Alta Terra di Lavoro

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La notte più lunga, quella del Garigliano

Posted by on Nov 21, 2022

La notte più lunga, quella del Garigliano

    Nel 1943, qualche mese dopo lo sbarco ad Algeri delle truppe americane, l’Africa del Nord francese è mobilitata. Venti classi di “piedi neri” sono arruolate, cifra mai raggiunta nelle mobilitazioni precedenti della Metropoli. I volontari musulmani vanno, in gran numero, a rinforzare le unità e a crearne nuove. Il generale Juin, designato dal governo, prende il comando di queste forze che saranno impegnate in Italia.          

                                      

Dalla fine dell’estate 1943 Juin riunì l’ossatura di un corpo di sbarco, limitato, per ragioni logistiche, a 65.000 uomini, 2.500 muli, 12.000 veicoli. Ma per liberare la Corsica, il generale Giraud gli ritira la quarta divisione marocchina di montagna e il raggruppamento di Tabors. Il corpo di spedizione francese non conta, dunque, più che su due grandi unità : la seconda divisione di fanteria marocchina del generale Dody, e la terza divisione di fanteria algerina, agli ordini del generale Joseph de Monsabert. 

 Il settore assegnato all’esercito francese sul fronte è uno dei più  difficili. Esso è posto al centro del dispositivo d’attacco tra gli americani e gli inglesi. E’ un posto d’onore, ma un posto temibile, sotto gli ordini del comando del VI Corpo d’Armata americano e quando i francesi  rilevano i fantaccini statunitensi, questi non celano la loro gioia, poiché da settimane il nemico, di fronte a loro, il nemico che ha ben scelto il proprio terreno, resiste accanitamente nel massiccio del Pantano, su cui tutte le offensive alleate, fino a quel giorno, non hanno dato alcun risultato. Dall’11 al 15 dicembre hanno luogo alcuni colpi di mano per una tradizionale presa di contatto e i più sorpresi sono i tedeschi che non capiscono ancora come si trovano faccia a faccia con truppe francesi.

   Quando gli americani, a Salerno, in settembre, riuscirono magistralmente nel loro sbarco, si ignorava ancora che, prima della fine di novembre, i francesi vi si congiungevano irresistibilmente. Molto presto li si sorprese presso le prime linee. Il loro battesimo del fuoco si chiamò Venafro e  repentinamente si capì che essi erano veramente degni di essere là, anch’essi, nei pressi di Cassino.

 Nella notte dal 14 al 15 dicembre cominciano per i francesi i primi successi: innanzitutto la cresta di Castel Nuovo, poi il colle di San Michele, sono presi ferocemente dalle truppe transalpine, malgrado le grandi difficoltà di un terreno dal rilievo tanto tormentato e malgrado la neve che cadeva. Il 16 dicembre è un grande attacco di insieme del VI Corpo Americano, nel corso del quale la seconda Divisione di Fanteria Marocchina si impadronisce,  dopo cinquantadue ore di lotta, della parte ovest del temibile Pantano, poi, dopo essersi aggrappata al Monna Casale, conquistata, nel corso di furiosi combattimenti, la sommità delle celebri Mainarde, che cadrà nelle mani francesi il 28 dicembre. 

Mentre ai svolgono questi combattimenti, una seconda divisione francese sbarca a Napoli: Si tratta  della terza Divisione di Fanteria Algerina, agli ordini del generale de Montsabert. Molto presto essa prenderà parte al combattimento, per la presa del Monna Casale.  Il 2 gennaio 1944 il generale Juin prende il comando del C.E. F..  Il 13 gennaio  il Monte Monna Casale, alto 1.395,  è espugnato, poi il Passero e Acquafondata. Una piccola parte della linea di resistenza nemica, chiamata “linea Gustav”, sta per essere sfondata. Il 21 gennaio le creste nord-ovest  del fiume Rapido e le creste meridionali  del Monte Santa Croce  sono conquistate. Il 22 gennaio gli americani sbarcano ad Anzio. Sin dal 23 gennaio, le due divisioni francesi già impegnate sono incaricate di una importante manovra di diversione, destinata a permettere l’operazione degli alleati su Cassino. E’ la battaglia del Belvedere. Questa è ingaggiata  in un terreno tormentato in cui i tedeschi tengono tutte le zone defilate e tutti gli osservatorii. E’ l’assalto del 4° R. T. M., il 25 gennaio. Cinque giorni più tardi il fronte è rotto, dopo combattimenti violenti ed accaniti. Il Belvedere  è nelle mani francesi, il 2 febbraio, al termine di duecentoquaranta ore di battaglia ininterrotta. Il 18 febbraio giunge a Napoli la prima Divisione Motorizzata di Fanteria del generale Brosset  ed un corpo di Tabors del generale Guillaume. Queste truppe nuove sono composte da soldati dell’Armata di Africa, da riservisti d’Africa francese, da Forze Francesi Libere e dalla brigata degli Evasi di Francia, che hanno sfidato le prigioni spagnole per ricongiungersi all’Armata rinascente con, tutti, la stessa volontà feroce.

