L’avvincente storia di Suor Giulia De Marco e del suo soggiorno a Cerreto – di Antonello Santagata
Nel monastero delle Clarisse della Nuova Cerreto fu ritrovato un manoscritto, anonimo e senza data, riguardante il periodo in cui Suor Giulia De Marco, agli inizi del 1600, fu ospite di quelle monache nella Vecchia Cerreto.
Giulia era nata a Sepino, nel 1574 o forse nel 1575, da una famiglia molto modesta. Rimasta orfana, si trasferì prima a Campobasso poi a Napoli dalla sorella. Qui, si dice, ebbe una storia d’amore con un giovane che la mise incinta e sparì dalla circolazione. Giovanissima e senza mezzi, fu costretta ad abbandonare il neonato presso un orfanotrofio. Dopo questo episodio pronunciò le promesse di castità, obbedienza e povertà, tagliò i capelli e divenne una terziaria francescana, laica nel mondo. Condusse questa vita fino all’età di 30 anni e durante questo tempo si distinse per le tante opere di carità nelle quali si prodigava. Cominciò ad avere fama di una santa donna mentre per alcuni era già una Santa vera e propria.
La sua vita, la sua reputazione e il suo destino cambiarono radicalmente quando scelse come padre confessore un monaco di nome Aniello Arciero. Pare sia stato lui a convincere Giulia, che doveva essere una bella donna, di avere un particolare “dono” che avrebbe dovuto trasmettere ai suoi “figli spirituali”, cominciando da lui, perché il sesso “anziché abbrutire l’uomo lo rende grazioso e pregevole agli occhi di Dio”. Ai due si aggiunse Giuseppe De Vicaris, un brillante nobile napoletano decaduto, che curava gli aspetti organizzativi, e i tre fondarono quella che per alcuni era un’associazione religiosa, per altri una setta. Questo movimento, che venne chiamato della “Carità Carnale”, sosteneva che l’atto sessuale non è peccato ma anzi “genera nuove virtù infuse dallo Spirito Santo”. La notorietà di Suor Giulia divenne sempre maggiore raccogliendo adepti soprattutto nella migliore società napoletana, tra questi la Viceregina, ma anche molti preti e monache. La chiamavano Madre, si diceva che avesse il dono della profezia.
Tutta questa fama cominciò a preoccupare la Chiesa così che il Sant’Uffizio la mise sotto inchiesta. Per smorzare il culto non autorizzato di una “santa viva” gli inquisitori decisero che padre Arciero fosse allontanato da Giulia e mandato a Roma mentre Suor Giulia venisse rinchiusa e sorvegliata in un convento napoletano. L’effetto sulla gente e sui discepoli, però, fu il contrario di quello desiderato. Quella che venne considerata una ingiusta punizione non fece altro che aumentare la sua popolarità.
Così il Sant’Uffizio decise di spedirla in un posto lontano da Napoli dove, distante dai suoi “figli”, si sperava che la sua fama sarebbe andata man mano spegnendosi. Venne, quindi, per castigo, intorno al 1609, trasferita nel monastero delle Clarisse di Cerreto, quello che occupava un’ala dell’ex castello dei Sanframondo.
Della sua permanenza nel monastero cerretese non si hanno molte notizie. L’anonimo manoscritto, probabilmente opera di un prete[1], la dipinge come subdola, perversa e ladra. Racconta che all’epoca era Badessa Girolama Corrado e che le suore ospitate avevano cognomi quali Petronzi, Carafa, Magnati, Mazzacane, De Blasis, Biondi appartenenti alle migliori famiglie cerretesi e napoletane. Suor Giulia, continua il manoscritto, cercò subito di diffondere la sua dottrina tra le pie donne spacciandosi per Santa, ma queste, che erano “buone ma savie”, non si lasciarono ingannare dalle sue parole. E ancor meno credito le diedero quando scoprirono che di giorno digiunava mentre di notte rubava il cibo nella dispensa grazie alle chiavi false che si era fatta fare. Pare, invece, che le sue idee non ebbero successo solo tra le monache anziane, che erano, però, la maggioranza.
Fin qui l’evidente parzialità dell’anonimo.
