Alta Terra di Lavoro

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MIRABILI ESEMPII DI LIBERTA’ SECONDO I SAVOIARDI

Posted by on Feb 28, 2018

MIRABILI ESEMPII DI LIBERTA’ SECONDO I SAVOIARDI

In questo frattempo il Re Francesco II trovava nella fedeltà de’ suoi soldati e nel valore, con cui presero a combattere sotto gli occhi suoi, un gradito compenso a tanti dolori.
Un 3500 di questi bravi soldati erano rimasti a Napoli quando ne parti il Re.

Snidarli dai forti colla violenza avrebbe potuto costar caro. Al sopraggiungere delle truppe piemontesi, furono i napoletani lasciati liberi di raggiungere il Re se fosse loro piaciuto.

Tutti, esempio mirabile di devozione, tutti accettarono; e colle armi brandite, a bandiere spiegate, a tamburro battente marciarono a Gaeta, dove sapeano dover trovare, più che altro, privazioni, stenti e battaglie pel loro Re.

Altri, in numero di parecchi centinaia, usciti dalla cittadella d’Augusta per capitolazione, ebbero a scegliere tra l’andare a Gaeta, il tornare alle loro case liberi, o l’accontarsi col Garibaldi; essendo queste condizioni loro proposte e guarentite dall’ammiraglio francese.

Ora di lutti essi circa 360 vollero raggiungere il loro Re a Gaeta; un 150 incirca, già affranti dalle fatiche, accettarono di ritrarsi alle case loro; un solo fu tanto vile da cedere alla seduzione e rimanere tra i felloni col Garibaldi.

PROTESTE CONTRO IL BLOCCO DI GAETA

Il Re a Gaeta avea nominato un suo nuovo Ministero, presieduta dal Generale Casella, Ministro della Guerra e degli affari esteri; e composto del Cavalier Ulloa per gl’Interni, del Barone Carbonelli per varii dicasteri, e del retro Ammiraglio Del Re per la marina.

Quando il Garibaldi ordinò il blocco di Gaeta, codesto governo del Re Francesco II diramò subito ai suoi rappresentanti presso le corti straniere una nota in cui leggesi quanto segue.

«…….Non sa il Governo di S. M. che alcuno de’ Ministri, e dei Consoli abbia riconosciuto una disposizione così contraria al diritto delle genti. Ma in ogni modo crede necessario protestare nella forma la più energica ed esplicita contro questo nuovo attentato a’ principii che formano base della esistenza delle nazioni.

Il legittimo Sovrano del Regno delle Due Sicilie, ridotto dalla più scandalosa invasione a difendersi nella linea militare di Capua e di Gaeta, è non soltanto assalito in terra dalle forze della rivoluzione, ma si rivolgono contro lui i bastimenti della sua propria marina per bloccarlo.

Le Potenze Europee non possono riconoscere un blocco decretato da un potere illegittimo per imporre alle altre nazioni il sagrifizio della libertà marittima e l’interruzione del loro commercio; bisogna essere Governo pubblicamente ed officialmente riconosciuto dagli altri.

Garibaldi non rappresenta un Governo; Napoli rivoluzionata non è nazione. La sola nazione riconosciuta dai trattati è il Regno delle Due Sicilie; ed il sovrano di questo Regno, riconosciuto da tutti gli altri, si trova adesso a Gaeta.

Essendo cosi, il blocco di Garibaldi è illegittimo, e nessuna nazione può accettarne le conseguenze.

Ma gli atti illegittimi di ostilità marittima, la interruzione arbitraria del commercio de’ neutri sono, secondo il dritto delle genti, atti di manifesta pirateria.

Non è credibile che l’Europa incivilita del secolo decimonono possa tollerare la pirateria nel Mediterraneo, né si può ammettere per un momento, a che le Potenze marittime assistano impassibili a questi fatti, che rovesciano i principii di dritto pubblico ed internazionale assicurati a costo di tanti ripetuti sforzi.

