La strage di Torino e la politica repressiva del Regno d’Italia (prima parte)
L’architetto Loreto Giovannone, ricercatore indipendente, dilettante, non legato al mondo neoborbonico, con Miriam Compagnino è autore dei libri “Italiani” (2013) e “Deportati” (2014) dove, con l’ausilio dei documenti d’archivio, è ricostruita la prima deportazione in massa di civili della storia d’Europa moderna e contemporanea. In questo suo articolo illustra le “malefatte” di Silvio Spaventa come Segretario del ministero dell’interno, retto da Ubaldino Peruzzi, nel settembre 1864 a Torino (m.j.).
Il baratro della cultura storica. – Cento anni dopo la dichiarazione del Regno d’Italia, iniziò un processo lento ma irreversibile che ha messo una parte della storiografia ufficiale fuori dall’ambito etico e morale. Gli studi storici sul Risorgimento uscirono fuori dall’accademismo e della propaganda del regime liberale, alcuni ricercatori indipendenti, senza titoli accademici specifici, iniziarono a consultare i tanti archivi storici e le biblioteche sparsi nella penisola.
Indipendenti dalle Università e dalla politica, iniziarono un lungo lavoro, non sempre dal risultato di qualità, tuttavia tale da far emergere la “verità” storica sul Risorgimento, a suo tempo seppellita dalla versione ufficiale, dai programmi scolastici e dalle politiche pedagogiche ministeriali.
Questo movimento di storici dilettanti ha talmente spinto le ricerche nelle fonti documentali da portare negli ultimi anni la “versione ufficiale” presso che al collasso. Nell’immediato futuro il Risorgimento sarà una grave voragine della storia d’Italia, un buco nero nella storia politica e civile di un paese unificato ma mai realmente unito, diviso e socialmente discriminato nell’annesso sud.
La maledizione della verità storica manipolata e negata da accademici compiacenti ha colpito gli oltranzisti oramai arroccati su se stessi. Accademici sempre pronti a veicolare la cosiddetta “versione ufficiale” e ad “escludere” dai testi la verità principale del Risorgimento: la tragica e feroce guerra per annettere le popolazioni civili resistenti nel sud dopo la fine del Regno delle due Sicilie.
La politica di repressione messa in atto dal Ministero dell’Interno colpì ciecamente anche la capitale con la strage di Torino del 21-22 settembre 1864, cinquantadue morti, centottanta feriti, secondo la versione più comune.
Da ricercatore dilettante di storia dell’Unità italiana “meridionale”, frequentatore di archivi storici, aggiungo che sono molte le pagine ‘scomode’, ed anche il sangue sparso al sud del paese dal 1860 in poi sono tante pagine decisamente ‘nere’ del Risorgimento, anch’esse rimosse dai libri scolastici e dalle coscienze di intere generazioni.
La storiografia ufficiale, attraverso una massiccia opera di propaganda svolta nelle scuole, nelle accademie, nelle università raccontava allora, e veicola tutt’ora, falsi storici oramai accertati ed incontrovertibili. I meridionali, alcuni meridionali, aderirono alla causa liberale passando al servizio della propaganda contribuendo ad oscurare la verità storica. De Sanctis, Settembrini, Villari, Croce, studiosi e storici con un impiego in parlamento o al ministero, insieme ad altri furono consapevoli, attivi, partecipi della propaganda.
La politica repressiva ideata da Silvio Spaventa nei primi governi unitari.- Silvio Spaventa, ex cospiratore contro i Borbone condannato all’esilio insieme a Luigi Settembrini ed altri, fuggì dall’esilio con il “piano inglese” del dirottamento dell’imbarcazione ad opera di Raffaele Settembrini (figlio di Luigi adottato in Inghilterra da Antonio Panizzi), a bordo dell’imbarcazione diretta per le Americhe.
