Alta Terra di Lavoro

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MEMORIE PER LA STORIA DE’ NOSTRI TEMPI (VII)

Posted by on Mar 24, 2022

MEMORIE PER LA STORIA DE’ NOSTRI TEMPI (VII)

QUANDO VERR� LIBERATO IL PADRE DELLE MARCHE

(Pubblicato il 10 novembre 1860).

Abbiamo detto altra volta che l’Arcivescovo di Fermo si chiama il Padre delle Marche. Il Cardinale De Angelis, che colla bont� del suo cuore e l’affabilit� delle sue maniere cos� bene risponde a questo titolo, venne imprigionato fin dal 28 di settembre, o trovasi ancora oggid� in Torino in potere del conte di Cavour che gli proibisce di recarsi nella sua diocesi!

L’onorevole Conte non seppe addurre al Cardinale De Angelis nessuna ragione della sua prigionia, imperocch� la vera era tale che il presidente del Consiglio vergognavasi di manifestarla. Temevasi che la presenza in Fermo del Cardinale De Angelis potesse mandare a monte il plebiscito, e impedire il vivo, il grande, l’universale entusiasmo, di cui ci parla continuamente ii telegrafo!

Or bene il plebiscito � stato proposto, la votazione � compiuta; nulla si ba pi� da temere dal Cardinale De Angelis. Perch� si prolunga ancora la sua cattivit�? Perch� si protrae pi� oltre la vedovanza della Chiesa fermana? Perch� si nega cos� crudelmente a’  figli il proprio padre? Con quale legge, con quale giustizia, con quale ombra di pretesto?

E non vede il conte di Cavour che l’iniqua prigionia a cui ha condannato e condanna arbitrariamente il Cardinale De Angelis, non vede che � una solenne smentita alle dicerie de’  suoi giornali? Se le Marche sono cos� avverse al Santo Padre, basterebbe la sola presenza d’un Arcivescovo per rendergliele amiche? Se il Clero marchigiano � italianissimo, come bestemmiano i telegrammi, l’Arcivescovo di Ferino si trover� isolato. Tutti saranno nell’entusiasmo, meno il Cardinale. Perch� dunque perseguitarlo pi� lungamente?

L’illustre Porporato prigioniero m Torino � la pi� bella, la pi� nobile, la pi� eloquente protesta contro il plebiscito delle Marche e dell’Umbria. Si possono negare altre violenze, ma non questa che abbiamo sotto gli occhi d’un illustre cittadino d’Ascoli, d’un venerabile Arcivescovo incarcerato a servizio del suffragio universale!

LA GUERRA CONTRO IL PAPA � DICHIARATA

(Pubblicato il 7 settembre 1860).

Avevamo detto che la calunnia dell’ordine del giorno, con cui il generale de Lamorici�re intimava alle sue soldatesche l’ordine di saccheggiare le citt� che si rivoltassero, era un preparativo per disporre gli animi alla notizia dell’irruzione negli Stati Pontificii per parte dell’esercito rivoluzionario. Dicevasi anzi ne’ circoli politici che il giorno di quest’iniqua aggressione � gi� fissato per sabato 8 corrente, giorno della Nativit� di Maria Santissima; colla qual voce consuona un telegramma, che annunzia Garibaldi aver detto che per quel giorno stesso voleva entrar in Napoli.

Oggi i giornali della rivoluzione o ministeriali confermano appuntino le nostre asserzioni. L’Opinione, che luned� sfolgorava con tutti i fulmini della sua sguaiata eloquenza l’ordine del giorno alle orde papali, ora che ha veduto come i giornali francesi smentirono quella calunnia, dice nel suo numero d’oggi (6) s Non creda l’Armonia che si voglia dare a ci� (all’ordina del giorno) molla im portanza�. Ahi dunque tutto que) fracasso da finimondo non era che una chiassata! Sapevameelo: ma � bene che anche voi lo facciate sapere a quei goccioloni tra vostri lettori, che vi avessero dato qualche importanza.

