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L’ALBA DI UNA DINASTIA

Posted by on Dic 26, 2021

L’ALBA DI UNA DINASTIA

Nei primi giorni di settembre del 1860, il Re Francesco II, lasciando Napoli per la piana del Volturno, ove organizzò l’ultima difesa militare del regno, denunciò l’invasione del regno in pace con tutti, in palese violazione dei trattati che ne avevano legittimata la nascita e l’esistenza. Con il richiamo ai trattati che avevano dato origine alla monarchia di Casa Borbone, Francesco II andò, con la memoria, al tempo di Carlo di Borbone. Il cui regno aveva dato origine alla Dinastia ed alla nascita della Monarchia Nazionale. Essa fu, infatti, il prodotto di successivi trattati fra le maggiori potenze europee del primo Settecento. Per comprendere l’origine del regno di Carlo di Borbone bisogna partire da essi anche se è bene precisare che molti di questi trattati non riguardarono apertamente il regno. Ma andiamo per gradi.

Quando Carlo salì al trono, la società napoletana passò dal vecchio al nuovo tempo senza rimpianti. Napoli usciva da 27 anni di viceregno austriaco durante i quali la presenza del Sovrano mancò. Perciò l’imperatore viennese non fu mai ritenuto un re nazionale. Per contro, l’erario austriaco aveva fatto sentire in maniera pesante la sua mano sui napoletani. Fiscalismo e rapacità di governo avevano resi odiosi i tristi consiglieri di Vienna. Michelangelo Schipa definisce di “tedesca taccagneria” il governo dei viceré austriaci. Costoro, infatti, avevano suscitato mormorii e rancori. I soldati erano tedeschi. I loro ufficiali facevano risparmi a Napoli per mandare denari a casa. Gli abiti delle truppe si facevano in Germania perché costavano di meno, come ci si giustificava. Erano oltraggi che non sfuggivano ai napoletani del tempo. Sotto gli Asburgo di Spagna il viceregno aveva vissuto l’età felice con Sovrani che si ritenevano Re napoletani. Il negativo mutamento avvenne con gli Asburgo d’Austria, con l’imperatore Carlo VI. L’autorità legislativa di Napoli, in passato salvaguardata, non diede più segni di vita. Le poche prammatiche emanate, partirono direttamente da Vienna. E quando Carlo entrò nel regno, gli austriaci fecero trovare le casse dello Stato vuote, con un disavanzo di quasi 20.000 ducati.

Carlo divenne Re e coprì i primi cinque lustri di storia della Napoli nuovamente indipendente. Fu infatti Re di Napoli e di Sicilia dal 1734 al 1759. Nei primi dodici anni del regno si ebbe la tutela della Spagna. Fenomeno che costituì un fattore positivo perché per mezzo della sua protezione il giovane regno poté affermarsi nel consesso delle nazioni europee. Carlo nacque a Madrid il 20 gennaio 1716 da Filippo V di Borbone e da Elisabetta Farnese, terza moglie del Re. Fu chiamato Carlo in memoria di Carlo II, ultimo sovrano spagnolo di casa Asburgo. Figlia di Odoardo e di Dorotea Sofia di Neuburg, Elisabetta Farnese era nipote del duca di Parma e Piacenza Francesco Farnese e discendente, tramite il nonno Ranuccio, di Margherita de’ Medici. Per questi legami dinastici, le corti borboniche ritenevano fuori da ogni dubbio che nella principessa si riunissero i diritti della successione negli Stati di Parma e Piacenza e nel granducato di Toscana. Elisabetta, dopo aver sposato Filippo V e generato tre figli maschi, fu consapevole che questi figli non avevano possibilità alcuna di regnare in Spagna e di conseguenza fece di tutto, politicamente, per rendere possibile una loro sistemazione sui troni della penisola italiana. In questo progetto era supportata dalle relazioni di parentela poc’anzi indicate che rendevano giuridicamente legittime le sue aspirazioni; fu anche psicologicamente incoraggiata nel miraggio dalla inattesa sollecitazione del granduca di Toscana Cosimo III “a partorirgli presto un successore”. In previsione di queste successioni, l’educazione e la formazione culturale del giovane principe furono estremamente meticolose. Egli apprese le lingue latina ed italiana quando aveva già imparato alla perfezione lo spagnolo ed il francese. Successivamente, per compiacere la consorte, apprese il tedesco. Con altri precettori manifestò una particolare inclinazione per lo studio della morale, della geografia, della storia generale sacra e profana, soprattutto di Spagna e di Francia, seguendo con profitto le lezioni di tattica militare e nautica. Egli raggiunse l’eccellenza per la formazione di un principe chiamato a regnare. Lo stile di vita che ne conseguì si andò a basare su presupposti di assoluta castigatezza dei costumi, alta considerazione della propria dignità e della funzione pubblica.               

La pace di Rastatt, che  fu, di fatto, una appendice al trattato di Utrecht dell’anno precedente, aveva posto fine nel 1714 alla guerra di successione alla corona ispanica. Il conflitto era costato caro perché, sebbene avesse consentito a Filippo V di conservare il possesso della corona, aveva anche determinato pesanti perdite territoriali. Le truppe imperiali sin dal 1707 avevano occupato il regno di Napoli estromettendo, dopo oltre due secoli, gli spagnoli i domini italiani ed i Paesi Bassi meridionali. L’Inghilterra, a sua volta, alleata dell’Imperatore, si era impadronita delle importanti basi ispaniche di Gibilterra e dell’isola di Minorca esercitando perciò un forte controllo su Mediterraneo occidentale.

Tra agosto e novembre del 1717, la Spagna si reimpossessò della Sardegna. Fu la prima azione militare tra la Spagna e l’Austria dopo la guerra di successione spagnola e fu la causa diretta della nuova guerra detta della Quadruplice Alleanza (1718 – 1720).