Silvio Spaventa, rientrato nel regno di Sardegna, il 25 dicembre 1862 scriveva al fratello Beltrando per informarlo dei cambiamenti di cui era artefice e partecipe: Quanto al brigantaggio, ci ho un piano e spero riuscirà. È stato sottomesso al giudizio di Lamarmora. Il Ministero [dell’Interno] sarà riformato. Entreranno tre capi di divisione napoletani: andranno via due capi di divisione piemontesi e quattro o cinque di sezione, che sono quelli che formano il nucleo della camorra subalpina. Abolirò le direzioni generali, salvo quella delle carceri per ora, che sono il mezzo più potente a cui la burocrazia sia giunta ad essere, e si mantenga, quasi indipendente dai Ministri. Tutte queste cose sono già deliberate; ma non vedranno la luce prima della fine dell’anno. Contemporaneamente avrà luogo un movimento di prefetti, nel quale vedremo di ricollocare parecchi napoletani. I sottoprefetti verranno dopo, ed appresso i consiglieri di prefettura. Ti confido tutte queste cose con grande riserbo. Non ci è cautela che basti a premunirsi dall’inimicizia e sospetto che noi ispiriamo alla burocrazia di questo paese: dunque bada [Beltrando]. Quanto alla mia rielezione [a segretario del ministero Interni] ho piuttosto buone nuove… Ho visto il Re ed a lungo ho parlato un ora e quarto con lui. Egli mi accolse nella più grande cordialità.
L’azione di Spaventa al Ministero dell’Interno fu immediata. Con r. d. 9 ott. 1861, n. 255, era stata istituita presso il ministero dell’interno la direzione generale di pubblica sicurezza, retta da un direttore generale e articolata per lo svolgimento dei servizi in due divisioni: una per il personale e una per la polizia amministrativa e giudiziaria.
[Con l’approvazione del piano Spaventa], Con r.d. 4 gennaio 1863, n. 1194, la direzione generale venne soppressa e le funzioni di pubblica sicurezza furono svolte dalle due divisioni alle dirette dipendenze del segretariato generale. (http://search.acs.beniculturali.it/OpacACS/guida/IT-ACS-AS0001-0001650)
Il piano Spaventa prevedeva l’introduzione selettiva e mirata negli apparati di governo, negli alti ranghi amministrativi, di meridionali fedelissimi al nuovo regime Sabaudo, gli esuli, ex oppositori alla monarchia borbonica, Spaventa, Settembrini, Pica, Poerio, Castromediano…
Una parte della borghesia meridionale trovò impiego, ruolo e carriera nei ranghi dei nuovi apparati dello Stato unitario. Gli esuli fuggiti in Inghilterra a partire dal 1860 entrarono in parlamento e negli apparati ministeriali dello stato sabaudo saldamente in mano al re Vittorio Emanuele.
Il toscano Ubaldino Peruzzi, Ministro dell’Interno e l’abruzzese Silvio Spaventa, segretario generale, sono in carica a Torino nei due giorni della sanguinosa strage di Torino.
Il peso politico inesistente del ceto meno abbiente nel Piemonte preunitario è testimoniato dal rapido seppellimento dei morti in una fossa comune e la loro
provenienza dal ceto più povero è asserita dalla Camera dei Deputati: “Le famiglie di queste vittime sono per la più parte poverissime
L’appello del sindaco Rorà è generico e non aiuta a capire se la reale motivazione della manifestazione fosse lo spostamento della “capitale”, l’auspicio finale del suo appello, “confidiamo tutti che il parlamento salverà l’Italia”, verte su tutt’altra motivazione, quella di “salvare l’Italia”, non la capitale. Da sottolineare anche la presenza in piazza di soggetti venuti da fuori città.
Tutti questi indizi inducono a porsi due domande:
– Perché tante persone appartenenti al ceto povero manifestassero in piazza solo per il trasferimento della capitale di cui difficilmente avrebbero compreso il reale significato politico?
– Era necessario sparare o usare baionette e sciabole su una folla di civili inermi comprese donne e minori?
Loreto Giovannone
storia.italia@yahoo.it
(Fine della prima parte – continua)
“Pubblicato su Civico20 News (Torino) in data 25.09.2017”