Ma il pi� bello si � che quell’ordine del giorno non si conosce! � l’Opinione che ve lo dice con un’ingenuit� che tiene del citrullo: �Non si conosoe quell’ordine del giorno, perch� probabilmente � stato letto soltanto nelle caserme�. Oh che gioiello I Non si conosce? — Ma come dunque col vostro telegrafo l’avete sparso a’  quattro venti? Dunque il telegrafo ae l’ha inventato? � appunto ci� che abbiamo detto. Probabilmente � stato ietto soltanto nelle caserme?— Un ordine del giorno, che non si conosce, probabilmente � stato letto nelle caserme: e sopra questi dati fulminate, ingiuriate e minacciale guerra per vendicare quella barbarie divisata?

Ora dopo di ci� l’Opinione soggiunge: �La notizia che un generale ed un francese al servizio del Papa abbia ordinato alle truppe di mettere le citt� 8 sangue ed a ruba ba destato raccapriccio�. Ed � per questo che voi l’avete spao ciata quella notizia, Ma la notizia che voi l’avete coniata di pianta, quale senso dester� ne’ popoli? Andate l�: codeste sono degne arti del partito cui servite.

Ma pure questo e un nulla a petto di ci� che vien dopo. Bisogna necessariamente riferire le parole dell’Ojmtone, sia perch� sembrano incredibili tanto sono stolte, e sia perch� questo � il sunto d’un documento che il Ministero ha gi� preparato per rendere ragione li della invasione delle Marche e dell’Umbria. Eccole:

�Le Marche e l’Umbria sono ora sotto un governo che non si pu� pi� chiamar pontificio. Il generale Lamorici�re comanda ed impera. Ventimila mercenari stranieri sono padroni di due belle provincie italiane, sono accampati nel cuore della penisola e turbano la quiete de’  paesi vicini.

�Pu� il nostro Stato, pu� l’Europa permettere quest’intervento di nuovo genere, e che ha tutti gl’inconvenienti dell’intervento di estere Potenze, senza che queste si compromettano e corrano il rischio di una guerra?

�Il principio del non intervento non � applicato se il Governo pontificio non si risolve a liberarsi dalle orde straniere scese in Italia, non per difender lui, ma per opprimere i popoli.

‘ Se esso non pensasse che alla propria difesa, non avrebbe radunato un esercito di 25 mila uomini, od avrebbe cercato di formarlo d’Italiani e di sudditi.

�Le truppe pontificie sono adunate contro i vicini. Il generale Lamorici�re l’ha detto nel primo proclama: � una crociata contro l’Italia; la quale potrebbe col tempo cagionare molestie e perturbazioni gravissime, 8e non si provvede a disperderla, inducendo il Governo pontificio a licenziare i soldati forestieri.

�Il Papa � tutelato dalla Francia. Le forze indigene debbono essere sufficienti a tutelargli il resto dello Stato. Se non bastano, � segno che i popoli non vogliono pi� saperne del suo governo e cercano di scuoterne il giogo.

�Che le truppe straniere abbiano bandiera austriaca o vestano l’assisa papale, non importa: conviene considerare il fatto in se steaso. � un intervento e dei pi� pericolosi, epper� � necessario che finisca�.

Dunque l’esercito piemontese sta per varcare i confini delle Romagne, e passare una seconda volta il Rubicone! Ed il pretesto si � che l’esercito pontificio � un intervento straniero in Italia!!

Noi non vogliamo colle nostre parole spegnere o diminuire l’indegnazione che desta in ogni animo, non del tutto traviato, questo procedere. Per buona ventura il pretesto � cos� evidentemente futile, che quel del lupo contro l’agnello a paragone di questo � un diritto sacrosanto.

Ci piace tuttavia notare che non sono ancora otto giorni che l’esercito de gen. de Lamorici�re era sbandato a furia di diserzioni, mal ordinato, peggio allestito, pessimamente disciplinato, e ridotto ad un’accozzaglia di pochi spiantati, che uno starnuto di Garibaldi sarebbe bastato a fugarli; se pure la paura non li avrebbe fatto basire e cascar morti. Oggi l’esercito di Lamorici�re fa tremare il Regno italiano a dispetto dei suoi 200 mila soldati, a dispetto della prolezione di Napoleone III, a dispetto della, taumaturga potenza di Garibaldi!! 11

