Alta Terra di Lavoro

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Il primo scandalo toscopadano: le ferrovie meridionali

Posted by on Lug 1, 2019

Il primo scandalo toscopadano: le ferrovie meridionali

Finita quella balossada (bricconata, come ebbe a definirla lo stesso Re Galantuomo) della liberazione delle Due Sicilie dal “tiranno borbonico” inizia il tempo degli affari.

Un tempo in cui ritroviamo tutti gli ingredienti classici degli scandali che si sono succeduti in questi centocinquantanni nell’Italietta padana – e per favore non chiamatela borbonica! Che di borbonico non ha nulla, a cominciare dalla rapacità fiscale travasata dal sistema sabaudo in quello tricolorato.

Uno dei primi scandali, quello delle Ferrovie Meridionali è una sorta di paradigma di come sia stato edificato questo paese. Su una serie di ruberie legalizzate in cui sono sempre stati invischiati uomini che avevano in mano le leve del potere politico-militare ed economico. Uomini che l’hanno quasi sempre fatta franca. A partire da coloro i quali si arricchiscono con la costruzione delle ferrovie meridionali e non solo, lucrando cifre enormi, grazie a compiacenti padrini politici (al Re Galantuomo viene affibbiata la definizione di “re traversina” in quanto avrebbe ricevuto ingenti somme da tutti i costruttori di ferrovie della novella Italia) nello stesso parlamento: ne sono il prototipo Susani deputato e faccendiere e Bastogi deputato e banchiere. Entrambi escono indenni dalla inchiesta parlamentare, un’inchiesta specchio di un’Italia fasulla, costruita su intrighi e tradimenti. Nelle conclusioni della commissione si deplora il comportamento dei parlamentari, non si decide altro.

Bastogi, con la sua società da 100  milioni di capitale, diventa costruttore di ferrovie e Susani diviene segretario del consiglio di amministrazione della stessa!

***

Tutto inizia con il Decreto del Dittatore, firmato il 25 settembre 1860, col quale si concede ai signori Adami e Lemmi (ovvero alla società da costituirsi che si denominerà Società Italia meridionale “la quale dovrà per la vendita de’ titoli valersi della Banca David Pietro Adami e compagni di Livorno”) la costruzione delle Ferrovie della Italia Meridionale.

In un articolo addizionale al decreto si farà poi esplicita menzione ai diritti della società De la Haute [Delahante? – NdR] che ha firmato un atto col governo borbonico:

“La Società Adami e Lemmi si obbliga a stralciare dalla sua concessione e rilasciare a vantaggio delle Società De la Haute le linee ferrate delle Apulie e degli Abbruzzi coi relativi due passaggi degli Apennini come risulta dall’atto del Governo Borbonico in loro favore, qualora piaccia al Dittatore, ovvero piaccia al Parlamento Italiano, entro il termine d’un anno dalla data del Plebiscito d’unione, di dare il necessario complemento all’atto di concessione e colle identiche condizioni attuali in favore della stessa Società De la Haute, ma solamente così e non altrimenti.”

Con la proclamazione del regno d’Italia e il potere saldamente nelle mani della destra la concessione del Garibaldi viene messa in discussione dal governo sabaudo (chiamatelo italiano se vi piace). Intanto il duo Adami-Lemmi compra diversi giornali a Napoli per orientare la pubblica opinione. Inizia uno scontro senza esclusione di colpi durante il quale svolge un ruolo di mediazione fra moderati e mazziniani anche l’icona del federalismo in salsa padana, il Cattaneo. Lo stesso Cattaneo che aveva redatto il contratto, firmato poi da Antonio Bertani, segretario generale della dittatura, nel settembre-ottobre 1860.

L’affaire delle ferrovie diventa un ginepraio in cui entrano Talabot e la concessione borbonica di giugno, la società Vittorio Emanuele del Lafitte e poi la nuova società creata appositamente dal Bastogi.

La proposta Bastogi viene portata in parlamento il 16 giugno 1862, della commissione incaricata di vagliarla fa da segretario Guido Susani da Mantova eletto nel collegio di Sondrio. Sarà lui l’uomo che gli spianerà la strada.

Il 31 luglio 1862, Bastogi invia al ministero dei Lavori pubblici una lettera, sdilinquendosi in una sviolinata patriottica:

«Poiché era a mia notizia che due compagnie di capitalisti esteri si facevano concorrenza per ottenere la cessione della costruzione e dell’esercizio delle strade ferrate meridionali. mi parve potesse giovare alla dignità e agli interessi del nuovo regno d’Italia che anche una compagnia d’Italiani si accingesse al concorso.

Non manca la protervia di chi, sentendosi di potersi permettere di tutto e di più, in un post scriptum promette una mancia per gli abitanti di quelle provincie che si stanno trasformando in una vera e propria colonia, una elemosina rappresentante il 10 per cento delle azioni della società fondata dal Bastogi:

«P. S. Sebbene tutto il capitale della futura società sia sottoscritto, mi obbligo a cedere a favore dei Napoletani e dei Siciliani 20,000 (venti mila) azioni, purché siano soscritte entro dieci giorni.

***

Nella sostanza – già allora lo fecero notare in diversi – le condizioni proposte dal Bastogi sono analoghe a quelle della casa Rothschild e Talabot, con piccole varianti, ma in nome della italianità anzi della tangente a una trentina di deputati, il parlamento vota a favore della cordata tricolore.

Il parlamento praticamente è cosa loro, un luogo dove dei privati cittadini scorrazzano per promuovere i propri interessi personali. Un aspetto, questo che viene anche descritto nella relazione della commissione d’inchiesta parlamentare ma che non conduce a nulla.

Resta mera recriminazione moralistica, senza tradursi in atti politici incisivi o provvedimenti giudiziarii.

Leggiamo nella relazione della commissione d’inchiesta:

“Ora, le voci sinistre, insistenti, ripetute, divulgate dalla stampa non riguardavano soltanto fatti personali al deputato Bastogi e al deputato Susani, ma si allargavano a più generali accuse contro altri deputati, e, nella loro indeterminatezza, acquistavano per avventura un carattere di maggiore gravità. ”

***

In questa storia tutta gestita da padani e loro accoliti d’oltralpe (francesi) troviamo di tutto e di più, operai che per mesi non vengono remunerati per il loro lavoro, liste di lavoranti gonfiate al punto da segnare mille unità lavorative quando ce n’erano appena un centinaio.

