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La versione definitiva delle due razze di Lombroso: al Nord tutti ariani, al Sud solo le élite

Posted by on Lug 15, 2024

La versione definitiva delle due razze di Lombroso: al Nord tutti ariani, al Sud solo le élite

Il volume Lombroso e il Sud è curato, tra gli altri, dall’autorevolissimo Direttore del Museo Lombroso dell’Università di Torino, Silvano Montaldo. Il volume presuppone che la costruzione della teoria delle due razze sia opera esclusiva di Lombroso. Non è proprio vero! La teoria presentava aspetti complessi che Lombroso non era in condizione di affrontare. Una delle carenze maggiori, e non è carenza da poco, di Lombroso come ricercatore era la sua scarsa competenza logica.

Che la teoria dell’atavismo di Lombroso presentasse bassi standard argomentativi lo riconosce lo stesso Direttore del Museo. Solo che egli attribuisce ad altre cause la carenza che era dello studioso.
Secondo Montaldo, gli standard dimostrativi di Lombroso erano più bassi di quelli esteri perché pochi erano i crani di delinquenti meridionali a lui disponibili. La presenza di fosse comuni persino a Ischia mostra che questo non era vero. Volendo cercare crani, ne avrebbero trovati tanti. Il solo Zuccarelli ne ha trovati 1.300 tra Ischia e i boschi del maltese. Di crani, data l’entità dei massacri compiuti dai Sabaudi, ce n’erano a disposizione anche troppi e difettavano piuttosto le competenze per analizzarli.
Lombroso aveva pochi crani, ma questo non gli ha impedito di inventare una nuova teoria, falsa ovviamente, ma ancora oggi definita, dai curatori del Museo Lombroso, scientifica al tempo in cui venne proposta: la teoria dell’atavismo meridionale. Zuccarelli di crani ne aveva tanti, ma si è limitato solo a parlarne e a fare esposizioni in cui mostrava, oltre ai crani, le pallottole con cui erano stati uccisi e i fori di entrata dei proiettili nella testa. A parte il mostrarli, non seppe mai trarne altro, meno che mai considerazioni logiche credibili, da quella mole enorme di reperti.

La numerosità dei crani non c’entra niente con il basso standard scientifico, a paragone di quello europeo, dei lombrosiani. Il problema era di conoscenza della moderna logica induttiva (moderna in quanto descritta da John Stuart Mill nel 1843 e ancora valida).

Lombroso sapeva argomentare solo con il canone della concordanza e, di conseguenza, usava ignorare i casi discordanti (vedi il rifiuto di reagire alla scoperta del dottor Calori di un cranio con fossetta occipitale mediana come quella di Villella in un Bolognese di 74 anni vissuto onestamente per tutta la vita).

Giuseppe Sergi, Messinese, non un allievo, bensì un convertito alle teorie lombrosiane, si era reso conto che per una buona ricerca scientifica occorrevano delle buone tassonomie. La tassonomia è stato il suo apporto fondamentale alla scuola lombrosiana. Un allievo di Sergi, Enrico Ferri, propose una chiara tassonomia dei criminali: delinquenti-nati (poi delinquenti-naturali e infine delinquenti-atavici), delinquenti occasionali, delinquenti pazzi, delinquenti per passione e delinquenti d’abitudine. Lombroso si limitò ad appropriarsene.

Fu Raffaele Garofalo a sostituire il termine delinquenti naturali a quello di delinquenti nati e Scipio Sighele inventò il definitivo ed efficace nome di atavici. Anche di questi contributi, Lombroso si è appropriato senza riconoscere i meriti di chi li aveva suggeriti. È stato per la mancanza di questa chiara e ben definita tassonomia che, nella prima edizione de L’Uomo Delinquente, Lombroso ha potuto inserire Vincenzo Verzeni tra i delinquenti nati e nella terza passarlo tra i delinquenti occasionali, per poi, una volta rubata a Ferri la sua classificazione, nel 1902, rimetterlo tra i delinquenti atavici.

È stato per la sua incapacità di usare il canone della differenza, fondamentale per affrontare il caso della Sardegna dove c’erano state due invasioni diverse: una di popolazioni africane, a cominciare dai Fenici, e una di Vandali, cioè ariani. Già nel 1876, Lombroso confessava, in una lettera, a Giuseppe Pitré, che non se la sentiva di affrontare il caso della criminalità di quella ragione.

Vi era, tuttavia, un altro motivo a trattenere Lombroso dall’analisi della Sardegna: un corollario della teoria dell’atavismo meridionale stava nell’ipotesi che lo sviluppo bloccato della mente dei Meridionali derivasse dai cattivi governi avuti prima dell’Unità: i Borbone, gli Austriaci, gli Spagnoli e così via indietro nel tempo. Ovviamente, si assumeva che il nuovo governo Sabaudo-Italiano avrebbe sbloccato il processo verso la civilizzazione instaurando buoni governi. Sostenere che l’atavismo fosse presente anche in Sardegna, da un secolo e mezzo governata dai Sabaudi, significava attribuire anche a questi ultimi la responsabilità dell’atavismo e dello sviluppo bloccato delle popolazioni sarde. Oltre che, naturalmente, mettere in discussione l’ipotesi che, con i Sabaudi al governo dell’Italia, il blocco del processo verso la civilizzazione del Meridione sarebbe stato spezzato.

Malgrado l’ipotesi circa l’atavismo sardo fosse stata formulata nel 1876, i lombrosiani dovettero aspettare 21 anni per trovare tra le proprie file qualcuno che sapesse maneggiare il canone della differenza necessario per la Sardegna: il giovanissimo e geniale Alfredo Niceforo pubblicò la tanto attesa, da 20 anni, Delinquenza in Sardegna, all’età di 21 anni.

Infine, fu il Bresciano Scipio Sighele, allievo di Ferri, a segnalare un’incongruenza, che pure era evidentissima sin dall’inizio: se in Italia convivono due razze, l’africana in Meridione e l’ariana in Settentrione, come fa a esistere un’unica nazione? E come fa a esserci un solo Stato a governarle? Ci volevano due Stati, sembrava suggerire Sighele.

Lombroso dovette correre ai ripari riformulando la teoria: tutti ariani al Nord, ma ariane anche le élite meridionali perché esse discendono dagli antichi Greci e africano il popolo meridionale che discende da altre invasioni o dai Greci bizantini. Secondo questa nuova formulazione della teoria dell’atavismo, sarebbero le élite a tenere insieme l’Italia.

Una balla colossale già allora, Figuriamoci oggi che abbiamo potuto vedere il Ministro Calderoli che, mentre il deputato Donno avanzava verso di lui con la bandiera italiana, arretrava di fronte a quel simbolo di unità, rifiutando di toccarlo o farselo mettere addosso; ne è seguita un’aggressione al deputato Donno colpevole di avere messo a nudo, in un efficacissimo senza parole, la realtà dell’atavismo lombrosiano della Lega Nord, esplicito al sorgere della Lega, istintivo e automatico (atavico?) oggi.

Giuseppe Gangemi

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