il suo prestigio militare in faccia all’Europa. Ma il Times nulla dice del caso che i russi anche in seguito riescano ad essere in grado di continuare con perseveranza a che gl’inglesi perdano affatto il militare loro prestigio.

Ai 24 marzo un dispaccio elettrico annunziò a Londra che trattavasi un armistizio, durante il quale, gli alleati sgombrerebbero dalla Crimea. Alcuni giornalisti pubblicarono articoli per preparare il pubblico alla notizia dell’abbandono dell’assedio di Sebastopoli.

«La flotta russa del Mar Nero (scrive l’Advertiser) aveva al principio della guerra non più che 14 va scelti di linea; 7 de’ quali Menzikoff fece affondare all’ingresso del porto di Sebastopoli. Ora siccome la forza moscovita nel Mar Nero debb’essere limitata a 6 vascelli, il problema orientale può formularsi in questa domanda: Che faremo del vascello che sopravanza? Devesi forse per un solo naviglio mandare in fiamme l’Europa e spegnere l’incendio con un oceano di sangue? La sarebbe cosa pur troppo ridicola. Quindi Alessandro II sarà tanto generoso da permettere che il naviglio della piccola differenza parta per l’Inghilterra con la bandiera dell’ammiraglio britannico, ed allora l’armata inglese riceverà corone d’olivo da Bright e Cobden come se avesse presa d’assalto Sebastopoli. Cosi assicurata la pace, riformata la Turchia e l’Inghilterra sarebbe matura in modo da ricevere le savie idee di Pietro, Catarina, Alessandro e Niccolò. E forse a Pietroburgo seriamente si crede che la quistione si debba risolvere come prenunziasi nella chiusa della ironia dell’Advertiser.

[…] Narrasi che il maresciallo Vaillant ministro della guerra e Hubner, incontratisi alla Legazione inglese a Parigi, fecero anch’essi il discorso della giornata, vale a dire una conversazione sull’assedi di Sebastopoli. E pretendesi che il maresciallo dicesse a Hubner: «Credetemi; Sebastopoli non potrà sfuggire alle armi alleate. O presto è tardi. la cittadella russa cadrà! I russi sono sempre più ridotti alle strette dai nostri lavori d’assedio; e fra poco si vedranno intercettata perfino la via ond’essi comunicano con la campagna, giacché le nuove truppe che si spediscono in Crimea hanno l’incarico di tagliare le comunicazioni e cacciare i moscoviti in campo aperto al di là di Perekop. La vittoria è lenta, ma certa. Se la Russia non si affretta ad accettare le condizioni di pace, che le sono offerte, ella ne sarà severamente punita, coute que coute!» E questo bel discorso ha già fatto il giro dei più accreditato giornalismo europeo. Ma chi fu quel giornalista è chi quel suo corrispondente che trovossi presente al confidenziale discorso per poterlo poi de verbo ad verbum ripetere altrui? Oltre a ciò, noi non troviamo gran coerenza tra i fatti che avvengono in Crimea e le cose che si enunciano nel supposto discorso. Se i rinforzi degli alleati si mandano a Balaclava, cioè alla parte meridionale della Crimea, come può essere che questi rinforzi abbiano l’incarico di rispingere i russi in campo aperto al di la di Perekop, che è il più settentrionale punto della penisola? Finalmente un maresciallo dl Francia potrà ben dire di aver fiducia nella vittoria; ma quel tuono assoluto che la Russia sarà severamente punita, non ci sembra guari consono alla prudenza di un ministro di Stato. Indi l’autore spiritoso della storiella senza spirito die’ prova ch’e’ non conosce né la topografia della Crimea, né le posizioni degli eserciti belligeranti, né le convenienze diplomatiche.

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Quanto al nostro periodico, che il corrispondente pone nel più basso luogo, noi non ci doleremo se pochi sieno i suoi lettori: soltanto c’incresce che facciasi correr la voce che «il Vero Amico del Popolo si dovrebbe meglio dire il Vero Amico del Russo.» Con ciò si volte darci accusa di spirito di parte e farci scapitare nella opinione di quei benevoli, che sogliono apprezzare la nostra indifferenza. E perché non si accenna almeno un nostro parere che abbia propugnato in massima aver la Russia buon diritto nella presente quistione, cui è impegnata quasi tutta l’Europa? Ma dove sarebbesi trovato in un giornale, che inaccessibile a qualunque inspirazione, fece proponimento di conservarsi rigorosamente neutrale e studio a mantenere esattamente fa sua promessa? Se poi chiamasi amico del russo, perché talvolta smentisce alcuna dello tante favole, che si mandano in giro a svantaggio dell’onore militare e politico della Russia; il censore doveva è dimostrare la erroneità delle smentile, è dichiarare che l’amico del popolo è soltanto amico della verità e imparziale narratore delle cose che debbono passare nel dominio della storia.

