Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

La tragedia di Sorrento (13 giugno 1558)

Posted by on Set 14, 2021

La tragedia di Sorrento (13 giugno 1558)

Lo storico Amato di Montecassino narra che Salerno fu assediata dai Saraceni intorno al 1016 e che fu liberata da quaranta guerrieri normanni di ritorno da un pellegrinaggio a Gerusalemme.

Agli inizi dell’anno mille, infatti, i Saraceni aggredivano regolarmente le navi e i paesi cristiani costieri dell’Italia meridionale per saccheggiare[1], rapire gli uomini, le donne e i bambini e venderli come schiavi sui mercati nordafricani o turchi.[2] Nel 1500 le incursioni[3] dei corsari saraceni,[4] barbareschi[5] e turchi[6] si fecero più frequenti e feroci lungo le coste del Regno di Napoli tanto da indurre il viceré di Spagna a Napoli a costruire un sistema difensivo di torri lungo circa due chilometri di coste. I corsari musulmani attaccavano le navi commerciali in navigazione lungo le coste del mar Mediterraneo per rubare le merci e catturare i marinai. Sbarcavano con moltissime navi sulle spiagge e aggredivano i paesi costieri per razziare e catturare gli abitanti, che erano venduti come schiavi a Costantinopoli o nei paesi nordafricani. I corsari si spingevano verso l’interno fino a venti chilometri dalla costa per cercare casali[7] da razziare e cristiani da far prigionieri, che a piedi, legati gli uni agli altri, carichi delle loro stesse merci, conducevano verso il punto di approdo dove li attendevano le navi.

Gli uomini catturati erano perlopiù utilizzati come rematori sulle galere. Le donne e i bambini erano venduti come schiavi. Le ragazze più belle andavano ad aumentare gli harem[8] dei prìncipi arabi. Sovente la liberazione degli schiavi cristiani avveniva dietro il pagamento di un riscatto. Algeri era la capitale dei corsari musulmani. L’imperatore Carlo V[9] per porre fine agli attacchi dei corsari sulle coste del Mediterraneo sbarcò nel 1535 con una flotta di quattrocento navi nel porto di Tunisi nei pressi dell’antica Cartagine, e dopo un’aspra battaglia il re di Tunisi Mohammad Hassan si arrese. Tunisi fu liberata ma il re soddisfatto dalla vittoria riportata e per mancanza di soldi non continuò la guerra contro i Turchi e si ritirò in Sicilia, dove fu festeggiato con una solenne cerimonia. Ben presto i corsari ripresero le loro scorrerie[10] nel Mediterraneo e per difendere la Sicilia furono costruite numerose fortificazioni lungo le coste. Nel 1541, per distruggere le basi da cui partivano le navi corsare, fu organizzata una spedizione contro la città di Algeri ma la flotta cristiana fu distrutta da una tempesta e l’esercito, rimasto senza cibo, fu costretto a ritirarsi. A quel tempo era re di Algeri il famoso Arudj Barbarossa, che nel maggio 1543 con 150 navi da guerra assediò e incendiò Reggio (Calabria), poi su invito dei Francesi conquistò Nizza. Barbarossa dopo essere stato gratificato dal Re di Francia con 800 mila ducati fece ritorno a Costantinopoli. Durante il viaggio di ritorno saccheggiò e distrusse Porto Ercole in Toscana, alcuni paesi dell’isola d’Ischia e di Procida, Pozzuoli, “Carreoto” e Lipari. Catturò circa 7000 abitanti, che rinchiuse nelle irrespirabili stive delle galere. Molti cristiani morirono di fame, sete e dolori durante il viaggio e furono gettati morti o morenti in mare. Barbarossa giunse a Costantinopoli nel1547 e dopo alcuni giorni di malattia morì all’età di ottant’anni.

