Oggi è Carnevale: “ … ji ggioia, Ciacione! “
“ Carnevale mio, pecchè si muort’ ? ji ggioia, Ciacione! “ così cantavano a SESSA le allegre brigate di “maschere” che fino agli anni ’50 era ancora possibile vedere.
Giravano per il paese ( per meglio dire solo lungo il Corso, una volta a scendere e una a salire) con costumi alla buona, praticamente qualche vecchio indumento più appariscente ( tipo “panni americani), un po’ di farina o carbone sul volto, un pantalone rigonfio che desse l’idea delle gambe storte. Giravano trainando a mano un carretto su cui, come in trono su una botte (dal significato chiarissimo) sedeva “ru Carnevale”, un uomo cioè che lo impersonava, attorno a lui cibarie varie, salumi e soprattutto “cateniegli ‘e saciccia” appesi al carretto in bella vista (l’ultimo che io ricordo è il ben noto “Strungone”).
Attorno al carretto da loro trainato, altri “personaggi” sessani come Gegito, Nanasso, Basilio r’acchiappacani, Riquadruozzi (detto così perché s’arrangiava fabbricando quadretti con le figurine dei Santi), ru Rospo ( al secolo Puppinieglio ‘e Pisso) e certamente qualche altro che mi sfugge. Li sentivi arrivare, sentivi da lontano quel versetto cantato a squarciagola e per noi ragazzi era un divertimento vederli passare, un divertimento per noi, un po’ meno per loro. Erano anni ancora difficili per tanta gente, non mancavano le ristrettezze e per molti anche un vero lavoro. E così, allegramente, questi personaggi ricordavano a tutti, particolarmente ai cantinieri, bottegai, salumieri e macellai davanti ai quali il “corteo” sostava brevemente, il diritto di festeggiare anch’essi questo giorno di abbondanza raccogliendo appunto offerte in soldi (pochi) o in natura.
La sera, dopo abbondanti libagioni e soprattutto bevute (i personaggi sopracitati in questo erano campioni indiscussi), il corteo si riformava ma il Carnevale ora era solo un pupazzo, un abito fatto con vecchi sacchi e ‘mbuttunato ‘e paglia, grosso e grasso, che veniva pubblicamente bruciato (un rito questo del pupazzo bruciato molto diffuso anche altrove) tra gli schiamazzi dei ragazzi e i “pianti” degli spettatori che assistevano alla “morte di Carnevale” “E’ muorto Carnevale”! Carnevale mio, pecchè si muort’? un comprensibile rimpianto per chi, con la sua fine segnava l’arrivo di un altro personaggio e di un periodo molto diverso da quello appena terminato: “ ’a Quaresima longa e secca!“ Qualcuno si chiederà a questo punto che c’entra “Ciacione”.
La risposta viene da sola quando si sa che la “ciaciona” nell’area del napoletano indica una donna dalle forme abbondanti, diremmo bene in carne della quale il “Ciacione” sarebbe il maschile corrispondente, cioè un uomo gioviale, ben nutrito, a cui piace divertirsi e divertire. Aggiungiamo che da qui nasce un altro vecchio e ormai dimenticato detto certamente non elogiativo :” me pare nu Carnevale ‘mbuttunato ‘e paglia” diretto a persona grassa o vestita di cattivo gusto. Diverso invece l’altro detto : “te si cumbinato comme a ‘nu Carnevale!” per chi è uscito malridotto da un pranzo abbondante soprattutto … di ragù.
Antonio varone