Posted by altaterradilavoro on Set 30, 2019
Se siete a Napoli è d’obbligo fare una tappa presso la chiesa del Gesù Nuovo per andare a rendere omaggio a San Giuseppe Moscati. Troverete, infatti, nella navata destra, una statua in bronzo con camice e stetoscopio al collo, che vi porge delle mani lisce e levigate per le tante carezza che ha ricevuto dai fedeli.
Giuseppe Moscati, non ha avuto una lunga esistenza, poiché morì a soli 46 anni, eppure in quei pochi anni riuscì a conciliare scienza e fede al punto di conquistare un posto importante nel cuore di tutti i partenopei. Nato a Benevento da una nobile famiglia, conseguì agli inizi del Novecento la laurea in medicina. Cominciò la carriera ospedaliera nell’Ospedale degli Incurabili e si dedicò contemporaneamente all’insegnamento divenendo assistente ordinario nell’istituto di Chimica Fisiologica. Nello stesso tempo si dedicava all’assistenza gratuita dei malati più bisognosi. Nel corso della sua carriera conobbe diverse personalità importanti della medicina dell’epoca: Antonio Cardarelli, di cui fu allievo e medico personale; il beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario e delle Opere di Pompei; la beata Caterina Volpicelli, donna di Dio che si prodigò per opere umanitarie e religiose. Moscati fu sempre spinto dalla voglia di aiutare i più deboli anche a discapito della sua vita.
Nel 1906 il Vesuvio eruttò portando ceneri e lapilli sui centri vicini creando panico tra tutti gli abitanti della zona. Il medico decise così di aiutare nello sgombero del distaccamento degli Ospedali Riuniti di Torre del Greco riuscendo a portare via l’ultimo ammalato poco prima che il tetto dell’ospedale crollasse. Altro episodio che sottolinea la sua umanità si verificò durante l’epidemia di colera che colpì Napoli nel 1911. Allora Moscati era Assistente ordinario negli Ospedali Riuniti e Socio aggregato alla Regia Accademia medico-chirurgica. Fu chiamato in aiuto dall’Ispettorato della Sanità pubblica, dal Ministero degli Interni e dall’Ufficio di Sanità della Prefettura per compiere ricerche sul morbo e studiare i mezzi per combatterlo. Egli dopo aver aiutato gli ammalati sul campo, suggerì una serie di opere pubbliche, alcune delle quali messe in atto, necessarie per il risanamento della città. Moscati non fu solo uomo di scienza, ma anche letterato. Poiché parlava bene il francese, l’inglese e il tedesco, fu redattore della rivista “La riforma medica” per la letteratura straniera. Diverse sue ricerche sono pubblicate su altre riviste mediche italiane e straniere. Pur di approfondire la sua conoscenza delle più disparate malattie, utilizzò ogni viaggio per andare a visitare i vari ospedali del posto. Che andasse a Budapest o a Edimburgo, non mancava mai di recarsi nelle cliniche per assistere a operazioni chirurgiche e allargare la sua conoscenza di strategie didattiche per la formazione di futuri giovani medici. Questa sua voglia di ampliare il proprio sapere non passò inosservata, anzi accrebbe la sua fama.
Importante ricordare che Moscati non scelse nessuna istituzione religiosa, egli era un medico laico che aveva a cuore il bene dell’umanità, come ricordò papa Paolo VI nell’omelia in cui lo proclamò beato: “Chi è colui, che viene proposto oggi all’imitazione e alla venerazione di tutti? È un Laico […] È un medico […] È un Professore d’Università [..] È un Scienziato d’alta scuola”. Dopo dodici anni, nel 1987, il medico napoletano fu proclamato santo da Giovanni Paolo II. La canonizzazione è avvenuta per il miracolo concesso a Giuseppe Montefusco, giovane ventenne all’epoca malato di leucemia.
Fonti: Antonio Tripodoro, “Giuseppe Moscati: il medico dei poveri”, Milano, Paoline, 2004
Beatrice Immediata, “Giuseppe Moscati: un uomo, un medico, un santo”, Milano, Paoline, 2008
fonte https://www.vesuviolive.it/cultura-napoletana/97659-san-giuseppe-moscati-storia-un-medico-diventato-santo/?fbclid=IwAR1j4ZpEcrl2BVbpkP5wPBbVQi-cnkyAqDWUxpBvBXgoZZAkR_Cvv8BuoTQ
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Posted by altaterradilavoro on Mar 26, 2019
A chi
cammina oggi per via Duomo, non sfuggirà agli occhi la stupenda facciata della chiesa
Madre di Napoli anche se la ristrettezza della strada non da modo di
posizionarsi in maniera ottimale.
Nominata
“cardo maior” , cioè il più lungo e grande degli
antichi cardini cittadini, incrociando i tre Decumani
principali: il Decumano maggiore, quello superiore (Via
dell’Anticaglia) e quello inferiore (Spaccanapoli.), via Duomo non ha
avuto da sempre le odierne dimensioni che invece si ritrova soltanto in epoca
recente.
Prima era un comune vicolo chiamato vico del Tarì
oppure vico del pozzo bianco che andava da via Foria fino al decumano
superiore, via dell’Anticaglia; da qui definito vico Gurgite fino al
Duomo. Nel Medioevo veniva chiamata vicus radii solis (cioè
strada del raggio di sole) in onore di Apollo che sotto la basilica di
Santa Restituta aveva il proprio tempio.
Solo
in età borbonica si progettò l’allargamento del vecchio cardine per creare un
diretto collegamento nord-sud tra via Foria e via Marina.
Al
contrario, la Chiesa Madre di san Gennaro, è presente dal XIII secolo, cioè
circa mezzo millennio prima che via Duomo diventasse quello che è adesso.