Veduto cos� la iniqua ridicolaggine della stampa ministeriale, giova vedere la non meno iniqua seriet� della stampa rivoluzionaria, cio� che affetta di fare opposizione al ministero, bench� rivoluzione e ministero sieno carne ed unghia. Noi dicemmo pili volte e dimostrammo, che Garibaldi ed il ministero furono sempre d’accordo, e che i dissapori rivelati colla circolare fariniana del 13

agosto erano solo apparenti per serbare agli oecbi della diplomazia una maschera di legalit�. Il Diritto e VUnit� di Genova provarono con solenni fatti e solennissimi documenti quest’enterite cordiale tra Garibaldi e Cavour fino al 13 agosto. Ma da quel giorno i due diari sostengono che Veniente � rotta, e che havvi antagonismo assoluto tra i due eroi della rivoluzione italiana. Noi crediamo che veramente ci sia un po’di ruggine tra i due cavalieri dell’Italia per gelosia di mestiere e di gloria, ed anche perch� uno lavora per la repubblica italiana e l’altro lavora per il Piemonte; ma che quanto alle opere della rivoluzione sieno perfettamente d’accordo. Questo serve per capire meglio le parole del Diritto d’oggi (6), che sono le seguenti:

�Revocammo ieri in dubbio la notizia data da un diario di Milano, che il governo del Re avesse inviata una Nota alla Corte di Roma per invitarla a licenziare i corpi stranieri da lei assoldati.

<Maggiori informazioni ci permettono di confermare nuovamente che finora nessuna Nota fu inviata.

<Ci viene tuttavia affermato che il Ministero � risoluto di romperla a qualunque costo con la Corte di Roma; ora a ci� non mancando le ragioni anche le pi� diplomatiche, dobbiamo aspettarci tra breve, ed anche tra pochi giorni, una rottura d’ostilit� con Roma.

�Questi ragguagli sono confermati dal linguaggio singolarmente bellicoso della stampa ministeriale e dagli apparecchi militari di questi ultimi giorni.

<� evidente che il segreto movente di questa risoluzione del Ministero � quello di prevenire l’arrivo di Garibaldi nelle Marche e nell’Umbria, assalendo immediatamente Lamorici�re, come avrebbe fatto Garibaldi appena compiuta l’impresa di Napoli.

<Con questo colpo, che del resto �, non che consentito, ma indirettamente suggerito da Francia e da Inghilterra, come appare chiarissimo dai giornali pi�, devoti a quei due governi, e dalle parole amichevoli, che diconsi mandate da lord Palmerston per mezzo di sir Edwin James, con questo colpo il Ministero spera di rialzarsi nel concetto dell’opinione pubblica, e riprendere nuovamente la direzione del movimento nazionale, che incautamente si lasci� sfuggire.

<Sebbene queste siano le ragioni che inducono il Gabinetto alla spedizione delle Marche e dell’Umbria, tuttavia noi, non che dolerci, siamo lieti che si varchi la Cattolica, perch� in fin deconti questa impresa, da qualunque affetto muova, avr� per risultato di liberare senza indugio care ed infelici provincie d’Italia dalla pili esosa delle dominazioni; ora questo � il primo ed ultimo dei nostri desiderii: noi saremo sempre con chiunque combatta con la bandiera di Vittorio Emanuele per la causa d’Italia.

Qui non faremo altro che mettere a riscontro le asserzioni dei due giornali, da cui risulta che le colpe, di che si vuole accagionare il Governo romano, sono le colpe che il lupo ascriveva all’agnello: ma che la verit� �, che il lupo aveva fame e voleva divorarsi l’agnello. Il Ministero dice: io assalisco Roma, perch� � rea d’intervento straniero, assoldando soldatesche forestiere. — Garibaldi dice: voi mentite, giacch� andate a Roma per furarmi le mosse, e impedire che ci vada io. Da ci� si vede che amendue vogliono andare a Roma, ed in ci� sono d’accordo; ma ciascuno vuol andarvi per conto proprio, ed � ci� in cui non sono d’accordo.

