Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Napoleone incantatore di sapienti di Alfredo Saccoccio

Posted by on Mag 26, 2024

Napoleone incantatore di sapienti di Alfredo Saccoccio

   Napoleone Bonaparte fu forse il primo a capire che per conquistare  il  potere in una società moderna non basta la forza delle armi; occorre il consenso. Ebbe perciò l’accortezza di presentarsi all’opinione pubblica con il presitgio di un sovrano illuminista.

Diede l’impressione di volersi ispirare a Federico il Grande e a Caterina di Russia, i sovrani che chiamavano a sè i rappresentanti della cultura e mostravano di giovarsi dei loro consigli. Il còrso si presentò, in una certa misura, sotto mentite spoglie. Fu un’operazione assai machiavellica. Egli adottò, perfezionandole, due intuizioni dell’Illuminismo fra loro complementari : la ricerca del consenso, appunto, e l’uso degli intellettuali. Il tutto perseguito  con grande lucidità e determinazione. Fin  dai  suoi esordi politici, nel 1799, Napoleone cova già, nascostamente,un disegno dispotico. Mira al vertice. Gli intellettuali  gli faciliteranno l’ascesa. E lui li compiace con riverenze e moine che sembrerebbero poco congeniali a un militare. Quando entra a far parte dell’Institut, riesce a conquistare gli accademici dicendo :”Prima di essere un vostro “confrère , sono un vostro allievo”. E afferma che le sole conquiste valide per l’umanità sono quelle dello spirito”.

   Finché, assumendo la dignità di Primo Console, non getterà la maschera e svelerà la sua ambizione , quella di essere il nuovo Alessandro Magno.

   Diremmo che quella sua opera di seduzione non conosce soste. E comunque, egli sottoporrà a trattamenti assai ruvidi gli stessi personaggi che ha affascinato e comprato. Il Bonaparte non sopporta le loro obiezioni. Chiude le loro riviste. Li manda in esilio. Continua ad organizzarli, a servirsene e a punirli. Assolda , accanto ai  letterati, gli uomini di scienza. E’, insomma, un dittatore sofisticato, con tutte le carte in regola. Efficiente, astuto, capzioso.

   L’aneddotica  (o l’agiografia) che riguarda Napoleone ammucchia schiere di geni variamente folgorati dal suo carisma : da André Ampère a Pierre-Simon Lapllace e ad Alessandro Volta (per restare tra gli scienziati); da D’Aragon a Tolstoi passando per Chateaubriand, Alexandre Dumas, Stendhal ma anche Walter Scott, Italo Calvino, Byron, Dostoievki o Nietzsche, tutti sono affascinati da Napoleone , anche se egli appare spesso da avventuriero della rivoluzione e da invasore cinico; scultori e pittori, da Canova a David. E così via. Si può azzardare che fu il Corso a fondare su basi moderne il culto della personalità, usando ogni strumento di persuasione, cominciando ovviamente dai giornali, che asservì con molto impegno. Sognava che  essi si modellassero , tutti, sull’osannante “Moniteur”. Quale fu il primo nucleo  di dotti sul quale poté fondare la sua fama di illuminista, o almeno di mecenate aggiornato? Fu quel gruppo che si è convenuto chiamare gli “idèologues”. Gente come Pierre-Georges Cabanis, Pierre-Claude Daunou, Pierre-Louis Ginguené. O come l’abate Sieyès: politologo agguerrito, un “doctor subtilis dell’epoca, una sorta di Giuliano Amato antelitteram. Personaggi non ignari di ribaltoni politico-culturali. Erano stati girondini. Avevano guidato culturalmente la fase “pulita” della Rivoluzione. Poi, essendosi mantenuti personalmente incorrotti   e potendo anzi presentarsi come vittime, vennero osannati come i veri “leaders” intellettuali del Direttorio. Diventando altissimi funzionari o addirittura ministri, accanto a Barras e a quel “pentapartito” di mascalzoni. Poi ancora una mutazione: il passaggio sotto le insegne di Napoleone, il quale non si limitò a pescare i suoi adepti nelle file dell’illuminismo al tramonto. Però promosse e appoggiò anche quel movimento romantico-cattolico, d’intonazione “spiritualista”, che ebbe come massimo campione René Chateaubriand, persona politicamente disprezzabile, comunque geniale.