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Si annunzia (Morning Post) che ai 24 aprile cominciò ad agire la corrispondenza dei fili elettrici fra l’Inghilterra e Balaclava, talché in poche ora si potranno avere a Londra le notizie dal quartier generale degli alleati in Crimea.

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Il viennese Donau ragionando sul trattato del 2 dicembre e sulle sue conseguenze conchiude che l’alleanza fra l’Austria e le Potenze occidentali oggi da difensiva è divenuta offensiva, e che l’alleanza offensiva impone all’Austria il dovere di operare immediatamente contro la Russia collegandosi con la Francia e l’Inghilterra. Il discorso sarebbe logico sussistendo il fatto che l’alleanza difensiva siasi trasformata in offensiva. Questa trasformazione però è tutta via da dimostrarsi. E come si dimostra con l’ambasciatore austriaco Esterhazy a Pietroburgo e con l’ambasciatore russo Gortschakoff a Vienna?

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Chi è che non vuole la pace? Secondo il Times, è la Russia; perché, quanto alle Potenze occidentali «esse rivelarono a tal segno la sincerità de’ loro desideri di terminare la guerra che erano disposte eziandio a firmare un trattato di accomodamento che non avesse imposto alla Russia veruna umiliazione. Esse non chiesero cessioni di territorio; lasciarono nelle trattative illesi perfino i forti di Sebastopoli, non toccarono la quistione del risarcimento delle spese di guerra, insomma si limitarono a ricondurre la situazione al punto in che trovavasi prima che cominciassero le ostilità. Non si ha esempio di tanta indulgenza verso l’aggressore, specialmente se riflettasi che tutta la forza dell’inimico si basa sulla difensiva e che l’Inghilterra, in qualunque peggiore ipotesi, non ha da temer nulla delle forze militari della Russia. Or può darsi prova più convincente che l’unica cagione del continuamente della guerra stia nella ostinata resistenza della Russia ritrosa a tanto eque condizioni di pace? e che alla Inghilterra non rimanga altra scelta che far uso della forza per costringere il governo russo a conchiudere la pace alle condizioni volute dalla giustizia e dalla pubblica sicurezza? L’impresa è difficile e forse passerà lungo tempo innanzi che sia recata a termine felice. Ma l’Inghilterra non è avvezza a sonnecchiare quando trattisi di raggiugnere un grande scopo politico…. È possibile che da principio siasi fatto un calcolo troppo tenue della forza dell’avversario;… ma riconosciutosi oggi che la potenza russa è più grande di quanto supponevasi; è ciò un motivo maggiore di circoscriverla entro a confini che più non le permettano di minacciare la indipendenza di altri paesi.»

A ben considerare questo discorso del Times, ei si parrebbe che la spada di Damocle penda propriamente sul capo dell’Inghilterra, la quale spaventata dal tremendo pericolo avrebbe fatto qualunque sagrifizio per un aggiustamento che dei partigiani della guerra (son parole del gravissimo giornale) sarebbesi caratterizzato come disonorevole per la nazione inglese! E qual sagrifizio più grande della rinunzia alla conquista della Crimea, conquista che sempre si è gridata necessaria all’onore britannico? E quale umiliazione più degradante della rinunzia al risarcimento delle spese, che il pochi mesi depauperarono l’Inghilterra in modo che per continuare quest’anno la lunga e difficile impresa dovette già ricorrere ai soccorsi pecuniarii di Rotschild? Eppure a tutto si sarebbe rinunziato, qualora si fosse potuto fare retrocedere d’un passo la ostinata resistenza della Russia! Ma nessun tentativo, nessuna profferta valse a contentare, a rimuovere la inflessibile politica di Pietroburgo! Dunque il Times fa di necessita virtu, e abbraccia il partito della guerra soltanto perché noi può evitare. Atterrito però dalla idea che la forza della Russia sia più grande di quel che supponevasi, invoca l’aiuto dell’Austria e la eccita a sguainar la spada allato alla Francia che già sguainolla per costringere la Russia alle condizioni volute dalla giustizia e dalla pubblica sicurezza, dalla sicurezza specialmente dell’Inghilterra. Ma l’Austria ricorda fremente il 18 febbraio 1853, e la Francia è inorridita dal 28 aprile 1855. Or co’ Libeny e co’ Pianori che trovarono sicurezza in Inghilterra, quale sarà la sollecitudine dell’imperatore Francesco Giuseppe I e dell’imperatore Napoleone III per corrispondere alle esigenze e allo scopo del Times?

La Corte di Napoli (Gazz. di. Ven.), mediante il principe Petrulla suo inviato a Vienna, ha fatto dichiarare sembrarle del tutto inopportuno di continuare nelle trattative per l’accessione all’alleanza occidentale, ora che sono incamminate negoziazioni di pace; e che Napoli, in ogni caso, è obbligata dalla sua posizione a rimanersi neutrale.