Non mancano avvocati spergiuri e  gole profonde che si tirano fuori e ritrattano, come il Sinibaldi che, dopo essersi sottratto ad un interrogatorio accampando motivi di salute, così scrive alla commissione:

“Essere onninamente falso che io abbia dichiarato né in pubblico né in privato a persona vivente sapere che sia stato distribuito denaro ai deputati perché votassero favorevolmente alla proposta Bastogi. — Essere del pari falso che a me sia stata fatta offerta né di denaro né di collocamento o di altri vantaggi qualunque per adoperarmi a procacciare voti favorevoli a quella concessione. ”

Ovviamente in parlamento per orientare la discussione si tirano in ballo “i partigiani del sistema borbonico” e non mancano le più variegate scuse per mancata esecuzione dei lavori, per cui vengono tirati in ballo il governo, il colera e il brigantaggio.

Scrive Gian Antonio Stella ne “I misteri di via dell’Amorino”:

“Quanto puzzasse quella storia lo dimostra un dettaglio. L’assemblea generale dei soci della Società italiana per le Strade ferrate meridionali, nel novembre 1862, aveva eletto un consiglio d’amministrazione in cui 14 membri su 22 erano parlamentari: il presidente Pietro Bastogi, il segretario generale Guido Susani (di cui si scriveva avesse preso oltre un milione per pilotare l’affare), i due vicepresidenti cioè i baroni Bettino Ricasoli e Giovanni Barracco. E poi ancora Antonio Allievi, Rodolfo Audinot, Bartolomeo Cini, Felice Genero, Giacomo Filippo Lacaita e cosi via… Tutti nobili, banchieri, affaristi o comunque legati alla casa reale.”

A proposito dei primi anni di vita unitaria, scrive Paolo Valera ne “Il cinquantenario: note affrettate per la ricostruzione della vita pubblica italiana”, nel 1911:

“In tutto quel periodo non c’è un attimo di vita sincera. Non c’erano che venduti, che corrotti, che violenti, che gaglioffi, che bricconi, che malviventi.

I ministri trafficavano e si circondavano di sicari della penna; i deputati facevano degli affari, i giudici rendevano dei servigi, la pubblica sicurezza era infame e sovrana; i monopolii nazionali venivano abbandonati ai banchieri della speculazione ladra, le imposte erano così scorticatrici che il Governo non poteva esigerle che coi massacri e con gli stati d’assedio.”

Ovviamente non tutti la pensano come noi, ecco il ritratto edulcorato di Pietro Bastogi, delineato da Sergio Romano, nella risposta ad un lettore sul Corriere della Sera del 3 gennaio 2007:

“Pietro Bastogi fu certamente uno dei maggiori protagonisti di questo primo «miracolo italiano». Dopo essere stato eletto alla Camera toscana nel 1848, si avvicinò a Cavour, ne conquistò la fiducia e divenne ministro delle Finanze nel governo del 1861, vale a dire nel momento in cui vennero prese alcune delle decisioni economiche e finanziarie che avrebbero segnato il futuro dello Stato unitario. Da allora rimase in Parlamento, ma fu soprattutto finanziere. Creò la Banca toscana di credito e promosse la Società delle strade ferrate meridionali della quale ebbe la presidenza.”.

Chiudiamo con le parole di J. Tivaroni:

“Si sprecarono somme ingenti per costruire delle ferrovie, senza che avessero merci e viaggiatori da trasportare; per scavare porti senza navi da ospitare, per creare delle preture senza cause, degli impiegati senza lavoro, delle scuole senza scolari”.

Noi però al posto di “si sprecarono” avremmo scritto “si intascarono”.

ALCUNI DEI PERSONAGGI CHE DIRETTAMENTE

O INDIRETTAMENTE ENTRANO A FAR PARTE

DI QUESTA VICENDA DELLE FERROVIE MERIDIONALI

Alessandro Bixio, il salotto parigino Nel 1853 con Lafitte ottiene dal parlamento subalpino la concessione per la costruzione della strada ferrata Modana-Ciamberì. Nasce la Compagnia Vittorio Emanuele che dal 1865 verrà rinominata Società per le Strade Ferrate Calabro-Sicule e cesserà di esistere nel 1871. Meno noto del fratello Nino ma molto più potente, fu Vicepresidente dell’Assemblea Nazionale e anche ministro dell’Agricoltura e Commercio anche se per pochi giorni.
Amico di Cavour fin dal 1840, si dice che nel salotto parigino di Alessandro Bixio si sia fatta veramente l’Italia, più che in quello della Cristina Trivulzio di Belgiojoso, in rue d’Anjou. La sua azione consiste principalmente nel far da tramite con il mondo politico parigino. Grazie alle sue vaste relazioni in varie occasioni informa Cavour degli umori e delle opinioni predominanti nei circoli politici e finanziari della capitale francese.

Giuseppe Garibaldiabile manipolatore A noi identitari piace dipingerlo come servo sciocco di interessi stranieri, senza acume politico. In realtà è un abile manipolatore, ne fanno fede i due decreti (uno del 2 giugno 1860 a Palermo e l’altro del 31 agosto del 1860 a Rogliano) in cui promette la terra ai contadini per farne massa d’urto contro l’esercito borbonico e la cosa riesce perfettamente. Fa uno scaltro uso dei media del tempo, dei giornali ma anche del telegrafo, ad esempio, inondando l’Europa con i resoconti delle sue mirabolanti imprese, come il disarmo di diecimila soldati in Calabria senza sparare un colpo.
Sulla questione che stiamo trattando ovvero la concessione al duo Adami-Lemmi della costruzione delle ferrovie in tutto il mezzogiorno secondo taluni sarebbe stato il Bertani, valendosi della fiducia eccessiva in lui riposta dall’eroe dei due mondi, a gestire la firma del contratto. Che Garibaldi non c’entri francamente fa ridere visto che a Palermo si discuteva delle ferrovie da costruire nel mezzogiorno fin da giugno.

Agostino Bertani e i milioni di Lugano

Se dovessimo credere a quanto scrivono i suoi detrattori ogni commento su Bertani sarebbe superfluo, ma non siamo così ingenui da prendere queste affermazioni per oro colato e riporteremo anche un punto di vista garibaldino.

Leggiamo in Rivelazioni ed altri documenti inediti riguardanti la rivoluzione italiana (Napoli, 1864):

“Bertani, segretario di Garibaldi, prima della spedizione della Sicilia (1860) era semplice officiale di sanità a Genova, facendo visite a un fr. e 50 cent.

Oggi 1861 esso è colonnello di Stato Maggiore e la sua fortuna, secondo i più modesti calcoli, raggiunge almeno la cifra di 14 milioni! Non si conosce l’origine se non di 4 milioni. E l’origine ancora di questa non è pura!… Questi 4 milioni furono la mancia che Bertani pretese dai banchieri Adami e comp. di Livorno, perché loro fosse accordata una concessione di ferrovia, che essi grandemente sollecitavano.”