G Napoleone III che cosa fa? Egli che si proclam� il pi� solido sostegno dell’unit� cattolica e sostenitore di tutti i diritti del Pontefice come Sovrano temporale?— Napoleone III se la diverte, passeggiando per le sue nuove conquiste, e ride di sottecchi. A lui pare che gli sia caduta la Pasqua in domenica. Pensate che egli aveva la stizza tanto contro i rivoluzionari, quanto contro i Principi dell’Italia. Contro i primi era irritato, perch� gli intimavano con note diplomatiche all’Orsini di far l’Italia, se noContro i Sovrani era stizzito, perch�

aveva un bel tempestare che accordassero riforme per acquetare i rivoluzionari, affine che lasciassero lui in pace: essi gli ridevano in faccia, e dicevano: quando voi, sig. Napoleone, accorderete la libert� al vostro popolo, noi vedremo se dobbiamo accordarla ai nostri. Ora che ne avvenne? I Principi sono tutti o quasi tutti spodestati: e i rivoluzionari stanno per venire alle mani tra loro. Comunque la vada, Napoleone ci guadagna. 0 i rivoluzionari ci lasciano la pelle, e lasceranno lui in pace; ovvero sono vittoriosi, e allora si lacereranno a vicenda da buoni fratelli.

Intanto per meglio riuscire nel suo giuoco si � reso mallevadore agli Italiani che niuno interverr� per mischiarsi de’  fatti loro, ed ha promesso che ae l’Ao stria venisse a disturbarli, egli, Napoleone, calerebbe per darle una seconda lezione di Solferino.

IPOCRISIA ED IMPRUDENZA COLLEGATE CONTRO ROMA?

(Pubblicato l’8 settembre 1860).

L’ipocrisia dei moderati, e l’audacia feroce dei mazziniani si danno la mano e si sostengono a vicenda nel nuovo assalto che stanno per dare agli Stati Pontificii. I�ri, mettendo a riscontro l’Opinione col Diritto, facevamo notare la contraddizione che dimostra bugiardi amendue i partili, per cui, mentre i moderati fingono di temere l’attacco del generale de Lamorici�re, e costretti perci� a prevenirlo; i mazziniani all’incontro dicono che il ministero nell’assaliregli Stati Pontificii vuol impedire che Garibaldi vi entri pel primo, e faccia l’Italia per conto della repubblica.

Oggi si ripete la stessa commedia con parole poco diverse. 8econdo l’Opi� �risulta dalle lettere delle Marche e dell’Umbria che l’agitazione cresciuta a dismisura e le disposizioni militari del generale Lamorici�re sembrano dovere affrettare la soluzione di una crise, che quanto pi� dura tanto pi� si aggravai. Quanto all’agitazione abbiamo fatto conoscere nel numero antecedente colla testimonianze del Si�cle e del Journal des D�bats che essa � il risultato cM emissarii piemontesi, e che senza un esercito del di fuori la sollevazione di quelle provincie non ha probabilit� alcuna. Non � poi necessario di ftr sul

che la soluzione della erise, nel gergo de’  Opinione, significa l’irruzione del nostro esercito nelle Marche e nell’Umbria. E ci� si ascrive alle disposizioni militari del generale de Lamorici�re. Or bene sentiamo come il Diritto d’oggi sbugiarda VOpinione.

 Ragguagli degni di fede, dice, fanno salire a 24 mila i soldati di Lamorici�re, e li dipingono indisciplinati, ladri e codardi. Ma pogniamo pure che questa soldatesca ammonti a trentamila uomini, e che costoro siano fior di soldati (il che non pu� credersi di un’armata raccogliticcia, composta di mascalzoni venuti d’ogni paese e guadagnati con qualche scudo); ebbene qual pericolo v’ha per noi che possiamo irrompere negli Stati Pontificii con sessantar mila valorosi, forniti di tutto l’occorrente, e che abbiamo l’appoggio entusiastico di popolazioni pronte a battersi con noi? Per verit� sarebbe follia dubitare del successo in questa circostanza; bisognerebbe supporre che il nostro esercito fosse interamente disorganato e che le truppe di Lamorici�re agguagliassero nel nnmero almeno le nostre. Ma invece si osserva dall’uno e dall’altro lato precisamente il rovescio; tutte le probabilit� della vittoria sono per noi, come la sconfitta � certa per loro. Se le truppe pspali non opporranno grave resistenza, la campagna sar� una marcia trionfale pei nostri soldati. Se per contro le truppe del Papa si batteranno, avremo qualche zuffa ed anche una battaglia, e poi l’esercito papale sar� disperso e fugato. Queste non sono previsioni immaginarie, ma fondatissime; osianio persino dire che non sarebbe in alcun modo ragionevole credere il contrario�.

