Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

La politica della “via nazionale”

Posted by on Ago 10, 2024

La politica della “via nazionale”

La parola “indipendenza” s’intende come un libero esercizio di sovranità e di autogoverno totale di un popolo nella gestione della sua politica interna, estera, economica, commerciale, fiscale e culturale. Tutti i popoli che ottennero la propria indipendenza, dopo anni di colonialismo europeo e di sacrifici, non ebbero quello che avevano sperato di avere: subito venivano manipolati dai propri governi fino a divenire vittime, senza vedere il completo soddisfacimento delle loro esigenze.

Questi governi hanno avuto l’indecenza di sottoporre la gestione dell’economia e della politica a vari personaggi famosi, in cui la maggior parte erano impopolari e cambia casacca pur di non essere puniti dei crimini da loro commessi e di non voler perdere i propri interessi personali. Purtroppo nelle rivoluzioni e nelle guerre d’indipendenza si verificò ripetutamente questa ingiustizia, all’insaputa dei popoli e, soprattutto, a causa della presunta e sospettata complicità dei movimenti rivoluzionari e partiti di opposizione. Se i cosiddetti “Padri della Patria” ed gli “eroi nazionali” (ovviamente quelle tra virgolette si riferisce a coloro che sono stati egoisti e tiranni nei confronti di uno o più popoli)  avevano così tanto auspicato la sovranità del popolo alla propria terra di appartenenza, allora i loro successori dovrebbero chiedersi il perché hanno venduto il proprio popolo alla sua élite o ad una Potenza straniera neppure se esso fosse una merce, tradendo e andando contro sia ai suoi ideali etico-morali tradizionali sia al vigente diritto internazionale, il quale impone a tutti gli Stati il rispetto dell’indipendenza e dell’uguaglianza dei popoli oltre ad essere un principio antico e legittimo dal 1648, quando la Pace di Westfalia fece concludere la Guerra dei Trent’anni tra cattolici e protestanti. La rabbia dei popoli sta nel fatto che si sentono particolarmente offesi di vedere calpestati i suoi diritti e la sua indipendenza nazionale dalle politiche dei suoi governi e dall’ingerenza straniera delle multinazionali e di alcuni Stati, tra cui quello americano. Però stessa cosa accade anche in Oriente, ma il tema principale trattato in questo articolo non riguarda solamente il problema della diplomazia divenuta ostaggio della rivalità tra Stati Uniti e Russia per determinate situazioni eccezionali, tra cui la Guerra ucraina, poiché intende occuparsi sul concetto di “via nazionale” e la sua applicazione nella politica. La parola “via nazionale” non deve essere confusa con le indicazioni stradali facenti parte del processo di urbanizzazione di una determinata città (ossia la via dedicata ai fatti storici e ai personaggi di fatto benvoluti da un popolo) perché essa si basa sulla valorizzazione dell’identità nazionale e la sua conciliazione con i pensieri politici e processi di cambiamento utili per il miglioramento delle condizioni di un popolo. Questo concetto rappresenta la soluzione principale per evitare che un popolo subisca altri pesi fiscali, la povertà, la dittatura e le manipolazioni ideologiche. Su quest’ultimo punto va detto onestamente che il pluralismo politico, anch’esso “auspicato” dalle élite occidentali e dagli Stati Uniti, non si attiene ai suoi limiti etici quando svolge il ruolo di rappresentanza nazionale per il suo popolo, con la conseguenza di affrontare gravi rischi che porterebbero alla Nazione una serie di momenti di caos politico-economico e sociale, come avvenne in Albania nel 1997. Il limite etico che deve essere previsto e imposto ai partiti politici consiste nel far prevalere moralmente i doveri anziché i piaceri personali e ideologici, secondo i dettami giuridici romano-cattolici. In altre parole i partiti politici devono avere meno desiderio di potere e lucro e più propensi alla realizzazione dei fini previsti dai loro programmi che siano veramente vicini alle esigenze comuni del popolo di appartenenza, quindi sarà inutile l’accusa occidentale che tale pensiero appena descritto ostacoli la democrazia perché quel limite etico può rendere la stessa democrazia interamente legittima. La legittimità è il sinonimo di democrazia e non di nostalgia monarchica o reazionaria, in quanto tendente al rispetto dei valori etico-morali della tradizione civile di un popolo, perché senza tradizione un popolo diventa barbaro e manipolabile. Dopo aver descritto il significato del concetto di “via nazionale” si passa a conoscere in quali momenti storici in cui veniva applicato tale concetto nella politica e le sue conseguenze.

