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La vera storia dell’impresa dei Mille 5/ Lo sbarco dei Garibaldini a Marsala vergognosamente protetti dagli Inglesi

Posted by on Apr 30, 2019

La vera storia dell’impresa dei Mille 5/ Lo sbarco dei Garibaldini a Marsala vergognosamente protetti dagli Inglesi

Quinta puntata del volume di Giuseppe Scianò sulla sceneggiata passata alla storia come “Impresa dei Mille”. Si parla dello sbarco a Marsala di Garibaldi e dei Mille che non ebbe nulla di eroico. Sbarcarono di giorno, protetti dalle navi Inglesi, che impedirono alle navi del regno delle Due Sicilia di bloccare e bombardare i due piroscafi garibaldini ‘Piemonte’ e ‘Lombardo’. La tragicomica commedia ‘scritta’ dagli Inglesi comincia la sua ‘avventura’ siciliana. I primi traditori Duosiciliani

di Giuseppe Scianò

Da Talamone alla Sicilia la navigazione dei Garibaldini non ha problemi. Vento in poppa in tutti i sensi. Anche se i Garibaldini fossero intercettati dai Duosiciliani, che peraltro dispongono di una buona Marina Militare, non succederebbe niente di grave. Le due navi, pur se rubate, hanno, infatti, le… carte in regola.

Come ci ricorda, infatti, lo storico Cesare Cantù (13), Garibaldi navigava
«regolarmente munito di patente per Malta» (14). Non è un salvacondotto di poco conto quel documento, perché Malta era un territorio inglese. E gli Inglesi, si sa, sono permalosi e pretestuosi nei confronti del Regno delle Due Sicilie, quanto (se non di più) il lupo di esopiana memoria nei confronti dell’agnello. Poca importanza ha il fatto che il Lombardo ed il Piemonte abbiano dichiarato una destinazione diversa o che portino a bordo gente armata ed in procinto di sbarcare in Sicilia.

Guai a fermare quei due vapori. Si sarebbe anticipato quello che sarebbe realmente accaduto, di lì a poco, alla spedizione Corte della quale parleremo più avanti. Gli Inglesi avrebbero gridato alla violazione del diritto internazionale da parte del perfido Re delle Due Sicilie!

È appena il caso di ricordare quindi che il compito di scorta dell’Ammiraglio Persano è assolutamente privo di rischi. La flotta militare sabauda, ovviamente, si discosterà soltanto quando il Lombardo e il Piemonte saranno entrati nelle acque territoriali Duosiciliane. Per recarsi, però, anch’essa nelle acque del porto di Palermo per dare manforte alle manovre di conquista della Sicilia.

Dubbio di Garibaldi: sbarcare col buio o no? – Dopo una navigazione più che tranquilla, i due piroscafi arrivano a poche miglia dalla Sicilia, di fronte alla costa marsalese. Per la verità lo sbarco a Marsala potrebbe avvenire anche nello stesso giorno: 10 maggio 1860… Ma ormai si avvicina la sera e Garibaldi ritiene che non sia prudente sbarcare al buio che, a suo giudizio, potrebbe, sì, anche giovare perché gli consentirebbe di non essere avvistato dai nemici, se non troppo tardi. Però il Nizzardo sa bene che il buio ha un inconveniente. Quello, cioè, di non far vedere bene, di non far riconoscere le persone e le bandiere, di non far vedere dove si mettono i piedi o… le navi.

Prudenza doverosa da parte di un buon vecchio marinaio, soprattutto se si considera che il Lombardo, in pieno giorno, l’indomani, sarebbe rimasto incagliato in un basso fondale. Cosa sarebbe successo se quell’incidente fosse capitato di notte?

