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LA TRAVAGLIATA STORIA E L’INGLORIOSA FINE DEL REGNO VISIGOTO DI SPAGNA

Posted by on Ago 26, 2024

LA TRAVAGLIATA STORIA E L’INGLORIOSA FINE DEL REGNO VISIGOTO DI SPAGNA

Proveniendo dall’Italia del nord i Visigoti sotto la guida di re Ataulfo[1], nel 412 superarono le Alpi attraverso il Colle del Monginevro e si fermarono nell’attuale Provenza combattendo come mercenari prima per l’usurpatore Giovinio, un gallo-romano che tentava di farsi proclamare imperatore, poi contro di lui retribuiti dal prefetto della Gallia Claudio Postumo Dardano. Nel 415 Ataulfo fu assassinato in una congiura di palazzo da Sigerico che ebbe appena il tempo di dichiararsi re prima di essere ucciso da Vallia (o Walia) sette giorni dopo.

Il nuovo re Vallia condusse i Visigoti nella provincia romana detta Aquitania Secunda, il territorio tra la Garonna e la Loira. Essi avevano già dato buona prova  come mercenari e il generale Flavio Costanzo chiese loro di sottomettere i Vandali Silingi e gli Alani che si erano stanziati nella penisola iberica. Conclusa vittoriosamente questa operazione essi ottennero da Flavio Costanzo la qualità di alleati ufficiali dell’impero (foederati), la possibilità di risiedere in quella provincia e 600.000 misure (modia)[2] di grano per il loro sostentamento.

I Visigoti si insediarono in quella provincia con il sistema dell’hospitalitas, dovevano fornire servizio militare per l’impero, conservavano le proprie leggi e non avevano alcun potere sulla popolazione gallo-romana che già vi risiedeva (in realtà poiché loro avevano le armi e gli altri no, alla fine il potere fu loro). Per fornire la terra da coltivare le proprietà terriere dei latifondisti gallo-romani furono suddivise: due terzi destinati alla popolazione visigota, un terzo rimase ai precedenti proprietari mentre le proprietà dei piccoli proprietari non furono toccate. La loro capitale fu stabilita a Tolosa nel 418.

Anche se Vallia reclamava per sé il titolo di re, in realtà i Visigoti erano un insieme di tribù che parlavano la stessa lingua, avevano gli stessi costumi, professavano la religione ariana[3] ed avevano una forma primitiva di governo: il re veniva eletto da un’assemblea di nobili solo in caso di guerra o per condurre una migrazione. I capi delle tribù, che avevano assorbito dal mondo romano le denominazioni di conte (comes) o duca (dux), spesso si combattevano per ampliare i territori di loro competenza ed era frequente che qualche nobile più intraprendente o meno leale organizzasse una cospirazione per deporre il re e sostituirsi a lui. Fare il re dei Visigoti era un mestiere ad altissimo rischio: nei primi 140 anni del regno (410 – 544) dei tredici re otto furono uccisi in una rivolta o in una congiura di palazzo, tre in battaglia e degli altri due la fine non è certa. Erano continui gli episodi di insubordinazione e tradimento “… aliqui factione, aliqui fratricidio, seu parricidio, regni usurpaverant potestatem, successione legitima non servat incanduit ira Dei, et Gothorum gloriam, quam hactenus sustentarat, eiecit a facie maiestatis …[4].

I successori di Vallia occuparono anche l’Aquitania Novempopulana tra la Garonna e i Pirenei e poi la Settimania corrispondente agli attuali Linguadoca e Rossiglione. Attaccati dai Franchi, che cercavano di estendersi verso sudovest, nella piana di Vouillé, vicino a Poitiers, furono pesantemente sconfitti e lo stesso re Alarico II trovò la morte. Furono costretti ad abbandonare le due Aquitanie[5] e riuscirono a mantenere il possesso della sola Settimania. La capitale fu trasferita a Saragozza (Cesaraugusta) poi per un breve periodo (dal 531 al 546) a Barcellona (Barcinona) infine a Toledo (Toletum)[6]. La maggior parte della popolazione si stabilì nella meseta, l’altopiano centrale che era la zona più adatta all’agricoltura; la struttura amministrativa ereditata dall’impero romano fu toccata solo in minima parte e il regno rimase diviso nelle antiche province romane (Tarraconense, Cartaginense, Lusitania, Betica e Galicia) a capo delle quali fu posto un nobile visigoto con il titolo di duca.

Il regno visigoto era continuamente in lotta contro i suoi vicini: Franchi a nord, Svevi a nordovest dove formavano un regno semiindipendente comprendente le Asturie e la parte nord dell’attuale Portogallo, Cantabri e Vasconi (Baschi) arroccati nelle montagne del nord da dove scendevano per rapide incursioni di razzia e poco dopo si aggiunse un nuovo competitore, l’Impero Bizantino. Nel 533 i Bizantini, completata la conquista del regno vandalo nel nordafrica, rivolsero la loro attenzione alla penisola iberica ma non fu intrapresa nessuna iniziativa concreta perché era scoppiato il conflitto con il regno ostrogoto d’Italia. Infatti l’impero dal 535 al 553 fu impegnato nella lunga e logorante guerra greco-gotica che devastò l’Italia. Oltre al conflitto bellico vi fu un’epidemia detta peste di Giustiniano che causò in Italia un numero di decessi superiore al 50% della popolazione.

Nel 550 nella provincia Betica (attuale Andalusia) scoppiò una grande rivolta contro il re Agila I. La Betica non era mai stata completamente sottomessa, era sempre stata governata da nobili ispano-romani che erano riusciti a mantenere una certa autonomia. La rivolta sembra avesse motivazioni economiche per le troppe tasse ma ben presto assunse l’aspetto di una guerra di religione: i cittadini cattolici[7] di Cordova diedero la caccia ai Goti ariani massacrandoli. Agila I mandò contro i sediziosi un esercito comandato da suo figlio ma fu sconfitto ed il figlio (di cui non si conosce il nome) fu ucciso.

Oltre a questa vi erano diverse ribellioni in altre parti del regno e le scorrerie dei Vasconi nella parte alta della valle dell’Ebro erano sempre più frequenti. Atanagildo, un nobile visigoto che ambiva al trono, ritenne che la situazione fosse favorevole ed iniziò una ribellione assieme ad altri nobili, marciò contro Agila I che si trovava in Lusitania (attuale parte meridionale del Portogallo) nella città di Mérida (Augusta Emerita). La ribellione proseguì con alterne fortune fino al 554 quando Atanagildo (secondo Isidoro di Siviglia[8]) sollecitò ed ottenne l’aiuto dei Bizantini[9] promettendo la cessione di una fascia costiera dell’Andalusia e della Murcia. Giustiniano inviò un esercito al comando del generale Pietro Marcellino Liberio con una flotta che prese terra nel sud-ovest della Betica (forse Cadice), Agila I fu sconfitto e Atanagildo fu dichiarato re dall’assemblea dei suoi sostenitori.

Ma come accadrà ancora più volte in seguito nella storia (e come accenneremo più avanti) Liberio si accorse di avere un grande potere, di avere di fronte un’opposizione divisa ed indecisa e oltrepassò grandemente i confini concordati con Atanagildo. Agila rifugiato a Mérida era stato abbandonato da una parte dei suoi sostenitori e nel 555 fu assassinato da membri della sua corte, la motivazione di questo gesto non è nota.