Inghilterra, Francia e Paesi Bassi raggiunsero un accordo all’Aja e si coalizzarono dando origine ad una Triplice Alleanza. Queste potenze temevano che la Spagna tornasse ad essere una superpotenza del mediterraneo. Esse offrirono alla regina di Spagna Elisabetta il loro appoggio per la futura successione del figlio negli Stati Farnesiani e Medicei e all’Imperatore d’Austria la permuta della Sardegna con la Sicilia. Per tutta risposta, come abbiamo anticipato sopra, la Spagna si reimpossessò della Sardegna.

Con il Trattato di Londra del 2 agosto 1718 viene fondata la Quadruplice Alleanza per rispondere con la guerra alla Spagna. Costituiscono l’alleanza Inghilterra, Francia, Paesi Bassi ed Austria. La Spagna uscì sconfitta.

Si giunse, così, al Trattato dell’Aja del 20 febbraio 1720. Questo Trattato chiuse definitivamente la guerra della Quadruplice Alleanza. La Spagna perse i suoi territori in Italia e nei Paesi Bassi. Il Trattato dispose inoltre che la Sicilia fosse assegnata all’Austria ove si trovava Vittorio Amedeo II di Savoia al quale il Trattato stesso assegnò l’isola sarda dando così la nascita al regno di Sardegna sotto lo scettro di casa Savoia. All’articolo 5 del Trattato si accordava all’Imperatore Carlo VI la sovranità feudale degli Stati Medicei e Farnesiani, destinandone al principe Carlo di Borbone il dominio. Ma la regina Elisabetta Farnese non fu affatto soddisfatta della soluzione che trasformava il figlio in un futuro  vassallo di Carlo VI. Ciò, inoltre, determinava un ulteriore ingrandimento dell’Austria ed il fatto suscitava giustificati allarmi negli alleati.  

Il pericolo di un allargamento dell’Austria e al fine di tenere al freno la sua potenza nella penisola italiana, indusse Francia e Spagna, nel marzo del 1721, a sottoscrivere un trattato segreto al quale si unì l’Inghilterra il 13 giugno dello stesso anno. Con l’occasione Filippo V dichiarò che a seguito di un eventuale e felice esito della guerra in Italia, se fosse tornato in possesso dei domini italiani smembrati dalla corona spagnola, li avrebbe ceduti a suo figlio don Carlo.

L’imperatore, preoccupato dal giro di alleanze che sorgevano in Europa, decise finalmente di inviare i plenipotenziari a Cambrai e così il congresso si poté aprire. Questo congresso doveva avviare l’esecuzione del Trattato di Londra. Ma andò avanti con accordi e contro accordi che non approdarono a patti significativi. Così nel marzo del 1725 si giunse ad  una rottura fra le corti di Spagna e Francia ed il congresso fu sciolto. L’Imperatore d’Austria, ancora una volta, aveva raggiunto il suo scopo.

Il 30 aprile 1725 a Vienna fu firmata la pace fra Spagna ed Austria. Con il trattato sottoscritto, entrambi gli Stati ricomponevano le liti e confermavano un reciproco appoggio.

Dopo che la Spagna si fu riavvicinata all’Austria introducendo nel dibattito della diplomazia il nome di Carlo  unito a quello di Napoli, Francia, Inghilterra e Prussia si incontrarono ad Hannover nel settembre del 1725 e sottoscrissero un patto che li legava militarmente.

Lo scambio di alleanze fece pensare alle diplomazie europee di essere alla vigilia di una nuova guerra continentale. Intanto, il 26 febbraio 1727 moriva il duca Francesco Farnese. L’Austria intavolò nuove trattative con la Francia e le potenze marittime per raggiungere nuovi accordi. Elisabetta Farnese si insospettì e convinse il marito Filippo V a riconciliarsi con la Francia nell’agosto del 1727. La Spagna non aveva mai accettato la perdita della rocca di Gibilterra (1704) confermata nel 1713 dal trattato di Utrecht. Filippo V cercò di riprenderla nel febbraio del 1727. Dopo alcuni mesi di inutile assedio, grazie alla mediazione del cardinale francese Fleury, si giunse il 31 maggio a concludere a Parigi i preliminari di pace. Per effetto di questi, gli spagnoli il 12 giugno sospesero l’assedio. Le potenze europee si diedero convegno a Soissons. Il congresso si aprì il 14 giugno 1728. Dopo un anno non aveva raggiunto significativi punti di convergenza. La regina di Spagna era fermamente intenzionata a presidiare con sue guarnigioni le piazze toscane e quelle del ducato di Parma e Piacenza secondo gli accordi presi nel 1721 con Francia ed Inghilterra. L’Imperatore si opponeva richiamandosi all’art. 5 del trattato della quadruplice alleanza. Così si giunse alla nuova scomposizione delle alleanze nate dai trattati di Vienna.

La Spagna tornò ad allearsi con la Francia e l’Inghilterra. Il patto di alleanza fu sottoscritto con il Trattato di Siviglia del 9 novembre 1729 a cui accedette, poco dopo, l’Olanda. Le nuove alleanze garantirono ad Elisabetta Farnese la successione di Don Carlo nei ducati di Parma e Piacenza e nel granducato di Toscana nonché l’immediata introduzione di seimila spagnoli armati nelle piazze di quegli stati.

L’opposizione decisa del Papa, del duca Antonio Farnese, del Granduca Gian Gastone de’ Medici e dell’Imperatore, appoggiato dalla Russia, ed anche della Sardegna rasentò l’inizio di una nuova guerra che non scoppiò per l’aspirazione alla pace della maggior parte delle potenze europee. E mentre Elisabetta Farnese ravvivava le aspirazioni del figlio Carlo, il 20 gennaio 1731 moriva il duca Antonio Farnese, ultimo discendente per linea maschile di papa Paolo III. Lasciava i suoi stati ed un figlio concepito ma non ancora nato. Lasciò scritto che qualora l’agognato figlio fosse mancato nominava suo erede il bisnipote spagnolo, primogenito di Elisabetta. Gli austriaci colsero l’occasione per occupare con 6.000 uomini gli Stati Farnesiani dichiarando che li avrebbero consegnati all’Infante solo se la gravidanza della duchessa Enrichetta non avesse prodotto un erede. Si giunse, pertanto, alla sottoscrizione di un nuovo trattato tra Inghilterra, Olanda ed Austria che ratificava da un lato la Prammatica Sanzione di Carlo VI, dall’altro la successione di don Carlo, all’epoca quindicenne, negli Stati Farnesiani e Medicei con l’introduzione immediata in quegli Stati di 6.000 soldati spagnoli. Il trattato fu sottoscritto il 16 marzo 1731. Un successivo e collegato trattato fu sottoscritto a Vienna il 22 luglio 1731 tra l’ambasciatore spagnolo e quello inglese con il quale si ingiungeva formalmente a Carlo VI di lasciar venire l’Infante in Italia per presidiare le piazze.

