Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Giulio Tatasciore Bandito o brigante? Il caso di Nunziato Di Mecola nella provincia di Chieti (1860-63)

Posted by on Feb 26, 2020

Giulio Tatasciore Bandito o brigante? Il caso di Nunziato Di Mecola nella provincia di Chieti (1860-63)

Aspetti politici, sociali e individuali di una guerra civile

Il protagonista principale di questo saggio è Nunziato Di Mecola, un contadino nativo di Arielli (Chieti), che tra il 2 dicembre 1860 e il 6 gennaio 1861 capitanò una banda armata capace di trascinare con sé centinaia e centinaia di abitanti dei comuni contigui, mettendo a ferro e fuoco la provincia chietina in nome della restaurazione del governo borbonico di Francesco II.

Read More

Garibaldi: Negriero

Posted by on Gen 20, 2020

Garibaldi: Negriero

Questo era l’”eroe” del risorgimento: un negriero, cioè un trafficante di schiavi. Esaltato da tutta la storiografia imperante come il paladino della libertà, come il “liberatore” delle popolazioni delle Due Sicilie, “l’eroe dei Due Mondi” invece aveva anche campato trasportando schiavi cinesi (coolies). Cosí come poi ha ridotto le popolazioni del Sud in questa Italia fatta unita al solo vantaggio della dominazione savoiarda e delle lobby di potere che le sono succedute fino ad oggi.

Read More

SIAMO BRIGANTI DI PINO APRILE

Posted by on Dic 26, 2019

SIAMO BRIGANTI DI PINO APRILE

Al Sud c’erano i briganti; i piemontesi li eliminarono (grazie, nè?). È quello che avevo sempre creduto e mi era stato insegnato, ma quasi di sfuggita e malavoglia, pure a scuola, come non fosse il caso di rinnovare un’antica vergogna. E non mi dispiaceva: avevo visto le foto seppiate dei cadaveri di malandrini e delle loro donne, nudi come selvaggi (ma denudati dai civilizzatori); le teste mozzate da inviare a lombrosiani ricercatori di caratteri e fisionomia del perfetto delinquente (meridionale, ovvio, per natura). Nel film ci era toccata la parte del cattivo.

Read More

Proclama reale di Francesco II

Posted by on Ott 4, 2019

Proclama reale di Francesco II

POPOLI DELLE DUE SICILIE

Da questa Piazza dove difendo piú che la mia corona l’indipendenza della patria comune, si alza la voce del vostro Sovrano per consolarvi nelle vostre miserie, per promettervi tempi piú felice. Traditi ugualmente, ugualmente spogliati, risorgeremo allo stesso tempo dalle nostre sventure; ché mai ha durato lungamente l’opera della iniquità, né sono eterne le usurpazioni.

Ho lasciato perdersi nel disprezzo le calunnie; ho guardato con isdegno i tradimenti, mentre che tradimenti e calunnie attaccavano soltanto la mia persona; ho combattuto non per me ma per l’onore del nome che portiamo. Ma quando veggo i sudditi miei che tanto amo in preda a tutti i mali della dominazione straniera, quando li vedo come popoli conquistati portando il loro sangue e le loro sostanze ad altri paesi, calpestati dal piede di straniero padrone, il mio cuore napolitano batte indegnato nel mio petto, consolato soltanto dalla lealtà di questa prode armata, dallo spettacolo delle nobili proteste che da tutti gli angoli del Regno si alzano contro il trionfo della violenza e dell’astuzia.
Io sono napolitano ; nato tra voi, non ho respirato altra aria, non ho veduto altri paesi, non conosco altro che il suolo natio.

Tutte le mie affezioni sono dentro il Regno : i vostri costumi sono i miei costumi : la vostra lingua è la mia lingua; le vostre ambizioni mie ambizioni. Erede di una antica dinastia che ha regnato in queste belle contrade per lunghi anni ricostituendone l’indipendenza e l’autonomia, non vengo dopo avere spogliato del loro patrimonio gli orfani, dei suoi beni la Chiesa ad impadronirmi con forza straniera della piú deliziosa parte d’Italia. Sono un principe vostro che ha sacrificato tutto al suo desiderio di conservare la pace, la concordia, la prosperità tra’ suoi sudditi.
Il mondo intero l’ha veduto; per non versare il sangue ho preferito rischiare la mia corona. I traditori pagati dal nemico straniero sedevano accanto a’ fedeli nel mio consiglio ; ma nella sincerità del mio cuore, io non poteva credere al tradimento. Mi costava troppo punire; mi doleva aprire, dopo tante nostre sventure, un’era di persecuzioni; e cosí la slealtà di pochi e la clemenza mia hanno aiutata l’invasione piemontese pria per mezzo degli avventurieri rivoluzionari e poi della sua armata regolare, paralizzando la fedeltà de’ miei popoli, il valore de’ miei soldati.