Fu l’uomo che tenne i contatti col Re Galantuomo che a Lugano gli passava i finanziamenti per la spedizione in Sicilia, come rivelò il Fanfulla. Rappresentò, dal 1866, il collegio di Lecce ma il suo impegno non fu entusiasmante.

Riportiamo quanto scrive Jessie White Mario, sottolineando che a nostro avviso Bonghi aveva ragione, peccato che anch’egli collaborò a ridurre i regni di Napoli e Sicilia a colonie del nord:

“CALUNNIA I. — Ferrovia dell’Italia Meridionale. Contratto Bertani, Adami e Lemmi. — Con questo titolo il giornale del signor Bonghi denunciò il contratto, che il segretario generale Bertani, valendosi della fiducia eccepiva in lui riposta dall’eroe di Varese e Calatafimi, in un intervallo di crisi ministeriale aveva stipulato coi signori Adami e Lemmi per la costruzione di tutte le ferrovie in Napoli e in Sicilia. E domanda se fossero state le popolazioni di Napoli e di Sicilia quelle che avessero operato la prodigiosa rivoluzione che or le conduce nel grembo della grande patria italiana, o fossero invece stati Bertani e la ditta Adami e Lemmi che avessero intrapresa e felicemente condotta a termine la conquista dei due regni per formarne colonia da sfruttare a beneficio delle loro intraprese industriali e bancarie. ”

Giuseppe Mazzini, padre nobile della tangenteInventore della dazione per il partito. Come raccomandazione per il suo sodale, Adriano Lemmi, scrive a Garibaldi: «[…] dove altri farebbe pro suo d’ogni frutto d’impresa, egli mira a fondare la Cassa del partito e non sua». La sua richiesta viene accolta e il 25 settembre 1860, il Dittatore nella reggia di Caserta firma il decreto di concessione dell’intera rete ferroviaria del Mezzogiorno al duo Adami-Lemmi da Livorno.
Con questa concessione inizia una guerra per bande nella quale i confini politici destra-sinistra sono sempre stati sfumati, una guerra per l’accaparramento delle risorse pubbliche che non è mai terminata: vedi gli ultimi casi dell’Expo di Milano e del Mose a Venezia.
Pietro Augusto Adami, finanziere d’assalto Leggiamo nel profilo delineato da Pier Giorgio Camaiani per la Treccani: “Nel 1860 aiutò finanziariamente la spedizione dei Mille, soprattutto sovvenzionando i volontari che partirono da Livorno. In stretti rapporti con Garibaldi, fin dal giugno del ’60 iniziò con lui trattative per la concessione della costruzione delle ferrovie siciliane, costituendo, con Adriano Lemmi, suo congiunto e anch’egli banchiere livornese, la “Società Italica Meridionale”.
Dopo essere entrato in Napoli, Garibaldi concesse alla società livornese (25 sett. 1860) l’appalto non soltanto per la Sicilia, ma per tutto l’ex regno borbonico. Il contratto, redatto dal Cattaneo, firmato tre giorni dopo da A. Bertani, segretario generale della dittatura, sollevò vivacissime polemiche.” Il contratto fu contestato da Cavour e venne modificato dalla dittatura il 13 ottobre. Dopo un anno Adami firmò col ministro Peruzzi una nuova convenzione che poi fu ulteriormente modificata ed alla fine prevedeva la costruzione di 900 chilometri, nei quali erano comprese le tratte Messina-Siracusa e Palermo-Catania. Per una serie di difficoltà finanziarie Adami non riusci  a costruire tali ferrovie la cui costruzione fu ceduta alla “Vittorio Emanuele” del Lafitte. Adami fini a fare il magazziniere della Regia dei tabacchi.

Adriano Lemmi, il banchiere della rivoluzione

Nel 1847 conosce a Londra Mazzini; due anni dopo lo raggiunge a Roma per organizzare la difesa della repubblica. Nel 1851 fa evadere L. Kossuth dalla fortezza di Kütahja, e lo accompagna a Londra e negli Stati Uniti.

Nel 1853 viene arrestato a Genova, ma interviene il console degli Stati Uniti in quanto è ritenuto cittadino statunitense. In marzo ripara in Svizzera e poi a Costantinopoli, dove resta per alcuni anni ed accumula una notevole fortuna. Nel 1857 finanzia la spedizione di Pisacane e nel 1860 quella di Garibaldi.

Sin dal giugno 1860, in Palermo, inizia una trattativa con Garibaldi per la costruzione delle strade ferrate siciliane, ma il prodittatore Depretis, col quale vengono continuate, non stima conveniente stringere alcun trattato e da invece l’autorizzazione di far gli studi di una strada da Palermo a Termini al signor Gabrielli.

Ciò malgrado non vengono smesse le trattative, le quali, estese poi anche alle strade napolitane, si concludono nella convenzione del 28 settembre 1860 fra il colonnello Agostino Bertani, segretario generale della dittatura, quale rappresentante il Governo dittatoriale nell’Italia meridionale, in virtù del decreto del 25 dello stesso mese, e la Società Italica Meridionale.

Cavour e i moderati non vogliono lasciare in mano ai mazziniani un così grande affare, inizia uno scontro che si conclude con un compromesso, con la presentazione il 31 maggio 1861, in Parlamento, da parte di Peruzzi, della “Convenzione colla società Adami per la costruzione delle strade ferrate calabro-sicule”.

Nel 1885 viene eletto gran maestro della Massoneria.