Istruzioni… per lo sbarco – Il Fusco – con il suo linguaggio semplice e scorrevole – ci racconta che in vista di Marsala e nell’imminenza dello sbarco, Garibaldi dà incarico a Nino Bixio, per il Lombardo, e al Colonnello Sirtori per il Piemonte, di dare attuazione a quanto disposto con il «Foglio d’ordini operativo», compilato già da qualche giorno a Talamone, e più specificatamente al paragrafo che diceva che nell’imminenza dello sbarco, ai volontari bisognava parlare chiaramente dell’estrema diffidenza e della focosa suscettibilità… «che caratterizzano il temperamento de’ siculi, sovra tutto per ciò che riguarda le loro donne: spose, promesse tali, sorelle, cognate, cugine, e perfino di più lontana e indiretta parentela. A scanso di complicanze gravissime, cruente e perfino ferali, i volontari una volta a terra, dovranno astenersi da intraprendenze inopportune, corteggiamenti e galanterie disdicevoli all’uso locale. Provvederanno alla Suddetta bisogna, salvo imprevisti, il signor Colonnello Sirtori, sul Piemonte, e il signor Luogotenente Bixio, sul Lombardo» (15).

Dopo aver divagato su altri particolari dell’episodio, così continua:

«Invece, sul Lombardo, Bixio, ch’è tutto l’opposto di Sirtori, c’inzuppa il pane. La tira in lungo. Dritto, a gambe larghe, al centro della ‘ radunanza’, la visiera del cheppì calata di traverso, fino a nascondere mezza faccia, ha l’aria di sfottere. E si diverte a inventare le spaventose torture, le indicibili crudeltà e le raccapriccianti efferatezze con le quali, a suo dire, i gelosissimi mariti Siciliani (e specialmente, purtroppo, quelli della zona dov’è previsto lo sbarco) sono soliti vendicare le corna. Non solo quelle già messe, ma anche quelle intenzionali. Amanti squartati, scorticati, bruciati e sepolti vivi. Corteggiatori affogati nel pozzo nero, inchiappettati da tutti i maschi del parentado e poi tritati come carne da polpette. Rivali mangiati allegramente, in famiglia, sotto forma di spezzatino, oppure bolliti, a fuoco lento, in enormi pignatte che i calderai dell’isola fabbricano appositamente… I volontari di primo pelo, o addirittura imberbi, ascoltano quelle atrocità sgranando gli occhi e non riescono a nascondere la fifa. Mentre i più maturi e scafati sogghignano (ma è più che altro una smorfia) ed l’aria di sfottere. E si diverte a inventare le spaventose torture, le indicibili crudeltà e le raccapriccianti efferatezze con le quali, a suo dire, i gelosissimi mariti Siciliani (e specialmente, purtroppo, quelli della zona dov’è previsto lo sbarco) sono soliti vendicare le corna. Non solo quelle già messe, ma anche quelle intenzionali. Amanti squartati, scorticati, bruciati e sepolti vivi. Corteggiatori affogati nel pozzo nero, inchiappettati da tutti i maschi del parentado e poi tritati come carne da polpette. Rivali mangiati allegramente, in famiglia, sotto forma di spezzatino, oppure bolliti, a fuoco lento, in enormi pignatte che i calderai dell’isola fabbricano appositamente… I volontari di primo pelo, o addirittura imberbi, ascoltano quelle atrocità sgranando gli occhi e non riescono a nascondere la fifa. Mentre i più maturi e scafati sogghignano (ma è più che altro una smorfia) ed ammiccano. Insomma, giovanotti, i Siciliani hanno molto dei beduini!, sentenzia Bixio, che sospira, sì, un’Italia libera e unita, dalle Alpi al Lilibeo, ma che non riesce a digerire gli Italiani da Roma in giù. Tant’è vero che, proprio come fra i bedù, il taglio delle balle è la vendetta preferita dei becchi siculi!» (16).

Perché abbiamo parlato di questo aneddoto, per la verità molto marginale rispetto ai grandi fatti che avvenivano in quel giorno? Per fare conoscere meglio chi realmente fossero i futuri liberatori della Sicilia. Evidenziando come fossero, già nel 1860, forti i pregiudizi e i malintesi fra le popolazioni del Centro-Nord Italia ed il Popolo Siciliano, Bixio fra lo scherzoso ed il serioso dà voce ed alimenta i motivi di divaricazione psicologica e di incompatibilità.

E così, scherzando scherzando, allunga ai Siciliani pure le accuse di cannibalismo e di pratiche sodomitiche. Non ci sembra molto bello per un padre della Patria, che avrebbe potuto approfittare dell’esperienza siciliana per imparare qualcosa di buono. Per quanto riguarda l’epiteto beduino dobbiamo arguire che questo doveva essere molto diffuso per offendere i Siciliani. Lo incontreremo infatti pure nel linguaggio del Bandi, il giovane ufficiale addetto al servizio personale di Garibaldi, che pure è più colto di Bixio. Per la verità il Bandi usa anche, come epiteto, la parola arabo, mancando così contemporaneamente di rispetto alla nazionalità Siciliana ed alla nazionalità Araba. Quest’ultima è infatti tirata in ballo come termine di paragone assolutamente negativo.