A quel tempo la navigazione nel Mediterraneo era detta per cabotaggio, ossia “a vista”. La costa, infatti, era un punto di riferimento e non era mai persa di vista dai naviganti. Le navi corsare si nascondevano negli anfratti[11] delle coste, nelle insenature[12] o dietro i promontori[13] e assalivano le barche dei pescatori e le navi mercantili soprattutto durante la stagione primaverile e estiva, quando i commerci erano più frequenti. Le imbarcazioni corsare più comuni erano le fuste, una piccola galera leggera e veloce, con bordo basso e numerosi rematori, fornita di un albero centrale con vela latina triangolare, armata con due o tre pezzi di artiglieria a prua e le galere.

Il 13 giugno del 1558 ci fu un’aggressione saracena nel golfo di Napoli che spinse il nuovo viceré di Napoli, don Pedro Afan De Ribera,[14] a dare inizio a un grande progetto di protezione delle coste. Una flotta di 120 navi turche, proveniente da Costantinopoli, si fermò durante la notte sulla spiaggia di Nerano o Marina del Cantone.[15]

Sbarcarono circa 2.000 corsari, che alla luce della luna piena si avviarono con passo rapido e sicuro su per i pendii del promontorio alla ricerca di casali[16]; qualcuno che conosceva bene quei luoghi li guidava. La flotta si divise in tre gruppi, quaranta navi approdarono all’alba ai piedi di Massa Lubrense e altre quaranta sulla spiaggia di Sorrento. Gli abitanti di Massa furono sorpresi nel sonno, quelli che si difesero furono uccisi senza pietà, tutti gli altri, uomini, donne e bambini, furono fatti prigionieri. Quei pochi che riuscirono a fuggire sulle montagne incontrarono i Turchi, che da Nerano, dopo aver razziato i casali e catturato gli abitanti, scendevano verso Massa Lubrense. Narra Gennaro Maldacea[17]:

«I turchi non vi lasciarono cosa alcuna: si presero l’oro, l’argento, le gioie e le stoffe ricche; sturarono le botti di vino, ruppero i ziri[18] dell’Olio e fecero tutto il male che era in loro potere. Fu grandissima la strage e le crudeltà che i Turchi usarono con questi disgraziati Massesi e Sorrentini, giacché oltre de’ schiavi che fecero in numero di quattro mila tra Massa e Sorrento, uccisero ancora molti uomini e donne, e segnatamente i vecchi…; né solo usarono crudeltà contro gli uomini: ma contro ancora degli animali, mentre ammazzarono tutte le vacche che incontrarono, i cani, i muli, i maiali, ecc. di questo terribile eccidio si contaminò l’atmosfera purissima di Massa, in modo che per moltissimo tempo non si poteva respirare…[19]

Quando il sole si alzò nel cielo la città di Sorrento era coperta di cadaveri. Dov’erano le sentinelle, che sulle mura della città dovevano sorvegliare il mare? Eppure gli abitanti di Sorrento sapevano già da alcuni giorni che numerose navi saracene navigavano dal sud verso il nord. Sicuri nella loro città fortificata rifiutarono persino un presidio militare inviato dal Vicerè. Perché nessuno si accorse dell’arrivo delle navi turche? Si dice che fu un traditore, forse un turco, schiavo di una famiglia nobile di Sorrento, ad aprire ai Saraceni le porte della città. Furono catturati tra Massa, Sorrento e i casali dell’entroterra circa 4.000 abitanti, che rinchiusi nelle stive delle galere, addossati gli uni agli altri, furono condotti a Costantinopoli per essere venduti al mercato come animali.

Nel 1480, durante la conquista di Otranto i turchi si spinsero fino a 50 chilometri nell’entroterra della penisola alla ricerca di casali e fecero prigionieri circa 4000 persone che vendettero come schiavi.