Lodovico Frapolli, un colonnelloFrequenta il salotto della contessa Cristina Trivulzio di Belgioioso. E’ ministro plenipotenziario della Repubblica Romana a Parigi. Si occupa di ferrovie, come rappresentante di banchieri francesi e inglesi. Nel 1859 con Farini, Dittatore delle Provincie Modenesi e Parmensi, è nominato Direttore del Ministero della Guerra. Collabora col Klapka per raccogliere i prigionieri ungheresi nei campi di concentramento della Lombardia e negli ospedali e formare una legione con i soldati che decidono di entrane a far parte.
Su incarico di Cavour e per tramite del Farini il 24 aprile 1860 recita a Quarto la parte del dissuasore nei confronti di Garibaldi, invitandolo a non partire. Aiuta il Bertani nel rifornimento d’armi e manda volontari in Sicilia. Il 9 luglio scrive propone a Garibaldi l’acquisto di centomila fucili americani, trentamila francesi e trentamila prussiani. Il 15 agosto arriva nella capitale della Sicilia. Precede Garibaldi a Napoli per prender possesso dell’ufficio telegrafico. Liborio Romano si rifiuta di consegnarglielo, ma il Frapolli agisce di sua iniziativa e occupa l’ufficio. Svolge un ruolo di primo piano nella ricostituzione della massoneria italiana. Raggiunge il 33º e diventa venerabile della loggia “Dante Alighieri”. Nel 1866 viene inviato a Berlino in missione segreta da B. Ricasoli. Negli atti parlamentari non ne abbiamo trovato traccia in riferimento alle Ferrovie Meridionali ma il suo nome spunta in una sentenza che vide coinvolto Lemmi e Adami: “Egli è costante che dopo di ciò, a seguito di lunghe trattative, il Breda con altri socii ebbero a surrogare il Laffitte nella cennata impresa per convenzione stipulata in Milano il 11 giugno 1861; e che con scrittura dello stesso giorno i medesimi si obbligarono di pagare ad un colonnello Lodovico Frapolli, che aveva avuto parte in dette trattative, la somma di lire 450 mila, senza che dalla scrittura risulti la causale di detta obbligazione.”
Pietro Bastogi, banchiere e deputatoCassiere della Giovane Italia a Livorno nel 1833, fonda nel 1862 Società italiana per le strade ferrate meridionali. Grazie al lavorio di Susani, membro della commissione parlamentare che doveva valutare la richiesta, ottiene la concessione. Nel consiglio di amministrazione della società figurano ben 14 deputati del parlamento italiano, tra cui Susani con funzione di segretario!
Senza colpo ferire si sarebbe intascato un antipasto di una decina di milioni di lire (circa 48 milioni di euro in valuta attuale) grazie alla differenza tra il prezzo di 210mila lire al chilometro ottenuto nel contratto e 198mila al chilometro pagato al subaccollo. Altri 3 milioni li avrebbe utilizzati per comprarsi un nugolo di deputati e un milione e centomila lire per ricompensare il Susani dei suoi buoni uffici. Dall’affare delle ferrovie nasce un impero finanziario (“una potente associazione industriale” ebbe a definirla il senatore Borgnini durante la commemorazione avvenuta in Senato il 17 marzo 1899) che arriva fino ai nostri giorni. Nella “Relazione finanziaria annuale al 31 dicembre 2012” della Bastogi troviamo le notizie seguenti: Società italiana per le strade ferrate meridionali (1862) Società Strade Ferrate Meridionali viene quotata alla Borsa di Milano (1863) Società Strade Ferrate Meridionali assume la denominazione di Bastogi Finanziaria (1972)Bastogi Finanziaria modifica la propria ragione sociale in Bastogi IRBS (1978) Bastogi IRBS modifica la denominazione sociale in Bastogi (1987) Bastogi festeggia 150 anni di storia e si presenta con un nuovo logo (2012)
Guido Susani, deputato e faccendiereNato a Mantova viene eletto nel collegio di Sondrio. Mazziniano, poi collaboratore di Cavour. Membro della commissione parlamentare che doveva esaminare la richiesta di concessione del Bastogi. Si dice che abbia intascato 1.100.000 lire ovvero 5 milioni di euro in valuta attuale. La concessione delle ferrovie dell’Italia meridionale offrì il tristo spettacolo di parecchi deputati, che dopo di essersi grandemente adoperati con la parola e cogli scritti perché quel contratto avesse effetto, presero poi parte come azionisti o come stipendiati in quella società.
Nella seduta del 2 luglio 1861 il suo intervento a noi pare voglia spianare al strada a quella che poi sarà la cordata tricolorata del Bastogi. Fra l’altro afferma: “Si chiamano in fatti nemici della patria, aggiotatori, compagni dei Borboni, si chiamano alleati dei socialisti, dei camorristi, dei briganti, alleati con quanto v’ha di peggio, affine di farsi battere le mani da que’ molti che al mondo han paura di tutto.”
Vittorio Emanuele II, re traversinaFinanziatore neanche tanto occulto della spedizione dei Mille, Vittorio Emanuele II avrebbe lucrato parecchi milioni sulla costruzione delle ferrovie, al punto da meritarsi l’appellativo di “re traversina”. La storia ce lo ha consegnato come “Re Galantuomo”, noi meridionali sappiamo che si impadronisce di un regno pacifico in modo subdolo e spregiudicato.
Insieme a Cavour finanziano sottobanco Garibaldi, profittando della ingenuità di Francesco II, giocano su diversi tavoli, quello francese e quello inglese. Il potere sabaudo liquida la monarchia borbonica cancellandola finanche dai libri di storia, per tacitare i dubbi che sorgono nelle cancellerie europee in seguito alle migliaia di esecuzioni effettuate nelle provincie napolitane per domare la resistenza alla occupazione militare, dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Il finanziamento a Garibaldi, tramite Bertani, viene rivelato dal Fanfulla n° 105, ripreso da Civiltà Cattolica nel 1881 e da Margiotta nel 1895 che così scriveva, in ““Ricordi di un 33””: En réalité, Cavour fournissait l’argent par des mandats sur M. Bombrini, directeur de la Banque. Une preuve irréfutable, c’est celle-ci: Au mois de juin (1860), le commodore américain William de Rohan, qui se joignait à l’entreprise, avait conduit en Sicile une seconde expédition de 3.400 volontaires, venant renforcer les Mille de Garibaldi. Puis, il retourna à Gènes pour prendre encore des hommes et les transporter à Palerme; c’était le navire le Washington, qui devait faire celle troisième expédition, mais Bertani déclara au commodore qu’il n’avait plus d’argent. Celui-ci prend l’express pour Turin, voit Victor-Emmanuel en personne, et le roi demande à en référer à Cavour. Une heure après, un aide de camp de S. M. apportait au commodore la lettre suivante: 27 juin 1860. Commandant, Je vous renvoie ci-inclus les deux lettres de Médici (général garibaldien), que vous mettrez dans d’autres enveloppes et livrerez à Cavour. J’ai déjà donné trois millions à Bertani. Retournez immédiatement à Palerme pour dire à Garibaldi que je lui enverrai Valerio en place de La Farina: et QU’IL S’AVANCE IMMÉDIATEMENT SUR MESSINE, Francesco (le roi de Naples) étant sur le point de donner une constitution aux Napolitains. Votre ami,
Camillo Cavour, il capo del governoCostituito il nuovo Regno, Cavour non riconosce il decreto dittatoriale a favore del duo Adami-Lemmi. Sembra che abbia inviato degli agenti in Francia ad indagare su un vecchio episodio che aveva visto coinvolto il Lemmi in modo da avere una arma da utilizzare al momento opportuno. La morte lo coglie nel 1861 e forse questo impedisce l’uso delle notizie raccolte a Marsiglia dai suoi agenti, notizie che continueranno a circolare, al punto che Lemmi sarà costretto a smentirle ufficialmente.
Lo spirito predatorio sabaudo caratterizzò tutti i suoi inviati nelle Provincie Napolitane e lo stesso Cavour. Le autocitazioni sono antipatiche ma nel suo caso di  dobbiamo fare una eccezione. Abbiamo scritto circa un anno fa: “Se Cavour aveva tutta questa premura di selezionare una efficiente rappresentanza delle terre meridionali, come emerge dall’articolo di Artom, ci chiediamo per quale motivo avesse scritto a Cassinis, inviato a Napoli con il compito di affermare e consolidare l’autorità del Governo e di affrettare i primi atti dell’unificazione nel Meridione, le seguenti parole: “Mi restringo a pregarlo a fare ogni sforzo onde si acceleri la formazione delle circoscrizioni elettorali, vedendo modo di darci il minor numero di deputati napoletani possibile. Non conviene nasconderci che avremo nel Parlamento a lottare contro un’opposizione formidabile […]”. (Cfr Lettera di Cavour a G. B. Cassinis 8 dic. 1860 – Storia del brigantaggio di Franco Molfese) A noi pare che le intenzioni non fossero quelle di selezionare una buona classe dirigente ma di trovare un congegno che permettesse un ridotto numero di rappresentanti napoletani.”