Tutti re visigoti fino ad Atanagildo erano di credo ariano e governavano un popolo di goti ariani, di ispano-romani cattolici e di ebrei. A seconda dei periodi vi fu tolleranza verso le fedi diverse alternata a periodi di intolleranza, talvolta sfociata addirittura in persecuzione. Dopo la morte di Atanagildo nel 567 il trono rimase vacante per cinque mesi per la difficoltà dei nobili di accordarsi sul nome del successore. Alla fine prevalse Leovigildo che per quattro anni (573-577) fu impegnato dalle continue rivolte dei Cantabri. Durante tutto il suo regno cercò di rafforzare il potere della monarchia per combattere la velleità di indipendenza di molti nobili[10] e per fare ciò diede all’istituzione monarchica un carattere maiestatico ispirandosi a quanto gli veniva riferito della corte bizantina: adottò un manto sontuoso come simbolo della regalità, varò un cerimoniale per le attività della corte, sedette su un trono elevato quando conferiva con i nobili per accentuare il distacco tra lui e gli altri[11].

Nel 579 dovette poi fronteggiare la rivolta di Ermenegildo, suo figlio primogenito e governatore della Betica, che si era convertito al cattolicesimo cercando l’appoggio dei quella parte della popolazione per aggirare la contrapposizione tra la corte visigota ariana e la gran parte della popolazione cattolica. Leovigildo tentò a più riprese di ottenere da Ermenegildo l’obbedienza ma dopo sei anni di inutili tentativi alla fine entrò nella Betica con il suo esercito e catturò il figlio ribelle. Fu affidato alla sorveglianza di Sigeberto, duca della Tarraconense (oggi Catalogna, Aragona e Navarra) , che il giorno di Pasqua 585, essendosi Ermenegildo nuovamente rifiutato di ritornare alla confessione ariana, lo fece giustiziare.

Dopo Leovigildo (567-586) salì al trono Recaredo I (586-601) che l’anno successivo indisse un convegno di vescovi ariani e cattolici al termine del quale dichiarò la propria preferenza per il credo niceno[12]. Gran parte dei nobili visigoti seguirono il suo esempio convertendosi a loro volta, soprattutto nelle zone più prossime a Toledo, mentre alcune regioni più remote si ribellarono alla conversione, come il caso della Settimania, la provincia visigota a nord dei Pirenei, dove la rivolta fu guidata da Ataloco[13], vescovo ariano di Narbona, e dai conti Granista e Vidigerno. Costoro per tentare di detronizzarlo chiesero aiuto al re dei Burgundi Gontrano ma il suo esercito venne rapidamente sconfitto[14]. L’altra importante ribellione fu quella della Lusitania capeggiata da Sunna, vescovo ariano di Mérida, e da Segga, conte della stessa città. Sunna voleva restaurare l’arianesimo mentre Segga aveva l’obiettivo di sostituirsi a Recaredo. La rivolta fu soffocata con qualche difficoltà poi Sunna fu mandato in esilio (passò nella Mauritania Tingitana a fare proselitismo ariano) ed a Segga furono amputate entrambe le mani.

Per limitare i rischi di conflitto con i Franchi riuscì a stabilire un legame con loro sposando la principessa Closinda della casata di Austrasia nel 589. Poco dopo venne indetto il III Concilio di Toledo con la direzione del vescovo cattolico Leandro di Siviglia durante il quale, per volontà del sovrano visigoto, la fede cattolica venne annunciata come religione ufficiale del regno. La prima iniziativa della nuova istituzione religiosa dimostrò subito quello che era usuale a quei tempi, cioè la poca tolleranza verso le fedi diverse, stabilendo la conversione forzata degli Ebrei e l’estirpazione dell’eresia ariana nel regno visigoto. L’arianesimo in realtà non scomparve e gran parte dei nobili e della popolazione dietro un comportamento apparentemente cattolico conservarono le proprie convinzioni ariane e questo fatto fu uno dei fattori che contribuirono alla rapida caduta del regno visigoto sotto l’attacco delle armi islamiche.

Il crescente coinvolgimento dei vescovi negli affari dello stato fece sì che oramai il re veniva eletto da un’assemblea di nobili e vescovi sia ariani che cattolici, poi passando il tempo gli ariani furono sempre meno numerosi. I nomi che risultano dalle firme sui documenti conciliari possono trarre in inganno per la grande prevalenza di nomi romani su quelli gotici ma spesso i goti nominati vescovi mutavano il loro nome[15]. I vescovi erano quasi sempre nominati dal re che affidava loro molti incarichi amministrativi oltre alla cura delle anime.

Morto Recaredo nel 601 gli successe il figlio Liuva, deposto nel 603 da una congiura di palazzo organizzata dal nobile Witerico. Costui tentò di restaurare l’arianesimo peraltro senza successo. Nel 610 fu assassinato nel palazzo reale di Toledo dai suoi stessi collaboratori durante un banchetto. La fazione cattolica della nobiltà riuscì ad eleggere re Gundemaro, duca di Narbona, che restò in carica fino al 612. Alla sua  morte l’assemblea dei nobili e dei vescovi nominò re Sisebuto, uomo molto religioso ma anche molto determinato ad esercitare il suo potere, pretendendo che i nobili obbedissero ai suoi ordini. Tra il 614 e il 615 diede inizio ad una vigorosa campagna contro i Bizantini riconquistando quasi tutto il territorio iberico da loro occupato. Alla sua morte solo le Baleari[16] e una sottile fascia costiera tra Malaga (Malaka) e Cartagena (Carthago Nova) rimasero ai Bizantini.

Gli successe il figlio Recaredo II che poche settimane dopo morì, probabilmente assassinato. Ciò permise al generale Suintila[17], che si era messo in mostra durante la guerra contro i Bizantini, di essere eletto re dei Visigoti. Il suo primo impegno fu nuovamente quello di rafforzare il potere reale contro la nobiltà ed i vescovi che tendevano a comportarsi sempre più autonomamente. Nei primi anni del suo regno dovette affrontare dei disordini di scarsa importanza finché nel 625 (secondo Isidoro di Siviglia) con una decisa offensiva sconfisse ripetutamente i Baschi che facevano incursioni nella valle dell’Ebro. Nel 631 quando decise di rendere ereditaria la monarchia designando come futuro re suo figlio Ricimero scoppiò un decisa rivolta di gran parte della nobiltà. Tra questi Sisenando, governatore della provincia Narbonense o Settimania, che chiese al re franco Dagoberto della Neustria un aiuto militare offrendo come compenso cinquecento libbre d’oro. L’esercito franco si riunì a Tolosa e si diresse verso Saragozza. Suintila resosi conto che la sua posizione era disperata abdicò ed i nobili proclamarono re Sisenando il 26 marzo 631.

Appena salito al trono Sisenando fu alle prese con una diffusa ribellione nella Betica e in Lusitania mossa dai sostenitori di Suintila e guidata da Geila, fratello del re deposto. Nel 633 Sisenando convocò il IV Concilio di Toledo in cui Suintila fu scomunicato, condannato all’esilio assieme ai suoi famigliari e i suoi beni furono confiscati con la motivazione della sua iniquità e della fraudolenta accumulazione di ricchezze a danno dell’intera popolazione. In questo stesso Concilio fu riaffermato che non vi potevano essere eccezioni alla regola della carica elettiva di re, che era esclusa la successione dinastica e non poteva essere eletto re chiunque fosse chierico. La rivolta nella Betica fu soffocata ancora con l’aiuto di Dagoberto di Neustria mentre quella della Lusitania continuò fino alla fine del 634 al comando di Iudila, un nobile visigoto che si era proclamato re. Iudila dovette godere di un discreto seguito nella regione perché sono state reperite monete d’oro con la sua immagine e la dicitura “Iudila rex”.