C’è tuttavia una considerazione da fare. Come si vede, pur trovandoci nell’imminenza dello sbarco, di tutto si parla, tranne che delle tattiche da adottare per quella che, in teoria, è una vera e propria operazione bellica.
A bordo delle due navi garibaldine si dà infatti per scontato che lo sbarco avverrà nelle migliori condizioni di tranquillità e di sicurezza. Si dà per scontato, insomma, che non si dovrà combattere per conquistare metro per metro la costa siciliana. Così come sarebbe stato logico, se non si fosse trattato essenzialmente di seguire un copione.

11 maggio 1860. Sbarco dei Mille a Marsala
scortati da due gigantesche navi da guerra

Vietato sparare sui Garibaldini! – Come abbiamo già anticipato, Garibaldi segue le istruzioni che gli prescrivono di sbarcare a Marsala. E così l’11 maggio il Lombardo ed il Piemonte, ansimando rumorosamente, entrano nella rada di Marsala, inseguiti ad una certa distanza dalle tre navi della Marina militare Duo-siciliana Partenope, Capri e Stromboli. Quest’ultima si colloca in posizione molto più avanzata, ed è peraltro comandata da uno degli ufficiali più brillanti della Marina Duosiciliana, che è notoriamente abilissimo nell’usare l’artiglieria. Non avrà rivali degni di lui probabilmente in tutto lo scorcio di secolo. Parliamo di Guglielmo Acton, che farà parlare di sé, in bene ed in male, per tutta la durata della Spedizione per la conquista della Sicilia. Ed anche dopo.

Garibaldi non si scompone. Anzi, dà l’ordine di andare diritto dentro il porto di Marsala. Sa quello che fa. Questo è il porto della sua salvezza. È sicuro di poter comunque sbarcare, senza che le navi nemiche lo cannoneggino.

Intanto, alla fonda, nel porto di Marsala, si trovano due navi da
guerra della Mediterranean Fleet di Sua Maestà Britannica: l’Argus e
l’Intrepid, comandate rispettivamente da Winnington Ingram e da Marryat. Sono due le navi poderose. Due vere fortezze del mare. Gli equipaggi sono quasi al completo sulla tolda come se dovessero assistere ad uno spettacolo; ma abbastanza all’erta per entrare in azione immediatamente pure loro, se fosse arrivato un ordine in tal senso.

L’Armata Garibaldina sbarca, sotto protezione… – Il primo a dare spettacolo, per la verità non bello, è il piroscafo garibaldino Lombardo che si incaglia in un basso fondale. Tuttavia l’Acton non ne approfitta: così come tutti i suoi colleghi, ha un ordine ben preciso: non creare incidenti con navi straniere, né tantomeno con la flotta militare britannica, che è peraltro la più potente del mondo. Sulle banchine del porto si nota intanto uno strano movimento: un ammuìno di operai, in una tuta rossa che sembra una divisa inglese, attorno alle produzioni dello stabilimento Wodehouse. Tutto programmato, tutto predisposto. Quegli operai creano, infatti, altra confusione.

Diversi, troppi mercantili Inglesi sono pure ancorati nel porto. Come si fa a sparare con i cannoni senza metterli in pericolo? Bandiere Inglesi sventolano sulle navi ed anche sulle case, sugli uffici, sugli stabilimenti del Wodehouse, degli Ingham e dei tanti imprenditori e cittadini britannici che vivono ed operano a Marsala. Ma le bandiere Inglesi sventolano allegramente anche sugli edifici di coloro che Inglesi non sono, come vedremo meglio più in là. Dice Antonio Rosada:

«Sembrava una kermesse britannica. […] In quel giorno di maggio, quando il Comandante della pirocorvetta di Sua Maestà siciliana “Stromboli” ebbe in pugno il destino del “Lombardo”, incagliato su bassi fondali, e con esse di metà della spedizione garibaldina, il timore reverenziale che gli incuteva la vista della bandiera britannica fu l’usbergo invisibile che si frappose per quasi un’ora fra i cannoni della nave napoletana ed il trasporto genovese che le imbarcazioni costiere vuotavano febbrilmente del suo carico umano».

