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L’ambigua conquista della Sicilia nel 1860 (senza Garibaldi)

Posted by on Mar 16, 2021

L’ambigua conquista della Sicilia nel 1860 (senza Garibaldi)

Prima di arrivare ai giorni dello sbarco in Sicilia di Garibaldi dobbiamo brevemente ripercorrere alcune tappe per comprendere per quali motivi poi si arriverà alla gravissima “questione meridionale” che andrà ad assillare i successivi incapaci governanti del Regno d’Italia, e che poi lasciarono in eredità alla Repubblica; TUTTI INSIEME modificando ben poco la situazione creatasi con l’annessione voluta in una forma ambigua da Cavour, non voluta invece da Garibaldi che vi era sbarcato per ben altri motivi, che non collimavano con i progetti del politico piemontese (E NEMMENO CON QUELLI FRANCESI, E CON QUELLI INGLESI).

Non iniziamo certo la storia della Sicilia dal 700 a.C. quando l’isola subì la sua prima invasione; e nemmeno parleremo di quella Romana che la usava come granaio di Roma; saltiamo anche le vessazioni fatte sull’isola dai Bizantini, fino al punto che gli stessi isolani chiamarono gli arabi per liberarsene.
Del periodo arabo ne abbiamo parlato nei singoli anni, e quello dei Normanni pure. Gli sconvolgimenti iniziarono proprio dopo quello che fu definito il periodo migliore della Sicilia; quando l’isola si trovò al centro di un Mediterraneo in fermento con le Crociate e gli Stati Nazionali in formazione; ed era un periodo questo, quando Palermo era la città più colta, più ricca, più bella, e più cosmopolita di tutto il Mediterraneo ma anche dell’Europa.
(Fu Dante a dire:”tutto quello che si è prodotto prima di noi viene dalla “scuola siciliana””)

L’isola dopo il periodo d’oro degli arabi e poi dei normanni, dunque fu sconvolta nei suoi equilibri sociali, economici e politici dalle successive lotte feudali e dalle ottusità dei sovrani che la governarono dopo Federico II. Andò insomma incontro a una lenta decadenza economica e sociale, ma non per colpa della sua gente ma per la mancanza d’acume dei suoi improvvisati governanti, che riuscirono a sfiancare ogni velleità di autonomia, voluta e desiderata dai suoi abitanti. Alcune volte come vedremo quasi ci stavano riuscendo, purtroppo ci si misero sempre le circostanze contro.

Così le vicende che accaddero in seguito, ebbero le ripercussioni anche nei successivi secoli, fino al 1860, e li ha avuti anche dopo, fino ai nostri giorni.

La fine della dinastia normanna nel 1266, consegnò la Sicilia al dominio degli Angioini di Napoli, le cui severe misure fiscali sull’isola fecero rimpiangere perfino quelle bizantine di secoli prima. Provocarono (il pretesto fu quasi banale – l’odio covava) persino nel 1282 il furore popolare (Vespri Siciliani). Poi pur intervenendo e regnando gli Aragona, le cose non migliorarono, anzi favorirono la nascita di un “Partito Separatista che diede anche vita nel 1302 a un breve regno autonomo della Sicilia. (questo “partito” spunterà fuori molte volte nel corso dei secoli, durante l’invasione napoleonica a Napoli (Murat), ma anche negli anni 1943-45 (vedi) – E Persino prima della “discesa in campo” di Berlusconi (“Forza Sicilia” nel 1994 – vedi).

Nel 1392 si ricostituì un forte potere centrale ma sempre con gli Aragona, poi nel 1409 la Sicilia fu associata al regno Spagnolo riducendo l’isola al basso rango di vice-regno con il motto “da quelli prendere, mai dare, loro hanno già tutto”. La mensa siciliana era del resto la più abbondante, la più ricca e la più varia d’Europa. Vi cresceva di tutto.
(Questa frase anche se espressa in un altro modo la fece sua Emanuele Filiberto di Savoia
pochi secoli dopo: “L’Italia? E’ un carciofo di cui i Savoia mangeranno una foglia alla volta” – Dopo la “conquistata” “annessione” il “carciofo Italia” divenne una realtà – anzi nel Meridione si mangiarono pure il gambo, le traversine dei binari delle prime ferrovie, e le fondamenta delle banche)

