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Napoleone e la guerra alla Chiesa

Posted by on Gen 27, 2022

Napoleone e la guerra alla Chiesa

5 maggio 1821 – Bonaparte avversa la fede; combatte la Chiesa per assoggettarla; depreda gli Stati Pontifici; sostituisce la festa dell’Assunta (15 agosto) con l’inesistente san Napoleone. Nel febbraio 1798 occupa Roma e lo Stato Pontificio, arresta e deporta Papa Pio VI

Il 20 luglio 1821, di rimbalzo da Londra, «Gazzetta piemontese» di Torino – dal 1895 «La Stampa» – pubblica la notizia della morte il 5 maggio di Napoleone Bonaparte nell’isola Sant’Elena, possedimento britannico sperduto nell’Atlantico. Alessandro Manzoni lo apprende il 16 luglio e in tre giorni compone di getto «Cinque maggio», capolavoro poetico sulla fragilità umana e la misericordia divina: «Ei fu. Siccome immobile, /dato il mortal sospiro, /stette la spoglia immemore / orba di tanto spiro, /così percossa, attonita /la terra al nunzio sta, /muta pensando all’ultima /ora dell’uom fatale; /né sa quando una simile /orma di piè mortale /la sua cruenta polvere /a calpestar verrà… /Fu vera gloria? /Ai posteri l’ardua sentenza: nui /chiniam la fronte al Massimo /Fattor, che volle in lui /del creator suo spirito /più vasta orma stampar».

Sotto i suoi colpi lo Stato Sabaudo si sfalda – Per oltre trent’anni in Europa i fulmini della Rivoluzione francese (1789-99) e del ciclone Napoleone Bonaparte (1769-21) inceneriscono tutto e tutti: la sua stella è il proprio potere assoluto e la «grandeur de la France». La guerra tra la Repubblica francese e il Regno Sabaudo (settembre 1792-aprile 1796) fa rifulgere la stella del generale còrso, comandante dell’Armée d’Italie, che sconfigge le armate sarde, costringe Vittorio Amedeo III all’armistizio di Cherasco (28 aprile 1796); batte gli austriaci a Marengo (14-15 giugno 1800) e instaura la Repubblica Cisalpina. Lo Stato Sabaudo si sfalda. Nel 1798 prima di fuggire – con la moglie Maria Clotilde Adelaide di Borbone-Savoia – per l’esilio in Sardegna, Carlo Emanuele IV «il tiranno» si fa mostrare la Sindone per impetrare le grazie divine. Il 21 settembre 1802 il Piemonte è annesso alla Francia: 95 mila giovani sono arruolati a forza sotto le bandiere di Marianna e molti congelano nella Campagna di Russia (1812).

Basta «tòta, madamìn, madàma, monsù». Solo «citoyen». Ogni riunione si apre al grido «Liberté ou mort» e si chiude con «Ègalité ou mort»; «Liberté, égalité, fraternité». I simboli rivoluzionari campeggiano ovunque: il berretto frigio, l’albero della libertà, l’immagine muliebre discinta della Repubblica, bandiere e documenti, muri e monumenti. Tutti cantano la «Marsigliese». A Torino la ghigliottina in 14 anni decapita 423 sventurati, troppi per l’esiguo numero degli abitanti, che calano da 80.752 (1799) a 65.548 (1814). La voracità insaziabile degli occupanti indigna gli arguti cittadini: «I francesi in carrozza e noi a pé»; i francesi vogliono erigere un monumento con la scritta «Magnae Matri filia grata», che il popolo traduce in «La madre mangia e la figlia si gratta». Gli ingordi padroni spolpano i malcapitati servi con sempre nuove tasse. In tutta Europa saccheggiano chiese, palazzi, biblioteche e conventi; fondono la statua d’argento della Consolata.

Pio VI e Pio VII, gli ultimi pontefici che assaggiano la galera. A Casamari (Frosinone) la soldataglia stermina sei monaci cistercensi (13-16 maggio 1799). Bonaparte avversa la fede; combatte la Chiesa per assoggettarla; depreda gli Stati Pontifici; sostituisce la festa dell’Assunta (15 agosto) con l’inesistente san Napoleone; promulga il «Catechismo imperiale». Nel febbraio 1798 occupa Roma e lo Stato Pontificio, arresta e deporta Pio VI. Sulla strada per la Francia, passa per Torino (aprile 1799): febbricitante e paralizzato, è trascinato in lettiga ed è segregato nella Cittadella. Muore stremato a Valence (29 agosto 1799). Per tre mesi la Sede Romana resta vacante. Quando i 34 cardinali, radunati dall’imperatore d’Austria, il 1° dicembre 1799 si riuniscono in Conclave a Venezia – l’ultimo fuori Roma – nell’abbazia benedettina dell’Isola San Giorgio, occorrono 104 giorni di scrutini, per eleggere il 14 marzo 1800, il benedettino Barnaba Gregorio Chiaramonti-Pio VII.