   Perché tanti celebri intellettuali aderirono a un regime di cui non era difficile sospettare i tratti illiberali? Non fu un’esplosione di entusiasmo imprevidente?

Trent’anni prima c’era stata la Rivoluzione americana, in cui George Washington, un generale come Bonaparte, aveva impersonato Cincinnato. Dopo aver fondato una nazione, si era fatto da parte. In Napoleone tanta gente di cultura vide, sulla scia di Washington, un Cincinnato alla francese. Sperarono che fosse una benefica meteora. Si trattò di una piccola, colpevole miopia. Le rivoluzioni, d’altronde, vengono riconosciute come tali soltanto “dopo”. Chi avrebbe  pensato, nel 1797, che Bonaparte sarebbe diventato imperatore? I suoi connotati di partenza, l’abbiamo visto,  erano rassicuranti. Bravissimo quanto a tecnica militare, studioso di storia, amico degli intellettuali e frequentatore dei loro salotti. Su questi dati si avvitò una tragedia degli equivoci.

   E madame de Stael ? E il suo compagno Benjamin Constant? E, un po’ più lontano, figure maestose come Beethoven, Goethe,  Hegel? Furono proprio la Stael  in “Corinne, ou l’Italie”, edito nel 1807, e Constant a coniare, insieme ai loro amici “idéologues”, la distinzione fra le due Rivoluzioni: quella “pulita” e “razionale”, che si estese dal 1789 al 1792, fino al processo a Luigi XVI, e la seconda, “sanglante”, che andò fino al 1794. La celebre coppia ebbe comunque abbondante motivo di ricredersi, su Napoleone. Altri, quando gli capitava di rifletterci in maniera più riposata, capivano di trovarsi in presenza di un despota, di un uomo che sognava di vedere il mondo in ginocchio dinanzi alla Francia. Ma di questo uomo, repubblicano di Brienne, subivano il fascino: Non potevano impedirsi di vedere in lui, parricida della Repubblica, “la storia che va a cavallo”.il conquistatore, un costruttore, un acceleratore della storia, mentre i suoi nemici lo vedevano  come un Attila.

   E così, per fare un altro esempio proverbiale, deve essere stato anche per Stendhal, il grande nostalgico di Napoleone. Questi era stato allievo di Cabanis. Senza questo tirocinio presso gli “idéologues”, sarebbe impensabile la passione anche carnale di un romanzo come “Le Rouge et le Noir”. Però in lui le origini illuministiche e il fascino di Napoleone coesistevano. Con tutti i tormenti e le ambivalenze del caso. Sono stati d’animo ricorrenti, nella storia degli uomini.

Napoleone considerava una creatura umana come un fatto o una cosa, e non  come un suo simile, scrive Madame de Stael. “Egli non odia e non ama, per lui non c’è che lui”. Madame de Stael potrebbe essere una fonte sospetta, ma pressoché tutte le fonti del tempo possono, al riguardo, dirsi concordi e tale giudizio è confermato dalle sue stesse lettere, dai discorsi, dalle conversazioni che testimoni oculari hanno riferito. In realtà, Napoleone non credette se non in se stesso. Persuaso che l’interesse è il solo movente delle azioni umane, disprezzava profondamente gli uomini e tanto più gli ideologi. Le ideologie per lui non erano che sciocchezze da cervelli oziosi. Quello  che lo interessava era il potere. A tal riguardo, l’Italia era per lui un sacco da svuotare: di uomini, di mezzi, per le sue guerre, e di opere d’arte, partite per il Louvre.E’ ben noto  che Bonaparte e il suo famelico clan si arricchirono con il bottino predato in Italia accumulando 50 milioni (800-900 miliardi delle nostre vecchie lire), che verranno poi saggiamente amministrati da Joseph Bonaparte, il fratello maggiore di Napoleone , e dallo stesso Napoleone, che conobbe troppo bene la miseria per ignorare che la ricchezza è indispensabile al potere. Questo andava detto per la completezza, si usa ripetere, dell’informazione,

  Il suo cervello era una macchina precisa. Sapeva andare diritto.allo scopo, distinguere in ogni questione l’essenziale dall’accessorio, non concedere nulla agli altri, al sentimento, ai  luoghi comuni. Se a tutto questo aggiungiamo l’incredibile resistenza alla fatica, la prodigiosa memoria, la rapidità delle decisioni, non possiamo

non considerarlo come un uomo eccezionale. Aveva insomma tutte le qualità che fanno il despota.