Il 25 maggio 1563 tre galeotte turche approdarono sulla spiaggia di Chiaia a Napoli e catturarono ventiquattro persone. Nello stesso giorno gli uomini resi schiavi furono riscattati con il denaro del Viceré e dei Governatori del “Monte della redenzione dei cattivi”. Dopo la tragedia di Sorrento e lo sbarco dei Turchi sulla spiaggia di Napoli, il Viceré di Spagna fece costruire, lungo le coste del Regno, numerose torri di avvistamento e di difesa, distanti tra loro da 500 metri a 2,5 chilometri, secondo le caratteristiche della costa, la presenza di paesi, fiumi, laghi e spiagge. Le torri controllavano il mare, le isole, i promontori, le insenature, i porti e ogni anfratto dove le navi corsare potevano nascondersi e trovare riparo; controllavano anche la foce dei fiumi e le sorgenti per impedire ai corsari di rifornirsi d’acqua durante la navigazione. Per segnalare l’avvicinarsi di navi sospette, i soldati in servizio nelle torri, un caporale e due aiutanti, usavano il fuoco di notte e segnali di fumo di giorno. Le torri erano di due tipi: di avvistamento e di difesa. Le prime rotonde e più piccole furono costruite dove non era possibile lo sbarco dei corsari come le zone rocciose o paludose. Non avevano alcun armamento e si limitavano a segnalare alle torri vicine il passaggio delle navi sospette. Così facendo, in poco tempo tutti i paesi costieri erano avvertiti dell’arrivo delle navi corsare e gli abitanti potevano prepararsi alla difesa o fuggire sui monti.

Le torri di difesa erano poste nei punti più accessibili e adatti allo sbarco come le spiagge. A base quadrata avevano una forma a tronco di piramide ed erano più grandi di quelle di avvistamento. Alla sommità vi era la piazza d’armi, ossia una terrazza con un armamento leggero facilmente manovrabile.

Le torri di difesa erano fornite anche di un cannone petriero, che caricato con schegge di pietra e pezzi di ferro sparava a mitraglia sugli assedianti attraverso le troniere. La canna di questo cannone, dopo essere stata caricata, veniva chiusa con un tappo affinché, inclinata verso il basso per colpire gli assedianti, non perdesse il suo contenuto. Le troniere, dette a spatola, erano aperture, che dalla piazza d’armi guardavano alla base della torre. Attraverso queste aperture i soldati sparavano con il cannone petriero sui nemici, che tentavano di scalare la torre o di penetrare al suo interno. Lo scoppiò del cannone petriero era così rumoroso e distruggente per i nemici, che si sentiva da molto lontano come un fuoco d’artificio e metteva in allarme le torri più vicine e gli abitanti dei paesi circostanti. Per costruire le torri lungo tutta la Costa del Regno di Napoli fu spesa un’ingente somma di denaro, ma in pochi anni le incursioni dei corsari si ridussero fortemente. Alla fine del 1569 erano state costruite 339 torri sulle 400 previste. Fu solo nel 1571, con la battaglia di Lepanto, che fu fermata l’espansione turca in Occidente. Il 7 ottobre, 203 galere e sei enormi galeazze si scontrarono con la flotta turca composta da 208 galere e 73 galeotte. Dopo sette ore di battaglia[20] i Turchi furono sconfitti.

Nel 1741 giunse a Napoli un’ambasceria del sultano di Costantinopoli per confermare il trattato[21] di commercio fatto con il re Carlo di Borbone. Al punto XIV il Trattato stabiliva:

Gli schiavi dell’una, e dell’altra parte, che si ritrovano ritenuti ne’ rispettivi stati del Re delle due Sicilie, e della Porta Ottomana, saranno per somme convenevoli, e moderate de’ rispettivi Deputati a quest’effetto liberati, o vero contraccambiati, si provvederà da ambo le Corti, che dai loro padroni siano con umanità, e carità trattati.[22]

L’ambasciatore Hagi Hussein Effendi con il suo corteo restò a Napoli per un mese e suscitò una tale meraviglia nei Napoletani che i personaggi turchi furono inseriti nel presepio con i loro costumi caratteristici. Giuseppe Bonito,[23] il pittore di Sua Maestà, nel 1742 fu incaricato di eseguire il ritratto dell’Ambasciatore di Tripoli col suo seguito. Le copie dei due dipinti, di cui una è al museo di Madrid, si trovano esposte nella sala del Trono del Palazzo Reale di Napoli.

La schiavitù dei bianchi fu abolita in Turchia e ad Algeri solo nel 1830, quando questa città fu conquistata dai Francesi, e a Tunisi nel 1846.