Prudentemente, l’ultimo granduca di Toscana della casa de’ Medici, Giovan Gastone, sottoscrisse segretamente il 25 luglio 1731 una convenzione particolare col Re di Spagna, una sorta di patto di famiglia, indipendente da terze mediazioni. In virtù della convenzione, il granduca e sua sorella Elettrice, riconobbero ed accettarono come successore l’Infante don Carlo. Il 17 ottobre salparono da Barcellona verso Livorno una squadra spagnola ed una inglese. Conducevano i reggimenti che dovevano occupare le piazze toscane e del ducato di Parma e Piacenza in nome dell’Infante. Esse giunsero a Livorno il 26 ottobre 1731. Il conte di Charny il comandante in capo dei reggimenti, giunto a Firenze, prestò il giuramento di fedeltà al Granduca ed all’Infante suo erede. Il 20 ottobre 1731 don Carlos partì per Siviglia. Cominciò l’avventura italiana. Filippo V lo benedisse e gli cinse al fianco la spada di Luigi XIV tutta d’oro e riccamente ingioiellata. L’Infante viaggiò per terra fino ai Pirenei e poi attraversò la Francia fino ad Antibes. Qui ricevette, a nome di Luigi XIV, un’altra ricca spada ornata di diamanti. Il 23 dicembre 1731 si imbarcò e fu a Livorno quattro giorni dopo. Il 3 marzo 1732, dopo aver superato la malattia del vajolo che lo aveva colpito mentre si trovava a Livorno, Carlo entrò in Firenze. Gian Gastone de’ Medici volle che il Senato Fiorentino rendesse omaggio all’Infante con il consueto giuramento. E per solennizzare la cerimonia stabilì che essa avvenisse il 24 giugno, festa di S. Giovanni. La cerimonia fiorentina del 24 giugno 1732 non piacque all’Imperatore il quale chiedeva a tutti i costi l’annullamento dell’atto fiorentino. L’imperatore, inoltre, avvertì la duchessa reggente di Parma e Piacenza di non permettere all’Infante di prendere possesso del ducato in assenza del regolare atto di investitura da parte dell’imperatore medesimo. Elisabetta Farnese contestò le pretese imperiali dichiarandosi pronta ad una nuova alleanza con la Francia purché questa entrasse in guerra con l’Austria. Contemporaneamente ordinò al figlio di prendere possesso di Parma e Piacenza. Don Carlo, dopo aver assunto il titolo di Gran Principe di Toscana, l’8 ottobre 1732 si trasferì a Parma. Il 12 ottobre prese formalmente possesso di Parma ed il 22 dello stesso mese del ducato di Piacenza. Lo scontro con l’Austria fu inevitabile. L’Inghilterra tentò una nuova mediazione e si giunse al nuovo anno.

Il primo giorno di febbraio del 1733 moriva il re di Polonia Augusto II. Questa morte fece uscire allo scoperto la necessità di alleanze della Francia la quale sosteneva la candidatura a quel trono di Stanislao Leszeczynsky. Elisabetta Farnese intuì l’utilità di un intervento spagnolo a sostegno dei progetti francesi che potevano derivare per i suoi figli. Le pretensioni di Elisabetta, però, erano troppo ambiziose per potersi realizzare. Al tempo stesso bisogna riconoscere che il Sud della penisola italiana divenne un regno borbonico autonomo grazie alle sue energiche attività.

Intanto il cardinale Fleury sottoscrisse a nome del Re di Francia il trattato segreto di Torino del 26 settembre 1733 accordando al regno di Sardegna il ducato milanese e riconoscendo a don Carlo  le Due Sicilie con i Presidi di Toscana. In cambio di aiuto militare nella guerra di successione polacca. In particolare il Re di Sardegna si impegnava a garantire il passaggio delle truppe francesi sul suo territorio ed a fornire assistenza contro l’Austria.

La Spagna, per aderire all’alleanza Franco-Sarda nella guerra di successione polacca, pretese la cooperazione di Francia e Sardegna per la conquista dei domini austriaci in Italia. Inserì l’esclusione dal ducato milanese dei ducati di Parma e Piacenza. Volle che i generali franco-sardi dipendessero dal comando di don Carlo. Infine pretese una dichiarazione di Luigi XV e Carlo Emanuele III che non esistessero articoli segreti oltre quelli comunicati al re cattolico dall’ambasciatore conte Rottembourg. A questo puto Filippo V nominò suo figlio generalissimo con il compito di assumere l’assoluto ed indipendente dominio dei suoi stati in Italia.

Il 7 novembre 1733 la Francia sottoscrisse con la Spagna il trattato dell’Escuriale che era in contrasto con il precedente trattato di Torino. Con il nuovo trattato la Francia si impegnava a sostenere per don Carlo tutti i diritti riconosciutigli nel trattato della quadruplice alleanza come in quello di Siviglia; gli si riconosceva altresì il possesso di Parma e Piacenza e alla morte dell’ultimo dei Medici anche quello di Toscana. I due Sovrani si impegnavano a non prendere alcun impegno all’insaputa dell’altro e a non deporre le armi se non di comune accordo. Un articolo segretissimo annullava ogni anteriore convenzione che non fosse di carattere puramente commerciale.