L’Acton, ufficiale napoletano di origini Inglesi, aduso ad obbedire, da buon militare obbedisce agli ordini ricevuti, da un lato. Ma, dall’altro, sa di avere a portata di mano un bersaglio facilissimo: il Lombardo incagliato ed un altro bersaglio, un poco più difficile, il Piemonte. Né l’uno né l’altro sarebbero per lui un problema tecnico. L’uno e l’altro sono, però, un enorme, insormontabile, problema politico e diplomatico.

Fa armare i pezzi, ma non si decide ad ordinare il fuoco. Teme le conseguenze… Si accosta allora all’Intrepid e fa chiedere se gli uomini che si vedono sul molo siano per caso soldati o cittadini britannici. La risposta è
«no». Ma è seguita da un secco avvertimento: i comandanti dell’Intrepid e dell’Argus sono a terra. Non si può rischiare di colpirli.

Acton capisce bene cosa significhi quell’avvertimento. Guai, infatti, se fosse stato messo in pericolo uno solo dei tanti capelli dei due ufficiali Inglesi… L’Acton decide, quindi, di aspettare che i due comandanti ritornino a bordo. Il tempo, intanto, trascorre velocemente, a tutto vantaggio di Garibaldi e dei suoi Mille.

Finalmente arrivano i commanders Marryat e Winnington Ingram, che salgono a bordo dello Stromboli. Il tempo continua a trascorrere senza che il bravo tiratore, Acton, riesca a fare qualcosa. La visita degli Inglesi gli fa capire che le cose possono andare soltanto di male in peggio. I due commanders, infatti, gli fanno un’altra e più severa ammonizione: attenzione a non danneggiare gli opifici britannici e i loro dipendenti! Tanto peggio, inoltre, gli dicono, sarebbe colpire i mercantili Inglesi ormeggiati nel porto e che non hanno intenzione di muoversi fino a che non verranno venti più propizi.

Trevelyan ci dà una notizia precisa al riguardo:

«Il “Piemonte” gettò l’ancora al sicuro dentro il molo nel bel mezzo dei bastimenti mercantili Inglesi…». A bordo, come sappiamo, c’era Garibaldi.

Ai due commanders non piacciono neppure i timidissimi tiri radenti che l’Acton ha cominciato ad ordinare. Tiri a pelo d’acqua che finiscono a mare prima di raggiungere il molo, sollevando – questi sì – acqua e fango. Insomma, l’Acton si dimostra meno efficace (anzi più innocuo) di quanto non lo sia stato fino a quel momento.

Più pericoloso è, invece, il Comandante della Partenope, Cossovich, intanto sopraggiunto, che può sparare in direzione dei Garibaldini, ormai messisi al sicuro dietro l’antemurale del molo. La sua mitraglia, tuttavia, fa qualche piccolo danno ad alcuni tetti di Marsala ed una palla di cannone osa danneggiare due botti di vino nel baglio del Wodehouse. Gli Inglesi sono indignati per la grave provocazione e diffidano pure il Cossovich, che aveva potuto fare, fino a quel momento, un po’ meglio il proprio dovere, perché, almeno, non aveva ufficiali Inglesi a bordo.

Il ridicolo sbarco dei Garibaldini a Marsala – È appena il caso di dire che lo sbarco dei Mille, sotto tutela degli Inglesi, avviene senza che alcun Siciliano dia loro il benvenuto o batta loro le mani. È uno sbarco che non manca di aspetti ridicoli. Sembra, infatti, che non pochi Garibaldini del Lombardo siano stati presi in braccio dai poveri dipendenti Wodehouse e portati in barca e a terra, fra una bestemmia e l’altra. Ai Duosiciliani, purché non facciano danno, viene consentito di sparare fino a sera, evitando però le proprietà e le navi Inglesi, secondo diffida. Vale a dire: si può sparare soltanto in aria e a mare. Poi, le autorità Inglesi daranno l’alt…

Si è fatto tardi. Non si può esagerare! – Mentre il buon Garibaldi ringrazia Dio e gli Inglesi per la grazia ricevuta, è opportuno fare qualche riflessione sulla vicenda dello strano sbarco.

