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L’AUTONOMIA STRATEGICA DEI COMANDANTI DEL REAL ESERCITO DELLE DUE SICILIE

Posted by on Mar 17, 2023

L’AUTONOMIA STRATEGICA DEI COMANDANTI DEL REAL ESERCITO DELLE DUE SICILIE

Campagna militare di Sicilia aprile-luglio 1860 (di Domenico Anfora)

Le truppe borboniche in Sicilia, circa 25.000 uomini portati a 30.000 nel maggio 1860, erano agli ordini di don Paolo Ruffo, principe di Castelcicala, maresciallo di campo e luogotenente del Re. Quale autonomia strategico-militare ebbe Castelcicala in quei frangenti decisivi per la sopravvivenza del Regno?

Il governo di Napoli aveva ricevuto già il 6 maggio un preoccupante telegramma dal proprio console a Genova:

Sono partiti da Genova due vapori con gente armata diretti per la Sicilia o per le coste di Calabria.

Immediatamente il governo avvisava il luogotenente Castelcicala sul prossimo sbarco di emigrati siciliani e filibustieri piemontesi. L’invasione era ormai certa e il governo napolitano mobilitò la flotta. Attorno alla Sicilia incrociavano quindici legni: quattro fregate a vapore, due a vela, nove piroscafi da guerra. Castelcicala mobilitò la guardia urbana e schierò molte compagnie d’arme sulle spiagge dell’isola per pattugliarle in funzione antisbarco. Inviò a pattugliare strade e porti alcune colonne mobili: Primerano verso Termini, Letizia a Trapani e Marsala, Landi verso Partinico e Alcamo, D’Ambrosio su Cimminna.

Al momento dello sbarco di Garibaldi a Marsala, l’11 maggio, quel litorale era sguarnito, poiché la colonna mobile Donati, formata dal 1° battaglione carabinieri, era stata inviata a Girgenti pochi giorni prima. C’era di guarnigione a Trapani il 13° reggimento di linea «Lucania» del colonnello Torrebruna, che rimase inspiegabilmente inerte fino al 31 maggio, quando fu ritirato via mare a Messina.

Ricevuta la comunicazione sullo sbarco di Garibaldi a Marsala, Castelcicala riunì in consiglio i generali e le autorità civili di Palermo. Nel consiglio si elaborò un piano, spiegato da Castelcicala nella lettera inviata al giornale francese Union l’11 dicembre 1864, per difendersi dalle accuse ricevute, e riportata da Raffaele De Cesare nel suo saggio La fine di un regno:

Conformemente al piano fissato da prima, tre battaglioni cacciatori partendo da Napoli dovevano rendersi immediatamente sul posto dove lo sbarco di Garibaldi sarebbesi effettuato. Il 10 maggio io ricevetti il primo avviso dello avvicinarsi di Garibaldi e lo trasmisi immediatamente alla flotta, il comandante della quale mi accusò ricezione del mio dispaccio. L’11 Garibaldi sbarcò a Marsala. Il giorno stesso il Capo del Governo ne fu avvertito e promise per l’indomani l’invio a Marsala dei battaglioni cacciatori.

Queste truppe non giunsero mai. Vogliano coloro che si occupano di redigere la storia di questi deplorevoli avvenimenti ricordare questo fatto la cui importanza fu suprema! Io lo ripeto e lo preciso. L’11 maggio 1860 un’ora dopo mezzogiorno io ricevetti l’avviso dello sbarco di Garibaldi: ad un’ora e dieci minuti trasmisi la notizia a Napoli, domandando i promessi battaglioni; alle 5 e mezza giunse la risposta: si prometteva per l’indomani, 12, l’arrivo a Marsala dei chiesti rinforzi.

Il generale Landi, che comandava in Alcamo, ed il prode maggiore Sforza, che io aveva inviato lo stesso giorno a Trapani con un battaglione, ricevettero nel corso della notte le mie istruzioni per concertare i loro movimenti con quelli delle truppe attese da Napoli. Queste truppe non si videro mai.

