“LETTERA DALLA FRANCIA” TESTIMONIANZA ARTISTICA DI FULVIO COCUZZO SULLA TRATTA DEI FANCIULLI
Da anni trattiamo la tragedia della “Tratta dei Fanciulli” dell’alta Terra di Lavoro costringendo il mondo intellettuale risorgimentale laborino, che cerca in tutti i modi di “storicizzarlo”, a parlarne. Abbiamo intervistato studiosi come Loreto Giovannone e Giuseppe Antonio Violetta che ne hanno parlato in maniera scientifica e ci sono anche artisti come il nostro Raimondo Rotondi che ha scritto un monologo teatrale in lingua laborina che tanta emozione sta riscuotendo ovunque viene presentato, e c’è, altresi, Fulvio Cocuzzo il cantastorie dell’alta Terra di Lavoro che ha scritto e musicato “Lettera della Francia”, sempre il lingua laborina, ispirandosi a due lettere ritrovate nell’archivio storico di Alvito. Fulvio ci permette di pubblicare il testo scritto e il pezzo da lui interpretato. Pubblichiamo anche le lettere originali tratte dal testo scritto da Ugo Iannazzi ed Eugenio Maria Beranger forniteci sempre da Fulvio e rimodulate dal Prof. Gianandrea de Antonellis
LETTERA DALLA FRANCIA
( Maggio 2009- Aprile 2010)
Cara madre , io di scrive queste tue riche di lettera per farti sapere lottimo stato della mia salute e così spero di sentire di voi…
Oie mamma mamma no n’é vere niente
Ne sto n’salute e manche sto cuntiente
Oie mamma , te so’ ditte na bescia
Ce sto a lassa’ la vita a sta fatia
Scime alle quattre e mezza la matina
Rentrame ch’é già mesanotte bona
Apuò alle scure e chi po’ chiurre glie uocchie
Pe’ via deglie delure e glie peruocchie
Mia cara madre ti faccio sapere
Se tu ne puo’ manna’ sessanta lire
So’ le sessanta lire pe’ glie viaie
Tu trovale e ne lieve da ste vuaie
Oie ma’ , t’avessa dice tanta cose
Ma non ci ho tempo pe startelle a scrive
Nen sacce cumme seme ancora vive
Miese a ste nfierne che ne dà repose
De paisiane ce ne steme tanta
Trattate cumme aglie pegge pezziente
A fa’ glie cunte quande vià a rescote
Nen se mette a pizze ne solde becuate
Oie ma’ , le sacce ca a vu ve dispiace
Ca i’ ve manne a pete glie quatrine
Vu stete tutte a casa bieglie n’pace
E nu frastiere a fa’ sta brutta fine
E p’ulteme te scrive glie salute
Che te glie manna frateme Donate
S’aeva sta alla casa ca é vaglione
Sta sempre a chiagne e nen se sente buone
Se vire cumme seme deventate
Che chella poca forza che ne resta
Sembrame pruopa chiglie streppeiate
Che vieve a Sante Rocche pe’ la festa
Mia cara madre ti stonghe a pregare
Vi’ de trevuarle sse sessanta lire
Se no ne sta a responne , e che m’o’ di’?
N’te so’ chiù figlie e n’te vuoglie senti’
Adesso ti saluto , cara madre , io che sono il vostro figlio Antonio …… e se voi non mi mantate il viaggio non mi fate più risposta. ( lettera di Antonio Persichetti da Lione )
L’lNFAME TRATTA DEI MINORI VERSO LA FRANCIA
“che sia una piaga dolorosissima, a dire il vero poco o nulla conosciuta localmente, e solo in questi ultimi anni indagata in modo documentato grazie ai cospicui studi di Maria Rosa Protasi. Essa interessò soprattutto Alvito. Arpino, Atina, Isola del Liri, Picinisco. Roccasecca, Sora e Vicalvi e si indirizzò sia verso le vetrerie francesi, sia verso l’Inghilterra, dove Londra venne raggiunta da numerosi gruppi di giovani suonatori di pifferi, zampogne ed organetti, alcune volte accompagnati da animali, quali pappagalli e scimmie, e sia verso la lontana Russia, dove altri adolescenti esibiamo orsi ammaestrati provenienti dal territorio dell’odiemo Parco Nazionale d’Abruzzo.