Alla morte di Sisenando nel 636 salì al trono Chintila, eletto con la procedura prevista dal IV Concilio di Toledo. Chintila indisse subito il V Concilio di Toledo in cui si discusse molto poco di argomenti religiosi e molto di problemi legati ad una credibile e stabile posizione del re. Fu stabilita la scomunica per chi si rivolgeva agli indovini per conoscere la sorte del re, per chi lo malediceva o per chi appoggiava una fazione intenzionata a detronizzarlo. I documenti del V Concilio mostrano una situazione di incertezza nel regno, se non con rivolte almeno con torbidi, ed il fatto che i vescovi non erano concordi sui contenuti del documento finale è dimostrato dal fatto che solo ventotto partecipanti lo sottoscrissero. Anche se gli atti parlano di una riunione dei “vescovi delle differenti province del regno” non vi parteciparono vescovi della Settimania.

Diciotto mesi dopo (gennaio 638) Chintila convocò un nuovo concilio, il sesto e anche stavolta i temi più trattati furono quelli relativi alla successione al trono. Si confermò che alla morte di Chintila i suoi figli avrebbero conservato tutti i loro beni e non dovevano essere ingiuriati o assaliti e lo stesso valeva per tutti i fedelissimi del re, che il re doveva essere eletto nella nobiltà, che nessun chierico o laico poteva formare una fazione per promuovere l’elezione di un nuovo re e chi, pur partecipando a questa iniziativa decideva di abbandonarla e denunciarla al re, sarebbe stato perdonato. La situazione era inquieta per varie ribellioni, probabilmente solo quella scoppiata nella Galizia fu citata in documenti ufficiali ma sicuramente altre causarono contrasti o repressioni di varia durezza se nel 642 Chindasvindo, un successore di Chintila, confermò le pene inflitte a coloro che avevano male operato “ex tempore reverende memorie Chintiliani principis”, altri documenti di età successiva fanno riferimento a ribelli esiliati durante questo regno.

Chintila morì probabilmente alla fine dell’anno 640 dopo aver nominato suo successore il figlio Tulga in aperto contrasto con quanto deciso dal VI Concilio di Toledo. Tulga non fu riconosciuto come re dalla quasi totalità dei nobili che però non si trovarono d’accordo sul candidato da eleggere. Nel 641 il nobile Chindasvindo di carattere forte e volitivo, a dispetto dei suoi 79 anni ottenne l’appoggio di una parte dei nobili, nell’aprile 642 catturò Tulga, lo fece tonsurare[18], lo rinchiuse in un monastero e fu confermato re da un’assemblea di nobili e vescovi.

Per prevenire tentativi di ribellione agì con spietata crudeltà: circa 200 esponenti dell’alta nobiltà furono giustiziati e altri 500 della media e piccola nobiltà, molti fuggirono all’estero per aver salva la vita, molti altri furono condannati all’esilio con la confisca dei loro beni[19]. Gli esiliati si rifugiarono in parte nel regno dei Franchi, in parte nell’esarcato bizantino della provincia chiamata Mauritania (corrispondente all’attuale fascia costiera dalla Tunisia al Marocco) cercando di ottenere sostegno ad iniziative di ritorno nel regno visigoto. Non ci sono notizie sui risultati delle attività nel regno dei Merovingi ma devono essere state molto scarse poiché quella dinastia era al suo termine. L’esarca bizantino Gregorio il Patrizio non potè dare più di un sostegno morale poiché proprio nel 642 era iniziata la conquista araba della Tunisia[20].

Chindasvindo regnò fino al 653 nella pace e nell’ordine in conseguenza delle feroci misure per schiacciare ogni opposizione. Solo nell’ultimo anno del suo regno vi furono rivolte nella Vasconia e nella Lusitania di cui si occupò il figlio Recesvindo, nominato coreggente già nel 648, e le prime razzìe arabe sulle coste della Betica. Tutti gli storici danno un giudizio positivo sulla sua conduzione finanziaria ed amministrativa del regno e fortemente negativa sulla sua mancanza di scrupoli. Il vescovo di Toledo Eugenio lo definì “empio, ingiusto, immorale”.

Alla morte di Chindasvindo suo figlio Recesvindo era ancora alle prese con i Vasconi che ripresero vigore sotto la guida del nobile visigoto Froja che voleva rendersi indipendente dal re. Per molti mesi Froja con i suoi armati, in parte visigoti e in parte vasconi, devastò l’alta valle dell’Ebro[21] ed assediò Saragozza, ma alla fine Recesvindo lo sconfisse proprio sotto le mura della città assediata. Di questo re è notevole l’attività in materia giuridica: sotto il suo regno fu portata a compimento l’uniformazione del diritto gotico (Codice di Leovigildo) con quello ibero-romano (Lex Romana Wisigothorum) nel Liber Judiciorum (detto anche Codice di Recesvindo) valido per tutti gli abitanti del regno, sia goti che ispano-romani.

Recesvindo regnò fino al 672 senza gravi problemi interni ma intanto dal 665 incominciava ad avvicinarsi il temporale che poi avrebbe travolto il regno visigoto nel 711. Nel 665 il califfo omayyade Mu’āwiya decise di riprendere l’espansione verso ovest ed incaricò il generale Uqba ibn Nāfi con un contingente di 10.000 tra soldati e cavalieri di occupare quelli che erano ancora nominalmente possedimenti bizantini e di convertire all’islam le popolazioni che sottometteva[22]. Passata la Libia entrò in un territorio scarsamente popolato da berberi parzialmente romanizzati che in parte accolsero gli arabi con indifferenza mentre altri organizzarono una resistenza armata sotto Koceila (o Kusayla), un capo berbero che era riuscito a costituire un regno su una parte della Tunisia e dell’Algeria orientale. Essendo i Berberi cristiani di confessione ariana e quindi vedendo Cristo non come figlio di Dio ma come un profeta, trovarono la religione musulmana, che nega la natura divina di Gesù ma lo rispetta come profeta, come un’ulteriore variante dell’arianesimo e non ebbero difficoltà a convertirsi in gran numero.

Uqba ibn Nāfi nel 670 per difendere meglio il territorio conquistato, fondò nella parte centrale della Tunisia la città di Qayrawan (oggi Kairouan) ma prima di effettuare altre conquiste nel 673 fu sostituito e richiamato al Cairo. Continuando però gli attacchi berberi alle posizioni tunisine occupate dagli arabi poco dopo fu nuovamente incaricato dal wali (governatore) dell’Egitto al-Unsuri di proseguire l’occupazione del territorio bizantino. Durante la sua avanzata verso ovest nel 680 il califfo Yazīd I lo nominò governatore della nuova provincia denominata Ifrīqīa che comprendeva le precedenti province bizantine di Numidia, Mauritania Cesariensis e Mauritania Tingitana (l’area da Sfax alla costa atlantica). Nel 682 la conquista fu completata salvo alcune località rimaste ai Bizantini (Tangeri, Ceuta ed altri centri minori). La leggenda narra che quando arrivò all’Atlantico entrò nel mare sul proprio cavallo per affermare che anche quello era diventato territorio del califfo. Sulla strada del ritorno a Tahuda (oggi Sidi Okba, Algeria orientale) cadde in un’imboscata dei ribelli berberi ancora guidati da Kusayla e morì.

Il primo settembre 672 alla morte di Recesvindo una parte dei nobili elesse re Wamba, molto avanti con l’età che inizialmente rifiutò ma poi, dietro ripetute insistenze, fu costretto ad accettare dopo aver ricevuto l’unzione dal vescovo di Toledo Quirico[23]. Altri nobili, in parte cattolici in parte ancora ariani, tentarono di opporsi con le armi ma furono rapidamente messi a tacere. Più impegnativa fu la rivolta dei Vasconi per sedare la quale, subito dopo l’elezione a re, fu approntato un forte esercito guidato personalmente dal sovrano.