Il Diritto prosiegue a dimostrare che il pigliar le Marche e l’Umbria � un giuoco, un trastullo per il Piemonte. Dilatti che cosa possono mai 30 mila codardi, ladri indisciplinati, mascalzoni contro 60 mila valorosi? — E poi le popolazioni che sono tutte all’unanimit� pei Piemonte non basterebbe da solo a conquidere i trentamila mascalzoni? �Una tal forza, esclama il Diritto, basterebbe a schiacciare non che uno, ma due eserciti di Lamorici�re�. Ed intanto ecco il ministero tremare come una foglia, pensando alle disposizioni militari del generale romano I Si direbbe che i nostri ministri temono di vedere da un momento all’altro Annibale, cio� il generale de Lamorici�re alle porte di Torino. Ora questa ipocrisia � tanto goffa che fa stomaco. Per noi preferiremmo la franca sfacciataggine di Mazzini e di Garibaldi alla grossolana ipocrisia di Farini e di Cavour.

Ma in fatto d’ipocrisia il modello ed il figurino conviene cercarlo in Parigi; ed in conformit� del modello di Francia si vanno acconciando i nostri miniatri sempre devotissimi servidori dello straniero. Quel fior di galantuomini alla moda, che � il caro Persignv, � andato a collocare la prima pietra della chiesa di Nostra Signora delle Vittorie a Roanne, scompartimento della Loire. Niuno al certo s’immaginava che vi fosse relazione tra la prima pietra della chiesa di f�oanne e la quistione romana. Eppure il caro Persignv ce ne trov� tanta, che, fattosi una bigoncia della pietra fondamentale, vi sciorin� un discorsetto che � il sunto del famigerato libello II Papa ed il Congresso dichiarato da Pio IX un atto d’ipocrisia e d’ignobili contraddizioni.

Il signor Persignv vuol scolpare il suo padrone da ogni ingerenza nella rivoluzione delle Romagne. �Tal � la devozione dell’Imperatore alla Chiesa, che �fell � al di sopra di quell’immensa ingiustizia che, poco fa ancora, commosse 11

Cattolicismo, e fece stupire il mondo. Permettetemi, signori, di dirvi una parola su questo soggetto�. E qui il Persignv espone a suo modo la rivoluzione delle Romagne. Comincia dall’accusare l’Austria d’aver abbandonato le Romagne, e con ci� d’aver provocato la rivoluzione, ed essere stata cagione della perdita fatta dalla S. Sede di quelle provincie. Il Persignv non ignora il rapporto del principe Napoleone, comandante del quinto corpo dell’esercito francese in Italia, sotto il d� 4 luglio 1859, ove � detto �che la presenza del suo quinto corpo, pronto a sboccare sopra l’esercito austriaco, aveva impresso sopra di lui un timore abbastanza vivo, perch� si affrettasse di abbandonare Ancona, Bologna, e successivamente tutte le posizioni sulla riva destra del Po�. Ci� vuol dire che la ritirata degli Austriaci, e la conseguente rivolta delle Romagne furono opera dell’esercito francese.

Il Persignv prosieguo ad esporre come l’Imperatore proponesse al Papa il vicariato del Re di Sardegna per le Romagne annesse al Piemonte, e prosiegue dicendo: Nello stesso tempo che l’Imperatore cedeva con un tale progetto all’impero d’una necessit� assoluta, egli ne tirava un partito enorme a profitto del Papa, perch� in cambio del sacrifizio, egli offriva di guarentire e di far guarentire dall’Europa, o quanto meno da tutto il Cattolicismo, gli stati attuali della Santa Sede, ed assicurava per sempre l’indipendenza e la sicurezza del Papa.

