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LE SCAFE DEL FIUME GARIGLIANO

Posted by on Set 4, 2024

LE SCAFE DEL FIUME GARIGLIANO

Al fine di consentire il transito di persone, animali e cose sul corso dei fiumi Rapido, Liri e Garigliano, da tempo remoto, vale a dire pressappoco dal XII secolo, rinveniamo la presenza delle Scafe per l’inesistenza di ponti o guadi che avessero permesso un facile ed agevole attraversamento da una sponda all’altra. In particolare si annoverano le Scafe di Roccaguglielma (Esperia), di S. Giorgio, di S. Apollinare, di Vandra o S. Ambrogio, di Mortola o Sant’Andrea del Garigliano, quest’ultima posta al di sotto degli attuali stabilimenti balneari in tenimento di Castelforte.

Dal Regestum II, Bernardi abbati (Archivio di Montecassino) si evince che, proprio al tempo dell’abate Bernardo I Ayglerio (1263-1282), furono avviate delle indagini per verificare le spettanze dei diritti di Montecassino per l’attraversamento di detti fiumi e, singolare e circostanziato, risulta il testo dell’Inquisitio riportato da G. Ghialvo e liberamente tradotto dal prof. Emilio Pistilli, di cui ci sembra significativo riportare alcuni passi:

“E’ accertato che chiunque attraversi a piedi con le predette scafe è tenuto al pagamento di 9 grana allo scafaiuolo cassinese”, ” II mastro carpentiere che attraversa con i ferri del mestiere deve pagare un pedaggio di 12 grana e mezzo “, “La meretrice deve pagare 12 grana e mezzo”, “Chi vende oppure trasporta pettini per cardare la lana, la canapa e il lino deve pagare per ciascuno 12 grana e mezzo; ugualmente il mastro o il venditore di seta”, “Chi attraversa con cavalli, muli o asini carichi di libri rilegati con copertina paga 12 grana e mezzo. Se invece porta un libro non rilegato non paga nulla”.

Risulta evidente che le entrate di Montecassino sono dipese, nel corso dei secoli, essenzialmente dalle condizioni economiche e sociali caratterizzanti i vari periodi storici: si nota una forte attività scafistica nel 1500, ancora nel 1700 e ancora nel periodo anteriore al secondo grande conflitto mondiale; nel periodo bellico, gli alleati, per spezzare la Linea Gustav, facendo ricorso a frequenti e massicci bombardamenti, distrussero ogni forma di attività esistente sul Garigliano, ivi compreso il Ponte di S. Ambrogio e, in parte, le attività scafistiche. Nel dopoguerra, anche a causa dell’opera di ricostruzione dei ponti, hanno continuato a funzionare solamente le Scafe di Esperia e di Mortola.

La Scafa di Mortola, ultima a cessare il suo funzionamento (considerata strategica e di primaria importanza sia per il volume d’affari che per la fruizione della popolazione di centri come Mortola, Cocuruzzo, Calabritto, Galluccio, S. Carlo, Campolongo e Camino), era ubicata in località La Starza, a poca distanza delle Solfatare o “Mofete” (di cui avremo modo di parlare in altra occasione), e a circa 1 Km. dallo storico attracco romano denominato “Porto di Mola”; essa era posta, in verità, in un punto ideale tra le due sponde, quella di Rocca d’Evandro e quella contrapposta di Sant’Andrea, dove il letto del fiume scorreva e scorre quasi allo stesso livello del terreno circostante.

La sua ultima attività (fino al 1958) è consistita come mezzo di passaggio da una sponda all’altra. Il servizio era tenuto da una famiglia privata che traeva sostentamento dal costo dei pedaggi, calcolato annualmente in natura nella misura di un tomolo di grano o del suo valore in moneta per gli utenti abitudinari e nella misura di mezzo tomolo o del suo valore in moneta per coloro che ne facevano un minore uso. Antonio Fargnoli, 95 anni ben portati, originario di S. Andrea del Garigliano e residente nella frazione Mortola di Rocca d’Evandro dal 1936, dice:

“La scafa attraversava il fiume continuamente durante la giornata; essa era una zattera che il proprietario, “lu scafaiuolu “, teneva diritta nel suo breve tragitto tramite una corda di ferro, sorretta da 2 pali per parte ben ancorati al terreno delle 2 sponde, la quale, chiamata “lu sartu “, scorreva su due pezzi di ferro tenuti da 2 paletti verticali posti sul lato destro della zattera stessa; in occasione delle forti correnti d’acqua, “lu scafaiuolu” era aiutato a tenere “lu sartu” dai clienti trasportati. L’ultimo scafaiuolu si chiamava Giuseppe Casale, insignito della croce di cavaliere di Vittorio Veneto, che svolgeva il lavoro coadiuvato dal consuocero chiamato “criccuozzo” e da Peppella sua 3ª moglie “.

Ugo Marandola

(Articolo tratto dal periodico Alto Casertano n. 1 del 2006)

fonte

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