Con il passare degli anni molti Stati si impegnarono a salvaguardare l’indipendenza del proprio popolo dalle guerre e dai domini stranieri, pur impegnandosi a far crescere e modernizzare la sua economica e la società civile stessa, anche se tra l’Ottocento e il Novecento la teoria razzista del positivismo e la tirannia d’élite dettero la libertà alle Potenze europee di intraprendere una politica colonialista e imperialista nei confronti dei popoli per motivi economici e politici, a cominciare dall’Inghilterra che, oltre nell’aver usato la repressione contro gli indiani e gli irlandesi per la loro lotta dell’indipendenza e dopo aver preso parte ad un chiaro complotto massonico contro gli Stati cattolici legittimi (in particolare le Due Sicilie), iniziava a minacciare la legittimità dell’Impero cinese per il traffico dell’Oppio, un prodotto considerato molto utile per il commercio britannico. Gli inglesi non erano gli unici colpevoli per aver recato l’offesa pubblica alla Cina imperiale, benché ne presero parte anche la Francia, l’Impero Giapponese, gli Stati Uniti, l’Impero austro-ungarico, l’Italia sabauda, l’Impero russo e l’Impero tedesco. La Cina imperiale, in quel momento, diventò la prima vittima per eccellenza dell’imperialismo europeo che sarà successivamente imitato dagli Stati Uniti nel secondo dopoguerra sui popoli dell’America Latina e dell’Europa. Imperialismo e colonialismo facevano parte nel pensiero della libertà e della modernità elitario-occidentali, provando ad oscurare i suoi crimini commessi ai danni dei popoli divenuti vittime e tale ciò ha portato al risveglio dei loro sentimenti nazionali e antimperialisti, sia di sinistra sia di destra. Però l’imperialismo non è stato solamente europeo ma divenne, ben presto, anche ideologico a causa della nuova divisione sviluppatasi con la fine della Grande Guerra tra il mondo occidentale-parlamentare sotto l’influenza americana e il mondo comunista guidata dalla Russia sovietica fino alla sua conclusione nel 1989-1991. Essere neutrali non è stato una mossa molto facile per molti governi desiderosi di essere autonomi nel campo della diplomazia e della politica interna perché prima e poi dovettero affrontare una serie di conseguenze a causa della loro ribellione contro la nuova forma di imperialismo. Eccone gli esempi principali che contribuirono ad attuare la politica della loro “via nazionale” pur di pagare, alla fine, un prezzo alto.

