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Li chiamavano “briganti”

Posted by on Ott 1, 2022

Li chiamavano “briganti”

LI CHIAMAVANO BRIGANTI: echi d’insorgenza postunitatia nelle province meridionali

E’ sempre più frequente, oggidì, sentir parlare nelle rassegne storiche sul risorgimento d’Italia della questione sociale sorta a seguito dell’annessione delle province meridionali al regno di Sardegna, nota alle cronache con il termine di “brigantaggio”. Commissioni d’inchiesta parlamentari dell’epoca, storici, sociologi e numerosi accademici da oltre un secolo si sono interrogati sul dilagato fenomeno nel Sud d’Italia, cercando di individuarne cause e soluzioni. Tra le semplicistiche interpretazioni del fenomeno, passate alla storia, è alquanto significativa quella del generale Cadorna. Costui asserì che “il brigantaggio ebbe il primo appiglio dall’errore commesso dal governo italiano di sciogliere repentinamente, dopo la caduta di Gaeta, l’esercito borbonico senza premunirsi contro le inevitabili conseguenze che avrebbero prodotto la dispersione improvvisa di tanti ex militari di quelle province, i quali non si sarebbero rassegnati a ridiventare di colpo pacifici agricoltori”. A questa motivazione se ne sono aggiunte tante altre da parte dei vari studiosi di Storia Patria quali, ad esempio, la miseria, gli ideali disattesi, l’oppressione militare (che vide la fucilazione sommaria di migliaia di persone trovate in possesso di armi), la coscrizione obbligatoria, la mancata riforma agraria (che lasciò i grandi latifondi ecclesiastici nelle mani dei pochi speculatori privati). Comunque, mai vi fu tra costoro un cenno all’amor di Patria, alla sentita fedeltà al legittimo sovrano, all’attaccamento ai valori di un’antica civiltà, quali ideali ispiratori della presa alle armi dei tanti ribelli contrari all’impresa bellica unitaria, che pagarono con la propria vita il riscatto della libertà ed indipendenza. Mentre vi è testimonianza che già con l’occupazione francese del regno di Napoli, cui seguì l’esilio forzato di Ferdinando I con propria corte in Palermo, i diversi briganti del ‘99 (Pizza, Guerriglia, Furia, Stoduti, Antonelli, Quici) dimostrarono di essere valorosi partigiani, pronti a morire nei panni militari dell’amato regno napoletano, come accadde al brigante Michele Pezza, detto Frà Diavolo. Di contro, la propaganda del governo d’occupazione di Giuseppe Napoleone e poi di Murat denigrò la generica figura del combattente popolare lealista, mascherandolo dietro l’immagine del brigante assassino e sanguinario depredatore. Analogo modello pregiudiziale, giustificativo dei moti controrivoluzionari, fu seguito dagli esponenti culturali e politici del governo piemontese all’indomani della ricomparsa del brigantaggio dopo il 1860. Una diretta testimonianza di simile presa di posizione è quella pervenuta dallo storico Marco Monnier, nel cui saggio “Notizie storiche documentate sul brigantaggio nelle province napoletane”(1862) scrisse che “la paura fu industriosamente usata dai violenti, e il diritto del più forte fu proclamato e riconosciuto…Di qui il vero brigantaggio che non cessò mai nelle campagne e nelle città”, alludendo al solo aspetto della sopraffazione dei più violenti di questa sorta di “framassoneria plebea” sui deboli. Nonostante i numerosi tentativi, generati prima dal mondo culturale giacobino e poi da quello risorgimentale, di delegittimare simile guerra civile partigiana, è ormai cosa appurata da rigorose ricerche storiche che tali bande di briganti contarono spesso sui favori e sul sostegno di intere popolazioni locali, nonché ebbero tra gli arruolati un’ampia e diversificata rappresentanza di classi sociali: militari borbonici, contadini, aristocratici, preti. In merito a quest’ultimi, numerose furono le adesioni di esponenti del clero a questa lotta partigiana, in quanto ostili alla campagna di laicizzazione del regno d’Italia che intendeva liberare Roma dal potere temporale del Papa (tra i decreti abolizionisti dei privilegi clericali della Direzione dei Culti vi fu quello di soppressione della gran parte delle corporazioni religiose). Difatti, si annoverano tanti preti per aver partecipato attivamente nelle azioni di propaganda clandestina anti-sabauda, nonché negli stessi conflitti armati contro l’esercito regio (presso conventi e chiese si organizzarono depositi di armi e munizioni per gli insorgenti o divennero sedi di arruolamento di briganti).