Elea di Zenone

fonte

https://www.eleaml.org/ne/zenone/zde_primo_scandalo_tosco-padano_ferrovie_meridionali_2014.html?fbclid=IwAR0c9jtj81e2d60gOhx91v-6Vpu1LRKMIJPLoZ47VlDAc6tdvUin9g6EdZU

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Anti-Risorgimento e intellettualità italiana

Posted by on Mag 31, 2019

Anti-Risorgimento e intellettualità italiana

Una ricostruzione a grandi linee della cultura italiana che da posizioni ideali diverse e differenziate, si oppose al processo unitario e risorgimentale, così come esso veniva elaborato nei disegni ed è stato attuato nei fatti dalla minoranza liberale e democratico-sociale fra il 1800 e il 1870

In memoria di Silvio Vitale
(1928-2005)

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L’Insorgenza come categoria storico-politica

Posted by on Mag 17, 2019

L’Insorgenza come categoria storico-politica

Nota del 17 novembre 2018
In occasione del Capitolo Nazionale di Alleanza Cattolica svoltosi oggi a Piacenza Francesco Pappalardo ha svolto una relazione dal titolo «L’Insorgenza come categoria politica nell’intuizione e nel pensiero di Giovanni Cantoni». Riproponiamo qui lo scritto del fondatore di Alleanza Cattolica che espone il suo pensiero sull’argomento.

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Cavour e Bixio….Alessandro

Posted by on Dic 12, 2018

Cavour e Bixio….Alessandro

Alessandro Bixio (fratello del più conosciuto Nino), era emigrato da giovane in Francia ed era diventato cittadino francese. Era un uomo d’affari legato ai banchieri ebrei Rothschild e Péreire. Ma, cosa faceva lì Alessandro Bixio? E perché il principe Napoleone gli fece una brutta faccia (il viso dell’arme)? Per darci una spiegazione alla prima domanda torniamo indietro al 1852 quando si determinò nel parlamento piemontese una maggioranza che faceva prevedere la caduta del ministero d’Azeglio. Cavour, che sapeva di dover succedere al d’Azeglio, decise di “sottrarsi al logorio politico e psicologico dell’attesa” con un viaggio all’estero. Ma la ragione del viaggio era un’altra. Sia a Londra che a Parigi incontrò tutti quei personaggi che ritroveremo nella storia dell’unità d’Italia. A Parigi Cavour non poté non respirare l’atmosfera di ritrovata fiducia originatasi nei ceti imprenditoriali e capitalistici, dopo il colpo di stato di Napoleone III. “I capitali sorgono da tutte le parti. La prosperità finanziaria è immensa” scriveva Cavour. Ed a Parigi, tra gli altri, incontrò Alessandro Bixio che fece da tramite tra Cavour e gli ambienti bancari ebraici. In quei colloqui nacquero tutte le iniziative industriali, in particolare ferroviarie, come la Vittorio Emanuele, bancarie e finanziarie che caratterizzeranno i successivi sette anni del ministero Cavour, fino alla guerra con l’Austria (R2). Circa il viso dell’arme fatto da Gerolamo Bonaparte ad Alessandro Bixio possiamo pensare che la sua presenza significava la sospensione della guerra, sospensione che il principe Gerolamo non condivideva: insomma gli interessi rappresentati dal Bixio vinsero su quelli militari e dinastici dei napoleonidi! Ecco alla conclusione dei progetti discussi a Parigi nel 1852 il controllore: la presenza di Alessandro Bixio. Gli effetti della sua presenza si videro subito.

strano provvedimento di francesco giuseppe

La situazione finanziaria dell’impero austriaco, prima e durante la guerra con il Piemonte, dava origine alle più serie preoccupazioni. Il riflusso dall’estero di titoli austriaci, in corso dai primi del 1859, aveva accentuato il drenaggio delle risorse valutarie della Nationalbank che aveva dovuto sospendere i pagamenti in contanti, mentre l’aggio sull’argento saliva in maggio al 40 per cento e il corso dei titoli di Stato austriaci crollava a Francoforte da 81 fiorini in gennaio a 38 in aprile. Tutta l’economia del paese veniva dunque investita da gravi tensioni inflazionistiche, mentre la capacità di importazione risultava drasticamente ridotta, ed il ministro delle finanze Bruck doveva mettere mano alle riserve metalliche della Nationalbank, con grave danno del credito al paese, per procurare all’esercito le forniture necessarie. Già per queste ragioni era chiaro che lo sforzo bellico non avrebbe potuto protrarsi più a lungo (R3). Quattro giorni dopo l’armistizio [!], il 15 luglio 1859, durante il primo consiglio dei ministri dopo la sconfitta militare, l’imperatore Francesco Giuseppe rendeva pubblico il famoso Manifesto di Laxenburg col quale si affrettava a promettere alla borghesia un sostanziale mutamento di rotta. “Le benedizioni della pace – affermava l’imperatore austriaco – sono doppiamente preziose perché mi procureranno l’agio necessario per consacrare tutta la mia attenzione e le mie cure, non più turbate da nulla, al felice adempimento del compito che mi sono prefisso”. Di lì a poco il Regolamento industriale austriaco abrogava il regime delle corporazioni, introduceva la libertà del lavoro, dava l’avvio alla prima rivoluzione industriale dell’Austria. Gli ebrei di Vienna ed i protestanti di Germania ringraziarono (MC). Quattro giorni dopo la battaglia di Solferino, la borsa austriaca ebbe un rialzo! (R3). In novembre l’imperatore Francesco Giuseppe approvò la proposta di abolire molte restrizioni residue imposte alle comunità ebraiche dell’impero. Istituì, prima della fine dell’anno il Comitato per il debito di Stato, con il compito di esaminare la struttura finanziaria dell’impero, poiché concordava con il ministro delle finanze Bruck sulla necessità di rassicurare gli investitori stranieri (PA). Considerazioni: Insomma, vendendo e ricomprando i titoli del debito pubblico austriaco, la grande finanza internazionale faceva la guerra e la pace! Per amore o per forza i grandi mercati si dovevano aprire ai grandi capitali. Che questo fosse il principale scopo nella guerra fatta da Napoleone (o fatta fare a Napoleone) all’Austria, è dimostrato dall’armistizio di Villafranca, senza giustificazioni militari da parte della Francia e dal manifesto di Laxenburg. Il resto è storia a contorno, appare come la storia della mancia rilasciata ai servitori.