�Cbe queste sagge, nobili e generose proposte siano state qualche tempo snaturate dall’ignoranza, dall’errore o dall’odio dei partiti nascosti sotto il manto della religione, non vi ha in ci� nulla di straordinario, ma ci� che posso dirvi, o signori, si � che agli occhi di tutti gli uomini politici di qualche valore in Europa queste proposte apparvero come la prova pih chiara della devozione dell’Imperatore verso il Santo Padre, che tutti i nemici religiosi del Papato in Europa si sono rallegrati di vederle rigettate, e che infine secondo tutte le umane probabilit�, se esse fossero state adottate, l’Italia sarebbe in pace, e la Corte di Roma libera d’ogni pericolo�.

Ora non � questa un’ipocrisia di un’impudenza unica, anzich� rara? Sol punto, in coi la rivoluzione sta per ingoiare ancora il rimanente degli Stati Pontificii, venir fuori con queste storielle cui non credono neppur i bimbi che se la dicono ancora col cavalluccio e collo scoppietto di latta! Tutti oggimai sanno che tanto la rivoluzione delle Romagne, quanto quella che � imminente nelle Marche e nell’Umbria sono opera del governo francese, almeno in quanto nulla si � fatto e nulla si far� dal Piemonte senza licenza dei superiori, come diceva ieri benissimo la Gazzetta del Popolo. E ci� come dice la stessa Gazzetta per ora, cio� per ora i superiori danno licenza al Piemonte di beccarsi le Marche e l’Umbria; pi� tsrdi verr� il resto. Una alla volta, diceva colui che ferrava le oche.

Napoleone diede licenza al Piemonte di beccarsi le Romagne. E poi disse al Papa: Santo Padre, vedete quel bricconcello di Piemonte vi ha tolto le Legazioni, ed io mi sono trovato impotente ad impedirnelo. Ma ora, cosa fatta capo ha. Fate il sacrifizio di quella parte dello Stato gi� assolutamente perduta, ed io vi sto mallevadore del rimauente degli Stati. — Napoleone prevedeva gi� che l’i Papa direbbe di no, come dovea. Allora Napoleone, fregandosi le mani, disse tr� s� e s�: un pezzo � gi� crollato, ed io me ne son cavato con buona grazia: l’ho fatta franca.

Ora ba dato licenza di annettere le Marche e l’Umbria. Quando il fatto sar� compiuto, Napoleone ripeter� il suo discorsetto al Papa. — Santo Padre, il Piemonte e quel diascolo di Garibaldi vi hanno tolto le Marche e l’Umbria, ed io fui impotente ad impedire quell’immensa ingiustizia. Ma ora il fatto � fatto: fate sacrifizio di queste provincie, e delle altre annesse l’anno scorso; ed io vi do la mia parola d’Imperatore e di Napoleone, che difender� contro e verso tutti la Gomarca, Civitavecchia e Viterbo per mantenerle nella vostra ubbidienza. — S’intende che il Papa dir� di no; e Napoleone, contentissimo in suo cuore, far� il piagnone nel Moniteur, nel Constitutionnel, e far� dire dal suo Persignv, che l’ostinazione del Papa � cagione di tutti i suoi malanni.

Finalmente viene l’ultima licenza di annettere le provincie di Viterbo con Roma e la Comarca. Si ripetono le stesse scene, e si termina colla medesima catastrofe. Allora la commedia � finita, cala il sipario, e buona notte.

Tali sono i divisamenti della rivoluzione, la quale fa i suoi conti sul non intervento delle Potenze della terra. Ma non ha pensato ad assicurarsi del non intervento della Provvidenza. Non possiamo determinare quando quest’intervento avr� luogo, se a mezzo la commedia, ovvero alla fine. Ma sappiamo di certo che l’intervento avr� luogo, e che la rivoluzione ne andr� colle corna rotte.

ULTIMATUM DEL CONTE DI CAVOUR AL PAPA

(Pubblicato FU settembre 1860).

Il 20 di marzo del 1860 il conte di Cavour scriveva una lettera al Cardinale Antonelli, nella quale riconosceva gli antichi diritti del Papa sulle Romagne, e per conciliarli coi nuovi ordini offeriva di mandare a Roma il conte Federico Sclopis, uomo di religiosi e concilievoli intendimenti.