Infatti in
un periodo medievale, il suo ingresso principale era laterale e affacciava, a
quei tempi, nel centro della Napoli antica e i fedeli sciamavano per lo più dai
vicoli di Forcella.
Sul fianco
inferiore della chiesa dove vi era questo ingresso, esiste Piazza Sisto Riario
Sforza sin dal xv secolo e, fino all’allargamento ottocentesco di via Duomo, è
stato l’ingresso della Cattedrale.
In Piazza
Sisto Riario Sforza che si svolgevano i festeggiamenti in onore di San Gennaro
ed è qui che la Deputazione del Tesoro di San Gennaro, per tener fede al voto
fatto dai napoletani in segno di ringraziamento per lo
scampato pericolo
durante l’eruzione del Vesuvio del 1631, decide di collocare la guglia di San
Gennaro, la più antica della città.
L’ultima
volta che l’ingresso era stato accessibile risale al dopoguerra, poi fu
definitivamente chiuso fino a recenti progetti che vorrebbero ridare all’antico
ingresso la giusta dignità.
Questa lunga prefazione mi è servita per meglio far conoscere l’
ubicazione di una nobilissima istituzione che non ha precedenti.
Nella
piazza anzidetta affaccia la sede secolare del Pio Monte della Misericordia,
nata come istituzione benefica , tra le più antiche e attive della città.
Al suo
interno ospita una chiesa seicentesca dov’è conservata la tela delle Sette
opere di Misericordia del Caravaggio, tra le più importanti pitture
del Seicento.
Piu volte ho
cercato di conoscere la storia di questa nobilissima istituzione ma tutte le
volte che leggevo mi disperdevo nelle illustrazioni e spiegazioni delle decine
di opere inestimabili presenti nel plesso.
Piu volte ho cercato di conoscere la storia di questa
nobilissima istituzione ma tutte le volte che leggevo mi disperdevo nelle
illustrazioni e spiegazioni delle decine di opere inestimabili presenti nel
plesso.
Non
me ne vogliano gli amanti dell’arte pura ma per venirne a capo ho dovuto
omettere tutte le notizie relative ad esse, ma credo che solo cosi in molti
finalmente riusciranno a seguirne la storia.
Nato
per volontà di un gruppo di sette giovani nobili i quali, a partire dal 1601,
erano soliti riunirsi tutti i venerdì all’ospedale degli Incurabili per
mettere in atto a loro spese un programma di opere assistenziali che avevano
l’obiettivo di dare cibo agli ammalati.
Con il tempo le opere caritatevoli aumentarono fino ad
accumulare anche un cospicuo capitale a fondo benefico, che ammontava a 6.328
ducati, da destinare ai non abbienti.
Nel
1602 fu fondato per questi motivi il Pio Monte della Misericordia, ente
istituzionale che si occupò da quel momento di far convergere le risorse e di
organizzare le attività benefiche, che consistevano in quel momento nel
soccorrere gli indigenti, assistere gli infermi, riscattare gli schiavi
cristiani dagli infedeli, assistere i carcerati, liberare i detenuti per debiti
e dare alloggio ai pellegrini.
In seguito la gestione fu garantita attraverso la rotazione
semestrale di sette governatori impegnati nelle diverse opere, al fine di
assicurare la massima correttezza nell’uso dei fondi benefici.
Secondo un meccanismo di rotazione semestrale ben definito
accadeva che ognuno dei governatori eletti ruotasse di volta in volta per
assumere alla fine tutte e sette le attività previste: al primo eletto veniva
affidato il compito di visitare gli infermi, dopo sei mesi passava all’attività
di seppellire i morti, poi a quella di visitare i carcerati, poi di redimere i
prigionieri, di soccorrere i poveri vergognosi, di dare alloggio ai pellegrini
e infine, l’ultima carica prevista, di gestire il fondo capitale del Pio Monte.
I sette governatori provenivano dalla nobiltà napoletana ed
erano di età superiore ai 25 anni; venivano inoltre eletti ogni tre anni e
mezzo.
In un primo momento la sede dell’istituzione fu in una piccola
chiesa costruita tra il 1607 e il 1621 da Giovan Giacomo di Conforto, che
per il progetto fu pagato 25 ducati.
Nel 1653 la chiesa dell’edificio fu demolita per essere
ricostruita integralmente e dal 1658 al 1678 il complesso fu riorganizzato in
uno stabile più grande, grazie anche all’acquisto di circa 10 costruzioni
limitrofi, in quanto quello precedente divenne insufficiente per le cresciute
esigenze dell’ente.
Della
prima chiesa non si ha alcuna testimonianza dalla quale è possibile carpire
quale fosse la sua forma e architettura, tuttavia grazie alla mappa della città
di Alessandro Baratta della metà del XVII secolo si evince che questa
avesse forma considerevolmente più ridotta rispetto all’attuale.
Nel
2005 per l’esistenza all’interno, delle innumerevoli opere,viene musealizzato
l’intero complesso creando un circuito nel quale entrano a farne parte sia la
chiesa che le sale del primo piano del palazzo organizzate per l’esposizione di
alcuni documenti d’archivio che la collezione pittorica della fondazione.
Tutt’oggi
il Pio Monte della Misericordia presta la sua opera di beneficenza per una
serie di istituzioni locali; la chiesa è inoltre ancora consacrata.
(Nelle immagini allegate anche un ritaglio della veduta Baratta del 1628 in cui si mostra l’ingresso laterale del Duomo e senza la guglia di San Gennaro che arrivera solo nel 1631)
fonte http://napolineiparticolari.altervista.org/tutto-comincio-da-7-giovani-nobili/?fbclid=IwAR0vzvnal9G05QVEiBP0xxwxemLIFsmS1E_wUu85EJ56QuW8wtXvWInKCfg
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