Mentre era sul punto di attaccare i Vasconi Wamba fu raggiunto dalla notizia che era scoppiata nella Settimania una rivolta a capo della quale vi erano Ilderico, conte di Nîmes, Wilesindo, vescovo di Agde, e Gunildo, vescovo di Maguelonne (oggi nel circondario di Montpellier); i ribelli controllavano tutta la parte orientale della Settimania. Wamba distaccò una parte del suo esercito al comando del duca Paolo, nobile ispano-romano, e lo inviò contro i ribelli ma costui, arrivato a Narbona, si accordò con loro e si fece eleggere re. Non aveva l’intenzione di sostituirsi a Wamba perché si proclamò Flavius Paulus unctus rex orientalis, cioè “re dell’est” quindi mirava ad una secessione provinciale[24]. Oltre a Ilderico, Wilesindo e Gunildo si unirono a lui anche Ranosindo, duca di Tarragona, e Ildegiso, un emissario di Wamba nella provincia con la carica di gardingatus[25] (ufficiale palatino di alto grado) e grazie ad un’alleanza con il re dei Merovingi Childerico II molti franchi furono fatti entrare nella Settimania come mercenari. A questo punto Wamba, liquidati i Vasconi in una settimana, con tutte le sue forze si diresse a est per riportare l’ordine. Riconquistò abbastanza rapidamente i territori perduti finché i superstiti si asserragliarono nell’arena di Nîmes. Dopo un breve assedio il 3 settembre 673 si arresero e furono in gran parte massacrati sul posto. Secondo alcune fonti Paolo fu portato a Toledo per esservi giustiziato secondo altre fu solamente tonsurato.

Durante il regno di Wamba le incursioni dei berberi e degli arabi prima sporadiche, divennero sempre più frequenti. Nella Cronaca di Alfonso III[26], scritta però nel 910, si afferma che fu particolarmente grave un’incursione sulla città di Algeciras ma questo fatto non trova conferma nelle fonti arabe[27]. Nonostante i suoi sforzi di migliorare il funzionamento del regno questo iniziò ad avviarsi verso un’inarrestabile decadenza. Quando i conti e i duchi iniziarono a cedere piccole parti dei loro domini come benefici a loro sottoposti il regno si avviò alla feudalizzazione, in conseguenza di ciò anche l’esercito diventò meno fedele al re e di più al nobile da cui i soldati dipendevano, scadde fortemente la disciplina e i principali capi militari pensavano più al loro interesse che a rinsaldare lo spirito guerriero dei soldati[28], forse per questo motivo risulta che Wamba abbia arruolato come mercenari dei gruppi di berberi provenienti dall’altra parte dello Stretto. Siccome chi non studia la storia è condannato a ripetere gli errori dei suoi predecessori, settecento anni dopo a Bisanzio Paleologi e Cantacunzeni in lotta per il potere ricorsero più volte all’aiuto di mercenari turchi e questi, una volta passati i Dardanelli, non se ne vollero più andare e dilagarono nei Balcani.

La chiesa era in una grave crisi morale poiché il continuo coinvolgimento in questioni politiche ne aveva eroso la credibilità presso i fedeli[29]. Nell’XI Concilio di Toledo del 675 tra i vari argomenti si discusse a lungo sul dilagare della simonia per acquisire cariche ecclesiastiche, sull’utilizzo dei beni della Chiesa per vantaggio personale e sul frequente concubinaggio di molti sacerdoti[30].

Nel 680 Wamba fu deposto da una congiura capeggiata dal conte Ervige (anche Ervigio o Erwig) con l’appoggio del vescovo di Toledo Giuliano II e tonsurato. Diventato re Ervige largheggiò in benefici e donativi verso coloro che lo avevano messo sul trono ed anche verso alcuni avversari che potevano essere invogliati a rivolgersi contro di lui, quasi una politica di sottomissione alla nobiltà e ai vescovi[31]. Una blanda persecuzione degli Ebrei di Wamba fu fortemente rafforzata: nel febbraio 681 Ervige diede tempo ad essi di farsi battezzare, in caso contrario sarebbero stati privati di tutti i loro beni. Con un editto dispose che dovevano essere puniti severamente coloro che continuavano ad osservare le festività religiose ebraiche e che i convertiti, per evitare che continuassero ad osservarle di nascosto, dovevano passare tali festività ebraiche sotto il controllo del vescovo della città[32]. Durante il suo regno una serie di inverni molto freddi provocò una grave carestia costringendo alla fame la popolazione rurale, per dar loro un aiuto Ervige intervenne nel novembre 683 con una legge in cui condonò tutti i tributi sui cereali che i contadini non erano in grado di versare[33].

Nel novembre 687 morì di malattia e sul letto di morte designò suo successore il genero[34] Egica preferendolo a uno dei suoi figli. La degenerazione politica del regno continuava ed Egica era costantemente chiamato a comporre gli scontri tra i vari nobili o a combattere la loro resistenza al potere reale. Nel 692 scoppiò una ribellione di più vasta portata ispirata da Siseberto che era l’arcivescovo di Toledo. Costui, seguito da una buona parte del clero e da una parte della nobiltà, era in opposizione al re sia per la sua politica autoritaria che per la sua volontà di ottenere il controllo sul clero in tutte le province. Un gruppo di nobili guidati da Sunifredo, tra cui Liuvigoto (suocera di Egica che ne aveva sposato la figlia Cixilona), Frugelio, Luvilana e Tecla  (forse figli di Ervige) e Teodomiro[35], progettarono di assassinare il re ed alcuni suoi fedeli. Egica riuscì ad anticipare questo tentativo e si rifugiò nella provincia Tarraconense (forse a Saragozza) dove si sentiva più sicuro. Sunifredo fu incoronato re nella metà del 693 probabilmente con la benedizione di Siseberto. Poco dopo Egica con un esercito a lui fedele tornò a Toledo, sconfisse i ribelli e convocò il XVI Concilio di Toledo in cui fu decisa la confisca di tutti i beni dei ribelli, Siseberto fu deposto e scomunicato. Tra i pochi argomenti religiosi trattati in questo Concilio vi fu la lamentela di alcuni vescovi che riferivano del permanere di riti pagani nelle campagne: “veneratores lapidum, accensores faculum, excolentes sacra fontium vel arborum” (vi sono di quelli che venerano delle pietre, accendono torce, pongono offerte votive alle sorgenti o agli alberi)[36].

Egica continuò la politica antiebraica del suo predecessore, anzi la rese più dura: gli ebrei maschi potevano essere venduti come schiavi o essere periodicamente sottoposti al lavoro gratuito a favore dei nobili, i loro figli dovevano essere affidati a famiglie cattoliche che li avrebbero istruiti in questa fede. Ciò causò una fuga in massa degli ebrei del regno, gran parte passò dall’altra parte dello Stretto dove vi era una cospicua minoranza di berberi che praticavano la religione ebraica senza essere discriminati anche dopo l’occupazione degli Arabi[37].

Durante tutto il regno di Egica proseguirono le razzìe berbere sulle coste della Betica, le fonti arabe ne danno notizie vaghe senza riferimenti geografici o temporali, le fonti cristiane parlano di una razzìa nel 687 con un gran numero di prigionieri però anche in questo caso senza un riferimento geografico. Quello che è certo è che durante queste spedizioni portarono nella penisola iberica la peste che dal 688 imperversava violentemente nella Mauritania Tingitana. L’epidemia proseguì ad intervalli per quasi vent’anni aggravata dalla carestie e dagli scarsi raccolti.

Nel 700 Egica associò al trono il figlio Witiza affidandogli il regno degli Svevi[38] e quando nel 702 morì Witiza divenne re effettivo dimostrandosi più benevolo rispetto al suo genitore. Le notizie del suo regno sono molto scarse, si sa che dal 707 al 709 vi furono tre anni di dura carestia[39], e che il suo generale Teodomiro nel 708 respinse un tentativo di sbarco di arabi e berberi[40]. Negli ultimi anni del suo regno reagì con sempre maggior decisione ai tentativo di rivolta, fece accecare Teodefredo, duca di Cordova, uccidere Favila, duca delle Asturie, provincia in cui si rifugiò il figlio Pelagio, anni dopo primo promotore della riscossa contro i musulmani. Fu molto tollerante in materia religiosa[41] consentendo il ritorno di molti ebrei espulsi dei suoi predecessori e criticato per aver creato un suo harem all’interno del palazzo reale con grande scandalo del clero[42]. Di Witiza sono conosciuti solo tre figli legittimi: Agila, Olmundo e Ardabasto.