cavour diplomatico

Dopo la battaglia di Solferino, la diplomazia internazionale si attivò per arrivare ad una sistemazione della situazione italiana, possibilmente senza la prosecuzione della guerra. Anche Cavour si attivò per volgere a suo favore gli avvenimenti e, per ottenere questo, ebbe contatti con tutti i gabinetti europei. In particolare, nel tentativo di combattere l’ostilità dell’opinione pubblica germanica, aveva anche inviato, dietro suggerimenti russi e francesi, una nota al presidente di turno della Dieta di Francoforte, il prussiano Usedom, mettendo in rilievo la solidarietà degli interessi piemontesi e germanici: ma il documento dovette essere ritirato per consiglio dello stesso destinatario, il quale avvertì che l’insistenza sul disegno di cacciare l’Austria di là dalle Alpi avrebbe invece rinsaldato la solidarietà dei minori Stati tedeschi col governo di Vienna. Usedom dava questo giudizio molto negativo sul documento cavouriano: “Eine taktlosere, unpolitischere Fassung dieses Aktenstückes konnte unter den obwaltenden Umständen nicht gedacht werden” “Questa nota, indelicata e impolitica, nelle presenti circostanze, appare improvvisata”. Sembra che Cavour abbia riferito, falsamente, di suggerimenti russi e francesi per “giustificare il suo passo errato” (R3).

altra ragione dell’armistizio di villafranca

Napoleone, tra le ragioni che lo indussero a firmare l’armistizio di Villafranca, tenne sicuramente presente anche un’altra ragione, quella finanziaria tra la Francia ed il Piemonte, giacché il trattato del dicembre 1858 aveva stabilito che il Piemonte avrebbe pagato le spese di guerra della Francia con il decimo delle entrate dei nuovi territori conquistati, ma la Francia aveva già speso ben 360 milioni di franchi e la sua alleata altri 80 milioni, somme che nessuna prevedibile tassa piemontese sul reddito sarebbe riuscita a raccogliere, ed è da domandarsi se mai Cavour fosse stato in buona fede quando aveva stipulato tale accordo (VE).

scenario dell’italia disegnato da napoleone e cavour

Dobbiamo ora riflettere sullo scenario che il Cavour e Napoleone III avevano disegnato a Plombières come conseguenza della guerra all’Austria che studiavano di provocare. “La valle del Po, la Romagna e le Legazioni costituirebbero il Regno dell’Alta Italia sul quale regnerebbe la casa di Savoia. Il papa conserverebbe Roma e il territorio circostante. Il resto degli Stati del papa con la Toscana formerebbe il Regno dell’Italia Centrale. La circoscrizione territoriale del Regno di Napoli non sarebbe toccata. I quattro Stati italiani formerebbero una confederazione sul modello dela Confederazione germanica, la cui presidenza sarebbe data al papa per consolarlo della perdita della parte migliore dei suoi Stati”. Quanto poi si realizzò non coincise in alcun modo col disegno. Le ragioni sono varie. Innanzi tutto non fu assolutamente prevista l’ingerenza dell’Inghilterra in questa vicenda. Napoleone III e Cavour si preoccupavano soltanto di tenerla buona e di fare i propri interessi. Non pensarono che l’Inghilterra potesse invece avere interesse alla nascita di una potenza mediterranea, proprio antagonista dell’Austria e della Francia, che a partire dal 1844 aveva incominciato la sua espansione nel Mediterraneo. Poi non fu prevista l’inazione della Russia e del suo disinteresse verso questo quadrante dello scacchiere mediterraneo. Infine non fu prevista la ingerenza del capitalismo internazionale, che non reputò sufficiente la conquista della sola valle del Po, per consentire al Piemonte il pagamento dei suoi debiti. Ma ritorniamo al Cavour ed alla sua azione politica.

cavour corruttore

Nel gennaio 1861 Cavour e Pio IX stavano trattando la cessione di Roma per via amichevole. Negoziatore ufficioso del governo di Torino presso la Santa Sede era il medico marchigiano Diomede Pantaleoni; dopo un ultimo colloquio con Cavour e col ministro dell’interno Minghetti, l’11 febbraio 1861, un certo padre Passaglia si recava a Roma con in tasca cento napoleoni d’oro. Ma per corrompere i prelati della Curia romana, Pantaleoni era autorizzato a spendere molto di più. “Le faccio facoltà – gli scriveva Cavour – di spendere quanto reputerà necessario per amicarsi gli agenti subalterni della Curia. Quando poi occorresse di ricorrere a mezzi identici ma sopra larga scala pei pesci grossi, me li indicherà, ed io vedrò di metterli in opera, valendomi però di altra via di quella dei negoziatori che saranno lei ed il padre… Dio voglia che i suoi sforzi siano coronati da esito prospero. Ella avrà associato il suo nome al più gran fatto dei tempi moderni” (MC).

corruzione della stampa

Frequente, e sostenuto da un largo ricorso ai fondi segreti, fu l’intervento del ministero di Cavour nelle cose della stampa, diretto sia a favorire all’interno giornali e giornalisti schierati dalla parte del governo, sia ad alimentare le simpatie della stampa liberale straniera per la causa del Piemonte. “La Staffetta è un pessimo giornale che fa torto al ministero: lo dissi a Dina – è Cavour che scrive – questa primavera. Non do un soldo se prima la Staffetta non cessa le sue stupide pubblicazioni. Ciò fatto rimetterò ora a Dina L. 3.000 e in gennaio L. 3.000. Se questi patti non sono accettati, gli ripeto, non do un soldo”. Cavour dava direttive all’intendente Conte per non far nascere un giornale mazziniano a Genova. Lo stesso intendente, Conte, informava Cavour che il solo giornale sardo, lo Statuto, favorevole al governo fosse quello sovvenzionato. Nell’Archivio Cavour, corrispondenti, si trovano numerose lettere di editori e giornalisti stranieri, di livello e moralità molto varia, che si offrono di sostenere il governo liberale piemontese. [Evidentemente la voce si era sparsa]. Qualche nome: Henri Avigdor (Presse), Félix Belly (Le Pays, Journal de l’Empire), François Buloz (Revue des deux mondes), De Poggenphol (Nord di Bruxelles), C. Navin (Siècle), Pallieri (L’Italie) (R3). Ma la stampa piemontese non veniva corrotta solo da Cavour. Anche la Rosina Vercellana, la contessa di Mirafiori, l’amante del re, conosceva quest’uso dei giornali piemontesi. Quando il sovrano si voleva liberare del Cavour, anche perché questi non vedeva di buon occhio la sua relazione con la Rosina, quest’ultima acquistò gli articoli dello Stendardo, pagandoli 12.000 franchi (R3).