Contemporaneamente un augusto personaggio scriveva al Santo Padre Pio IX, gloriandosi di essere �figlio devolo della Chiesa e discendente di stirpe religiosissima�, e adduceva questa prova di sua religione: �Quando la presenza di un audace generale (Garibaldi) poteva mettere in pericolo la sorte delle provincie occupate dalle truppe di Vostra Santit�, adoperai la mia influenza per allontanarlo da quelle contrade�.

Queste lettere vennero pubblicate nell‘Armonia del 17 di aprile 1860, N� 90, e invitiamo i nostri lettori a rileggere e a meditare ben bene le risposte del Papa, le quali pei fatti odierni riacquistano un’eloquenza straordinaria, e splendono di una luce diremmo quasi sovranatnrale.

Dalla fine di marzo il conte di Cavour non ebbe pi� nulla da dire, n� da fare col Cardinale Antonelli. Se non che l’altro giorno gli scrisse nuovamente, e non pi� una commendatizia, come cinque mesi fa, ma un ultimatum.

E questo ultimatum fu spedito a Roma per mezzo del conte della Minerva, il quale, come sanno i nostri lettori, riceveva tempo fa dal governo Pontificio i suoi passaporti, perch� sotto la veste di rappresentante diplomatico del Piemonte dava opera a preparare quelle belle coae che ora veggiamo!

Il conte di Cavour, il 7 di settembre; rimandava questo signore a Roma col� l’incarico di presentare una nota, che richiede al Papa di licenziare i soldati francesi, irlandesi, svizzeri che stanno al suo servizio. Se no, le truppe piemontesi invaderanno le Marche e l’Umbria.

Il conte della Minerva part� da Torino la sera di venerd�; da Genova per terra recosai a Livorno, ed a Livorno s’imbarc� per Civitavecchia. Egli giunse a Roma il 10 di settembre, e forse a quest’ora ha gi� presentato il suo iUti maium.

Ilettori possono facilmente indovinare quali sentimenti prova il cuor nostro nel dettare queste linee, ma intenderanno eziandio come noi siamo costretti dalla gravit� delle circostanze a contenerci nella massima riservatezza, ed eliminata ogni frase meno moderata, restringerci ad alcune brevi osservazioni.

IIconte di Cavour vuole adunque che il Papa licenzi i suoi figliuoli accorsi in sua difesa, perch� easi sono inglesi, francesi, irlandesi, e la loro presenza nell’esercito Pontificio costituisce un intervento straniero.

Ma chi � il promotore della politica del non intervento in Italia? � Luigi Napoleone. Or bene egli non crede che la presenza di questi cos� detti stranieri nelle truppe del Papa costituisca intervento, e la prova � ch’egli stesso ha permesso a molti francesi, ed allo stesso generale de Lamorici�re di pigliar servizio nell’esercito Pontif�cio.

Inoltre i giornali ci dicono che l’esercito di Garibaldi si compone di molti stranieri, e ci contano di tremasene ufficiali unghere8i che stanno a’  suoi ordini, di duemila cinquecento soldati inglesi, di molti svizzeri, di parecchi francesi, e via dicendo. Ma se questo pu� essere permesso a Garibaldi per conquistare l’altrui, dovr� essere vietato al Papa per difendere il proprio regno?

In ultimo il conte di Cavour ha tale un concetto dell’indipendenza e sovranit� de’  principi ne’ loro Stati, che li giudica padroni non solo di ricevere in ca8a propria chi meglio loro talenta, ma di cedere perfino allo straniero le loro medesime provincie. Si � di fatto il conte di Cavour, che ba sottoscritto il trattato che cede a Napoleone III la Savoia e Nizza.

E potr� essere permesso a questo signor Conte di dare allo straniero le terre italiane, e sar� proibito a Pio IX di ricevere a suo servizio i cattolici a qualunque paese del mondo appartengano?

E non � forse il conte di Cavour che chiam� in Italia i Francesi, e si valse del loro soccorso per difendersi da forze che aoverchiavano le nostre? E non potr� Pio IX accettare a suo servizio una mano di prodi, perch� non sono italiani?

