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LUIGI PIRANDELLO, “LA BANCAROTTA PATRIOTTICA”

Posted by on Dic 19, 2023

LUIGI PIRANDELLO, “LA BANCAROTTA PATRIOTTICA”

Fine del Risorgimento dei rulli di tamburo e degli squilli di tromba.

La narrazione delle movimentate vicende del Risorgimento italiano, che interessano oltre mezzo secolo nell’Ottocento, è stata spesso vivacizzata dal suono di canzoni come Il canto degli Italiani e da colori sgargianti come il rosso della camicia garibaldina e la bandiera tricolore con la croce dei Savoia al centro. Caratteristiche sonore e cromatiche che hanno entusiasmato milioni di italiani.

Questo movimento politico, non privo di uomini di valore che si sono gettati nella lotta con grande spirito di sacrificio, con la realizzazione dell’Unità si svuotò dei valori che ne avevano motivato la nascita e che ne avevano costituito la spina dorsale morale e sociale.

Tra le promesse sbandierate dai garibaldini per attirare nel Movimento anche le fasce proletarie della popolazione ce ne furono due fondamentali:

• Non abrogazione della proprietà, ma distribuzione equa delle proprietà (era considerata disastrosa la servitù feudale e la concentrazione delle proprietà terriere che ancora esistevano soprattutto nel meridione).

• Maggiore eguaglianza sociale e solidarietà tra lavoratori.

Giuseppe Garibaldi, durante la sua impresa più rischiosa e clamorosa, la campagna militare nelle Due Sicilie, il 2 giugno 1860, dopo essere entrato a Palermo, emise un decreto che stabiliva la divisione delle terre demaniali tra i braccianti che non le possedevano. L’illusione finì dopo poche settimane con la terribile repressione guidata da Nino Bixio.

Gli storici istituzionalmente accreditati come Alessandro Barbero, Carmine Pinto e Aldo Cazzullo continuano la medesima narrativa di un Risorgimento glorioso e di riscatto nazionale e sociale, come se scrittori dallo spessore di Giovanni Verga, Federico De Roberto, Luigi Pirandello e Giuseppe Tomasi di Lampedusa non avessero annunciato magistralmente su carta il rinnegamento dei valori risorgimentali da parte di quegli uomini che andati al potere dopo la Rivoluzione del 1860, indossarono le vesti dei conservatori, dei tiranni, dei carnefici.

Cosa rimase dei princìpi risorgimentali trent’anni dopo l’unità d’Italia lo narra con amarezza Pirandello nel suo romanzo storico I vecchi e i giovani. Dopo lo scandalo della Banca Romana e la durissima repressione nel sangue dei Fasci Siciliani, lo scrittore di Agrigento (figlio e nipote di patrioti garibaldini) narrò il congedo dall’epopea di Garibaldi, dal Risorgimento e dai sogni della sua giovinezza. I suoi personaggi, in parte inguaribili illusi, in parte idealisti disillusi, in parte spietati profittatori, esprimono il tradimento di quei valori in una vera e propria bancarotta del patriottismo.

Simbolo più visibile di quel trasformismo cinico, di quel tradimento dei valori risorgimentali, fu Francesco Crispi, ex repubblicano, ex garibaldino, organizzatore della spedizione dei Mille, spietato presidente del Consiglio che decretò lo stato d’assedio e ordinò la repressione del movimento dei Fasci Siciliani dei Lavoratori nel 1894, in una Sicilia sempre più sprofondata nella miseria e nelle ingiustizie sociali dopo l’Unità.

«Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi», e così fu.

Domenico Anfora

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