In marzo, è la volta della quarta Divisione Marocchina di Montagna del generale Sevez, divisione che ha liberato la Corsica, a sbarcare a Napoli: Essa prende immediatamente posizione a su-ovest di Cassino, sul fronte del Garigliano e di Castelforte. Con l’arrivo di questa divisione, la C. E. F. diviene un vero e proprio esercito, sotto il comando del generale Juin. E questo esercito attende, pronto all’attacco, per ben mostrare al mondo che la Francia è là e che essa vivrà così  “ la notte più lunga”.

Resteranno sempre incisi nella memoria i nomi di  Mainarde, Pantano, Casale, San Pietro, Santa Croce, Faito, Belvedere, Petrella, Meta, Maiella, Monte Maio, il bastione meridionale della linea Gustav nella valle del Liri, Ornito, Angello, Acino, Faggeto, Monte Ceschito, Monte Feuci, Monte Cairo, Girofano, Ceresola, Fammera, la Bastia, Siola, Cassino. Essi sono inscritti del loro sangue nel libro della Storia. La gloria, però,è stata insozzata dal comportamento bestiale dei soldati marocchini, appartenenti al Terzo Corpo d’Armata francese, del quale  fecero le spese moltissime donne che si trovavano sui monti, sottoposte da questi seovaggi a turpitudini e a strazi inenarrabili.  Qualcuno disse, a tal proposito, che Cartagine “era venuta a restituire l’urlo delle sue donne violentate dai legionari di Scipione”; qualche altro li giustificò accampando la fatalità della guerra (“la guerre  est la guerre”) ed anche il “Vae victis”; qualche altro ancorsa ricordò lo “jus vitae et mortis”.

Nin è possibile, e non lo sarà mai, poter compilare un elenco completo delle donne che in queste contrade furono soggiogate dalla libidine e dalla ferocia delle truppe di colore, per il pudore di quelle che subirono l’oltraggio. La responsabilità degli ufficiale francesi, soprattutto dei generali Juin e Guillaume è quanto mai grave di fronte al Tribunale della Storia, visto che nessun tribunale ha giudicato i nord-africani responsabili di tante infamie perpretate in Ciociaria e in tutto il Bsddo Lazio dai cosiddetti “liberatori”, che si resero protagonisti di inaudite crudeltà versop i tedeschi uccisi, come possono attestare alcune persone, che li hanno visti portare, a mo’ di trofei, un collare di orecche, mozzate al nemico. Gli uomini del Corpo di Spedizione Francese, “carne da macello” (i loro ufficiali, che li disprezzavano, avevano poco conto della loro vita), forti del loro numero, “antichi” nel modo di combattere, ebbero la meglio sui soldati della Wehrmacht, rotti dalla fatica ed affamati. Il prezzo di wuella vittoria furono 50 ore di “via libera”, di sacco consentito, diritto di preda alle orde marocchine, alla soldataglia dalla pelle scura e dalla barba caprine, che, vestita dei pittoreschi djellabah rigati, scatenarono un turbine di violenza sadica in terra ciociara e in quella aurunca. Le conseguenze furono, stando a statistiche approssimative in difetto, oltre seimila donne violentate, molte delle quali ancora vivono in quete zone, che risentono ancora del trauma patito bel 1944, della drammatica, sconvolgente esperienza. Nacque allora un triste neologismo, “marocchinate”, per definire lo scempio fatto da queste truppe particolari nelle campagne, su donne e uomini, giovani e vecchi, che dovettero subìre l’onta dello stupro e il contagio di malattie infettive. Si sapeva dell’odissea dei centri ciociari e di quelli aurunci, ma si è steso un velo sulle infamie e sui lutti, in ossequio ai vincitori, che hanno sempre ragione e che possono permettersi tutto, calpestando ogni limite  morale!   