Il 13 allorché acquistai la triste convinzione che non bisognava più contarci, riunii le forze di Landi e di Sforza, dando loro l’ordine di marciare innanzi. L’autore della Cronaca dice che il battaglione di Sforza da Girgenti fu spedito in Alcamo per rinforzare Landi. No, no: il battaglione Sforza da Girgenti venne spedito a Trapani, ove restò due giorni, per attendervi l’avviso dell’arrivo dei battaglioni provenienti da Napoli, e fu solo due giorni di aspettativa che il battaglione di Sforza fu spedito da Trapani ad Alcamo per rinforzare Landi. […]

La brigata Bonanno inviata in rinforzo dal governo di Napoli sbarcò in ritardo, il 14 maggio, non a Marsala ma a Palermo, dove non c’era alcun bisogno di rinforzi.

Quindi, il luogotenente Castelcicala aveva elaborato col suo Stato maggiore un piano sulla base del quale inviò gli ordini alle colonne mobili. Gli ordini a Landi furono:

La banda sbarcata ieri a Marsala è di cinque in seicento uomini. Stamane essa mi si dice abbia preso la direzione di Mazara. Da quest’ultima città può prendere le strade di Salemi o di Castelvetrano o di Campobello, per marciare sopra Palermo. Epperò Ella marcerà sopra Calatafimi o Macellaro, ove, attingendo notizie continue mercé esploratori, adoperando anche i Compagni d’armi a cavallo, Ella saprà il cammino dalla banda preso, e quindi l’attaccherà di fronte, manovrando opportunamente, e qualora le sfuggisse, l’incalzerà sempre senza posa, qualunque sia la sua direzione. Nel caso la banda si fosse diretta da Marsala sopra Calatafimi, le andrà del pari incontro per combatterla. Tenga presente che Palermo è la sua base di operazioni, donde riceverà rinforzo al bisogno. Le ho mandato l’8° Battaglione Cacciatori, il quale, sbarcato a Castellammare, ha avuto ordine di recarsi direttamente a Calatafimi. Con tutta questa truppa la reputo forte abbastanza per combattere la banda di cui sopra e parola. Facilmente le manderò eziandio il 9° Cacciatori, subito che giungeranno le altre truppe, speditemi di rinforzo dall’ottimo nostro Re da Napoli: in tal caso questo Battaglione La raggiungerebbe nel luogo ove si è recato ad operare. Curi di guardarsi bene, onde evitare sorprese o imboscate facili a farsi dalla banda sbarcata. Mi faccia sapere tutte le sue mosse, mercé varie staffette che spedirà per vie diverse, pagandole generosamente. Tale spesa le sarà da me rimborsata. I Comuni le somministreranno, col buono o con la forza, tutto ciò che le bisognerà per la resistenza della truppa e degli animali. Usi estremo rigore con tutti i prigionieri che piglierà con le armi alla mano. La commissione che le ho affidata è della più alta importanza, e sapendone Ella lo scopo, manovrerà sempre in modo da conseguirla, potendo allontanarsi dalle istruzioni datele, quando le circostanze l’obbligheranno. Sono sicuro che la Sua lunga esperienza militare la concorrerà a felice risultato. Tenga ciò in continuazione di quanto le ho detto con telegramma di stamane”.[1]

Con l’arrivo a Calatafimi del 2° btg del 10° rgt di linea la sera del 14 maggio, Landi aveva a disposizione circa 3.300 uomini schierati in forte posizione. Gli ordini superiori erano chiari: attaccare di fronte la banda di emigrati e, in caso di fuga, inseguirla. Landi non obbedì meccanicamente agli ordini, ma fece una valutazione della situazione sul campo: le colonne di vettovaglie venivano bloccate e razziate lungo il tragitto; le vie di comunicazione con Alcamo e Palermo erano in pericolo; il numero degli insorti aumentava di ora in ora. Così scrisse un dispaccio al luogotenente Castelcicala:

COMANDO DELLA COLONIA MOBILE sopra CALATAFIMI
N. 43 Calatafimi, 15 maggio 1860.