In Europa lo Stato delle Due Sicilie, l’Impero austro-ungarico e la Confederazione tedesca rimasero coinvolti nella rivoluzione del 1848 mossa dalle insurrezioni nazionaliste dei popoli, dietro però la spinta delle nuove élite composte dai grandi proprietari terrieri divenuti liberali e massonici pur di tutelare i propri popoli. In particolare i nazionalisti ungheresi si scontrarono con i rumeni, i quali si schiereranno a favore degli Asburgo, favorendo la vittoria della dinastia austriaca sulle forze ribelli nazionaliste e ottenendo un maggiore spazio di autonomia. Gli Asburgo, in quanto sovrani di quell’Impero, assunsero la figura di un Capo dello Stato in quanto garante dell’unità multietnica dei popoli slavo-europei in nome dei precetti morali cattolici e imperiali (tale modello di multiculturalismo sarà condiviso prima dal panslavismo e dopo dal comunismo jugoslavo di Tito). Stessa cosa avvenne nella Germania confederata prima che finisse nella sfera di influenza prussiana che si affermò nel 1871 sotto la guida del cancelliere liberale Bismark. Le Due Sicilie, a differenza dei due Stati europei citati, dette l’esempio di buon governo, di tutela della propria indipendenza e di buona amicizia (“amici di tutti e nemici di nessuno”) di fronte alle ingerenze delle Potenze europee, ma l’Inghilterra temeva che il nostro Stato legittimo e non straniero possa diventare più potente nel Mediterraneo e per tale motivo ebbe una forte preoccupazione di vedere il suo imperialismo essere minato da quello Stato italico che gli stessi politici britannici si divertirono a calunniarlo come “papista” o, molto peggio, “una negazione di Dio eretta a sistema di governo”. Eppure gli americani sarebbero stati capaci di lanciare l’accusa calunniosa di “comunismo” contro i governi latino-americani democraticamente eletti, offrendo più potere ai militari che insanguinarono la penisola tra gli anni Cinquanta e anni Novanta sotto la protezione “democratica” del governo americano. Nonostante ciò, le Due Sicilie ebbero la fortuna di essere governate dai sovrani illuminati, in particolare Ferdinando II di Borbone che, manifestando un profondo attaccamento alle radici nazionali, promosse le riforme non solo per migliorare l’economia e le esigenze dei sudditi siculo-napolitani ma soprattutto per privilegiare l’indipendenza dei due popoli mediterranei. La politica ferdinandea duosiciliana attuò la sua particolare “via duosiciliana alla modernità” intesa non per ostacolare il processo della modernizzazione ma proprio per conciliarla con le esigenze nazionali dei siciliani e dei napolitani. Tale esempio di autogoverno venne intrapreso dallo Stato Pontificio, dal Granducato di Toscana, dal Ducato di Modena e Reggio e dal Ducato di Parma e Piacenza, eccetto il Regno di Sardegna dei Savoia che divenne serva dell’Inghilterra, riuscendo a condurre la sua campagna di espansionismo politico-militare sui popoli italici in disprezzo del diritto internazionale. La salvaguardia dell’indipendenza nazionale era molto fortemente supportata dalla politica duosiciliana in tal modo che i due popoli della Sicilia e della Napolitania non vivessero nella povertà e nella schiavitù, cosa che purtroppo avverrà solamente con l’avvento del colonialismo sabaudo tacciato dalla storiografia coloniale padana come “Unità d’Italia”.