Abbiamo già parlato dell’Acton e della sua Stromboli, efficientissima fregata forzatamente inoperosa. Abbiamo parlato del Cossovich, bravo o no che fosse, il quale riuscì almeno a sparare qualche colpo di mitraglia verso il porto, facendo indignare gli Inglesi. Insomma, la Partenope qualche fastidio riuscì a darlo, se non altro alla quiete pubblica. Fu l’unica, probabilmente.

Di Mariano Caracciolo, Comandante del Capri e della sua nave, non abbiamo ancora detto nulla. Precisiamo soltanto che i fatti successivi confermeranno la fondatezza di ciò che il Buttà insinua. E cioè che il Caracciolo non avrebbe sparato, dalla sua «Capri», neppure un colpo, perché in tal senso si era «appattato» con Garibaldi o con chi per lui.

L’affaire Marsala non finisce di stupire. – Se si andasse veramente a fondo si finirebbe con il mandare a picco i Padri della Patria e la mitologia risorgimentale. Lo dimostrano tutti quelli che, con un minimo di sincerità, parlano di quell’avvenimento. Così Padre Buttà descriverà la scena dello sbarco:

«Due legni Inglesi fecero la spia contro i Regi, e protessero lo sbarco di Garibaldi. Tre piroscafi di guerra Napoletani, che si trovavano in crociera nelle acque di Marsala, presero il largo fino a che non fosse stato effettuato quello sbarco. Uno dei piroscafi, il Capri, era comandato da Marino Caracciolo; il quale, come rilevasi dalla “Difesa Nazionale” di Tommaso Cava, a pag. 101, volle poi tenuto al fronte battesimale un figlio da Garibaldi, e costui, memore dei servizi ricevuti da quello in Marsala, accettò, con piacere, di farsi compare col primo che tradì Francesco II. Marino Caracciolo è quello stesso che poi entrò nel forte di Baia e prese possesso a nome del compare. Un altro legno era comandato da Guglielmo Acton, poi Ministro del Regno d’Italia».

E conclude, il Buttà, molto amareggiato:

«Nello sbarco di Marsala tanto celebrato da’ rivoluzionari, nulla trovo di straordinario, e neppure potrebbe dirsi audace». (1)

Lo sbarco a Marsala è una pagina di storia di cui vergognarsi? – Non diverse sono le stranezze che si riscontrano in ciò che è avvenuto intanto nella città di Marsala. Insomma: la commedia continua! Abbiamo già parlato della fiera ostentata indifferenza della cittadinanza tutta di Marsala, senza una sola eccezione. Ma c’è un aspetto particolare dei fatti che cercheremo di evidenziare, approfittando ancora dell’aiuto di padre Buttà.

Come mai nel regime poliziesco ed oppressivo dei Borbone in una città importante come Marsala (porto, produzione industriale, commercio, presenza di una comunità inglese numerosa, operosa, ricca, importante, ecc.) in un contesto così delicato, non si trova in quel momento un solo soldato Duosiciliano? Uno qualunque di quegli innumerevoli soldati Duosiciliani che alcuni operatori dell’agiografia risorgimentale ci fanno quasi sempre trovare, crudeli, cattivi e ben armati, nonché miseramente sconfitti dai valorosi Garibaldini («buoni, questi, ed inferiori numericamente e pressoché disarmati o male armati…»).

La spiegazione è semplicissima. La lasciamo dare allo stesso Buttà.
«Egli (Garibaldi) sbarcò a Marsala, quando già sapeva che la guarnigione era stata mandata a Girgenti (cioè ad Agrigento) per ordine del Comando Generale di Palermo:

quella guarnigione di un battaglione di “Carabinieri a piedi”, comandati dal Colonnello Francesco Donati, sembrò pericolosa allo sbarco garibaldesco e due giorni prima fu mandata altrove» (2).

Ed è vero. Gli alti ufficiali della Luogotenenza di Palermo, ben manovrati dai servizi segreti britannici, in previsione dell’arrivo dei Mille e ben sapendo quanto fosse importante che lo sbarco avvenisse nel migliore dei modi, avevano ordinato al Colonnello Donati di trasferirsi con la guarnigione tutta ad Agrigento. Cosa, questa, confermata da Padre Buttà, come ben sappiamo.
La responsabilità maggiore di tale disposizione sembrerebbe attribuibile al Generale Giuseppe Letizia (3).