A S.E. il Tenente Generale Gran Croce D. Paolo Ruffo Principe di Castel ci cala Comandante in Capo le Armi di Sicilia Eccellentissimo, Palermo,

in continuazione dell’altro mio rispettoso foglio di ieri n. 41, col quale aveva l’onore di sommettere all’E. V. che questa mattina sarei mosso con tutta la colonna sopra Salemi, ora debbo rassegnare a V. E. di non aver potuto fare questa mossa, anzi ò creduto invece tener qui fermo per le seguenti ragioni.
Da vari esploratori nemici caduti nelle mie mani, e che tengo prigioni, ò rilevato che Salemi è un formicolaio di rivoltosi.

Il paese è circondato da folte boscaglie di oliveta, ed è naturalmente favo­revole ad una imboscata. Questo agguato è ben certo, giacché dalle varie relazioni avute debbo desumere che il nemico mi attenderebbe là col piano di defatigare ed affievolire questa colonna, e così la banda degli emigrati che si vuole alle vicinanze di Salemi, ripiegare sopra Calatafimi ed usurpare la mia posizione, suo principalissimo scopo, onde potersi aprire facile adito per cotesta capitale.

Tale idea si conferma in me alla vista di una numerosa emigrazione di que­sto popolo il quale tenendo per certo che questo paese dev’essere assalito dalle masse abbandonava ieri l’abitato e sperperavasi nelle campagne, emigrazione che io ò cercato e cerco impedire quanto più posso. La posizione che io tengo in questo paese è tutta militare; molto vantaggiosa alla difensiva ed offensiva, ed essenzialmente per impedire che le bande piombassero sopra Palermo da questo lato della consolare.

Su queste basi adunque stimo indispensabile di tenermi qui fermo, e vigi­lare su tutti i loro movimenti affin di non farli inoltrare.

Quello che mi duole si è il non potere trovare neppure una sola spia fedele a nessun prezzo. Tutta la gente pare che sia comprata, ed in ogni notizia, o relazione che mi si fa, io trovo un inganno.
Ove mai le bande, disperando di sloggiarmi da questa posizione, desistes­sero da tale idea, e traversando i colli di Favarotta e Rosignolo al Sud-est di Calatafimi, si gettassero su Camporeale di Macellaro, e traversando per S. Giu­seppe de’ Montelli prendessero la consolare verso Partinico, in questo caso io lascerò questo punto per prenderle alle spalle.

Debbo intanto rassegnare all’E. V. che per ben riuscire a disfare le bande di cui si tratta, sarebbe d’uopo che un’altra colonna sorta da Palermo, e andasse a disbarcare alla volta di Trapani da dove mettersi in movimento per questa volta ed operando di consenso con questa, stringerle in un punto di fronte ed alle spalle. Qualora poi i movimenti dei ribelli prendessero altro senso io mi rego­lerò a seconda delle circostanze; ma sempre, ripeto, per riuscire allo scopo, è mestieri di due colonne operanti di concerto; poiché in caso diverso la truppa sarebbe trascinata per monti e burroni defaticandosi inutilmente, senza poterli
mai raggiungere.

Tentare un assalto a Salemi sarebbe un’imprudenza, ed un avventurare la mia colonna fra la imboscata nemica. Quindi è mio divisamente tenere qui fermo finché i ribelli non snidano da sé stessi da Salemi, ed allora agire contro.

Tanto mi è di dovere sommettere all’E. V. in adempimento del mio dovere, e pel dippiù che V. E. stimerà nella Sua saggezza disporre.

Il Generale Comandante la Colonna Francesco Laudi[2]

Landi riunì i suoi ufficiali, illustrando la strategia decisa: una perlustrazione con tre colonne, una verso est, una verso sud e una verso ovest. La più forte sarebbe stata quella diretta a ovest, verso Vita, dove era stato segnalato il grosso del nemico, formata da sei compagnie dell’8° cacciatori, una squadra di cacciatori a cavallo, una sezione d’artiglieria con due cannoni e i compagni d’armi di Alcamo, comandata dal maggiore Michele Sforza. Una compagnia di carabinieri e una del 10° di linea al comando del capitano Gaetano De Blasi avrebbero perlustrato le campagne a sud. Due compagnie di carabinieri e una squadra di cacciatori a cavallo al comando del capitano Luigi Marciano sarebbero stati inviati verso est, per verificare le linee con Alcamo. Lo scopo non era solo quello di scoprire le forze nemiche, ma anche di imporsi moralmente sulle masse, mostrando la truppa in armi. Gli ordini erano di non impegnarsi in scontri, ma di verificare la consistenza del nemico e di rientrare.