Le bande di briganti, specie nel periodo unitario, furono spesso sostenute finanziariamente dai segreti comitati borbonici, diffusi nelle varie province meridionali, sfatando altra leggendaria diceria sulla loro insaziabile avidità e brama di ricchezze. La capillare rete di sostenitori si prodigò anche nel progettare accurati piani militari, basati sul fomentare rivolte in luoghi ritenuti strategici con precisi ordini di colpire talune proprietà appartenenti a liberali collaborazionisti o di disarmare la Guardia Nazionale di alcuni paesi.  
Le insorgenze dei briganti post-unitari durarono ufficialmente circa quattro anni (1861-1865). Le statistiche su tale fenomeno riferiscono dell’esistenza di 388 bande, formate da un numero variabile di componenti dai 6 ai 15 fino a 100 persone. Tra il luglio del 1861 ed il dicembre del 1865 furono eliminati con dura repressione (effetti legge Pica del 1863) circa 13.853 briganti e spesso senza badare a distinguo sulle responsabilità. Le dimensioni di questa guerra civile furono tali da vedere l’esercito sabaudo impegnato con ben 120.000 soldati. Le montagne rimasero il rifugio preferito dei tanti briganti, così fu per quelli calabresi ai tempi del governo filo-napoleonico ( tra le bande citate da F.Montefredini nelle “Memorie autografe del generale Mantrés intorno ai briganti” del 1861, si annoverano quelle di Parafonte, Nierello, Boia, Benincasa, Mazziotti), come per quelli abruzzesi e di Terra di Lavoro in epoca unitaria.
Questa forma di cospirazione, sempre sminuita a semplice azione anarco-terroristica e delinquenziale dai governi di occupazione, assunse, invece, un carattere indelebile di lotta politica tra i tanti nostalgici del regno duosiciliano sino alla fine del XIX secolo (nell’album fotografico di ricordi del duca Giovanni M. d’Alessandro di Pescolanciano si conservava foto ottocentesca del brigante Chiavone), come fu nel caso della storia del ribelle lealista Giorgi. Costui originario di Civitella, era avvocato quando fu arrestato per la prima volta per la sua partecipazione ai moti borbonici del settembre 1860. Nonostante la libertà ottenuta con l’amnistia concessa da Garibaldi, Giorgi raggiunse Gaeta per continuare a combattere insieme al suo re Francesco II. Fu messo agli ordini del tedesco Kleischt, detto Lagrange, distinguendosi subito nel combattimento della Marsica, ove i volontari borbonici riuscirono a sconfiggere le truppe piemontesi, impossessandosi dei loro cannoni. Fu nominato sottointendente d’Avezzano, carica che tenne fino all’arrivo dei sabaudi che lo costrinsero a rifugiarsi in Roma. Giorgi e Lagrange rientrarono, seppur le vicende belliche volgevano a sfavore delle truppe gigliate, nei territori duosiciliani con un contingente di circa 15.000 uomini (papalini, borbonici, contadini), sotto il comando del generale Luvara. Liberarono con entusiasmo Tagliacozzo, Putrella, Curcomello ma a Scurgola furono sconfitti perdendo più di 130 uomini e subendo una grossa perdita di prigionieri. Tra i caduti ed i catturati non vi furono certo malfattori o delinquenti, bensì umile gente, un medico, un monsignore, un capitano carlista, rimasti nel cuore delle tante popolazioni, speranzose di un riscatto dai Savoia.    

di Ettore d’Alessandro di Pescolanciano 

fonte

http://www.adsic.it/2008/06/06/li-chiamavano-briganti/#more-1886

1 Comment

  1. Bello questo articolo che leggo a margine. “Briganti” chiamati in seguito credo a dispregio, ma sono l’espressione genuina di rivolta all’occupazione sabauda violenta e ingiusta ad opera di un Popolo fedele, laborioso, legato alla tradizione. A Gaeta infatti si sposto’ Francesco ll e su chi mai poteva contare quando perfino nella sua Corte a Napoli si erano annidati i fiancheggiatori dei sabaudi?.. Briganti/Eroi su cui contava chi dall’estero scese per vendicare l’offesa subita da un Regno che la perfida Albione voleva distruggere. W i briganti! veri eroi della tradizione… caterina ossi

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