Nel 1416 salì al potere Alfonso, detto poi il Magnanimo; sensibilmente migliorò la situazione, ma trasferì la capitale a Napoli, così per oltre due secoli il sovrano in Sicilia era rappresentato da un Vicerè, ma sempre straniero, e sempre con quel grave difetto dell’incomunicabilità che di solito fa nascere l’odiata arroganza. Non si può conquistare un popolo per commissione, non ci è mai riuscito nessuno; quello che ottiene è sempre l’odio, il disprezzo, o nel migliori dei casi i sudditi -anche quelli benestanti- prendono le distanze, soprattutto quando un sovrano straniero è incapace di penetrare lo “spirito del luogo”, che significa tradizioni, costumi, lingua e soprattutto cultura (che fino a pochi anni prima la Sicilia era ai vertici).
Alcune volte non ci fu nemmeno bisogno di imporre nulla. Sia gli arabi che gli Altavilla non imposero né un costume né una lingua. I Normanni del resto erano pochissimi, ma non per questo si trovarono a disagio. Inoltre amavano questo Paese e questo è il miglior modo per entrare a far parte di una comunità anche se il Paese é conquistato con la forza.

Con gli Aragona, la Nobiltà locale (che aveva tutto da guadagnarci, anche se con una certa fastidiosa sudditanza) si amalgamò presto con la corte spagnola e questa riuscì a incidere molto sull’alta società siciliana, nel costume, nella mentalità, ma anche negativamente nell’ economia visto che per Madrid l’isola era un semplice dominio periferico dove prendere uomini e denari per le sue numerose guerre, che gli Aragona dissanguando le casse statali alla fine le persero tutte fino alla rovina; l’ultima, quella che li cancellò dall’Europa, la persero contro gli austriaci (a.1720-1734). Ma questa sovranità austriaca durò pochissimo, dal 1720 fino al 1734, quando l’isola cadde nelle mani dei Borboni che riunirono la Sicilia al regno di Napoli.

Un discreto sviluppo economico dei Borboni, favorì anche quello demografico.
Che i Borboni fossero i peggiori sovrani questo è discutibile, che assomigliavano agli Aragona è azzardato anche questo, diciamo che erano dei sovrani che avevano come tutti gli altri un’alta concezione di sè. Ma ogni tanto uno di questi sovrani, per tanti motivi, o per sensibilità innata o perchè avevano un notevole bagaglio culturale che li trasformava in uomini illuminati, riuscivano anche a governare bene. Naturalmente gli scontenti ci sono sempre, e spesso anche una minoranza può dare il via alle contestazioni, alle rivolte, far scoppiare le rivoluzioni. In una parola modificare il paese.
I Borboni questo è certo non lo modificarono in peggio. Un Paese di sicuro non cresce se non ha benessere e tranquillità. E infatti, la Sicilia sotto i Borboni ritornò “a vivere”.

Nel 1700 sull’isola si contavano 1.000.000 di abitanti, erano circa 1.650.000 nel 1800-1814. Anni questi ultimi di una singolare svolta durante il periodo napoleonico. Con Napoli occupata dai Francesi, i Borboni si rifugiarono in Sicilia, ma a governare furono gli inglesi che avevano occupata l’isola (1806-1810) per il timore che Napoleone vi giungesse. L’imperatore non dimentichiamo dopo Tilsitt non pensava altro che a mettere una base nel Mediterraneo orientale, ma più che in Sicilia la sua ossessione era conquistare Corfù (vedi Pace di Tilsitt, 1807).

Nei 6 anni che seguirono ci fu un brevissimo sogno già accarezzato come abbiamo letto sopra nel 1302: stava per nascere dall’aristocrazia, dal ceto dirigente, ma anche largamente appoggiato dalla popolazione, un nuovo stato moderno, liberale, all’Inglese; nel 1812 fu scritta perfino la Costituzione di un governo simile a quello britannico, con una bicamerale. La Sicilia non era mai stata così vicina ad una svolta. Dove sarebbe giunta la Sicilia con questa autonomia lo possiamo solo immaginare: molto lontano. Aveva tutte le carte a favore, era lontana dagli altri Stati Europei, ed era sul mare, e nel mare allora c’era solo una potenza dominatrice: l’Inghilterra, che l’avrebbe sempre protetta, anche perchè l’isola era strategicamente importante.
La caduta di Napoleone, paradossalmente voluta dagli inglesi, danneggiò proprio la Sicilia.