Questi uomini, in ogni tempo, non possono pensare ad altro che a servire la propria ambizione, ad arrivare e a consolidare le posizioni raggiunte.Tutto il resto, i sacri princìpi, gli ideali e così via, contano solo in quanto possano servire come mezzi per raggiungere un fine. Né dobbiamo considerare in malafede questi esseri singolari; anzi, in generale, essi sono persuasi che l’esercizio del loro potere coincida con la  felicità dei popoli, e la loro dovrebbe pertanto essere considerata un’autentica missione. Napoleone, però, non fu soltanto un despota, che guidava i destini dell’Europa: eserciti che sapevano battersi eroicamente non avrebbero seguito un codardo. Napoleone fu un eroe; lo fu al ponte di Lodi, nei pantani di Arcole e in non poche altre circostanze. Fu  un condottiero fra i maggiori che la storia ricordi. Su questo non ci sono dubbi. Personalmente non credo al genio militare. Prevedere astutamente i movimenti o intuire il punto debole dell’avversario o muoversi più rapidamente o predisporre un ottimo piano di battaglia e saperlo, all’occorrenza, mutare non sono virtù comuni, ma possono ritrovarsi molto più frequentemente  di quanto si creda. Le possiamo scoprire persino in un giocatore di scacchi o di calcio, senza che qualcuno pensi a considerare un genio il calciatore imbattibile.

   Tuttavia, se una fulgida vittoria può essere considerata come opera di genio, Napoleone non avrebbe meno diritto dei più famosi capitani del passato a meritare tanta gloria. Né delle sue campagne è lecito parlare con leggerezza: anche le più infelici o sconsigliate, come la spedizione in Egitto, degenerata in carneficina, rivelano una loro grandezza. Egli sognava allora di poter tornare a Parigi da Costantinopoli, di creare un impero in Oriente, di sottrarre l’India agli inglesi, sogni per i quali un grande storico come il Taine gli attribuiva un temperamento da artista; un temperamento, come egli scrive, addirittura michelangiolesco. Il Taine, con tutto il suo positivismo, pensava spesso come un romantico, ma la febbre di potere di Napoleone aveva indubbiamente qualcosa di eroico, o almeno di non comune; la febbre di potere volta ad asservire ma non ad illuminare i popoli provocò oltre cinque milioni di morti.Non fu processato per crimini contro l’umanità morendo di malattia nel suo letto.

   Diverso il discorso deve farsi, se consideriamo i risultati della sua opera. Dopo tante guerre e tanto sangue sparso, la Francia dovette subire l’onta dell’occupazione straniera. Tutto questo era, però, inevitabile, era nell’uomo e nella natura del dispotismo. L’Impero era lui, non aveva altra base, se non in lui: nelle sue vittorie, nel fatto che egli poteva vincere e “doveva continuare” a vincere. Nelle condizioni di Napoleone non si può perdere., per cui la sua politica era di far credere ai popoli che  essi sono liberi.

Tutto ciò, d’altra parte, non riesce nemmeno ad attenuare l’orma profonda che egli ha lasciata: il codice che porta il  suo nome fu, per un secolo, la base del diritto moderno, così come le conquiste francesi portarono dappertutto all’abolizione di privilegi e  monopolii che i tempi non potevano più consentire, mentre questo enorme sommovimento contribuirà a svegliare nei popoli una mutata coscienza, da cui è sorta l’Europa nuova.