Il secondo esempio si può collegare all’evoluzione storica dei seguenti paesi dell’America Latina: Cuba, Nicaragua, Argentina, Guatemala e Bolivia. Cuba è stata soggetta dell’imperialismo americano dal 1898, l’anno in cui la Spagna venne sconfitta dagli Stati Uniti, e ha subito danni economici a causa della dipendenza della classe dirigente dall’influenza americana interessata a soddisfare solamente il suo commercio, favorendo di conseguenza lo sfruttamento lavorativo, latifondismo e repressione politica. Tutto ciò comportò un forte sentimento di indifferenza dei cubani, portando allo scoppio della rivoluzione antimperialista del 1959 che pose fine alla dittatura di Fulgencio Batista e alla proclamazione del regime comunista di Fidel Castro, il quale, sebbene appoggiato dall’Urss e dalla Cina popolare, si impegnò a inaugurare la sua via cubana al socialismo, privilegiando il nazionalismo del suo antenato martire José Marti. Cuba, grazie a tale politica di comunismo nazionale, ebbe una rinascita economica, nonostante che viene attaccata duramente dagli Stati Uniti per le condizioni dei diritti umani e rimane attualmente vittima di un possibile colpo di Stato ad opera di Washington. Anche Nicaragua ha avuto tale privilegio, dove tra il 1961 e il 1979 il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, ispirandosi al pensiero di socialismo nazionale del martire Augusto Sandino, condusse la sua guerra di liberazione contro la dittatura filo-americana di Anastasio Somoza Debayle fino all’instaurazione del regime socialista moderato sotto la presidenza di Daniel Ortega che emanò le riforme economiche e sociali ma incontrò una dura resistenza terroristica degli Usa che assoldò i Contras per commettere stragi sul popolo nicaraguense fedele al nuovo regime sandinista. La rivoluzione sandinista terminò nel 1990 con la vittoria elettorale dell’Unione Nazionale d’Opposizione di Violeta Chamorro, appoggiato dagli Stati Uniti, con la volontà di cancellare il “comunismo sovietico” presente in Nicaragua anche se in realtà non era così. In Guatemala si verificò la rivoluzione nazionale avvenuta tra il 1944 e il 1954 iniziata con la deposizione del dittatore filo-americano Jorge Ubico e l’instaurazione del nuovo regime legittimo di Juan José Arévalo prima e di Jacobo Árbenz Guzmán poi che emanarono numerose riforme, ma anche qui gli americani non intendevano rinunciare alla loro United Fruit Company che rischiava di essere nazionalizzata e di vedere molte terre incolte dei grandi proprietari terrieri pronte per essere vendute dallo Stato con lo scopo di redistribuirle ai contadini ingiustamente sfruttati. Così il 18 e il 27 giugno 1954 la CIA supportò l’esercito clandestino e terroristico anticomunista di delinquenti guatemaltechi con aerei e le navi militari, intimidendo l’Esercito guatemalteco e il presidente Árbenz a non resistere e furono costretti ad arrendersi, permettendo agli americani di eleggere come presidente il militare Carlos Castillo Armas che guidò il Paese in modo violento e brutale, scatenando una nuova guerriglia di sinistra rivoluzionaria e liberal-democratica che si concluse nel 1996. Lo stesso avvenimento storico si sviluppò anche in Bolivia quando nel 1952 ebbe origine la Rivoluzione nazionalista condotta dal Movimiento Nacionalista Revolucionario (MCR) di Victor Paz Estenssoro e Hernán Siles Zuazo volta a stabilire il suffragio universale, la nazionalizzazione delle miniere di stagno e una nuova riforma agraria, mettendo fine al secolare feudalismo e alla schiavitù contadina. Purtroppo l’esperienza rivoluzionaria boliviana si interruppe nel 1964 quando un colpo di Stato filo-americano depose Paz Estenssoro dalla carica di presidente per affidarla al militare René Barrientos Ortuño, il quale sarà responsabile sia dell’omicidio di Che Guevara compiuto segretamente dai militari boliviani il 9 ottobre 1967 dopo il fallito tentativo di dar origine una nuova rivoluzione latino-americana contro l’imperialismo americano sia della protezione dei spietati criminali nazisti che ottennero cariche pubbliche, tra cui Klaus Barbie che verrà estradato in Francia nel 1983. Soltanto in Argentina la via nazionale alla democrazia venne applicata attraverso la legalità popolare grazie alla figura di Juan Domingo Perón che dal 1943 diventa Ministero del Lavoro e della Previdenza dopo il colpo di Stato militare appena compiuto ma una volta viene eletto presidente nel 1946 emanò le riforme basate sulla salvaguardia dell’economia nazionale argentina, sulla tutela dei lavoratori e sulla fusione tra capitalismo e comunismo per sfidare il bipolarismo americano-sovietico della Guerra Fredda. La dottrina del peronismo ha permesso all’Argentina di resistere alle divisioni ideologiche e alle ingerenze degli Stati Uniti, i quali, come al solito, si adoperarono a rovesciare il suo governo attraverso un colpo di Stato nel 1955 costringendolo ad esiliarsi per poi fare ritorno nel 1973 che divenne presidente fino alla sua morte avvenuta nel 1974, ma la sua mancanza permise agli americani di poter prendere l’avvento in Argentina riuscendo ad organizzare un nuovo colpo di Stato nel 1976 inaugurando una sanguinaria dittatura che si concluse nel 1983. Questi processi di applicazione della politica della via nazionale si attennero ai due valori etici presenti in America Latina: la solidarietà (nell’ambito cattolico) e il comunitarismo (nell’ambito tradizionale) che favorirono l’unione tra socialismo e cattolicesimo all’interno dei loro nazionalismi.