Il rovescio di Napoleone e la Restaurazione del 1816 riportarono i Borboni sul trono, e l’autonomia di una Sicilia Costituzionale rimase un sogno. Tentarono allora di creare almeno un regno autonomo, invece i Borboni -commettendo un grosso errore- risposero formando il Regno delle Due Sicilie. Solo quando fu cacciato poco più che ventenne e solo da un anno sul trono, l’inesperto Francesco II accordò la sospirata Costituzione che i siciliani si erano data, ma era troppo tardi, ci rimisero entrambi; lui fu cacciato e i siciliani (che lottavano contro i Borboni per ottenere questa indipendenza) si trovarono invischiati in un Risorgimento che non aveva nulla a che vedere con quello che stava invece accadendo nelle regioni a Nord, ed anche queste non senza amarezze di come si concluse poi la tanto sospirata autonomia. Le regioni finirono tutte beffate con un singolare plebiscito che fu presentato come l’arma dell’indipendenza regionale (di tipo federalista – e che doveva salvaguardare lingua, usi, costumi, tradizioni ecc) ma poi i cittadini si ritrovarono ad essere tutti sudditi di un piemontese, con leggi che se andavano bene per il Piemonte non erano tagliate su misura per altre regioni.; come il Veneto, la Toscana, e appunto la Sicilia con l’intero Meridione Ma torniamo indietro al 1821.

L’opposizione al regime borbonico si creò subito dopo la Restaurazione in entrambe le due regioni; creando poi grossi problemi a Napoli con i moti del 1820-21, ma i Borboni stroncarono quelli locali e risposero con la forza a quelli di Palermo dove le ribellioni si erano già subito estese. La forza delle armi c’era, ma la debolezza politica che seguì nei successivi anni non riuscì nè a sanare i bilanci nè ad accontentare, i contadini, gli ex feudatari, i gabellotti e i notabili. La rivoluzione del 1848, poi le vicende che seguirono, prima e dopo l’Unità d’Italia, crearono di nuovo forti tensioni sull’isola.

Garibaldi in un proclama del 6 maggio del 1860 aveva espresso l’intenzione di sostenere l’insurrezione siciliana per realizzare l’unità d’Italia; il 6 giugno dopo essere sbarcato sull’isola aveva sancito a Palermo con i nemici e amici, la fine del dominio Borbonico, e i siciliani già credevano in una nuova costituzione (a quella del 1812-di tipo inglese) quando invece lo stesso giorno fu inviato Farina, un incaricato di Cavour (quest’ultimo non aveva mai appoggiato l’iniziativa di Garibaldi, o per convinzione, o per non compromettersi se andava a finire male) per: a) Preparare l’annessione al Regno piemontese; b) Mettere in vigore la Costituzione Sabauda; c) Convocare il nuovo Parlamento a settembre.
Sui presenti calo’ il gelo, negli ambienti liberali ma anche non liberali, salì invece l’ira. Nessuno voleva farsi scippare l’isola, e su questo si ritrovarono tutti d’accordo amici e nemici, a costo di fare un’altra rivoluzione, ma questa volta contro i Savoia. A loro non interessava questa o quella dinastia, interessava l’indipendenza.

Garibaldi fece arrestare lo stesso giorno Farina, accusandolo di cospirare contro il legittimo “governo siciliano”. Nascerà in questa circostanza il duro conflitto fra Garibaldi, i Savoia e Cavour, mai sanato. “Non la intendevo io una Italia così” dirà in seguito Garibaldi. I fatti gli diedero ragione.
L’” annessione” forzata poi avvenne, ma l’ottusa politica di accentramento burocratico, l’estensione all’isola dell’organizzazione statale sabauda, la legislazione economica in vigore in Piemonte applicata integralmente in Sicilia, suscitarono su tutti i ceti un forte malcontento ma in alcuni anche fortissime ostilità. Un Popolo che non conosceva nulla dell’altro, con le distanze a quei tempi geografiche e caratteriali enormi, con due linguaggi ad entrambi totalmente incomprensibili (perfino il Re parlava in stretto dialetto piemontese) con costumi e tradizioni completamente diversi, l’intera isola (meno i soliti, che ricevono benefici con qualsiasi tempesta) si oppose ad accettare leggi e istituzioni in una forma così ambigua e nello stesso tempo imposta, senza conoscere le realtà locali. Lo stesso Cavour non conosceva nulla del sud. Oltre Firenze non era mai stato. E per pregiudizio dubitiamo che conoscesse anche la storia della Sicilia, il suo passato, e i suoi “giardini” agricoli; questi li andava a vedere nel freddo nord Europa, nessuno gli aveva mai parlato che in Sicilia si facevano due e anche tre abbondanti raccolti all’anno e che una volta era il giardino d’Europa.

Le ribellioni nelle masse popolari che seguirono furono domate con dure repressioni, le insurrezioni bollate subito come brigantaggio e stroncate con l’invio dell’esercito; (*) creando non solo la turbolenta “questione siciliana” ma nel resto d’Italia diedero una distorta informazione all’opinione pubblica facendo nascere un secolare pregiudizio nelle successive generazioni. Furono anche inutili la nascita nel 1894 dei Fasci dei lavoratori, Crispi rispose con lo stato d’assedio sull’isola, che voleva dire “piegatevi o spariamo a vista”; e mantenne la promessa. Di spari ce ne furono infatti molti.