Per la prima volta un Papa due volte alla Sindone. Costretto ad andare da Roma a Parigi, Pio VII è Torino e il 13 novembre 1804 «si cavò il berrettino e baciò la Sindone con inesprimibile devozione». È la prima volta di un Papa, oppure la seconda, se effettivamente nel 1538, nel forte di Nizza Marittima, il duca Carlo III la mostrò a Papa Paolo III. Il 2 dicembre a Notre-Dame Pio VII incorona Napoleone – «Dio me l’ha data (la corona), guai a chi me la tocca» – e solo nell’aprile 1805 può lasciare la Francia. Altre persecuzioni attendono il Papa mite ma roccioso nella difesa della Chiesa. Napoleone occupa di nuovo (21 gennaio 1808) lo Stato Pontificio e Pio VII si barrica nel Quirinale e lo scomunica. Il dèspota fa assaltare il palazzo. Inizia un’altra dolorosa peregrinazione: Firenze, Genova, Savona. Il 12 agosto pernotta a Cuneo e l’accoglienza è trionfale. Attraverso Asti e il Piccolo San Bernardo, estenuato arriva a Fontainebleau. In un Concordato estorto, fa ampie concessioni ma, appena libero, ritratta. L’infame trattamento cessa con la sconfitta di Napoleone a Lipsia (16-19 ottobre 1813) e, dopo cinque anni di prigionia, Pio VII nel 1814 rientra a Roma. Ma il calvario non è finito. Durante i «cento giorni» della fuga dall’Isola d’Elba, Gioachino Murat, cognato di Napoleone, marcia su Roma. Il Papa fugge, approda a Genova e, dietro pressioni di Vittorio Emanuele I, raggiunge Torino e celebra Messa nella Cappella della Sindone (21 maggio 1815) e da Palazzo Madama mostra la reliquia e «la folla la venera al rimbombo del cannone e al suono di tutte le campane».

Le leggi giacobine-imperiali sconquassano la Chiesa. La stella di Napoleone tramonta definitivamente il 18 giugno 1815 con la sconfitta a Waterloo e con l’esilio a Sant’Elena dove muore. Durante i 16 anni di dominazione franco-napoleonica le leggi giacobine e imperiali sconquassano le strutture ecclesiastiche. Un decreto (31 agosto 1802) sopprime diocesi, seminari e istituti religiosi per incamerarne i beni, rapina che fanno tutti i rivoluzionari o presunti tali. In Piemonte cancella (1° giugno 1803) 9 diocesi: Alba, Aosta, Biella, Bobbio, Casale, Fossano, Pinerolo, Susa, Tortona; e amplia le restanti 8: Torino, Acqui, Alessandria (poi sostituita da Casale), Asti, Ivrea, Mondovì, Saluzzo, Vercelli. Pinerolo passa a Saluzzo, Susa a Torino, Aosta a Ivrea. La geografia ecclesiastica è restaurata da Pio VII (17 luglio 1817) e non muta per oltre due secoli, fino a oggi: memore dell’entusiastica accoglienza ricevuta nel 1805, erige la diocesi di Cuneo. Napoleone usa il pugno di ferro con gli ordini contemplativi; chiude 29 monasteri torinesi, ne confisca le proprietà e le vende all’asta; riduce le parrocchie torinesi da 17 a 8 e applica un rigido controllo.

Saccheggia archivi e disperde biblioteche. Nel 1810 ordina di saccheggiare l’archivio vaticano: razziando opere d’arte e documenti da mezza Europa, vuole costituire il «Museo della civiltà europea liberata dalla Rivoluzione» nel Palazzo Soubise a Parigi. Con la sua caduta tramonta anche il Museo. Ma molti preziosi documenti finiscono o bruciati o come carta da imballo di droghieri e pescivendoli parigini. Vanno persi gli atti dei processi di Galileo Galilei (12 aprile-22 giugno 1633) e di Giordano Bruno, bruciato sul rogo il 17 febbraio 1600. Va distrutto o disperso il «fondo criminale» del Sant’Offizio. I resti del saccheggio, 37 casse di documenti, sono riportati a Roma dal cardinale segretario di Stato Ercole Consalvi. La distruzione di conventi e monasteri; la soppressione degli ordini religiosi, proseguita dai governi massonici del Piemonte e dell’Italia; la perdita di archivi, biblioteche, documenti e opere d’arte sono un danno inestimabile per la cultura.

Pier Giuseppe Accornero

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1 Comment

  1. Un articolo di cui mi faro’ copie da conservare e distribuire!… e’ una sintesi di fatti che hanno “impestato” questi nostri ultimi secoli ed sarebbe necessario che tutti ne siamo consapevoli per cercare di rimediare i danni e gli sconvolgimenti che ne sono derivati… e non per passatismo ma per almeno tendere a verita’ e giustizia. caterina ossi

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