Nella tarda mattinata del 15 maggio Sforza avvistò i rivoltosi sul monte Pietralunga. Gli ordini erano di non attaccare. Egli, sottovalutando la forza nemica e in inferiorità numerica, decise invece di attaccare e inviò inizialmente due compagnie che giunsero a valle, in zona detta Fontana della Spina, e furono respinte. Sforza, dunque, nonostante l’ordine di Landi di non impegnare combattimento, di sua iniziativa attaccò.

Nel tardo pomeriggio, cessato il combattimento, nella sua forte posizione di Calatafimi Landi riunì i comandanti dei battaglioni, chiedendo loro le opinioni sul da farsi, nonostante avesse già ricevuto l’ordine di ritirata a Partinico dal comando di Palermo. I tre comandanti di battaglione proposero di tenere la posizione, ma Landi, forte dell’ordine di Castelcicala, decise per la ritirata.

Un altro combattimento acceso su iniziativa del comandante delle truppe sul campo fu quello del 30 maggio a Palermo, quando il colonnello von Mechel lanciò all’attacco la sua brigata, riuscendo a prendere Porta Termini e Villa Giulia. Fu fermato con difficoltà dagli ordini di Lanza che nel frattempo aveva firmato un armistizio.

Anche a Milazzo, tra il 17 e il 23 luglio, il colonnello Ferdinando Beneventano del Bosco accese un durissimo e sanguinoso combattimento a capo di una striminzita brigata contro un nemico superiore al comando di Medici, nonostante gli ordini ambigui di Clary.

In definitiva, a mio parere, se per procedure fosse anche vera l’esistenza di stringenti limiti di autonomia strategica dei comandanti borbonici, nella realtà, sul terreno, molti di essi presero decisioni in autonomia, sulla base di valutazioni effettuate sul campo di battaglia, tramite l’osservazione delle truppe nemiche, il terreno e gli appigli tattici, la consultazione dei comandanti dipendenti. A conferma di ciò, non dimentichiamo il rifiuto di Ritucci di riprendere l’offensiva dopo la battaglia del Volturno, nonostante l’ordine esplicito del Re, rifiuto confermato da Salzano.

Le variabili su un territorio dove si svolgono operazioni militari e sullo specifico campo di battaglia sono molteplici: la consistenza del nemico, i collegamenti, i viveri, l’atteggiamento della popolazione, il clima, la resistenza di caposaldi nemici di importanza strategica, le qualità del comandante nemico. Ciò non consente a un comandante generale di prendere decisioni a centinaia di chilometri di distanza, senza “tastare il polso” e senza “fiutare l’aria” del campo di battaglia, soprattutto con i mezzi di comunicazione di metà Ottocento. Nella battaglia del Volturno abbiamo visto l’errore decisivo di Ruiz che non eseguì alla virgola gli ordini di procedere di conserva con von Mechel, ma decise prima di vincere la resistenza di Bronzetti a Castel Morrone, perdendo ore fatali. Se fosse stata effettiva la rigidità di decisioni strategiche nell’esercito delle Due Sicilie, probabilmente Ruiz avrebbe lasciato indietro un distaccamento per bloccare il battaglione di Bronzetti e avrebbe proseguito per Maddaloni.

Tutto ciò che ho espresso rimane comunque solo un’opinione del sottoscritto, eventualmente da sostenere da specialisti del settore più autorevoli.

Domenico Anfora


[1] Cataldo Carlo, Prima e dopo Garibaldi Sicilia occidentale 1789-1870, Arti Grafiche Campo, Alcamo 2007. pag. 276.

[2] Carteggio della colonna mobile del generale Landi da Palermo a Calatafimi (5-15 maggio 1860), http://www.risorgimento.it/rassegna/index.php?id=45023&ricerca_inizio=0&ricerca_query=&ricerca_ordine=&ricerca_libera=

1 Comment

  1. In Sicilia la notizia che stanno per arrivare navi stracariche di soldati da nord non produce nessun effetto!… ma allora erano già stati comprati i comandanti locali… povero Francesco, circondato da traditori… caterina

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