onore – I

Garibaldi, nel più grande segreto, aveva ricevuto denaro ed armi dal governo italiano in vista di una invasione dei territori papali che si pensava avrebbero fornito un pretesto per intervenire all’esercito nazionale. Mazzini era intanto pronto alla guerra civile, soprattutto perché pensava giustamente che il re si sarebbe schierato contro Garibaldi al primo segno di disapprovazione della Francia. L’unica speranza seria era che i cittadini di Roma precipitassero le cose con una insurrezione che li facesse intervenire sul loro destino; pensò anche per un momento di recarsi a Roma di persona per renderlo possibile. Contemporaneamente Vittorio Emanuele stava proponendo, segretamente, a Napoleone un accordo in base al quale francesi ed italiani avrebbero occupato, insieme, la città di Roma impedendo così al partito mazziniano di deporre il papa e di proclamare la repubblica. Il re disse a diverse persone che, come “premio supplementare”, gli si doveva permettere di “massacrare” Garibaldi e 30 mila volontari appartenenti alla “feccia criminale” dei seguaci di Garibaldi e Mazzini. Questo infelice termine “massacrare”, insieme allo “sterminare” usato nel 1860 da Cavour contro i garibaldini, veniva stranamente proprio da coloro che definivano Mazzini un “assassino” (MZ).

onore – II

E che questo fosse lo scenario morale in cui si muovevano i protagonisti di quella che poi ci sarebbe stata raccontata come epopea risorgimentale, si può desumere da questo altro avvenimento. Nell’agosto 1870 le truppe francesi lasciarono Roma, perché c’era bisogno di loro sul fronte del Reno, ma Vittorio Emanuele II continuò a tacciare i suoi ministri di vigliaccheria perché erano ormai meno desiderosi di prima di vederlo combattere a favore del suo ex alleato. Egli, infatti, puntava su di una vittoria della Francia e sperava di trovarsi di nuovo dal lato del vincitore. In effetti, fu solo la notizia della disastrosa sconfitta di Napoleone a Sedan che lo indusse improvvisamente a prendere un atteggiamento più realistico. Era chiaro che l’alleanza con la Francia non rappresentava che un duplice inconveniente ed il re, degno rappresentante della sua dinastia, “passò rapidamente dalla parte opposta”, avendo cura di spiegare al Papa che egli era costretto ad annettere Roma contro la sua stessa volontà. Le lettere di Lanza indicano che, ancora una volta, i fondi segreti furono utilizzati per suscitare una insurrezione che offrisse il pretesto per intervenire “a restaurare la legge e l’ordine”; ma neppure questa volta i romani si sollevarono. Si dovette così trovare una altra scusa per l’invasione ed alcuni municipi di là dal confine pontificio furono sollecitati ad inviare a Firenze petizioni invocanti protezione contro l’anarchia. Un breve scontro, una breccia nelle mura, e la Città Sacra cadde in mano dell’ultimo di una lunga serie di avidi nemici (MS).

comportamento spregevole

Il 27 dicembre 1858 Giuseppe Massari descrive nel suo diario una vicenda che vede Cavour e Napoleone III comportarsi in modo spregevole. “Il conte – annotava il Massari – mi fa vedere una lettera che Berryer scriveva a Napoleone III molti anni or sono per chiedergli 10 mila franchi in prestito. Napoleone III vuole ora si stampi quella lettera per punire il Berryer dell’arringa con cui ha ora difeso il conte di Montalembert. Prometto al conte di Cavour di fare in modo che l’Opinione appaghi il desiderio dell’imperatore” (GM).

cavour statista rivoluzionario

Nel 1859 Cavour, nemico giurato della rivoluzione, aveva tentato senza molto successo di dare l’avvio a rivoluzioni mazziniane in Lombardia e nell’Italia centrale; e lo stesso aveva fatto, sempre senza successo, l’anno dopo in Sicilia, a Napoli e negli stati del papa. Alla fine del 1860 si spinse più in là e impegnò le risorse dello Stato nel sollecitare un’altra serie di rivoluzioni in tutta l’Europa orientale. Parlava del desiderio di rendere le “razze latine” dominatrici del Mediterraneo; voleva “un moto insurrezionale che dal litorale dalmata ed illirico si estendesse sino alle rive del Baltico”, col dichiarato proposito di sfruttare quei moti in un’altra guerra contro l’Austria; una guerra che, abbastanza significativamente, diceva necessaria “per motivi di ordine interno”, cioè per rinsaldare negli italiani il senso della patria. Con parole che sembravano prese da Mazzini, il primo ministro illustrava ora la sua intenzione di creare nazionalità autonome in tutti i Balcani, aiutando i greci a prendere Costantinopoli e dando vita a una Ungheria indipendente. Quel progetto così ambizioso finì in un altro fallimento, benché Cavour fosse favorito dal fatto di potersi servire dei suoi ambasciatori e dei suoi consoli nei paesi balcanici per contrabbandare in quelle zone armi e denaro. Fra l’altro salpò segretamente da Genova una flottiglia di navi con carichi di armi, compresi pezzi di artiglieria pesante, il tutto registrato nelle polizze di carico come caffè. La flottiglia fu seguita sin dal primo momento dalla flotta austriaca e poi confiscata dai turchi. Cavour inoltrò una protesta formale per questa confisca, affermando che il contrabbando di armi avrebbe incontrato sempre la sua ferma opposizione; ma dalle scritte apposte sulle casse confiscate appariva chiaramente che esse provenivano dal Regio Arsenale di Torino. Il personale dell’ambasciata di Costantinopoli tentò affannosamente di ricoprire quelle scritte di vernice; ma era troppo tardi. Un diplomatico piemontese commentò: “Giammai cospirazione fu fatta con tanta innocenza battesimale”. Ma Cavour fece presto a trovare il modo di sfruttare quel fallimento per compromettere un concorrente, e tentò di convincere gli inglesi che quelle armi dovevano essere state inviate da Garibaldi. Tentò anche di deviare i sospetti su Mazzini, e inventò una storia fantastica secondo la quale quest’ultimo stava mandando a Roma sicari travestiti da contadini per provocare il crollo del regime papale (MZ).