Un altro esempio è in Africa, dove il Congo e il Burkina Faso furono governati dai leader che si sacrificarono a difendere l’indipendenza dei loro popoli dalle ingerenze europee e occidentali. In particolare in Congo dove Patrice Lumumba, in qualità di Primo ministro, promosse la politica di nazionalizzazione delle compagnie petrolifere belghe senza aspettarsi che il Belgio e l’Occidente gli fecero pagare il prezzo molto alto: subito la regione congolese di Katanga si staccò dal nuovo governo di Lumumba autodichiarandosi come Stato del Katanga tra il 1960 e il 1963. Lumumba non riuscì a salvare l’unità del Congo poiché verrà assassinato dai mercenari del Katanga nella notte del 17 gennaio 1961 e la sua morte causò lo scoppio della crisi del Congo conclusasi nel 1965 ma lo stesso Stato africano dovette attraversare la dittatura di Mobutu Sese Seko fino al 1997 quando veniva ripristinato il suo titolo legale di “Repubblica Democratica del Congo”. Il Burkina Faso divenne famoso per la memoria di Thomas Sankara, rivoluzionario militare e presidente dal 1983 al 1987 che si sacrificò a prendersi cura della sua Nazione dal neoimperialismo anglo-franco-americano anche attraverso una serie di denunce sporse davanti alla riunione dell’Unione Africana. Le sue riforme attuate a favore della stragrande maggioranza della popolazione e dei ceti poveri contribuì ad affermare moralmente la legittimità del governo di Sankara ma causò il suo assassinio avvenuto nel 1987 per mano traditrice del suo compagno amico Blaise Compaoré. Questi due leader martiri dell’indipendenza dei loro popoli, giusto per citare, mostrarono davanti al mondo intero che l’Africa può difendere e tutelare la sua cultura e le sue identità nazionali, combattendo il neocolonialismo e neoimperialismo europeo e occidentale.

Tale obiettivo venne adempiuto anche in Asia e nei paesi arabi. In Asia la Cina imperiale, come già detto prima, è stata la prima vittima dell’imperialismo europeo che si affermò tra la prima e la seconda metà dell’Ottocento spinto dalla volontà degli Stati europei di espandere il loro dominio, pur danneggiando la sovranità politica, economica e culturale dei popoli. Quindi la Cina imperiale, in risposta a tale crimine internazionale, nel 1839 intervenne nominando un commissario per il controllo dei porti aperti agli europei, provvedendo a respingere le navi britanniche accusate per il traffico illecito dell’oppio che minarono duramente l’economia del paese asiatico. In seguito le continue e illegittime ingerenze economiche delle potenze europee e occidentali, tollerate dagli ingiustificati “trattati ineguali” imposti dagli imperialisti europei e, soprattutto, dall’Impero giapponese, divennero la causa principale della rivolta dei Boxer scoppiata tra il 1899 e il 1901 che non rappresentò la manifestazione di xenofobia, secondo le affermazioni della storiografia occidentale, ma un chiaro sentimento di difesa dell’indipendenza nazionale condotto dall’alleanza tra i combattenti Boxer e il governo imperiale di Cixi, nonostante i problemi sociali ed economici lasciati irrisolti. La rivolta dei Boxer sarà l’erede della rivoluzione Xinhai del 1911 quando la Cina divenne una Repubblica indipendente sotto il pensiero politico del leader Sun Yat-sen, il quale desiderava che il paese fosse più indipendente dall’imperialismo europeo-giapponese ma, in seguito, rimarrà coinvolta in uno scontro ideologico tra nazionalisti di Chiang Kai-Shek e comunisti di Mao Tse-Tung, con la vittoria dei secondi nel 1949 anche se il riformismo di Deng Xiaoping ha permesso la Cina di rivalorizzare la sua identità nazionale. La via nazionale asiatica venne intrapresa in Vietnam, dove il governo nordvietnamita supportò i guerriglieri Vietcong contro la dittatura filo-americana sudvietnamita nella guerra del 1966-1975 per contribuire alla riunificazione nazionale del paese finalmente raggiunto; nella Corea del Nord in cui il leader Kim Il-Sung condusse la sua politica di autosufficienza coreana, nonostante che egli fosse interessato a soddisfare economicamente il settore militare, senza dimenticare il sogno di una possibile riunificazione nazionale con la Corea del Sud tentata prima con la forza militare nei primi anni Cinquanta; in Indonesia il leader comunista Sukarno promosse la sua dottrina politica di “Cinque principi” (Pancasila), dove al suo interno la “democrazia guidata” garantisce il pluralismo partitico e soprattutto l’unione tra nazionalismo, socialismo e l’Islam, che la inserirà nella Costituzione del 1945 ma lo stesso leader venne rovesciato dal generale Suharto, dietro il solito appoggio degli Stati Uniti, in un colpo di Stato nel 1967 per costituire una dittatura anticomunista che la guiderà fino al 1998.