E nel 1859 il conte di Cavour non accettava gli stranieri nel nostro esercito, anzi non ne volava in cerca per tutte le parti? E il duca di Chartres, per dire di un solo, � forse italiano?

E quando l’Austria intim� al conte di Cavour di sciogliere i reggimenti di volontari, stranieri al Piemonte, il no8lro presidente del Consiglio ader� forse alla pretesa?

Ma egli s’inganna a partito se spera di trovare minore fermezza, minore indipendenza e dignit� nell’animo invitto di Pio IX. La risposta dV ultimatum del eonte di Cavour sar� quale ogni uomo d’onore l’ha presente in cuor suo, e quale se l’aspetta lo stesso nostro governo.

Laonde si pu� ornai conchiudere che il Piemonte romper� guerra al Papa, e il pretesto � degno della politica italianissima. � sottosopra il pretesto stesso trovato dal primo Napoleone per tormentare Pio VII.

Si avverta intanto la serie degli assalti mossi dal conte di Cavour a Roma. Dapprima nel Congresso di Parigi accusa il Papa di non sapere da s� costituirsi un esercito, ed abbisognare del sostegno altrui. Pio IX in breve ora si costituisce un esercito.

Il conte di Cavour, tolte le Romagne al Papa, l’accusa di volere spargere il sangue italiano per riconquistarle colla forza. Pio IX soffre in pazienza la perdita delle sue migliori provincie, e si guarda ben bene dal ripiombare l’Europa negli orrori della guerra.

11 conte di Cavour si lagna, che il governo del Papa sia un fomite di rivoluzioni. I fatti lo smentiscono solennemente, imperocch� avvengono rivoluzioni dappertutto meno negli Stati del Papa.

Il conte di Cavour non sa pi� come uscirne e si aggrappa agli specchi, accusando il Papa d’avere uno straniero per comandante in capo del suo esercito, e truppe straniere a suo servizio. Ma a Novara chi comandava nel 1849 l’esercito piemontese? Non era forse un generale polacco?

E poi quelli che voi chiamate stranieri, sono la minima parte dell’esercito pontificio, giacch� il Courrier du Dimanche li fa ascendere a soli seimila soldati, che sarebbero per ci� il quinto della truppa.

Di buone ragioni, come si vede,. ne abbiamo da vendere. Ma � oggid� la forza che impera. Il Papa non s’� potuto atterrare cogl’inganni, colle ipocrisie, coi tradimenti, ed ora si vuol perdere coi cannoni.

Per� non � questa un’impresa da pigliare a gabbo. La stessa Gazzetta del Popolo del 10 di settembre grida a’  suoi: chi � tranquillo, non � che un imbecille. La Gazzetta che disprezzava il Papa, gi� ne sente la forza prima ancora che incominci la battaglia!

Umanamente parlando, i libertini dovrebbero essere tranquillissimi sull’esito della pugna. Imperocch� l’esercito pontif�cio � un nulla in proporzione de’  suoi nemici, e trovasi combattuto di fronte ed alle spalle.

Dunque perch� solo gli imbecilli possono essere tranquilli? Perch� solo gli imbecilli possono rinnegare la storia, e non capire quanto audace impresa sia muovere contro Roma.

Ieri noi abbiamo celebrato la festa del nome di Maria, e questa festa ci dice che spesse volle anche i grossi battaglioni hanno la peggio quando Iddio non � con loro.

Napoleone 1 raccomandava a’  suoi di trattare col Papa come se avesse dietro a s� ducentomila soldati. Pi� tardi, scrisse Massimo d’Azeglio, napoleone se ne dimentic�, e ne pag� lo scotto!

Gli italianissimi si trovavano a fronte l’Austria e Roma. La prima con mezzo milione di soldati, e l’altra presso che inerme. Elessero adunque di combattere questa, e dichiarano francamente di non volersi pei ora misurare coll’Austria perch� � forte.

Ma Roma, sappiatelo o signori, Roma � molto pi� forte dell’Austria, e cadranno mille Austrie prima del Papa.

fonte

https://nazionali.org/ne/stampa2s/02_1864_vol_01C_margotti_memorie_storia_nostri_tempi_dodici_2013.html#Angelis

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