Le operazioni belliche per la conquista del regno ebbero inizio. Il comandante supremo, capitano generale conte di Montemar, una volta in Italia, ricevette l’ordine da Elisabetta Farnese di muovere subito alla conquista delle Due Sicilie per ritornare poi, a conquista terminata, tra i franco – sardi per marciare su Mantova. Il Montemar da Pisa passò a Parma dove raggiunse l’Infante. Costui il 20 gennaio 1734 entrava nel diciottesimo anno ed era perciò fuori tutela. Ai primi di febbraio don Carlo partì da Parma per Firenze. Da dove, il 24 febbraio, iniziò la marcia per la conquista del regno. Il 14 marzo da Monterotondo fu lanciato un proclama ai popoli del regno in nome di don Carlo. Al proclama si univa un dispaccio di Filippo V dato dal Pardo che spiegava le ragioni dell’impresa. Il 28 marzo 1794 don Carlo entrava nel regno alla testa dell’esercito dirigendosi verso Aquino.

L’Austria dalla quale dipendeva il viceregno delle Due Sicilie non volle spendere un fiorino per conservare il regno all’imperatore pretendendo che il regno stesso si difendesse con i suoi mezzi. L’imperatore lanciò un proclama il 10 marzo 1734 indirizzato agli Eletti della Eccellentissima e Fedelissima Città protestando per le ostilità. Così l’Austria dichiarava guerra alla Spagna. Guerra che a Napoli non fu presa sul serio.

Da San Germano, il 3 aprile, mentre il viceré austriaco lasciava Napoli, gli Spagnoli si trasferivano a Presenzano. Il giorno 5 attraversarono il Volturno e l’esercito si accampò a S. Angelo. Di qui don Carlo inviò una lettera alla Città di Napoli chiedendo un pronto atto di sottomissione. Quindi raggiunsero Piedimonte, poi passarono ad Amorosi dove furono raggiunti da D. Gaetano Maria Biancone, “segretario della Città”. Costui a nome degli Eletti consegnò a don Carlo le chiavi della Capitale professando obbedienza. Al tempo stesso chiese formalmente all’Infante di confermare alla Città, al Baronaggio ed al Regno i privilegi vigenti oltre quelli che il Principe voleva elargire. L’esercito di don Carlo riprese il cammino ed il giorno 9 aprile entrò in Maddaloni. Qui i 18 rappresentanti della Città (tra Eletti e Deputati) di Napoli furono introdotti al cospetto di don Carlo. Uno dopo l’altro, mettendosi davanti, in ginocchio, gli baciarono la mano e, messisi in circolo, col capo coperto perché era stato conferito il grandato di Spagna da Carlo VI alla Città, ed i grandi di Spagna si presentavano davanti al Re col capo coperto, per mezzo di uno di essi, il principe di Centola, rinnovarono fedeltà al Re Filippo V. Intanto il Mastro di Cerimonie della Città, in ginocchio, presentava al Re le chiavi le chiavi indorate contenute in un bacile ed il libro dei Privilegi rilegato in velluto con galloni d’oro.  Don Carlo rispose: “Yo por lo que el Rey tiene determinado recivo en mi proprio nombre vuestra obediencia y aseguro vuestros privilegios y aquellos observer”. Il giorno seguente, 10 aprile, l’esercito di don Carlo giunse ad Aversa. Il principe fu ricevuto dal Vescovo. Il comando militare spagnolo organizzò di qui le operazioni belliche per inseguire in Puglia il viceré e sconfiggerlo. Nella terza decade di aprile del 1734, gli spagnoli attaccarono i munitissimi castelli napoletani i quali si arresero uno dopo l’altro: Baia, Sant’Elmo, Castel dell’Ovo. Nei primi giorni di maggio cadde Castelnuovo ed il giorno 6 dello stesso mese il marchese Visconti Torres a nome degli Austriaci chiese la resa.

Carlo si mosse da Aversa il 10 maggio su invito del conte di S. Stefano. A porta Capuana vi fu l’incontro con il popolo napoletano. Poi il corteo reale si mosse per via dei tribunali. Al termine del corteo avanzava l’Infante. L’ampolla con il sangue di S. Gennaro fu esposta alla venerazione dei fedeli ed il sangue del Patrono si liquefece, chiaro segno di gradimento del nuovo signoraggio. Don Carlo donò al tesoro di San Gennaro un gioiello di diamanti e smeraldi del valore di sei mila ducati. Quindi si recò alla reggia ove cenò a porte aperte.

Il 15 maggio giunse a Napoli un corriere proveniente dalla corte di Madrid e consegnò varie lettere firmate in Aranjuez l’ultimo giorno di aprile dal Re Filippo V. Tra queste ve ne erano due del Re Cattolico al Figlio. Una di cancelleria in forma di dispaccio; l’altra di proprio pugno del Re Filippo V. Esse furono consegnate all’Infante il quale le lesse. Filippo V cedeva al figlio tutti i suoi diritti sul regno di Napoli. Carlo era dunque il nuovo Re. Il primo Re indipendente e quindi Nazionale. A Re Carlo prestarono giuramento di fedeltà i nobili, personalmente; le Città e le terre demaniali per mezzo dei sindaci e degli eletti nel 1734. L’anno successivo, abolito il Consiglio Collaterale, istituiva la Camera di S. Chiara alla quale fu data la potestà dell’abolito Consiglio. Essa dava  il suo parere su tutto ciò che il Re domandava per qualsiasi branca del governo. Ma in taluni affari era giudice. Contemporaneamente istituiva un Consiglio di Stato come il più importante e principale consesso del governo ove il Re sedeva per trattare qualsiasi affare della pubblica amministrazione. La magistratura fu scelta fra uomini illustri per sapere e probità. Si formò così una magistratura forte nell’opinione del popolo e del governo. I diritti delle persone e le proprietà ebbero nuovi tutori nei magistrati. Nel 1742 Carlo prescrisse che una giunta di notabili magistrati dovesse omogeneizzare le nostre leggi compilando un codice patrio: se non si raggiunse lo scopo per la partenza imprevista di Re Carlo per la Spagna, rimarrà lodevolissimo il progetto auspicato dal Re.