Tutto il mese di aprile 1944 fu consacrato alla preparazione molto minuziosa della grande offensiva che metterà in opera una concentrazione straordinaria di mezzi. Una rete completa di piste per i veicoli è stata tracciata nella montagna. La testa di ponte del Garigliano si è trasformata, di giorno in giorno, in un impressionante arsenale che servirà da punto di partenza all’azione brutale di rottura del fronte tedesco. Tutti quelli che hanno potuto avvicinarsi sono stati colti  dall’atmosfera straordinaria che regna  nella testa del ponte francese.  Non la minima nube. L’aria è dolce. Tutto tace e in questo crepuscolo, che non la finisce di declinare, ciascuno è al suo posto e ciascuno medita sull’ordine del giorno del generale Juin, che è stato diffuso nel pomeriggio.

La notte del Garigliano 22 e 57

Mai, forse, tante persone assieme hanno guardato l’ora al quadrante del loro orologio. La luna non si è levata. Essa non si leverà che alle 23 e 30. La notte è densa. Mezzanotte. Improvvisamente, tutto comincia. Il cielo  è invaso da una luce straordinaria, quasi irreale, in cui il bianco si mescola al’arancione. Questa luminosità prodigiosa ricopre tutto di un chiarore spettrale. La semioscurità è rigata dalle raffiche  di proiettili traccianti tedesche. E come per aggiungere ancora allo spettacolo allucinante, migliaia di obici  illuminanti scoppiano nel cielo, lanciati dai tedeschi, in un fuoco d’artificio infernale, scoppiando interrottamente e gettando il loro colore verdastro. Essi illuminano il suolo, come in pieno giorno, mentre altri bagliori, più accecanti, lacerano la notte omicida : sono i lanciafiamme che bruciano tutto con i loro lanci incandescenti. E per coronare questa notte di inferno, si innalza un poco dappertutto lo spesso fumo  degli obici fumogeni, fumo che sale alto nel cielo in volute lattiginose. E’ come se si assistesse  ad un terrificante avvampare del cielo dando a questo i molteplici colori di un gigantesco incendio. Nello stesso tempo, migliaia di tuoni scoppiavano talvolta su tutto il fronte. Duemila pezzi di artiglieria tuonano senza  sosta. Tutto è rumore e fracasso assordante. E’ il mugghìo prodigioso degli obici, che fanno tremare la natura intera, è il sibilo  particolarissimo  e il ruggito, poi lo scoppio degli obici di mortaio e quello, più subdolo, delle granate. E’ il miagolamento acuto di migliaia e migliaia di rimbalzi di proiettili, è il rombo e il fracasso degli obici che scoppiano e straziano e lacerano  tutto all’intorno, è lo schiocco dei proiettili che schizzano da ogni lato. E’ in  questo scenario, dalla scala inumana, in questo rumore infernale, in questo avvampare allucinante, in cui tutto si lega per gettare il timore e  lo spavento, lo sbigottimento e la paura, in cui  tutto è riunito per spaventare, per sgomentare, terrificare, in questo scenario da spavento, che assomiglia talvolta all’inferno e a quello che potrebbe essere la fine del mondo. In questo scenario di apocalisse, che durerà tutta la notte, le truppe francesi, improvvisamente in movimento, cominciano la loro lunga marcia in avanti. Tutto il Corpo  Spedizionario Francese parte all’attacco. L’offensiva è lanciata ed è come se si vedesse mettersi in modo, nello stesso tempo, la potenza temibile del fuoco e la forza determinante delle volontà tese.

   All’improvviso, su tutto il fronte francese, altri rumori ancora. Sono le grida e le urla dei tiragliatori scatenati, grida che raggeleranno, di terrore, i difensori della linea Gustav, nascosti nei loro rifugi.

Alla sinistra del C. E. F.,costeggiando le truppe del generale de Montsabert, anche gli americani sono partiti fieramente verso le posizioni fortificate di San Lorenzo e di Santa Maria Infante, al fine di permettere ai francesi di attaccare Castelforte. Alla destra del C. E. F,, gli inglesi, con ora il generale Harold Rupert Leofric George Alexander, baronetto inglese dal 1942, attraversano il fiume Rapido senza il minimo ponte e si dirigono verso il corridoio di Cassino. Dappertutto il nemico oppone una resistenza furiosa, Al centro del dispositivo del C. E. F. gli elementi della seconda Divisione di Fanteria  Marocchina si dispiegavano di fronte ai loro obiettivi. Il rumore incessante finisce per assordire. Il cielo è sempre illuminato  dalle migliaia di traiettorie di obici.