opinione in francia sul piemonte

Se la nostra critica ai personaggi di quegli avvenimenti è agevolata dalla distanza temporale, dobbiamo riportare anche le opinioni contemporanee, per stabilire se la nostra è critica storica originale oppure condivisa. “Quand on est conduit comme à Turin par des enfants qui crient fort pour montrer qu’ils sont des hommes…”. “Quando si è guidati, come a Torino – esclamava alla Camera dei Deputati francese, Adolphe Thiers, ministro degli esteri di Luigi Filippo, a proposito delle intenzioni bellicose del Piemonte – da bambini che gridano forte per dimostrare che sono uomini. Quando si pronuncia la parola guerra bisogna chiedersi: siamo in grado di farla?” (MC).

le ultime parole del benso di cavour morente

Alle nove di sera del 5 giugno 1861 il re visita Cavour morente. Cavour gli dice tra l’altro: “E i nostri poveri napoletani così intelligenti! Ve ne sono che hanno molto ingegno, ma ve ne sono altresì che sono molto corrotti. Questi bisogna lavarli”. Cavour, nell’estremo delirio, pronunzia disordinatamente [o forse, meglio, gli attribuirono giornalisti interessati a propalare quella che doveva diventare una verità accertata] frasi come queste: “L’Italia del settentrione è fatta: non vi sono né lombardi, né piemontesi, né toscani, né romagnoli, noi siamo tutti italiani: ma vi sono ancora i napoletani. Oh, vi è molta corruzione nel loro paese. Non è colpa loro, povera gente: sono stati così mal governati! È quel briccone di Ferdinando! No, no, un governo così corruttore non può più essere restaurato: la Provvidenza non lo permetterà. Bisogna moralizzare il paese, educare l’infanzia e la gioventù, crear sale d’asilo, collegi militari, ma non si pensi di cambiare i napoletani con l’ingiuriarli. Essi mi domandano impieghi, croci, promozioni: bisogna che lavorino, che siano onesti, e io darò loro croci, promozioni, decorazioni: ma soprattutto non lasciargliene passar una: l’impiegato non deve nemmeno essere sospettato. Niente stato d’assedio, nessun mezzo da governo assoluto. Tutti son buoni di governare con lo stadio d’assedio. Io li governerò con la libertà. In venti anni saranno le province più ricche d’Italia. No, niente stato d’assedio” (FD).

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BIBLIOGRAFIA

AF – Angelo FILIPPUZZI – La pace di Milano Edizioni dell’Ateneo – Roma, 1955

AL – Alessandro LUZIO – Aspromonte e Mentana Documenti inediti – Felice Le Monnier – Firenze, 1935

AM – Aldo Alessandro MOLA – Storia della Massoneria italiana dall’Unità alla Repubblica – Bompiani – Milano, 1976

C4 – Giorgio CANDELORO – Storia dell’Italia moderna Volume IV Dalla rivoluzione nazionale all’unità Feltrinelli – Milano, 1964

DB – Domenico BERTI – Scritti vari L. Roux & C. Editori – Torino Roma, 1892

DM – Carmine DE MARCO – Unità d’Italia: la conquista, l’asservimento, la colonizzazione, lo sfruttamento ed il finto risarcimento. Grafico per grafico Non pubblicato – Napoli, 1979

FD – Francesco D’ASCOLI – La storia di Napoli giorno per giorno dal 7.9.1860 al 24.5.1915 – Luigi Regina – Napoli, 1972

FH – Franz HERRE – Napoleone III Mondadori – Milano, 1994

GM – Giuseppe MASSARI – Diario 1858-60 sull’azione politica di Cavour – Cappelli – Bologna, 1931

GS – I giorni della storia d’Italia dal risorgimento ad oggi De Agostini – Novara, 1997

MC – Mario COSTA CARDOL – Venga a Napoli, signor conte Mursia – Milano, 1986

MZ – Denis MACK SMITH – Mazzini RCS Rizzoli Libri – Milano, 1993

PA – Alan PALMER – Francesco Giuseppe Mondadori – Milano, 1997

RM – Roberto MARTUCCI – L’invenzione dell’Italia unita Sansoni – Milano, 1999

R1 – Rosario ROMEO – Cavour e il suo tempo (1810-1842) Laterza – Bari, 1977

R2 – Rosario ROMEO – Cavour e il suo tempo (1842 – 1854) Laterza – Bari, 1984

R3 – Rosario ROMEO – Cavour e il suo tempo (1854 – 1861) Laterza – Bari, 1984

SG – Salvator GOTTA – Ottocento Mondadori – Milano, 1949

SM – Francesco S. MERLINO – Questa è l’Italia – Parigi, 1890 Cooperativa del libro popolare – Milano, 1953 M&B Publishing 1996

UT – Dizionario enciclopedico UTET – Torino

VE – Denis MACK SMITH – Vittorio Emanuele II Laterza – Bari, 1972

VF – Vittorio FIORINI (a cura) – Gli scritti di CarloAlberto sul moto piemontese del 1821 Società editrice Dante Alighieri – Roma,1900 id

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 http://www.brigantaggio.net/brigantaggio/Personaggi/Cavour02.htm

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La lingua italiana è nata in Sicilia

Posted by on Dic 2, 2018

La lingua italiana è nata in Sicilia

Il dibattito sulle origini della lingua italiana è sempre stato particolarmente acceso: la Toscana rivendica la paternità con Dante Alighieri e la Sicilia le risponde con la Scuola Siciliana. Ma un recente ritrovamento all’interno di una biblioteca lombarda, da parte del ricercatore Giuseppe Mascherpa, sembra dare ragione ai siciliani: alcune poesie, appartenenti tra gli altri a Giacomo da Lentini (fondatore della scuola) e a Federico II (promotore della stessa), sembrerebbero confermare che la lingua italiana sia nata agli inizi del Duecento in Sicilia, a seguito della rivolta dei poeti siciliani contro il latino ecclesiastico. Per circa un trentennio, in Sicilia, venne prodotta la prima lirica in volgare italiano, sottoforma di canzone, di canzonetta e di sonetto, in cui dominava la tematica d’amore. Per cui Dante non sarebbe stato l’inventore assoluto della lingua italiana, ma si sarebbe rifatto a quella già esistente e in via di sviluppo della Scuola Siciliana, dando così vita a quella che – al di là della questione – resta la più imponente opera mai scritta in italiano.

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http://scirokko.it/la-lingua-italiana-e-nata-in-sicilia/?fbclid=IwAR36br4BlQX7iRwOKsHNo_EzNiFkKDYptIP0pwXqXnTwb9jRN4dJtOYrpMA

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