Sappiamo, d’altra parte, che a Cerreto, dove resterà 14 mesi fino al 1610[2], la raggiunse il suo fidato Giuseppe De Vicaris. Il De Vicaris faceva la spola tra Napoli e Cerreto per informare suor Giulia di quanto avveniva nella capitale. Insieme a lui vennero da Napoli altri suoi seguaci che si sistemarono adeguatamente in paese. Intanto, la suora si prodigava anche lì in opere di bene ingraziandosi i paesani che cominciarono a tenerla “in gran stima”.
Non è dato sapere, però, che diffusione ebbe a Cerreto la dottrina di Suor Giulia né quanti cerretesi e quanti preti e monache la praticassero ma una persona di tale notorietà e con tanti devoti seguaci non poteva non lasciare il segno nel paese. E che aveva “seminato la sua zizzania” anche a Cerreto lo confessò lei stessa in una deposizione davanti al tribunale dell’inquisizione.
Nel frattempo si erano costituite due fazioni. Da una parte i gesuiti con l’appoggio di molti nobili napoletani e, soprattutto, della moglie del Viceré, favorevoli alla “santità” di suor Giulia. Dall’altra, con il sostegno di Roma e dell’Inquisizione, c’erano i padri teatini che la ritenevano eretica. Questi ultimi, inoltre, non gradivano che un’altra “santa viva” oscurasse la loro beneamata suor Orsola Benincasa[3]. Insomma, si creò una aspra guerra tra fazioni ecclesiastiche.
Grazie all’appoggio della sua parte suor Giulia fu trasferita da Cerreto al monastero di Nocera, più vicino a Napoli. La sua fama durante il soggiorno cerretese non era affatto scemata tanto è vero che a Nocera, e ancor di più quando dopo poco riuscì a farsi mandare a Napoli, venne accolta come la Boccadirosa di De Andrè, “furono suonate le campane e tutto il popolo si inginocchiava per prendere la sua benedizione”. Ma furono solo due battaglie vinte. Nel 1614, al massimo della popolarità, i teatini sferrarono il colpo finale. Fecero arrestare la De Marco, Arciero e De Vicaris e li trasportarono a Roma. Il fatto fece scalpore e lo scandalo rischiava di coinvolgere l’aristocrazia napoletana se non fossero intervenute la “confessione” e il “pentimento” dei tre che ammisero tutto quello che c’era da ammettere grazie ai metodi dell’Inquisizione.
Suor Giulia venne accusata di aver fatto sesso senza misura con un numero imprecisato di persone, a cominciare dai suoi due soci, di aver avuto 5-6 aborti, di possedere persino un anello che imprigionava un demone da poter liberare a suo piacimento. Venne dichiarata eretica.
Grazie all’abiura i tre furono condannati solo al carcere a vita. Nel 1615 Giulia De Marco fu rinchiusa nel carcere romano di Castel Sant’Angelo e lì finì, dimenticata, i suoi giorni. Non si sa in che anno.
Riferimenti bibliografici
- Nicola Rotondi- Memorie storiche di Cerreto Sannita parte I- Ed. Fioridizucca, 2019
- Fabio Romano – La carità di Giulia- Voci da una storia d’Inquisizione – Ed. Intra Moenia, 1995
- Giuseppe Rossi- Brevi note di storia cerretese- Casoria, 1988
- Vincenzo Mazzacane- Memorie storiche di Cerreto Sannita- Liguori, Napoli, 1990
[1] Nicola Rotondi nelle sue Memorie Storiche di Cerreto Sannita del 1869, parla di Suor Giulia a Cerreto dicendo di aver tratto le notizie dal manoscritto anonimo. Ma il testo del manoscritto e quello del Rotondi sono identici, lo storico lo riporta senza un’aggiunta né una riflessione critica. Tutto lascia fortemente sospettare che la mano sia la stessa e che sia quella del Rotondi.
[2] Rotondi, nelle citate Memorie, sostiene che suor Giulia rimase a Cerreto tre anni dal 1607 al 1610. Mentre la permanenza è stabilita in 14 mesi dal suo unico biografo, un anonimo padre teatino. I giudizi su Suor Giulia, negli anni, sono stati molto condizionati da quell’unica fonte, tutt’altro che imparziale, redatta da un esponente degli acerrimi nemici della monaca sepinese.
[3] Suor Orsola Benincasa e la De Marco erano contemporanee. Ci fu un incontro tra le due donne in seguito al quale la Benincasa si persuase che la “rivale” era in combutta con il diavolo.