Le piazze più forti del regno erano ancora nelle mani dell’armata filo-austriaca. L’esercito di Carlo si scontrò con il grosso dell’esercito nemico la mattina del 25 maggio 1734 nella piana di Bitonto. Le forze austriache uscirono sconfitte al termine della giornata. Dopo una onorata resistenza caddero le piazze di Bari, Pescara e Gaeta dove Carlo entrò a cavallo. Le forze si concentrarono su Capua e sulla Sicilia, ultimi ridotti austriaci. Il 2 settembre 1734, il Montemar, nominato viceré, fece ingresso in Palermo e successivamente si arresero le piazze minori dell’isola. Restavano da espugnare la cittadella di Messina e le piazze di Siracusa e Trapani. Cadevano intanto Brindisi e Capua e così tutta la terraferma era nel potere effettivo del giovane Re Carlo. Egli, con l’inizio del nuovo anno, volle visitare le provincie. Andò in Puglia, in Basilicata e nelle Calabrie. Mentre era in queste terre apprese della resa di Messina e nel mese di luglio del 1735 fece ritorno a Napoli ove, seduto sul trono, ricevette  i complimenti della Città.

Per solennizzare l’ascesa al trono di Carlo a Napoli, furono coniate monete d’argento del valore di 6 e 12 carlini che avevano nel dritto lo scudo con le armi del Re sormontato dalla corona reale e le seguenti parole attorno: “Carolus, Dei gratia Rex Hispaniarum Infans” (Carlo per grazia di Dio Re Infante di Spagna) e nel rovescio il fiume Sebeto, la testa coronata d’alloro che con la mano destra tiene il vaso della sorgente delle acque e con la sinistra la pala; in lontananza si scorge il Vesuvio e nel piede si legge 1734. Intorno la scritta “De Socio Princeps” la quale stava a significare che Carlo era diventato tale per cessione del suo potente alleato, suo padre. Carlo, impropriamente, venne detto e continua ad essere chiamato Carlo III. Giannone criticò l’assenza del numerale dopo il nome del nuovo Re e rimase il dubbio se avrebbe dovuto essere VII oppure VIII. Secondo lo storico bisognava chiarire se Carlo era da ritenersi il legittimo successore dell’imperatore austriaco ed in questo caso il numerale avrebbe dovuto essere VII. Se, invece, fra i precedenti sovrani si fosse voluto annoverare anche Carlo VII di Francia, per poco tempo re di Napoli nel 1495, allora il numerale da attribuire sarebbe stato VIII. Non essendosi trovata una adeguata soluzione, il nome di Carlo Re delle Due Sicilie non fu seguito da alcun numerale. Per completare la formazione istituzionale della Monarchia Nazionale, Carlo diede al regno una bandiera sino ad allora mancante. Ciò avvenne nel 1735 quando il regno divenne del tutto indipendente. La bandiera fu formata da un drappo bianco con al centro le armi della dinastia. Mancava l’appendice dei Presidii toscani, la conquista della Toscana e dei ducati di Parma e Piacenza, come era stato stabilito nel Trattato dell’Escuriale. Per la missione diede incarico al Montemar, nel frattempo innalzato a duca, il quale si doveva avvalere dell’appoggio di Carlo Emanuele III di Savoia e del maresciallo francese de Villars. Il Re di Sardegna, però, non aveva intenzione di mettere a vantaggio del Re Carlo la sua armata ed il maresciallo francese manifestò grande esasperazione per le troppe contraddizioni in atto. L’esasperazione nasceva dalla politica estera di Versailles che si era alleata separatamente con le corti di Torino e di Madrid con patti tali da rendere impossibile in qualsiasi accordo. I dissensi politici fra queste corti agevolarono la riscossa degli austriaci che si rafforzarono nella difesa di Mantova. Alla mutata situazione in atto, si aggiunsero nuove turbolenze manifestate dal governo sardo. Il quale cominciò ad opporre resistenze alle mire di Re Carlo invocando il rispetto di quanto convenuto col Trattato di Torino. A Carlo il Re di Sardegna offriva il riconoscimento del regno delle Due Sicilie e dello Stato dei Presidii Toscani subordinandolo alla contemporanea rinuncia da parte di Re Carlo ai ducati di Parma e Piacenza ed alla successione al granducato di Toscana. Per la Sardegna, quel Re chiedeva un ingrandimento territoriale con le province di Novara, Vigevano e Tortona. Per dirimere la nuova questione, la parola passò alla diplomazia. Il francese de la Brume, a Vienna, raggiunse un accordo con il conte Ziuzendorff concordando alcuni articoli preliminari per far cessare il rumore delle armi. Il tre ottobre 1735 furono sottoscritti i nuovi patti a Vienna in base ai quali Carlo Emanuele III di Savoia si doveva accontentare delle sole due provincie del Milanese lasciando le altre sette con Mantova all’Imperatore. A Carlo di Borbone il Trattato di Vienna riconosceva il legittimo possesso delle Due Sicilie e dei Presidii ed in cambio il Ducato di Parma e Piacenza era ceduto all’Imperatore, mentre il Granducato mediceo veniva concesso al duca di Lorena Francesco Stefano, marito della figlia dell’Imperatore e designata sua erede, Maria Teresa.  Dopo un ulteriore intervento diplomatico napoletano presso Luigi XV, Filippo V il 7 gennaio 1736 rispondeva al nipote ponendo come conditio sine qua non per la sua accessione ai preliminari di pace di Vienna e per lo sgombero dell’armata spagnola dalla Lombardia, dall’Emilia e dalla Toscana, la sicurezza piena di suo figlio Carlo. La Francia riconobbe la validità della preoccupazione di Filippo ed agì per far rispettare tale preoccupazione presso la corte austriaca. L’Imperatore recepì le motivazioni delle due corti e dichiarò come avvenuta la pace con la Spagna. Il 30 gennaio 1736 la Francia provvide a garantire all’Austria la pronta esecuzione dei Preliminari da parte della Spagna e, per logica conseguenza, anche da parte delle Due Sicilie. L’adesione del Re di Spagna agli stessi preliminari avvenne il 18 febbraio 1736, ma in seguito a nuovi dissidi della Spagna con la Francia, al Montemar fu dato l’ordine di sgomberare la Toscana trattando le modalità solamente con i generali austriaci e non con i francesi.  La Spagna, nel tentativo di eliminare ogni potenziale cavillo giuridico, chiedeva all’Austria, per proseguire l’evacuazione militare dal nord della penisola italiana, un atto di rinuncia formale ai regni delle Sicilie. La corte di Vienna ne stese uno che alla Spagna risultò inaccettabile perché, tra l’altro, definiva feudi mascolini dell’Impero quei regni. Si addivenne ad una “Convenzione di esecuzione” sottoscritta dalle parti il 13 aprile del 1736 contro un atto reciproco dei Borbone per gli Stati Farnesiani e Medicei, ma la corte di Vienna pretese di conservare all’Imperatore i titoli degli Stati ceduti ed inserì nel testo delle cessioni altre clausole del pari inaccettabili. A questo pinto la Spagna stilò una “Dichiarazione” nella quale affermava di essere in pace con l’Austria nell’osservanza letterale dei preliminari. Essa fu firmata dal Patino per il Re Filippo V il 5 aprile e dal Montealegre per il Re Carlo il primo maggio del 1736. Carlo volle, altresì, asportare da Parma e da Piacenza tutti i mobili della Casa Ducale lì rimasti unitamente alle artiglierie delle Piazze. Volle conservare tutti i beni allodiali dei Farnese e dei Medici come appartenenti ad Elisabetta per diritto di successione (su Parma e Piacenza) e per la cessione del Granducato (sulla Toscana). Gli sgomberi convenuti nei Preliminari si eseguirono con celerità e, finalmente, il 28 aprile 1736, uscirono da Parma e da Piacenza le guarnigioni spagnole. Subito dopo i generali conte di Mactendonk e principe di Lobkowitz ne presero il possesso a nome dell’Imperatore. Si giunse così allo scambio degli atti delle reciproche cessioni tra Austria e Spagna per Napoli. Lo scambio avvenne in Toscana, a Pontremoli, il 5 gennaio 1737. Filippo V e suo figlio Carlo cedevano all’imperatore i ducati di Parma e Piacenza e a Francesco Stefano di Lorena il diritto di successione in Toscana. L’imperatore rinunziava a favore di Carlo e dei suoi successori ai regni delle Sicilie e allo Stato dei Presidii in Toscano. Subito dopo, le milizie spagnole evacuarono la Toscana. La regalità di Carlo si poteva definitivamente consolidare con il riconoscimento delle corti europee che venne con un certo automatismo.