[1] Devastare, distruggere e portare via tutto ciò che ha valore.

[2] Già nell’884 d. C., i Saraceni avevano incendiato a Cassino il monastero di San Benedetto.

[3] Attacchi, assalti, aggressioni.

[4] Erano Arabi musulmani, che provenivano dall’Africa settentrionale, principalmente da Tunisi, Tripoli, Algeri, Salé e altri porti del Marocco.

[5] Il termine deriva da Berberi (dal francese berbère), ossia abitanti del Nord Africa. Il loro obiettivo erano le navi militari o civili provenienti da paesi europei, che navigavano nel Mediterraneo, e le popolazioni civili dei paesi costieri.

[6] Provenienti dalla Turchia e da Costantinopoli (conquistata dai Turchi nel 1453).

[7] Il casale è un piccolo gruppo di case contadine sparse sui monti o nelle campagne.

[8] Parola turca che indica la casa dove vivevano le donne e i bambini di un prìncipe arabo.

[9] Figlio di Filippo il Bello (figlio dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero) e Giovanna la Pazza figlia del re di Spagna Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia.

[10] Attacchi pirateschi condotti contro i paesi costieri, le navi mercantili e le imbarcazioni dei pescatori.

[11] Luogo stretto, scosceso e tortuoso lungo la costa rocciosa.

[12] Rientranza di un tratto della costa marina.

[13] Tratto montano di costa alta, che si prolunga nel mare.

[14] Nato a Siviglia intorno al 1508, fu viceré a Napoli dal 12 giugno 1559, morì di gotta a Napoli il 2 aprile 1571. Partecipò alla battaglia di Lepanto nel 1571 con navi, uomini i e viveri.

[15] Formata da ciottoli, si trova sulla costiera amalfitana, nel parco di Punta Campanella, in linea d’aria con Massa Lubrense cui appartiene, che si trova sul lato opposto nel golfo di Napoli. (L’immagine della galea è tratta dal libro di Jules Sottas, Les messageries maritimes de Venise aux XIV & XV siécle, Société d’éditions géographiques, maritimes et coloniales, Paris 1938.

[16] Piccolo gruppo di case rurali, ossia di campagna.

[17] Era Segretario di Stato a Napoli nel 1840, ha scritto “La storia di Massa Lubrense”.

[18] Grandi vasi di terracotta (a forma di botte) smaltati con pasta vitrea. Avevano una grossa imboccatura e un coperchio. Servivano a proteggere l’olio dagli sbalzi di temperatura e dalla luce.

[19] Gennaro Maldacea, Storia di Sorrento, vol. II, Stamperia di Matteo Vara, Napoli 1843, p. 154.

[20] I turchi persero tutte le navi, tranne trenta che si posero in fuga, e trentamila uomini; i Cristiani persero dodici galere e 7.800 uomini circa.

[21] Trattato perpetuo di Pace, Navigazione e Commercio concluso fra il Re Nostro Signore, e l’Impero Ottomano; dai rispettivi Ministri in Costantinopoli il 7 aprile dell’anno 1740 (Il documento si trova all’Archivio di Stato di Napoli, Fondo Esteri, fascio 207/I, anno 1758. – Già alla fine del 1400, Federico d’Aragona, dopo la ripresa di Otranto, aveva sottoscritto un trattato di commercio con il Sultano di Costantinopoli.

[22] Trattato perpetuo di Pace, Navigazione, e Commercio concluso fra il Re Nostro Signore e l’Impero Ottomano, Napoli 1740, Per Francesco Ricciardo impressore del Real Palazzo, p. 10.

[23] Fu uno dei maggiori pittori napoletani del ‘700. Le sue numerosissime tele sono di carattere popolare. Fu allievo del grande pittore Francesco Solimena. Nacque a Castellammare nel 1707 e morì a Napoli nel 1789.

Argomenti tratti da:

Vincenzo Giannone, Cronache del Regno delle Due Sicilie, Alelio editore, Scafati 2016

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.