Alla morte di Witiza nel 710 il consesso di nobili e vescovi non trovò un accordo sul nome del successore, i delegati della Tarraconense e della Settimania, dove era ancora vivo il credo ariano, elessero re il figlio maggiore di Witiza, Agila II mentre gli altri sostennero come re Roderico (o Rodrigo) duca della Betica. Agila II era al palazzo reale di Toledo e non voleva andarsene, Roderico con il suo esercito sconfisse le forze fedeli a lui fedeli e divenne l’unico re. Agila II assieme ai fratelli Olmundo e Ardabasto e allo zio Oppas, secondo alcuni storici arcivescovo di Toledo, secondo altri vescovo di Siviglia, si rifugiarono probabilmente nella Tarraconense (forse a Pamplona) dove continuava ad avere seguaci e qui iniziarono a sobillare i Vasconi per una rivolta contro Roderico.

Prima di esaminare le azioni messe in atto da Agila II nel tentativo di riconquistare il trono è necessario passare in rassegna gli avvenimenti occorsi dall’altra parte dello Stretto. L’occupazione araba della Tingitania[43] era stata quasi completata attorno al 695 lasciando ai Bizantini solamente alcune località costiere come Tingit (Tangeri) e  Setem (Ceuta). A capo di questo ridotto vi era un funzionario chiamato Ilyan in alcuni documenti arabi[44], Giuliano in quelli spagnoli dei secoli successivi. Ceuta era popolata da berberi cattolici e molti fuorusciti ed esiliati visigoti o ebrei espulsi in varie occasioni.

Nel 708, quando gli Arabi occuparono anche Tangeri, Giuliano[45], rendendosi conto che non poteva più sperare in aiuti da Costantinopoli sembra si sia recato da Witiza cercando di ottenere un aiuto militare in caso di attacco. Secondo una leggenda si narra che Giuliano abbia inviato alla corte di Toledo una delle sue figlie, chiamata Florinda nelle cronache cristiane, per farla istruire ma costei rimase incinta. Non vi è però nessuna prova che i re visigoti avessero l’abitudine di accogliere a corte i figli o le figlie dei nobili per istruirli e la prima cronaca cristiana che cita questo episodio è appena del 1110. Si suppone che la vicenda sia stata inventata dagli Arabi per screditare la memoria del re Roderico mentre nella Crónica mozáraba de 754 non vi è alcun cenno di questi avvenimenti. Florinda nella cronaca Ajbar Madjuma viene definita cabhā cioè concubina o prostituta[46]. Nel 709 quando la pressione musulmana sul suo territorio andava aumentando, poco fiducioso dell’efficacia dell’aiuto visigoto, si recò a Kairouan, prese contatto con Mūsā ibn Nusayr, governatore di Ifrīqīa, e in cambio del mantenimento della sua autorità su Ceuta si riconobbe vassallo del califfo[47].

Dopo la morte di Witiza un gran numero di seguaci di Agila II si rifugiarono a Ceuta e chiesero a Giuliano un aiuto militare nella lotta contro Roderico. Costui propose a Mūsā ibn Nusayr di organizzare una spedizione punitiva oltre lo Stretto sostenendo la debolezza delle difese visigote e la possibilità di un ampio bottino. Mūsā era incerto e, dopo aver informato il califfo di questa proposta, decise di fare una prima spedizione limitata per saggiare il terreno nel luglio 710. L’operazione fu condotta dal berbero Tarif ibn Mālik con circa 500 armati che presero terra sull’isola di Las Palmas di fronte alla città di Tarifa dove vi era un gruppo di seguaci di Agila II che protessero lo sbarco. I berberi da lì si mossero fino ad Algeciras facendo un po’ di bottino e qualche prigioniero, poi ritornarono tranquillamente a Ceuta[48].

Verificata l’effettiva debolezza del regno visigoto lacerato dalla guerra civile, Mūsā ibn Nusayr nell’aprile 711 diede l’incarico al generale Tāriq ibn Ziyād[49] di effettuare uno sbarco più consistente. Giuliano fornì ai musulmani le imbarcazioni disponibili nel porto di Ceuta e le indicazioni sul posto migliore per effettuare lo sbarco. Questo avvenne, secondo l’opinione prevalente presso gli storici ed i cronachisti arabi, in una data compresa tra il 24 aprile e il 23 maggio 711. Poiché le imbarcazioni fornite da Giuliano erano solo quattro e non di grande stazza il trasferimento di tutti i 7.000 berberi al seguito di Tāriq ibn Ziyād fu effettuato con “numerosos viajes de ida e vuelta para desembarcar a la numerosa tropa[50]. La prima fase dello sbarco fu descritta dettagliatamente nell’ opera al-Fath al-Andalus (La conquista di al-Andalus) attribuita ad Abu Yafar :

Quando Tariq era sul punto di sbarcare su una spiaggia si fecero avanti numerosi cristiani che si preparavano alla difesa. Allora si ritirò e durante la notte passò dall’altra parte della penisola e sbarcò i suoi uomini dove c’era una roccia scoscesa e i cristiani non se ne accorsero”.

Ciò dimostra in modo abbastanza convincente che lo sbarco è avvenuto proprio alla base della Rocca poi denominata Jabal Tāriq (Monte di Tāriq). Le imbarcazioni fornite da Giuliano in alcuni testi arabi sono definite con un termine tradotto in spagnolo come “barcos mercantes” ed è quindi plausibile che tali imbarcazioni si siano confuse con quelle dei mercanti che facevano traffici fra le due rive dello Stretto ed i berberi siano rimasti appartati in una zona disabitata finché tutto il contingente non fu trasbordato da Ceuta alla costa spagnola.

A questo punto Mūsā ibn Nusayr, senza avvisare preventivamente il califfo, inviò altri 5000 uomini ed autorizzò Tariq a continuare la campagna. Egli si mosse in direzione nord verso Cordova (Corduba) dove sconfisse le forze visigote condotte da Bencio, cugino di Roderico; il re abbandonò la Tarraconense e con un mese di marce forzate raggiunse la zona del lago Janda[51] dove sostavano le forze musulmane. Il 19 luglio 711 iniziò lo scontro tra i due eserciti noto come battaglia del rio Guadalete anche se questa localizzazione non è certa. Dopo un paio di giorni di scaramucce gli scontri che duravano da più giorni si fecero più accesi e il giorno 26 luglio la battaglia si concluse con la disfatta dell’esercito visigoto anche in seguito alla defezione di un certo numero di nobili e dei loro effettivi, la più clamorosa defezione fu quella del nobile Siseberto e del suo contingente definita dalla Crónica Rotense come “ob cuius fraudem Gothi perierunt[52]. Roderico raccolse i pochi superstiti rimastigli fedeli e tentò di riparare nella capitale.