Intanto la diplomazia continuava il suo silenzioso lavorio per giungere ad una pace definitiva che pose fine alla guerra di successione polacca. La Francia accettava la Prammatica Sanzione. A Carlo di Borbone il Trattato di Vienna sottoscritto il 18 novembre 1738 riconosceva il legittimo possesso delle Due Sicilie e in cambio il ducato di Parma e Piacenza veniva definitivamente ceduto all’Imperatore Carlo VI. Successivamente aderì al Trattato il Re di Sardegna (9 marzo 1739) e Carlo VI ordinò al suo ambasciatore a Parigi, principe di Liechtenstein, di accettare l’adesione di Filippo V e del figlio Carlo, così come era stata offerta. La sottoscrizione del voluminoso trattato fu alla fine concessa dall’ambasciatore napoletano principe di Torella il 21 aprile del 1739. Carlo di Borbone re delle Due Sicilie era finalmente in pace con tutti. Le ratifiche del trattato da parte dell’Imperatore Carlo VI e dei tre monarchi di Casa Borbone, Luigi XV, Filippo V e Carlo furono apposte il 28 giugno 1739.

Avvicinandosi le nozze di Carlo di Borbone si decise di ampliare ed abbellire l’esistente palazzo reale. La ristrutturazione fu affidata all’ingegnere Giuseppe Papis sotto la direzione dell’ingegnere maggiore del regno tenente colonnello Antonio Medrano. L’impresario fu Angelo Carasale. Per decorare la reggia furono chiamati alcuni tra i pittori maggiori del secolo: Bonito, Solimena, De Mura, Fischietti. Nel palazzo reale trovarono eccellente collocazione le opere d’arte provenienti dalla collezione Farnese di Parma.  Accanto al palazzo reale fu costruito, ex novo, il teatro, che prese il nome di San Carlo in omaggio al Santo di cui il Re portava il nome. Esso fu realizzato in otto mesi, da marzo a novembre 1737, grazie all’impegno del Carasale che operò sotto la direzione del Medrano. Il teatro fu inaugurato il 4 novembre, festa onomastica del Re. Nel corso dell’inaugurazione, il Re espresse il desiderio che fosse costruito un passaggio privato tra il teatro ed il palazzo reale. La rappresentazione tenuta all’inaugurazione durò tre ore, tempo che permise agli uomini del Carasale di costruire e completare il passaggio con i complimenti e la soddisfazione del Re. Il teatro San Carlo fu un successo e ben presto divenne l’emblema della cultura musicale napoletana facendo di Napoli il centro musicale più brillante della penisola. Era giunto il tempo di dare al giovane Re una sposa. La scelta dei reali di Spagna cadde su Maria Amalia di Sassonia, figlia di Augusto II re di Polonia ed Elettore di Sassonia. Il matrimonio avvenne nel 1738.

Carlo volle solennizzare i fasti della monarchia nazionale con l’istituzione di un nuovo ordine cavalleresco intitolato a San Gennaro, patrono della capitale. Era destinato al Corpo della nobiltà più eminente legato alla dinastia da vincoli di lealtà. Altro scopo del nuovo ordine cavalleresco fu quello di unire gli esponenti aristocratici di diversa origine. L’ordine fu istituito il 3 luglio del 1738 con lo scopo di difendere la religione cattolica ed essere fedeli al Re. Carlo, istituendo l’Ordine di San Gennaro, voleva costruire un equivalente del Toson d’Oro della Monarchia Napoletana. Contemporaneamente cominciava ad elargire titoli nobiliari per far crescere una nobiltà nazionale legata alla Monarchia. Nel maggio del 1738, dopo lunghe trattative allo scopo di risolvere le vertenze tra Spagna e Santa Sede, si raggiunse un accomodamento anche per Napoli ed il Papa Clemente XII concesse finalmente a Carlo l’investitura dei regni di Napoli e di Sicilia.