[…] Il Movimento esordiva la sua carriera giornalistica con una breve dissertazione per dimostrare che tutto si muove, cioè progredisce, nel mondo, e tutta, muovendosi, ii perfeziona. Le diligenze e i velociferi si ebbero, l’ammirazione de’ nostri padri, e noi lasciamo all’ammirazione de’ posteri le locomotive. Movimento, progresso! Si avea pur dianzi pel servizio delle corrispondenze la carriera, che divorava la via e compieva tre leghe in un’ora; sopravvenne il telegrafo elettrico. Movimento, progresso! Prima le navi a vela facevano il viaggio dall’Europa all’America in sei mesi, oggi i battelli a vapore lo fanno in sei giorni. Movimento, progresso! E cosi via via discorrendo di sante altre cose, che luogo sarebbe ad una ad una memorare. Ma di un progresso della più seria importanza il Movimento non: fece parola nel suo articolo proemiale; riporto invece forse come appendice al suo) un articolo della Bollente di Acqui che ne tenue proposito. Or qua le sarebbe r. mai cotesto interessantissimo progresso in un certo paese dove, più che in altro luogo, in virtù delle conquistate libere instituzioni tutto, movendosi, si perfeziona? Il progresso nelle imposte, il progresso ne’ debiti! Prima del 1847 quel tale innominato paese senza lo Statuto e con modica vettigale pecunia aveva un tesoro soprabbondaute; indi con lo Statuto, a mano a meno che aumentarono le imposte, aumentarono anche i debiti nazionali. Movimento, progresso! E come i debiti conseguenza delle imposte e non le imposte conseguenza dei debiti? E’ non s’intende, ma gli è appunto cosi; ed in ciò consiste essenzialmente la inesplicabile magica forca progressiva, che costituisce il reale movimento statutario di qualche società moderna. Ché, se non fosse a questo modo, di che avrebbero i posteri far le maraviglie? E guai a colui che innanzi a tanto chiara dimostrazione pur si ostinasse a sostenere che non siasi raggiunta la perfezione nell’ordine materiale!

[…] A Brusselles fu pubblicata una lettera dell’emigrato polacco conte Rottermund de Gurna Kleczi inviata al generale Rybinski, che fece il nolo indirizzo all’imperatore Napoleone III. La imparzialità istorica, che ci persuase a riportare l’indirizzo di Rvbinski, esige che non s’intralasci la lettera di Gurna Klecza, la quale è cosi concepita:

«Mio generale! Io ex-ufficiale dell’armata polacca faceva parte nel 1831 del vostro corpo, quando, dopo la battaglia di Varsavia, fu deciso che la lotta contro la Russia non era sostenibile. E allora noi scegliemmo la via dell’esilio. Da quel tempo fatale noi meniamo una vita di dolore, di pentimento e, il dirò pure, di rimproveri, mercecché noi sagrificammo la nostra patria alla rivoluzione di luglio e abbandonammo il sicuro per correr dietro alle chimere! La esperienza ci raggiunse quando avevamo bianchi i capelli. La lettera indiritta da voi all’imperatore dei francesi ebbe l’onore di essere inscritta nel Moniteur. Questa inserzione, nelle attuali congiunture, è cosi significante che naturalmente dovea provocare da parte nostra molte amare osservazioni. Quelle parole stampate nel Moniteur hanno uno scopo, ed io quale emigrato polacco ho diritto a discuterlo. Si vogliono eccitare i nostri figli ad una guerra funesta, infruttuosa; ma io qual padre di famiglia dichiaro che i miei figli ammaestrati dalla mia esperienza, non rinnoveranno i luttuosi tentativi del 1831. La Polonia ha già servito anche troppo, di trastullo e di pretesto ad ogni ambizione, ad ogni specie d’ipocrisia. Ben potemmo una volta poi lasciarci ingannare, ma come padri di famiglia non possiamo permettere che i nostri figli si slancino negli stessi nostri pericoli e vadano incontro alla medesima nostra disgrazia. Lasciamo ai menestrelli il sentimentalismo del triste privilegio di lamentare in versi le nostre sciagure; ma, per amor del cielo, non ripetiamo una lotta senza utile e senza gloria. Se la Polonia nulla guadagnò per mezzo dello zio, che cosa potrà mai attendersi per mezzo del nipote? Esuli da ventiquattro anni dovremmo noi procacciarci il rimorso di preparare ai nostri figli la nostra sorte per una causa disperata? Mancano, gli è forza confessarlo, gli elementi di una rivoluziune, ne manca il bisogno, il desiderio. Non è da sperarsi la nostra salvezza in una insurrezione; questo mezzo non ci fu mai favorevole pel passato, non lo ci sarà nemmanco per l’avvenire. Congratuliamoci pure pubblicamente che un imperatore dei francesi non sia caduto vittima dell’assassino, ma non spargiamo il nostro sangue per una causa che non è la nostra, né quella dell’Europa.»

fonte

https://www.eleaml.org/ne/stampa2s/2022-Stralci-tratti-da-1855-IL-VERO-AMICO-DEL-POPOLO.html

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