In mano a cospirazioni continue non ho fatto versare una goccia di sangue, ed hanno accusata la mia condotta di debolezza. Se l’amore il piú tenero pe’ miei sudditi, se la fiducia naturale della gioventú nella onestà degli altri, se l’orrore istintivo al sangue meritano questo nome, sono stato certamente debole. Nel momento in che era sicura la rovina de’ miei nemici, ho fermato il braccio de’ miei generali per non consumare la distruzione di Palermo, ho preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta capitale per no esporla agli orrori di un bombardamento, come quelli che hanno avuto luogo piú tardi in Capua ed in Ancona. Ho creduto nella buona fede che il Re del Piemonte che si diceva mia fratello, mio amico, che mi protestava disapprovare la invasione di Garibaldi, che negoziava col mio governo una alleanza intima pe’ veri interessi d’Italia, non avrebbe rotto tutt’i patti e violate tutte le leggi, per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazioni di guerra. Se questi erano i niei torti, preferisco le mie sventure a’ trionfi de’ miei avversari.

Io aveva data una amnistia, aveva aperto le porte della patria a tutti gli esuli, conceduto a’ miei popoli una costituzione. Non ho mancato certo alle mie promesse. Mi preparava a garantire alla Sicilia istituzioni libere che consecrassero con un parlamento separato la sua indipendenza amministrativa ed economica rimuovendo ad un tratto ogni motivo di sfiducia e di scontento. Aveva chiamato a’ miei consigli quegli uomini che mi sembrarono piú accettabili all’opinione pubblica in quelle circostanze, ed in quanto me lo ha permesso l’incessante aggressione di che sono stato vittima, ho lavorato con ardore alle riforme, a’ progressi, ai vantaggi del comune paese.

Non sono i miei sudditi che mi hanno combattuto contro; non mi strappano il Regno le discordie intestine, ma mi vince l’ingiustificabile invasione d’un nemico straniero. Le Due Sicilie, salvo Gaeta e Messina, questi ultimi asili della loro indipendenza, si trovano nelle mani del Piemonte. Che ha dato questa rivoluzione ai niei popoli di Napoli e di Sicilia? Vedete lo stato che presenta il paese. Le finanze un tempo cosí floride sono completamente rovinate : l’amministrazione è un caos : la sicurezza individuale non esiste. Le prigioni sono piene di sospetti : in vece della libertà, lo stato di assedio regna nelle province, ed un generale straniero pubblica la legge marziale, decreta la fucilazione istantanea per tutti quelli dei miei sudditi che non s’inchinano alla bandiera di Sardegna. L’assassinio è ricompensato, il regicidio merita una apoteosi; il rispetto al culto santo de’ nostri Padri è chiamato fanatismo; i promotori della guerra civile, i traditori del proprio paese ricevono pensioni che paga il pacifico contribuente. L’anarchia è da per tutto. Avventurieri stranieri han rimestato tutto, per saziare l’avidità o le passioni dei loro compagni. Uomini che non hanno mai veduta questa parte d’Italia, o che hanno dimenticato in lunga assenza i suoi bisogni, formano il vostro governo. In vece delle libere istituzioni che io vi aveva date e che era mio desiderio sviluppare, avete avuta la piú sfrenata dittatura, e la legge marziale sostituisce adesso la costituzione. Sparisce sotto i colpi de’ vostri dominatori l’antica monarchia di Ruggiero e di Carlo III, e le due Sicilie sono state dichiarate province di un Regno lontano. Napoli e Palermo saranno governati da prefetti venuti da Torino.

Ci è un rimedio per questi mali, per le calamità piú grandi che prevedo. La concordia, la risoluzione, la fede nell’avvenire. Unitevi intorno al trono de’ vostri padri. Che l’obblio copra per sempre gli errori di tutti; che il passato non sia mai pretesto di vendetta, ma pel futuro lezione salutare. Io ho fiducia nella giustizia della Provvidenza, e qualunque sia la mia sorte, resterò fedele a’ miei popoli ed alle istituzione che ho loro accordate. Indipendenza amministrativa ed economica tra le due Sicilie con parlamenti separati; amnistía completa per tutt’i fatti politici; questo è il mio programma. Fuori di queste basi non ci sarà pel paese, che dispotismo o anarchia.

Difensore della sua indipendenza, io resto e combatto qui per non abbandonare cosí santo e caro deposito. Se l’autorità ritorna nelle mie mani sarà per tutelare tutt’i diritti, rispettare tutte le proprietà, garantire le persone e le sostanze de’ miei sudditi contra ogni sorta di oppressione e di saccheggio. E se la Provvidenza nei suoi alti disegni permette che cada sotto i colpi del nemico straniero l’ultimo baluardo della monarchia, mi ritirerò con la coscienza sana, con incrollabile fede, con immutabile risoluzione; ed aspettando l’ora inevitabile della giustizia, farò i piú fervidi voti per la prosperità della mia patria, per la felicità di questi popoli che formano la piú grande e piú diletta parte della mia famiglia.
Preghiamo il sommo Iddio e la invitta Immacolata protettrice speciale del nostro paese, onde si degnino sostener la nostra causa. — Gaeta 8 Dicembre 1860.

Firmato — FRANCESCO

Read More