Il raffinato senso estetico di Carlo fu messo al servizio dell’interesse nazionale. Egli fondò nel 1738 una Regia Fabbrica di Arazzi ed un Regio Laboratorio delle Pietre Dure sopra San Carlo alle Mortelle. Il 30 ottobre 1739 Carlo istituì il Supremo Magistrato del Commercio destinato alla gestione di tutte le controversie aventi per oggetto rapporti commerciali che venivano sottratti alla giurisdizione degli altri tribunali. La fondazione della nuova giurisdizione costituiva l’unico mezzo per offrire una qualche difesa ai nuovi interessi emergenti. Un mese più tardi, con editto del 28 novembre 1739, Carlo istituì il Supremo Magistrato di Commercio anche in Sicilia. Questo istituto nel luglio del 1746 fu ridimensionato perché sospettato di fare gli interessi della corrente degli afrancesisados, in altri termini il ridimensionamento sancì la sconfitta del cosiddetto riformismo napoletano.  Un gioiello della politica finanziaria di Re Carlo fu la normativa per la formazione del catasto, strumento che venne definitivamente abolito dalle innovazioni introdotte dai Napoleonidi in nome di una nuova riforma in campo fiscale. Nell’ottobre del 1740 a Napoli si decise di emanare un bando per regolare e rendere uniformi, attraverso la redazione del catasto, le modalità di esazione delle imposte nelle diverse università del regno. Il nuovo ordinamento fu chiamato del “Catasto Onciario” in once essendo questa una moneta meramente nominale pari a sei ducati ed esprimeva l’imponibile. Con esso il Re intendeva introdurre un sistema impositivo che determinò varie critiche da versanti contrapposti. Il suo merito, comunque, fu l’aver introdotto un riordinamento fiscale che faceva del regno uno Stato avviato sulla strada dell’efficienza finanziaria.  Nel 1743 fu fondata la fabbrica di porcellane di Capodimonte per volontà della Regina. Carlo, dopo aver apprezzato le ceramiche portate dalla Sassonia, incoraggiò il progetto. Il caolino, indispensabile per la produzione delle porcellane, fu trovato in Calabria tra Paola e Fuscaldo. Il prodotto ebbe una tale fortuna che da allora il nome di Capodimonte fu inseparabile da quello di Porcellana. Scrive il Caridi che Carlo restò così affezionato alla fabbrica di Capodimonte che quando nel 1759 lasciò Napoli per Madrid, fatti smantellare gli impianti, volle trasportarne in Spagna le macchine ed i modelli. Sempre nel sociale, Re Carlo diede un forte impulso alla produzione tessile ed in particolare alla manifattura dei panni di lana che sino a quel tempo provenivano dalla Germania e dall’Olanda. Per il loro consumo, Carlo impose l’uso dei panni nazionali per le uniformi militari. Carlo legò la passione per le battute di caccia allo sviluppo edilizio di edifici che sono passati alla storia con il nome di siti reali. Essi sono sopravvissuti benché ridotti alla fatiscenza per l’incuria delle istituzioni che non hanno fatto niente per salvaguardarli come patrimonio pubblico. Le intemperie hanno poi dato i colpi ferali. I Siti Reali costituiscono la testimonianza della sua volontà di costruire una monarchia nazionale che anche nelle espressioni architettoniche desse l’idea della magnificenza dello stato napoletano. Egli scelse le località di Astroni, Calvi, Capriati, Agnano, Licola, Patria, Cardito, Carditello, Caiazzo, Sant’Angelo di Caserta, Venafro, Torre di Guevara, Persano per costruire siti adeguati alla magnificenza reale che usò per andare a caccia. La caccia era per Carlo una terapia contro l’ozio ed al tempo stesso costituiva il suo desiderio di vivere all’aria aperta perché ritenuta una ulteriore terapia preventiva contro il rischio della nevrastenia e della depressione che avevano colpito il padre ed  il fratellastro Ferdinando. Fu poi la volta di costruire i palazzi reali di Capodimonte e Portici. Quindi Caserta il cui inizio di costruzione della reggia avvenne il 20 gennaio 1752 in coincidenza con il suo trentaseiesimo compleanno. La costruzione dell’opera fu affidata all’architetto romano Luigi Vanvitelli. I lavori si conclusero parecchi anni più tardi, durante il regno di Ferdinando IV. I Siti Reali, peraltro pregevoli opere d’arte, non costituirono esclusivamente l’apporto edilizio al regno di Carlo. Il Sovrano utilizzò il campo edilizio per iniziative sociali di interesse pubblico. Un posto preminente spetta a quel grande edificio sociale che fu il Reale Albergo dei Poveri, destinato ad ospitare parte della moltitudine di mendicanti che vagabondavano per la capitale. Era gente senza fissa dimora e senza mestiere che viveva di elemosina. Per porre un freno al fenomeno, il Re decise la costruzione del grandioso palazzo la cui progettazione fu affidata all’ingegnere Ferdinando Fuga. I lavori iniziarono nel marzo del 1751 e si protrassero a lungo.      