   Napoleone è un mito per i francesi e per noi italiani. Per i russi, parla Tolstoj e il suo “Guerra e pace”. Per gli inglesi il fatto che, fino a non molto tempo fa, fino alla comparsa di quell’iradiddio del dottor Spock, si diceva ai bambini discoli, “Bada che se non fai il bravo, chiamo Boony”, come noi diciamo il babau. Boony sta per Bonaparte. Parlare di Napoleone ai belgi significa provocarli. E poi c’è sempre Waterloo, a dimostrazione del poco amore che aveva saputo meritarsi in giro per l’Europa, isole comprese. Grande uomo fu, su questo non ci piove.Si dice che Napoleone è, dopo il Cristo, il personaggio che nell’epoca contemporanea  ha fortemente contraddistinto le istituzioni.  Però, se è per questo, lo fu anche Gengis Khan. Fu vera gloria? chiese il buon Manzoni, sempre attento a non prendere  posizione, mentre Niccolò Tommaseo scrisse che il Bonaparte “sconfisse, non vinse- Ristabilì, non creò”.

   Il generalissimo Napoleone diceva al generale Berthier :” Cittadino, generale, rubate, mentite, carcerate, ammazzate ; ma fate presto !” Questa era la morale spiccia della repubblica giacobina, una ed indivisibile, la quale portava scritto nelle pieghe della sua bandiera tricolore : fratellanza, uguaglianza, libertà. Buffonesco motto di repubblica buffonesca, ma sanguinaria allora e potente ! Ad Itri fu abbattuto l’albero della libertà, perché piantagione prematura.

     “Abbiamo il ladroneccio, eretto in sistema legale”, disse il d’Agincourt  deponendo il foglio della ratifica delle vendite e delle alienazioni fatte a vantaggio della repubblica francese, a Roma. Esso era “secretissimo”.  Ogni articolo di questa repubblica  era una “fontanella”, praticata sulle polpe romane, da cui si cavò il sangue delle vene della misera Roma. Egli sentì nell’anima di uomo onesto la  vergogna di portare il nome di una nazione che si fa maestra nell’arte del delitto più vile, che è quello di rubare, e di rubare ai deboli.

Tre milioni di piastre, più seicentomila piastre; un milione di piastre, in beni nazionali. Aggiungete i 40 milioni, già rubati dopo Tolentino; aggiungete i beni delle famigli del papa, del cardinale Busca, del cardinale Albani; aggiungete le miniere di zolfo e di allume; aggiungete le argenterie delle chiese ; aggiungete i quadri, le statue, le gemme, i camei. La repubblica francese ruba a Roma per più di cento milioni di franchi ! La Città Eterna era stata affamata, spogliata, dissanguata sino al midollo delle ossa, per il tempo di diciotto mesi.

Per le vie di Civitavecchia e per quelle della Toscana, furono visti fino a “72 carri” pieni, in un solo giorno, che trainavano in Francia le spoglie della città di Roma, per rimpinguare le casse della Francia, impegnata nella campagna d’Oriente. Questi trasporti si continuarono quasi quotidianamente, per diciotto mesi ! Tanti hanno lasciato alla posterità documenti irrefragabili , a testimoniare che i nostri cittadini non avevano poi tutta quella cataratta, che dei bravi oculisti avevano tentato, più volte, di cavare dagli occhi dei cosiddetti “patrioti” del Triennio. Ad adornare poi le spalle e le braccia delle meretrici, furono destinate le gemme rubate nelle chiese da Berthier, Saint Cyr, Dallemagne, Rey, Murat, Kellermann, Macdonald, Championnet, Haller, Perillier,Bertolio. Tutti ladroni di gran cartello ! A narrare tutte le cose, non basterebbe un volume ! Se non che l’animo, nauseato a tanto nefando spettacolo, rifugge dal solo tentarlo !  E’ doveroso, però,accennare alle distruzioni, alle morti e aglii stupri arrecati dai francesi. Basti rammentare l’efferata strage compiuta all’abbazia di Casamari, dove, volendo oro ad ogni costo, trucidarono, a sciabolate, sei monaci, lasciando, insepolti, i cadaveri  nella chiesa e lungo i corridoi. Basti ricordare le morti, le ruberie, gli oltraggi commessi a Montrecassino e nel vicino monastero di donne, molte delle quali perirono… “Horresco referens”!

   Per tutto ciò,  tutti i più nobili spiriti del tempo  (Alfieri, Parini, Foscolo, Monti,  Leopardi) inorridirono allo strazio recato alla “formosissima donna”.

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.