È con questa confidenza che il sottoscritto ecc. ha l’onore di dirigersi a S. E. ecc. per ordine espresso del suo augusto Sovrano, e pregandola a voler mettere questa nota sotto gli occhi di Sua Maestà ecc. , si attende una risposta, che egli si augura concorde coi principii del diritto delle genti e della giustizia. Il sottoscritto profitta ecc. ecc…..»

A questa protesta fu fatta ragione, e le varie Potenze rifiutarono di riconoscere il blocco. Navi francesi e russe da guerra gittarono l’ancora nel porto di Gaeta.

LA CONFISCA DELLE PROPRIETA’ REGIE

Rispetto alla confisca delle private proprietà del Re e della famiglia reale, più sopra già mentovata, emanò da Gaeta la nota seguente.

«…..Dopo aver spogliato il Il Re N. S. dei suoi Stati, la rivoluzione trionfante lo spoglia pure della sua privata e legittima fortuna. Con essa sono stati confiscati i maggiorati dei Principi, le doti delle Principesse, il prodotto delle loro particolari economie, tutte le proprietà in somma che, costituite dalle leggi civili, sono in tutti i paesi inciviliti, e dai più anarchici governi rispettate.

Ma questo attentato non meriterebbe altro che lo sdegno di S. M. , che avrebbe creduto al di sotto di sua dignità farvi attenzione, se allo spoglio non si accompagnasse la calunnia…..”

Il giornale di Napoli del 20 Settembre N.° 5, nel rendere conto di questo fatto al pubblico, procura raccomandarlo o scusarlo dicendo che, sapendo il Ministro di polizia di Garibaldi

«come grandi ricchezze avessero a scapito del popolo accumulato i Principi di casa Borbone, si diede a veder modo onde una parte almeno di esse fosse reintegrata al tesoro dello Stato».

Raccontando poi la trasmissione violenta di una somma di 184, 608 ducati di rendita, ed aggiungendola a un’altra di ducati 317, 186 prodotto annuo dei maggiorati ed economie private della Casa reale, calcola il capitale di questa doppia rendita in undici milioni, legittimamente, aggiunge, rivendicata alle Finanze dello Stato.

Mentre che negli inqualificabili atti, che hanno luogo nell’invasione del regno, s’invoca soltanto il dritto della rivoluzione, il Governo di S. M. lascia alla Provvidenza, all’opinione pubblica e alla giustizia dell’Europa il giudizio di uno stato di cose che opponendosi a tutti i principii sociali, non può essere né accettato né durevole.

Ma quando si parla di legge e di diritto, nello stesso tempo che si conculcano tutti i diritti e tutte le leggi, il Governo di S. M. non crede dover lasciare agli invasori e ai rivoluzionarii il beneficio dell’impunità e delle calunnie.

«…..Le rendite occupate violentemente dal sig. Conforti e violentemente confiscate dal governo di Garibaldi si compongono di quelle due partite accennate nel suo giornale di Napoli.

La prima, cioè, quella di 184,608 ducati rappresenta l’eredità lasciata ai suoi dieci figli ed ai poveri dal defunto Re Ferdinando II. Questo è il frutto delle economie personali di 30 anni di regno; e dichiarare illegittima questa eredità vai tanto che attaccare la legittimità della lista civile e del patrimonio che hanno posseduto lutti i monarchi delle Due Sicilie.

L’altra partita si compone, nella maggior parte, dei maggiorati dei reali Principi, e delle doti delle reali Principesse, costituiti in virtù di antiche e finora sempre rispettate leggi.

Là stanno pure piccole economie fatte in favore di orfani durante ia loro infanzia, come può ritevarsi dalla lista stessa pubblicata nel giornale della rivoluzione, trovandosi due sole partite appartenenti al Re N. S.), una di 41a ducati, economie della sua assegnazione di principe ereditario, e un’altra di 67,509, interessi composti ed accumulati durante ventitré anni, della dote ed eredità propria della sua illustre e venerabile madre Maria Cristina di Savoia.