Talvolta si produce un silenzio strano, di alcuni secondi, contro ogni attesa, e allora si ode il canto di migliaia di usignoli celati nei boschetti  di olivi selvaggi e di oleandri.

I tedeschi sono inesorabilmente cacciati dalle loro posizioni fortificate  della linea Gustav. Sin dalle prime ore, il Monte Faito è preso, Castelforte occupata. Tuttavia la rottura non è ottenuta dai francesi. Il secondo giorno, dopo un nuovo assalto, sono conquistati dai francesi il Ceresola, il Girofano, poi il Majo e le Feuci, che erano le chiavi del dispositivo tedesco.

Sul Monte  Maio tre dozzine di prigionieri tedeschi piantano un palo di 25 metri di altezza, che regge una gigantesca bandiera francese,  di 30 metri quadrati, che si scorge da molto lontano e che getterà il terrore, l’amarezza e il dubbio nel campo tedesco, mentre  è per i francesi la testimonianza irrefutabile dei loro primi,  grandi successiva sera è diffuso un nuovo ordine del giorno del Comandante in capo del C. E. F., Juin, in cui  si testimoniava il considerevole terreno conquistato, malgrado la resistenza feroce dei tedeschi sul massiccio del Monte Maio, una posizione di un’importanza capitale. Il generale Juin  chiedeva ai suoi soldati di raddoppiare gli sforzi e di vigore.

Il generale Juin aveva persuaso il generale Mark Clark, della V  Armata Americana, che occorreva adottare una manovra da montagna al fine di avviluppare le retrovie lontane di quelli che difendono Cassino e che il C. E. F., con il suo Corpo di Montagna, era  molto indicato per questa impressionante manovra attraverso i Monti Aurunci, particolarmente inospitali. Il Monte Maio  sarà, dunque, preso, malgrado le difficoltà di un terreno spaventevolmente tormentato, malgrado le casematte costruite in calcestruzzo, che sputano un fuoco potente, malgrado i lanciafiamme  automatici, malgrado le mine che pullulano, i francesi avanzano sempre. Per oltrepassare la linea Hitler, il generale Juin lancia nel Petrella ( 1.535 m. ), reputato insuperabile, i 9.000 goumiers del C. E. F., mentre, più a nord, le truppe francesi, in uno slancio irresistibile, raggiungono le pendici scoscese della falesia del Flammera, difesa naturale dei Monti Aurunci, che i tedeschi considerano imprendibile. Nessun ostacolo ferma queste truppe. E’ la presa del Monte Revole (m. 1.2859. Il 17 i tedeschi abbandonano precipitosamente il caposaldo di Esperia e la posizione-chiave di Pico. Il 18 Sant’Oliva è presa e sorpassata.  Quel giorno, anche, mentre le truppe francesi sono a 20 chilometri dalla loro base di partenza, i paracadutisti tedeschi che difendono Montecassino abbandonano le rovine del monastero. Essi, che sentono il pericolo, moltiplicano l’invio di rinforzi di fronte alle truppe francesi.  Spingendosi sempre in avanti, progredendo da cresta in cresta, da picco in picco, le truppe di colore conquistano, gli uni dopo gli altri, tutti i centri di resistenza che segnano la strada di Roma e sbarrano le valli incassate che conducono verso il nord.E’ la presa di Lenola, il 24,  quella di Vallecorsa, il 25, quella di San Giovanni Incarico. La truppa francese, sui Monti Aurunci, travolge tutto conquistando Ausonia, Esperia, Sant’Oliva, Castelforte, Santa Maria Infante, Lenola, Vallecorsa. Il formidabile materiale “alleato”, liberato dal varco francese, dilaga nella rasata campagna. Le porte di Roma sono forzate.

 Prima di chiudere questo testo, è indispensabile dare il bilancio  francese di questa cruenta campagna d’Italia, che è durata sei mesi, con, in partenza, un effettivo di 120.000 uomini. Da notare che la maggior parte di queste perdite  lo è stato durante i ventitre giorni della notte più lunga, quella del Garigliano, nel maggio del 1944.   Uccisi : 389 ufficiali, 974 sottoufficiali, 5.888 uomini di truppa, per un totale di 7251 uccisi. I feriti furono 29.913, di cui molti sono morti o moriranno negli ospedali in retrovia. Al numero bisogna aggiungere gli scomparsi, 4.201, di cui i due terzi devono essere considerati morti. Il totale delle perdite è , dunque, di 41.365 uomini.

Alfredo Saccoccio

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