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Le mani sulla storiografia di Alessandro Barbero di Giuseppe Gangemi

Posted by on Ago 9, 2024

Le mani sulla storiografia di Alessandro Barbero di Giuseppe Gangemi

Nel volume I prigionieri dei Savoja, Barbero dà all’ultimo capitolo il significativo titolo di Miseria della storiografia. Il  titolo riecheggia il famoso volume di Karl Marx, Miseria della filosofia, contenente una dura polemica contro Pierre-Joseph Proudhon. L’obiettivo polemico di Barbero sono gli scrittori di “orientamento filoborbonico e tradizionalista” e i sostenitori di una forma di “rancoroso revisionismo”.

Nella sua narrazione, tutto sarebbe cominciato con Francesco Maurizio Di Giovane che avrebbe usato termini violenti come “campi di concentramento sabaudi”. Sono seguiti a ruota: Roberto Gremmo (romanzerebbe di sua fantasia), Lorenzo Del Boca (il suo libro sarebbe un ammasso di falsità ed errori, l’autore non conoscerebbe nulla e le poche notizie che dà sarebbero sbagliate), Fulvio Izzo (non eserciterebbe alcuna critica sulle fonti e mescolerebbe vicende avvenute in momenti diversi), Francesco Mario Agnoli (ipotizzerebbe una volontà vendicativa da parte dei vincitori che contraddirebbe frontalmente le testimonianze dell’epoca), Roberto Martucci (la sua ricostruzione storica sarebbe puramente romanzata, totalmente gratuita e con un tocco di fantasia), Gigi Di Fiore (scenderebbe al di sotto di un livello accettabile di correttezza storiografica e accamperebbe menzogne gratuite).

Sempre secondo Barbero, violenza del linguaggio, invenzioni fantastiche e falsità introdotte nel dibattito da ogni autore sarebbero state accreditate come vere dai successivi, al punto da diventate autorevoli verità storiche, come poteva succedere solo prima della nascita della storiografia scientifica. Ne è uscita fuori una storiografia devastata, al punto che “mistificazioni e menzogne accumulate negli anni riaffiorano in un libro che in futuro verrà letto con incredulità e sgomento come testimonianza dei livelli di frattura interna, di odio reciproco, e di spudorata reinvenzione del passato raggiunti nel nostro paese in questo inizio di millennio: Terroni di Pino Aprile” (p. 311).

Il tono di Barbero è quello di chi considera il proprio volume come il testo definitivo, quello capace di porre fine alla devastazione della storiografia e di rispristinare la verità storica. Sarà così?

Nell’articolo da me pubblicato giorno 22 luglio su questo Quotidiano, ho già mostrato che Barbero ha falsificato almeno una fonte: Bossuto e Costanzo hanno sostenuto che 1.300 sono i prigionieri di Capua che hanno marciato fino a Fenestrelle ed egli dichiara che hanno scritto che erano solo 1.200. C’è, tuttavia, dell’altro (per le prove documentarie di quanto segue rimando al mio volume In punta di baionetta).

In una relazione al Ministro della Guerra del 1864, il generale Federico Torre, Direttore generale delle Leve, dichiara che i soldati di provenienza duosiciliana arrivati nei reggimenti in quattro anni di leva sono stati 57.968. Barbero afferma che, sempre in quattro anni, la leva dei Borbone era stata di soli 53.081. La differenza tra le due cifre è di circa 5.000. Da ciò la sua conclusione: “Il nuovo Stato italiano si dimostrava più efficiente di quello borbonico nel raggiungere i suoi scopi, pur se questa efficienza significò anche l’impiego di metodi che hanno lasciato ferite non ancora rimarginate” (p. 189).

Solo che Barbero dimentica di dire una cosa importante: i 53.081 soldati borbonici furono tutti incorporati nei reggimenti borbonici; i 57.968 soldati meridionali furono, con metodi brutali che hanno lasciato ferite profonde, portati nelle caserme ma non tutti furono incorporati nei reggimenti sabaudi.

Barbero ricorre al campionamento statistico: prende i dati presenti nei Ruoli Matricolari del 41° Reggimento e conta quanti soldati duosiciliani sono stati iscritti in questi ruoli; fra l’8 dicembre 1860 e il 24 gennaio 1862, ne trova esattamente 464; siccome, come Barbero ripete più volte, il 41° è un campione rappresentativo dell’intero esercito sabaudo (vedi pp. 99, 117, 156, 188, 189, 197) e siccome i reggimenti sabaudi sono in tutto 100, egli dovrebbe concludere che solo 46.400 sono stati incorporati nei reggimenti. Il che dovrebbe portarlo a domandarsi: ma dove sono finiti gli altri 11.568 (la differenza tra la cifra di 57.968 fornita dal generale Torre e quella di 46.400 calcolata da Barbero con il metodo campionario)?

Invece di porsi questa domanda, Barbero perentoriamente afferma che la cifra di 46.400 soldati nei reggimenti è compatibile con il totale (57.968) fornito dal generale Torre (p. 188 del libro di Barbero). Ma quando mai?

Da metodologo sono abituato a rimanere vincolato ai fatti e alle cifre e questi dicono che, se due fonti diverse (i Ruoli Matricolari consultati da Barbero e la relazione ufficiale di Torre) forniscono due cifre tanto diverse (e il 20% è tanto), è perché o una delle due cifre è falsa o le due cifre misurano quantità diverse. Propendo per la seconda ipotesi.

La cifra fornita dal generale Torre indica tutti gli arruolati di forza che finiscono nelle caserme. Sono 57.968 e vengono spediti in due direzioni diverse: nei Reggimenti dove vengono trascritti nei Ruoli Matricolari finisce l’80%; in prigione finisce il restante 20% perché molti soldati borbonici (agli inizi sono il 30% circa, con gli anni e le sevizie, molti cedono) si sono rifiutati di giurare fedeltà al re Vittorio Emanuele II. Come riportano i giornali del Regno Sardo, i prigionieri di guerra di Capua, concentrati a Genova, dichiarano di non voler compiere spergiuro giurando fedeltà a un nuovo re dopo aver giurato fedeltà al re Borbone, all’inizio della loro ferma.

La differenza tra i 57.968 di Torre e i 46.400 di Barbero sono gli 11.568 che, al 1864, ancora resistono nel loro rifiuto di prestare giuramento a Vittorio Emanuele II.

Questo fa capire che l’arruolamento di massa è riuscito al costo di lasciare ferite non ancora rimarginate; l’incorporazione, invece, non è affatto riuscita e ha lasciato misteri e ferite giammai rimarginabili, dato il rifiuto di accettare, ancora oggi, quanto successo nelle caserme per costringere i soldati borbonici a commettere spergiuro.

Concludendo, non è affatto vero che, una volta avviati i duosiciliani nelle caserme, i Sabaudi sarebbero stati clementi, rispettosi, umani con loro. I documenti suggeriscono, invece, che non si è saputo che fine abbiano fatto almeno 17.000 soldati borbonici rimasti fedeli (dal 1861 al 1870) al loro re e alla loro Patria.

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