I bambini destinati a lavorare in Francia erano affittati a reclutatori locali, privi di ogni scrupolo, dai genitori ignari e, comunque, a ciò costretti dalla miseria più nera. Trattati come veri e propri schiavi, in modo in parte simile ai suonatori dell’area ligure e parmense, agli spazzacamini piemontesi e valdostani, ai fornaciai friulani, ai figurinai lucchesi, venivano costretti a lavorare dieci-quindici ore (ed anche più) al giorno, prelevando il vetro fuso nei torridi forni.
Il reclutatore, che assumeva di fronte al sindaco l’obbligo di accompagnare questi ragazzi a Lione e nell’area parigina, era spesso un parente o comunque un paesano, pronto a lucrare forti guadagni da questo traffico. La Protasi ha scoperto e pubblicato due lettere, risalenti al 1895. impressionanti per drammaticità, ove questi figlioli nativi di Alvino. in lacrime, implorano le madri per farsi inviare i soldi necessari al viaggio di ritorno; in caso contrario avrebbero tagliato ogni legame con la famiglia”
La prima lettera scritta da Bernardo Antonelli così recita:
Cara Madre
“Io non gio dempo per scrivere ti mandarti a dire tutto cose di preco di farmi il biagere mardarme il viaggio per ritornare perche qua cie male cariche di pi tocchi e per ciò cara matre ti preco ti movete a pietà pe a trovare i solti per il viaggio sono sessanta lire io stanco tutti i giorni a piancere per che qua sordiamo [sortiamo] alle quatro e mezzo e ri tor niamo a mezzanote: per ciò di preco di marnare il viaggio se voi mimate [mi mandate] il viaggio rispontetemi e seno non voglio sentire piu ne tire io non pozzo scrivere perche io piancio e se Catarina non vele man tare al sou figlio melli mantate sole a me. io non vi scrive piu perche non ciò dempo fattelo dire a voce a fiorellino quelle che passiamo noi e son il vostro
Bemarto”
La seconda lettera di Antonio Persichetti alla madre così, invece, ricorda:
Cara madre
“Io di scrive queste tue riche di lettera per fardi sapere lottimo stato della mia puona salute e cosi spero di sendire di voi. Cara madre già voi verme dispiace perché io di manto a pre [?] dire i solti ma piezzà a mandarmi i denari perche il mio fra dello sta sempre a piangere vetete e titto cosi se non ci cimanto il viaggio a noi non gi benzate piu perche voi sete state tutti contento e mo patiamo [oppure: fatiamo, cioè fatichiamo?] noi qua stiamo mezzo al femo [forno?] vetete che qua il stato Senne gateno [cadono] mine tue otre [due o tre] volte lacerne [la gente] tentre [dentro] alla fabrica vetete se voi mi mantate il viaggio non mi fate piu risposta perche noi a noi puniamo allaqua e voi non sapete piu nodizia. Cara Madre mandatami il viaggi trovali che noi a [s]tiamo alle fine e limite e nella [nulla?] puscamo [buschiamo; prendiamo] ma di preco timan darmi lire sesanto se no quanto ri tomo ti buttiamo alla finestra e benza tima tarmi il viaggio se no io non zono piu il vostro figlio in tanto di manto un saluto il mio fratello giacomino e lui sta a biangere noi siamo ri ventiate? peccio del figlio del gioppo fenizio di saluto io cara madre che Sono il vostro figlio Antonio
E se voi non mi mantate il viaggio non mi fate piu risposta”