Per concludere, il desiderio di difendere l’indipendenza del proprio popolo non mancò mai nei paesi arabi, dove il nazionalismo arabo rappresentò effettivamente la vera via nazionale per i popoli musulmani, compresi quelli che subirono la colonizzazione europea. In Egitto il nazionalismo arabo si scagliò duramente prima contro i colonialisti inglesi e poi contro la dinastia dei Fu’ād, anch’essa filo-britannica, nei cui confronti si organizzò la rivoluzione egiziana del 1952 da parte del Gruppo dei Liberi Ufficiali che la deposero per salvare l’Egitto dalla dominazione coloniale europea. Nello stesso anno divenne presidente Gamāl ‘Abd al-Nāşir Ḥusayn o Nasser, promuovendo una serie di riforme legate al socialismo arabo inteso a proteggere l’indipendenza del paese, a cominciare dalla nazionalizzazione della Compagnia del Canale di Suez, i cui proprietari Francia e Inghilterra si opposero militarmente con la minaccia di attaccare l’Egitto, ma l’intervento americano-sovietico sancì la vittoria di Nasser, diventando un altro simbolo di riscatto dell’identità araba. Tale valore identitario arrivò a basarsi sul supporto della resistenza del popolo palestinese contro il sionismo estremista dell’Israele e sulla costituzione della Repubblica Araba Unita, fondata nel 1958 e caratterizzata da un forte nazionalismo panarabo condiviso dall’Egitto, dalla Siria e dall’Iraq, dove quest’ultimi paesi iniziò a reggersi la dottrina del Ba’thismo che consistette alla realizzazione della società araba laica e non atea e, soprattutto, sulla fusione tra socialismo e nazionalismo. Quest’era del risveglio arabo ebbe un inizio e ha avuto una fine non tanto positiva, con la morte di Nasser nel 1970 e l’intervento militare dell’Occidente e dei suoi alleati in Iraq nel 2003 che deposero Saddam Hussein, sancendo l’affermazione del terrorismo islamico grazie all’occupazione militare e illecita americana.

Tali momenti storici citati e vissuti da tutti questi paesi che, mediante i loro ideali nel rispetto dei propri popoli e nonostante i loro numerosi problemi interni, li confessarono e li praticarono per opporsi ai tentativi di ingerenza e di imperialismo di ogni Stato straniero e dell’Occidente stanno a significare che la politica della via nazionale non sarebbe una scelta errata, bensì può e deve garantire al popolo di appartenenza benessere e tutela dei suoi diritti e delle sue libertà, prevedendo per dovere i limiti etici riservati al suo governo e alle sue istituzioni in tal modo che la legittimità e l’indipendenza siano salvaguardati dalle leggi giuste e dal diritto internazionale.

Antonino Russo

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.