(*) A Napoli noi abbiamo cacciato il sovrano per ristabilire un governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono, e sembra ciò non basti, sessanta battaglioni…Abbiamo il suffragio universale? Io nulla so di suffragio; ma so che al di qua del Tronto non sono necessari battaglioni, e che al di là sono necessari. Ci dev’essere per forza qualche errore…. Bisogna cangiare atti o principi…”

Anche dopo, durante il periodo giolittiano la situazione e le condizioni economiche non é che migliorarono, tra il 1900 e il 1914 un milione e mezzo di siciliani furono costretti a emigrare all’estero. Fu il primo esodo biblico, ma nemmeno l’ultimo.
Poi venne la Grande Guerra, e ci si ricordò che anche in Sicilia c’erano uomini da impiegare sul fronte. Questi pagarono anche loro il tributo di sangue (350.000 morti) e di sacrifici; al ritorno dalla guerra sappiamo come furono accolti quelli del Nord Italia, non per nulla nacque il fascismo sul malcontento dei reduci, figuriamoci quelli del Sud! Contadini chiamati in massa per fare l’assalto alla baionetta con il fucile ’91 che era più alto (e più pesante) di loro di 40-50 centimetri.
(quando andate a visitare un museo, guardatevi un 91 con la baionetta in canna, e poi fate mente locale a un povero contadino siciliano alto 1 metro e 50).

Poi nel dopoguerra, la Sicilia fu scossa da un altro movimento contadino per l’occupazione delle terre incolte o assaltando i forni del pane.

Anche il ventennio fascista che seguì non risolse la “questione”. Poche furono le iniziative, e tanta l’inerzia nel seguitare a non prenderle queste iniziative; ad arrendersi ai potenti latifondisti.
Si liquidava il tutto dicendo che c’erano forze occulte, il cui fenomeno veniva fatto risalire a tempi antecedenti all’unità d’Italia, quindi irrisolvibili. Mussolini ingaggiò una lotta alla Mafia, poi si accorse che chi doveva combatterla aveva (o subito iniziava ad avere) stretti legami con l’isola. Non se ne parlò più.
Dopo la seconda guerra mondiale, fin da 1943, sull’isola già libera, ancora una volta risorse come nel 1860, un altro movimento separatista, cogliendo quell’attimo fuggente, che di fatto in quei mesi (settembre 1943 e successivi) aveva già spaccato in due l’Italia; con una parte, quella a nord, nella più totale confusione e incertezza di come sarebbe andata a finire la guerra sul continente, e dall’altra un governo che si era formato nel sud che era una nullità, un “Governo fatto di Pupi”, senza offendere i “pupi”. (i Pupi sono le famose “marionette”)

Finita la guerra, i fondatori del movimento indipendentista (MIS) in ottobre furono arrestati. Nel 1946 alla Sicilia fu concesso uno statuto autonomistico, che non risolse la “questione” sull’isola, e non beneficiò del disordinato boom economico degli anni 1950-60 nel nord.
Ancora nel 1961, fu insediata una commissione d’inchiesta per combattere la “Mafia”. Ma la Maggioranza “…ha bocciato il disegno di legge respingendo le allusioni che ci siano interferenze tra forze axtralegali e organi del potere pubblico: e ha respinto le supposte responsabilità della vita politica in ordine a un fenomeno che viene fatto risalire a tempi antecedenti all’unità d’Italia” (Comunicato Ansa, del 14 aprile 1961).
Quindi la conclusione restava quella pretestuosa come quella di Mussolini: cioè irrisolvibile.

Come all’inizio del secolo, l’unica cosa che si mise in movimento fu una nuova massiccia emigrazione verso il nord Italia e all’estero.
Una emigrazione che solo negli ultimi dieci anni di questo secolo si è arrestata, e sta iniziando con le nuove generazioni una nuova epoca, utilizzando al meglio le proprie risorse umane e ambientali. Con un ricco mercato potenziale che gli sta di fronte, quello del basso Mediterraneo che presto, quanto a popolazione, sarà pari all’intero mercato del continente, e con un reddito in continua ascesa. Un grande mercato davanti alla porta (400 milioni di esseri umani)
Forse questa volta non avrà nemmeno bisogno di una indipendenza formale
la diventerà di fatto.
(Non dimentichiamo che nel 2009-2010 il Sud, come popolazione rispetto al Nord, farà il “sorpasso”.

( tratto da Storia in Network )

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