La dote di questa Principessa piemontese è stata confiscata dal governo di Garibaldi, in nome del Re del Piemonte, e si contesta al figlio il diritto a questa santa e legittima eredità di sua madre, dovutagli in virtù di un trattato colla Sardegna!

Nel permettermi, dopo le istanti mie preghiere, di trasmetterle queste necessarie spiegazioni, mi ha ordinato il Re (N. S.) di prendere per base la pubblicazione stessa fatta dal governo rivoluzionario che si è impadronito de’ suoi Stati in nome del Re di Sardegna.

Non è certo l’animo di S. M. di lagnarsi dello spoglio di tutta la sua fortuna particolare; S. M. ne aveva fatto il sacrifizio quando costantemente, anche nei giorni i più minaccianti della lotta e dell’invasione, si rifiutò ostinatamente a far vendere le sue rendite di Napoli per piazzarle con più sicurezza in fondi di altri e più fortunati paesi.

Potrebbe sì compiangere la sorte di nove fratelli e sorelle condannati, senz’altro delitto che il loro nome a vedere confiscati dalla rivoluzione tutti i loro mezzi di fortuna, ma qualunque sia il loro avvenire, sia la loro sorte vivere nell’esilio e nelle più dure privazioni, S. M. è sicura che sapranno sopportare l’avversità con costanza degna della loro stirpe e del rango in che, per esempio degli altri, li fece nascere la Provvidenza.

In mezzo a queste miserie della rivoluzione, splende più alta e più gloriosa la magnanimità del nostro augusto Sovrano.

I palazzi, i musei che ha lasciato, nel partire, pieni dei tesori dell’inestimabile eredità de’ suoi antenati, attestano al mondo il completo disinteresse e la generosità d’animo di Francesco lI.

Unita la sua causa a quella de’ suoi popoli, non ha voluto il Re trasportare fuori del paese neanche la sua particolare fortuna, come si sdegnasse salvare per sé una tavola nel naufragio generale del Regno.

La sua indifferenza pei beni materiali della vita è proverbiale; né pure i grandi dolorosi avvenimenti che hanno avuto luogo nel breve ma difficile periodo della sua ascensione al Trono avrebbero permesso queste cure ad uno spirito esclusivamente occupato della pace e della prosperità dei suoi sudditi.

«Non sono necessarie queste spiegazioni per quelli che conoscono lo stato delle cose in Napoli; ma come potrebbe avvenire che trovasse eco in codesti paesi la calunnia, credo del mio dovere tenerla al corrente dei falli, perché sia in grado di smentirla.

Non sono tesori che la casa di Borbone portò seco nell’abbandonare la capitale; sono i suoi palazzi, i suoi musei e la santa eredità dei suoi antenati che lascia come monumento della sua generosità nel suo sempre amabile regno, senza curarsi dell’avvenire.

La dote della madre del Re, l’eredità particolare di suo padre, i maggiorati, le economie dei Principi e delle Principesse; lutto quanto costituisce la fortuna privata della famiglia Reale, quanto assicurano le leggi Civili, quanto rispetta il diritto comune de’ popoli, lutto è stato confiscato dal Governo rivoluzionario di Napoli, senza che il Re si degnasse neanche protestare contra questo scandaloso spoglio, trovando al di sotto della sua dignità occuparsi dei suoi interessi particolari, quando cadono in rovina i grandi interessi dello Stato.

Né avrebbe annuito alle rappresentazioni rispettose e ripetute del suo Governo, se non fosse dovere dei suoi Ministri respingere con indignazione le false imputazioni che possono agire sugli spiriti prevenuti od ignoranti.

«Ella è autorizzata a fare di questa comunicazione l’uso che stimerà nella sua prudenza convemente, e a rilasciarne copia a cotesto Ministro degli affari esteri».

fonte

la storia che non si racconta

 

 

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