A questo punto le truppe di Tariq non ebbero più ostacoli e puntarono decisamente a nord verso Toledo. Dopo una lunga resistenza la capitale visigota fu conquistata, Tāriq ibn Ziyād informò subito Mūsā ibn Nusayr che passò lo Stretto con un contingente più numeroso (circa 18.000 uomini, stavolta tutti arabi)[53] e proseguì nell’occupazione del regno visigoto: Cordova, Malaga, Granada, Siviglia e Toledo caddero nel 712[54], Mérida nel 713, Saragozza e Lérida nel 714. Nel febbraio 715  Mūsā ibn Nusayr fu richiamato a Damasco dove rese conto al califfo Walid ibn Abd al-Malik delle conquiste fatte e gli presentò una parte del bottino fatto tra cui il tesoro del palazzo reale di Toledo ma non potè godere dei suoi successi per l’improvvisa morte del califfo e il successore Sulaymān ibn Abd al-Malik addirittura lo rimproverò di aver operato senza un benestare preventivo. Il figlio di Mūsā Abd al-Aziz fu nominato wali (governatore) della nuova provincia e conquistò Tarragona nel 715 ma nel 716 fu assassinato durante una rivolta condotta da Ayyub al-Lakhmī sembra con l’approvazione del nuovo califfo perché cercava di rendersi indipendente. Ne seguì una guerra civile che arrestò temporaneamente l’avanzata, ripresa poi nel 719 con l’occupazione di Pamplona, Huesca e Barcellona.L’occupazione della penisola iberica avvenne senza grandi difficoltà anche grazie ad una accorta politica dei nuovi padroni. I conquistatori erano in numero troppo esiguo per poter controllare territorio e popolazione senza, se non una collaborazione, almeno un accordo con gli elementi di maggior seguito della popolazione conquistata. Lo storico Ira M. Lapidus ha descritto in modo molto chiaro la situazione:

Le soluzioni di governo rappresentavano un compromesso raggiunto fra le élites dei conquistatori e quelle delle popolazioni sottomesse, in cui queste ultime assicuravano alle élites conquistatrici potere militare e rendite adeguate in cambio del consenso a conservare la propria autonomia locale politica, religiosa e finanziaria.[55]

È opportuno ricordare che gli eserciti musulmani conquistavano un territorio con due modalità distinte: con anwat (con la forza delle armi) o con şulb (con la capitolazione). La terra conquistata con la forza delle armi era bottino di guerra, era un patrimonio indivisibile teoricamente in mano a tutta la comunità dei Credenti; la terra conquistata con un trattato (o patto) di capitolazione rimaneva nella disponibilità della popolazione indigena solamente obbligata a pagare quanto indicato nel suddetto trattato[56]. In sostanza i nobili visigoti, riconoscendosi sottoposti all’autorità del califfo con un patto di capitolazione, continuavano a gestire come prima tutto ciò che era sotto la loro autorità.

La gran parte scelse questa strada[57] e una parte di loro decise anche di convertirsi all’islam per garantire la trasmissione ereditaria del loro potere e dei loro beni. Furono chiamati muwalladūm cioè adottati, certi cambiarono il loro nome visigoto in un nome arabo ed i loro discendenti furono indicati come banū (plurale di ibn cioè figli nel senso di discendenti). Di alcuni è rimasta traccia dell’antico nome goto o ispano-romano come Banū Sabarico e Banū Angelino a Siviglia, Banū ‘l-Longo e Banū ‘l-Qabturno nella Murcia e i Banū Qasi nell’Aragona, ultimi discendenti del conte Cassius che controllava gran parte della vallata dell’Ebro. Di altri come i Banū Amrūs, Banū Shabrit, Banū al-Tawil e Banū Khalaf si sa soltanto che erano dei convertiti[58]. Anche il conte Giuliano di Ceuta fu ricompensato con un patto di capitolazione per i servizi prestati nella prima fase della conquista.

Tutta la parte della penisola iberica conquistata avrebbe dovuto essere anwat perché conquistata con la forza delle armi mentre sia Mūsā ibn Nusayr che suo figlio Abd al-Aziz si comportarono diversamente e mano a mano che l’occupazione saliva a nord parti delle province venivano assegnate ai principali collaboratori arabi del governatore, ai berberi, che pur erano in maggioranza ed avevano sopportato il peso maggiore delle vicende belliche, veniva lasciato solo il bottino che riuscivano a procurarsi e i nobili visigoti riuscivano comunque a cavarsela abbastanza bene perché erano indispensabili per il controllo della popolazione. In mancanza di documenti arabi sull’argomento si può solamente supporre che la rivolta delle truppe berbere contro gli arabi, il richiamo di Mūsā ibn Nusayr a Damasco, dove non ebbe nessun incarico a corte e morì in miseria (come detto prima), e l’assassinio di Abd al-Aziz siano da collegarsi a questi fatti.

Per quanto riguarda gli aspetti religiosi la popolazione cattolica, dopo un primo momento di terrore, scoprì che le condizioni a cui poteva continuare a professare la propria fede erano tutto sommato accettabili: mantenimento dei propri riti e delle proprie funzioni (i vescovi non furono rimossi e proseguirono la loro attività pastorale e forse anche quella politica), divieto di proselitismo, pagamento di una tassa non eccessiva; per la popolazione ariana la religione islamica che rispettava Gesù Cristo come un profeta apparve quasi una variante della propria, per gli ebrei si passò dai duri trattamenti di Ervige ed Egica ad un regime di indifferente tolleranza.

Vediamo infine cosa accadde ai principali esponenti visigoti dopo la battaglia di Guadalete. Roderico radunò le forze rimaste e si diresse in Lusitania dove rimase un certo tempo indisturbato in una sorta di scampolo del suo regno; nel 712 era sicuramente ancora in vita perché fu trovata una moneta con la sua effigie coniata a Egitania (oggi Idanhe) in quella data[59], poi si suppone morto nel 713. La sua vedova Egilona andò sposa ad Abd al-Aziz e secondo lo storico arabo al-Hakam fu la causa del suo assassinio perché essendo molto ambiziosa cercava di convincerlo a dichiararsi re di al-Andalus[60].

Agila II quando Roderico nell’aprile-maggio 711 smise di fronteggiarlo per correre contro i musulmani rientrò a Toledo, incontrò Tāriq ibn Ziyād e gli chiese di essere confermato re dei Visigoti. Non sapendo quale decisione prendere Tāriq lo mandò da Mūsā e questi a sua volta lo inviò a Damasco affinché fosse il califfo Walid ibn Abd al-Malik a decidere del suo destino. Non ci sono notizie di eventuali incontri tra Agila e il califfo ma alla fine del 713 egli rientrò a Toledo, rinunciò al trono ed accettò la supremazia califfale, visse nel suo palazzo fino alla morte nel 716. Alla notizia del suo tradimento i Visigoti ancora asseragliati sui monti del nord elessero re Ardo all’inizio del 714 che tentò una disperata difesa. Con la ripresa dell’avanzata musulmana nel 719 si spostò nella Settimania ed elesse, come ultima capitale del regno visigoto, Narbona. Nel 721 i musulmani posero l’assedio a questa città e nell’ultima battaglia anche Ardo perì. Il vescovo Oppas quasi certamente fu ucciso nel 712 mentre tentava di fuggire da Toledo. I due fratelli di Agila II, Ardabasto (o Ardavasde) e Olmundo dichiararono fedeltà al califfo e vissero indisturbati il primo a Cordova, il secondo a Siviglia.

ELENCO DEI RE VISIGOTI

Alarico I395 – 410 Liuva II601 – 603
Ataulfo410 – 415 Witerico603 – 610
Sigerico415 Gundemaro610 – 612
Vallia415 – 419 Sisebuto612 – 620
Teodorico I419 – 451 Recaredo II620 – 621
Torismondo451 – 453 Suintila621 – 631
Teodorico II453 – 466 Sisenando631 – 636
Eurico466 – 485 Chintila635 – 640
Alarico II485 – 507 Tulga640 – 641
Gesalico507 – 511 Chindasvindo641 – 652
Amalarico511 – 531 Recesvindo652 – 672
Teudi531 – 548 Wamba672 – 680
Teudiselo548 – 549 Ervige680 – 687
Agila I549 – 554 Egica687 – 702
Atanagildo554 – 567 Witiza702 – 710
Liuva I567 – 572 Roderico710 – 711
Leovigildo572 – 586 Agila II710 – 714
Recaredo I586 – 601 Ardo714 – 721

[1]La cronotassi dei sovrani visigoti è riportata in allegato.