Morto l’imperatore Carlo VI, si accese una nuova  guerra per contrastare la successione alla sua figliola Maria Teresa. Quasi tutta l’Europa fu in armi. Era il novembre del 1741 quando un esercito di 12.000 soldati napoletani giungeva ad Orbetello per collegarsi con le truppe spagnole. Intanto entrava nel porto di Napoli un forte naviglio militare inglese che intimò a Carlo, da parte dell’Inghilterra confederata con l’Austria, di dichiarare la neutralità nella guerra, richiamando l’esercito giunto nei Presidii. In caso contrario, sarebbe iniziato il bombardamento della città. In quel tempo lo stato era senza difesa. Fu gioco forza cedere e dichiarare la neutralità. Maria Teresa, intanto, non temendo aggressioni sul territorio tedesco, portò la guerra sul campo italiano e non avendo trovato resistenze nell’esercito franco – ispano, invase il regno delle due Sicilie. Carlo, con un proclama del 25 marzo 1744, comunicava che, forzato dagli eventi, rompeva la neutralità ed entrava in guerra al solo scopo di assicurare l’integrità del regno. Con un esercito di 15.000 uomini raggiunse gli spagnoli e si preparò alla battaglia. Le armate imperiali, comandate dal principe di Lobkowitz, puntarono sullo Stato Romano per aggredire meglio il reame di Napoli. Carlo, col suo esercito, corse a sbarrargli la strada. I due eserciti si trovarono di fronte a Velletri. Il Lobkowitz tentò di fare prigioniero il re Carlo ma il 10 di agosto del 1744 restò sconfitto. Carlo inseguì l’armata imperiale fino a Viterbo e poi fece ritorno a Napoli con tutti gli onori. Il 30 aprile 1748 i ministri di Inghilterra, Olanda e Francia stabilirono i preliminari di pace in forza dei quali restò al Re di Prussia la parte della Slesia occupata. Al Re di Sardegna furono cedute alcune piccole province del Milanese. La Spagna confermava verso l’Inghilterra il Trattato dell’Assiento. Genova rientrava nei suoi diritti. Il duca di Modena tornava nel possesso dei suoi Stati. A don Filippo di Spagna, fratello del Re Carlo, si davano i ducati di Parma e Piacenza. Ai preliminari di pace seguì il Trattato di Aquisgrana col quale, tra le altre cose, si stabilì che i ducati di Parma e Piacenza restassero ceduti all’Infante D. Filippo con la condizione di tornare il primo alla Regina d’Ungheria ed il secondo al Re di Sardegna qualora Filippo fosse morto senza prole, oppure ottenesse la corona di Napoli se Carlo fosse salito al trono di Spagna. Carlo si lamentò per il Trattato non riconoscendo a quegli Stati il potere di stabilire su Stati già da lui conquistati per il fratello mentre per quel che riguardava la sua persona era sufficiente la prole venuta al mondo. Dichiarò inoltre che il regno delle Due Sicilie e quello di Spagna dovessero essere distinti, come se fossero una secondo – genitura, ma, al tempo stesso, credeva giusto essere chiamati alla successione di quegli Stati i suoi figlioli, escluso sempre ogni collaterale. Il congresso di Nizza si riunì per dare esecuzione al Trattato di Aquisgrana. Dopo tale congresso, l’Europa si spaccò in due grandi blocchi: da una parte l’Impero ed il regno d’Ungheria, una parte dell’Alemagna, la Russia, l’Inghilterra e l’Olanda; dall’altra, la Francia, la Spagna, le Due Sicilie, la Prussia e la Svezia.

Con la nascita della monarchia nazionale, Carlo si pose il problema di dotare il regno di un esercito proprio per supportare il nuovo Stato affrancandosi dei quadri militari spagnoli che lo sorressero nel primo periodo. L’occasione propizia fu offerta dalla guerra di successione austriaca (1740 – 1748) nel corso della quale si cementò l’unione fra corona e nobiltà presente nel regno. Egli, infatti, fece ricorso alla grande nobiltà feudale e patrizia napoletana per il reclutamento ed il comando dei reggimenti provinciali. Il successo che Carlo dimostrò nella battaglia di Velletri dimostrò a tutti che il regno poteva camminare con le sue gambe verso la piena autonomia. Velletri dimostrò inoltre alle cancellerie europee due cose: per primo, a Vienna diveniva definitivamente improbabile il recupero del regno di Napoli conquistato nel 1707 e perso nel 1734; per secondo, la monarchia meridionale diveniva ormai Stato indipendente retto da una dinastia autonoma che si avviava a produrre Sovrani nati all’interno della Monarchia nazionale.

Il 10 agosto 1759 Carlo saliva al trono di Spagna per la morte di suo fratello Ferdinando VI che non lasciò prole. Successivamente, con solenne atto del 6 ottobre 1759, dopo aver dichiarato essere incapace a regnare il suo secondo figliuolo per conosciuta e sperimentata imbecillità “trasferì e cedette” al suo terzogenito Ferdinando, nato il 12 gennaio del 1752, il quale assumeva il nome di Ferdinando IV “i regni delle Sicilie e gli altri Stati in Italia, i beni e le ragioni e diritti e titoli e le azioni italiane”. Con lo stesso atto firmò la legge fondamentale della successione al trono. Prima di partire compì un ultimo atto politico. Egli aveva ricevuto in dono un anello d’oro trovato durante gli scavi archeologici di Pompei. Quell’anello era stato donato al Re e non essendo più tale il Re lo restituì all’erario Napolitano. Moralità privata che si proiettava come esempio nella moralità pubblica. Moralità di Re.

Francesco Maurizio Di Giovine

1 Comment

  1. L’interessantissimo excursus attraverso due secoli di storia dell’Europa in definitiva ci fa percepire i due distinti livelli esistenti e dominanti: il primo e’ rappresentato dalle dinastie che si succedono e si interscambiano attraverso matrimoni, il secondo invece sono i popoli che risiedono stabilmente nei territori e ne foggiano la vita in una continua evoluzione. Fu poi la rivoluzione francese che sconvolse in definitiva il sistema millenario e scatenò uno stravolgimento, con la presunzione che eliminando il re fosse automatico un nuovo assetto, che invece non si realizzo’…. anzi innesco’ stravolgimenti per la presunzione dei vari Napoleone e delle forze di societa’ piu’ o meno segrete, a cominciare dalla massoneria. Infatti si innescarono ovunque pretese piu’ o meno legittime che fecero intravvedere nuovi assetti considerandoli piu’ consoni all’evoluzione delle emergenti dottrine libertarie…. e siamo ai giorni nostri in cui dobbiamo constatare che abolire il passato e’ solo un’illusione e, nel fondo, totalmente ingannevole perche’ significa annientare se stessi, la propria storia e in definitiva un patrimonio collettivo immenso… caterina ossi

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