[2]Il modius (pl. modia)era una misura romana usata per i cereali secchi, valeva circa 66 chilogrammi e pertanto la quantità di grano fornita ammontava a circa 40 tonnellate.

[3]Ario (256 – 336) è stato un teologo berbero romanizzato. Nella sua dottrina affermava che Dio era uno, eterno e indivisibile e quindi Cristo non poteva essere anche lui una parte di Dio. Le deduzioni che si potevano trarre da queste affermazioni erano due: Cristo era un dio minore perché venuto dopo il dio principale e così si rischiava di cadere nel politeismo oppure era un profeta che ispirato da Dio aveva parlato come lui. Entrambe le alternative furono considerate eresiarche dal Concilio di Nicea del 325. Nel frattempo la sua predicazione aveva raccolto molti seguaci e si era formata una chiesa parallela anche con vescovi di confessione ariana; la sua teoria aveva trovato molta accoglienza nelle popolazioni germaniche che erano entrate nell’impero romano tra il IV e V secolo, duramente combattuta dalla religione cristiana obbediente alle deliberazioni del Consiglio di Nicea. L’arianesimo proseguì con sempre minor numero di fedeli fino all’ottavo secolo.

[4]Rodrigo Ximénes de Rada, arcivescovo di Toledo nella prima metà del XIII secolo, così scrisse nel suo De rebus Hispaniae seu Historia Gotica: “… alcuni per fazione avversa, altri per fratricidio o parricidio, usurparono la potestà del regno e la legittima successione non osservata arroventò l’ira di Dio e la gloria dei Goti, che fino ad allora aveva sorretto, la scagliò via dal volto maestoso” (L. A. Garcia Moreno, El fin del reino visigodo de Toledo, Universidad Autonoma, Madrid, 1975, pag. 28).

[5]Si stima che il numero di Visigoti che si stabilì nella penisola iberica non superasse i 200.000 mentre gli ispano-romani dovevano essere 6 o 7 milioni (E. Gonzales Cravioto, La demografia de la Hispania romana tres décadas después, Hispania antiqua, n. 31, 2007, pag. 189).

[6]Il primo documento noto redatto a Toledo è una legge di re Eurico datata novembre 546.

[7]In realtà nel 550 questi cittadini non potevano essere definiti cattolici perché questo termine è del latino medievale ed inizia ad apparire nel XIII secolo derivato dal greco καϑα ολικός cioè universale. Questo termine era già stato usato nel II secolo da Sant’Ignazio di Antiochia ma non aveva avuto diffusione. Per comodità uso questo termine in modo consapevolmente anacronistico per distinguere i fedeli di credo niceno da quelli di credo ariano.

[8]Isidoro di Siviglia (560 – 636) è stato un teologo, scrittore, arcivescovo di Siviglia dal 600 alla morte. Fu un fecondo scrittore di teologia ed esegesi biblica ma compose anche molte opere di storia e grammatica; la sua opera più nota fu Ethymologiarum sive Originum libri XX, una sorta di enciclopedia in cui i vocaboli, ripartiti per materia dopo una spiegazione spesso corretta ma talvolta fantasiosa del loro significato, sono accompagnati dalle conoscenze al riguardo tratte dai libri che aveva raccolto.

[9]Questo sembra essere il primo di una serie di interventi stranieri nelle vicende interne visigote richiesta da una parte per sopraffare l’altra. Questo fatto si ripeterà più volte fino al crollo finale.

[10]L. A. Garcia Moreno, El fin del reino visigodo de Toledo, Universidad Autonoma, Madrid, 1975, pag. 141.

[11]F. Sanna, La Spagna visigota, Arkadia, Cagliari, 2015, pag. 48.

[12]Recaredo avendo constatato che i cattolici, che erano la maggioranza della popolazione, resistevano tenacemente ai tentativi ariani di proselitismo, fece questa scelta probabilmente per rafforzare la stabilità del suo regno.

[13]Per la sua intransigenza e l’aperto odio verso i cattolici fu soprannominato “secondo Ario”.

[14]Gontrano, re di Borgogna dal 561 al 592 apparteneva alla casata merovingia, era cattolico molto zelante, costruì molti edifici religiosi e fece importanti donazioni agli ordini religiosi tanto da essere considerato santo già nell’VIII secolo (memoria liturgica 28 marzo). Intervenne più volte militarmente nel regno visigoto: nel 571 in soccorso degli Svevi, nel 585 in aiuto ad Ataloco e nel 587 contro Recaredo. È sorprendente che le due spedizioni del 585 e 587 siano state fatte contro un sovrano cattolico e in difesa di ribelli ariani, forse il desiderio di espandere il suo regno nella Settimania faceva passare in secondo piano le differenze religiose (E. A. Thompson, Los Godos en España, Alianza Editorial, Madrid, 1971, pagg. 110-113).

[15]Conferma di ciò si può ottenere dalle firme apposte per approvazione sul documento finale del Concilio quando alcuni vescovi firmarono con il doppio nome, per esempio: Idulfus qui cognominor Felix, Leudigisus qui cognominor Iulianus (E. A. Thompson, Los Godos en España, Alianza Editorial, Madrid, 1971, pag. 328).

[16]Le Baleari rimasero nominalmente bizantine fino al 708 quando furono occupate dai musulmani come riportato da una cronaca musulmana: “In questo anno Musā ibn Nusayr mandò suo figlio Abd Allah alla conquista di Maiorca e Minorca, due isole che si trovano tra la Sicilia e al-Andalus, e questi le conquistò” (dalla cronaca Tārikh di Khalifa ibn Khayyat).

[17]Suintila fu il primo re visigoto che nei suoi documenti viene definito re di Spania e non di Hispania come era il termine latino.

[18]Rendendolo così inabile a pretendere di recuperare il titolo di re secondo quanto stabilito dalle disposizioni del IV Concilio di Toledo.

[19]Così viene riportato nella Chronica di Fredegario, scrittore franco di origine burgunda.

[20]Nel 648 affrontò gli invasori a Sufetula (oggi Sbeitla), nella Tunisia centro-settentrionale, ma fu sconfitto e ucciso. L’esercito arabo non proseguì l’avanzata verso ovest ma rientrò in Egitto perché nel frattempo erano scoppiati scontri tra fazioni arabe rivali.

[21]Tajón di Saragozza (600 – 683) in una sua lettera a Braulione, vescovo di quella città, dice “gens effera Vasconum Pyrenaeis montibus promota, diversis vastationibus Hiberiae patriam populando crassatur … multorum Christianorum sanguinis effunditur … immensa spolia subtrahuntur” (la feroce gente dei Vasconi dilagati giù dai monti Pirenei danno luogo a diverse devastazioni e saccheggi della patria Hiberia … fanno scorrere il sangue di molti Cristiani … portano via un immenso bottino) (L. A. Garcia Moreno, El fin del reino visigodo de Toledo, Universidad Autonoma, Madrid, 1975, pag. 115).

[22]Sulla consistenza di questo contingente le varie fonti (tutte posteriori di quasi due secoli) sono divergenti e vanno da 10.000 a 60.000, tutte comunque eccessive.

[23]L’unzione aveva il significato di una simbolica aprovazione da parte di Dio (C. Dartmann, Die Sakralisierung König Wambas, Frühmittelalterliche Studien, n. 44 (2010), pag. 39).

[24]L. A. Garcia Moreno, El fin del reino visigodo de Toledo, Universidad Autonoma, Madrid, 1975, pag. 48.

[25]Il gardingus o gardingatus era un ufficiale palatino di alto grado a cui il re affidava incarichi particolari (E. A. Thompson, Los Godos en España, Alianza Editorial, Madrid, 1971, pag. 288).

[26]La Cronaca di Alfonso III (Chronica Adefonsi tertii regis) è un’opera anonima redatta nel regno delle Asturie per tentare di affermare la continuità tra la Spagna visigota e la Spagna medievale cristiana.

[27]Ma questo fatto non può costituire sufficiente smentita della notizia riportata nella Cronaca di Alfonso III in quanto gli Arabi a quell’epoca continuavano a basarsi solo sulla tradizione orale degli avvenimenti ed iniziarono a trasferirla in forma scritta solo nel corso del IX secolo.

[28]L. A. Garcia Moreno, El fin del reino visigodo de Toledo, Universidad Autonoma, Madrid, 1975, pag. 33.

[29]W. Segura Gonzales, Nuova visión del inicio de la conquista musulmana de España, Almoraima, n. 41 (2014), pag. 61.

[30]L. A. Garcia Moreno, El fin del reino visigodo de Toledo, Universidad Autonoma, Madrid, 1975, pag. 83.

[31]E. A. Thompson, Los Godos en España, Alianza Editorial, Madrid, 1971, pag. 265.

[32]M Piras, La politica antiebraica della chiesa visigota, Anuari de Filologia, Antiqua et Mediaevalia, n. 8 (2018), pag. 741.

[33]L. A. Garcia Moreno, El fin del reino visigodo de Toledo, Universidad Autonoma, Madrid, 1975, pag. 52.

[34]Diversi storici sostengono che Egica fosse figlio di Ervige ma ciò è in contrasto col fatto che ne sposò la figlia Cixilona (P. Poveda Arias, Relectura de la supuesta crisis del fin del reino visigodo de Toledo: una aproximación al reinado de Egica a través de sus fuentes legales, Anuario de Historia del Derecho Español, tomo LXXXV, 2015, pag. 19). Secondo altri Egica era rappresentante di un clan nobiliare avverso ad Edvige e il matrimonio con Cixilona fu combinato nel tentatito di appianare le ostilità. (Sanna, La Spagna visigota, Arkadia, Cagliari, 2015, pag. 42).

[35]Teodomiro (Tudmir per gli Arabi) era il governatore della provincia di Murcia, fu perdonato da Egica e mantenne il suo incarico. Nel 702 respinse un tentativo bizantino di sbarco nella sue provincia e lo stesso fece nel 708 contro un tentativo di sbarco di arabi e berberi. Fu a fianco di Rodrigo nella battaglia di Guadalete ma abbandonò le sue posizioni prima della sconfitta. Nel 713 si accordò con Abd al-Aziz per la capitolazione (vedi più avanti) e si dichiarò vassallo del califfo.

[36]L. A. Garcia Moreno, El fin del reino visigodo de Toledo, Universidad Autonoma, Madrid, 1975, pag. 79.

[37]M Piras, La politica antiebraica della chiesa visigota, Anuari de Filologia, Antiqua et Mediaevalia, n. 8 (2018), pag. 742.

[38]Nella Cronaca di Alfonso III viene indicato che “… filium suum Uittizanem in regno sibi socium fecit eumque in civitatem Tudensem provincia Galleciae habitare praecepit, ut pater teneret regnum Gotorum et filius Svevorum …” quindi gli prescrisse di risiedere a Tudela nell’attuale Navarra il che sembra dimostrare che gli Svevi erano riusciti a mantenere una certa autonomia.

[39]Segnalata anche da un anonimo cronista arabo autore del testo Ajbar Madjmua cioè “collezione di racconti tradizionali” (L. A. Garcia Moreno, El fin del reino visigodo de Toledo, Universidad Autonoma, Madrid, 1975, pag. 54).

[40]E. A. Thompson, Los Godos en España, Alianza Editorial, Madrid, 1971, pag. 284.

[41]Secondo alcune fonti era segretamente ariano mentre agiva da sovrano cattolico durante gli eventi pubblici. Il clero protestò vivacemente contro l’ammorbidimento delle misure contro gli Ebrei (E. Saavedra, Estudio sobre la invasión de los Árabes en España, El Progreso Editorial, Madrid, 1892, pag. 30).

[42]Da un manoscritto del IX secolo denominato Chronicon Moissiacense. Secondo la più tarda Crónica silense (XII secolo) anche molti ecclesiastici avevano un comportamento lussurioso.

[43]Secondo Isidoro di Siviglia la Tingitania era una provincia del regno visigoto all’altro lato dello Stretto. Probabilmente i sovrani visigoti ne rivendicavano la sovranità come eredi dell’Impero Romano di Occidente ma non risulta che vi abbiano effettivamente esercitato alcun ruolo (E. Saavedra, Estudio sobre la invasión de los Árabes en España, El Progreso Editorial, Madrid, 1892, pagg. 45-46).

[44]In altri viene indicato anche come Urban o Ilban poiché la scrittura araba è consonantica e mancando testi affidabili dell’inizio dell’ottavo secolo in cui questo personaggio venga citato l’interpolazione delle vocali lascia molta ambiguità. Nella cronaca Ajbar Madjuma, ritenuta la più affidabile, viene indicato come Yulian (E. Saavedra, Estudio sobre la invasión de los Árabes en España, El Progreso Editorial, Madrid, 1892, pag. 48).

[45]Indicato come conte ma tale qualifica non esisteva nella gerarchia bizantina.

[46]E. Saavedra, Estudio sobre la invasión de los Árabes en España, El Progreso Editorial, Madrid, 1892, pagg. 58-60.

[47]Secondo quanto affermato dallo storico Ibn al-Qutiyya nella sua cronaca Tarīj iftitāh al-Andalus (Storia della conquista di al-Andalus), (W. Segura Gonzales, El comienzo de la conquista musulmana de España, Al Qantir 11, pag. 102).

[48]E. Saavedra, Estudio sobre la invasión de los Árabes en España, El Progreso Editorial, Madrid, 1892, pag. 64.

[49]Era probabilmente un berbero, secondo alcuni storici governatore di Tangeri.

[50]W. Segura Gonzáles, El comienzo de la conquista musulmana de España, Al Qantir – Monografías y Documentos sobre la Historia de Tarifa, n. 11 (2011), pagg. 106-107.

[51]La località è indicata come Uadi Lakka in diverse cronache arabe.

[52]E. Saavedra, Estudio sobre la invasión de los Árabes en España, El Progreso Editorial, Madrid, 1892, pag. 73.

[53]A. Contadini, La Spagna dal II/VIII al VI/XIII secolo, in “Eredità dell’Islam”, Ed. Silvana, Milano, 1993, pag. 105.

[54]In quest’anno Mūsā  fece coniare la prima moneta della Spagna araba, un dinar d’oro che pesava 4,25 grammi a 22 carati. La moneta aveva la doppia iscrizione in lingua araba e in lingua latina

[55]Ira M. Lapidus, Introduzione allo studio del mondo musulmano, Venezia, 1988, pag.52. Le parole di Lapidus si possono applicare a tante altre simili situazioni nel corso della storia anche in tempi recenti.

[56]E. Manzano Moreno, Árabes, berberes y indigenos: al-Andalus en su primer período de formación, da “L’incastellamento”, École française de Rome, 1998, pag. 159.

[57]R. Collins, La España visigoda, 474 – 711, Edición Crítica, Barcelona, 2005, pag. 158.

[58]I. M. Imamuddin, Muslim Spain: 711-1492; a Sociological Study, E. J. Brill, Leyda, 1981, pag. 29.

[59]E. A. Thompson, Los Godos en España, Alianza Editorial, Madrid, 1971, pag. 285.

[60]J. Orlandis Rovira, La reina en la monarquia visigoda, Anuario de Historia del Derecho Español, n. 27, 1957-58, pagg. 123-124.

Dario Escher

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