(3) Chi era Letizia? Un Generale che incontreremo ancora molte volte e del quale, pertanto, anticipiamo qualche notizia biografica. Era nato a Napoli nel 1794. Ufficiale dell’Esercito Napoletano, ai tempi di Gioacchino Murat, aveva partecipato alle battaglie napoleoniche di Lutzen e Bautzen. Nell’ultima battaglia era stato pure ferito. Con la restaurazione borbonica fu radiato dall’esercito dal 1816 al 1820. In quest’ultimo anno venne riammesso in servizio in tempo per partecipare alle azioni dell’Armata Borbonica contro la rivoluzione siciliana e gli indipendentisti Siciliani, fu addirittura Aiutante di campo di Florestano Pepe. La cosa non deve meravigliare perché allora – così come avverrà in seguito – fra reazionari Borbonici e carbo- nari-liberali-unitari esisteva identità di vedute contro l’indipendenza della Sicilia. Il Letizia fu coinvolto in varie congiure carbonare e fu, quindi, nuovamente sospeso dal servizio e dal grado. Le raccomandazioni (e la tolleranza dei Borbone), però, fecero sì che lo stesso fosse, nel 1848, riammesso un’altra volta nell’esercito delle Due Sicilie. Non si tratta, quindi, di un Generale pavido e inetto, come talvolta la storiografia ufficiale lo vuole fare apparire, ma di un Generale ideologicamente ostile alla causa del Regno delle Due Sicilie ed agli stessi Borbone. Inaffidabile, certamente. E disponibile nei confronti del nemico. Anticipiamo qualche notizia sulla sua carriera successiva. Nel 1861 il Generale, ex borbonico, Letizia diventerà Generale effettivo dell’Esercito Italiano. Non fu l’unico, per la verità. Ma il suo fu un trattamento di eccezionale favore, se si considera che il Letizia, al momento dello sbarco di Garibaldi a Marsala, aveva già compiuto 66 anni. Età rispettabile anche oggi, ma che allora era considerata molto avanzata. Qualche benemerenza, nei confronti dei vincitori, il Letizia doveva pure averla. Almeno abbiamo il diritto di sospettarlo. E i sospetti aumenteranno quando, fra poco, lo vedremo a Palermo trattare con Garibaldi. E mai, come in questo caso specifico, il sospetto ci è sembrato l’anticamera della verità. Dobbiamo, con l’occasione, rivolgere un grato pensiero al grande studioso meridionale Roberto Maria Selvaggi, morto recentemente, per le notizie che ci ha fornito sul Generale Letizia e su moltissimi altri ufficiali dell’Esercito Duosiciliano, nel libro Nomi e volti di un esercito dimenticato. Gli ufficiali dell’Esercito napoletano del 1860- 61, Grimaldi, Napoli, 1990.

(13) Cesare Cantù nacque a Brivio (in provincia di Como) l’8 dicembre 1804. Cattolico ed antiaustriaco, fu, per la sua attività sovversiva, arrestato per un breve periodo dalla polizia del Lombardo-Veneto. Amico del Manzoni, scrisse alcuni commenti storico letterari ai Promessi Sposi. Le sue opere maggiori sono, tuttavia: La storia universale (1838-1846), in 35 volumi, Storia degli Italiani, Gli eretici d’Italiani, Il Conciliatore e i Carbonari, Ragionamento sulla storia lombarda del secolo XVII, ed altri testi a carattere storiografico. Critico verso il liberi- smo laico, fu deputato al Parlamento italiano, prima a Torino e poi, dopo il trasferimento della Capitale d’Italia, a Firenze, per 6 anni, nel periodo che va dal 1861 al 1867.

(14) Malta, com’è noto, era dal 1800 un possedimento inglese.

(15) G. Fusco, op. cit., pagg. 25 e 26.

(16) G. Fusco, op. cit., pagg. 26 e 27.

(1) G. Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta, Memorie della rivoluzione dal 1860 al 1861, Bompiani, Milano, marzo 1985, pag. 330.

(2) G. Buttà, op. cit., ibidem.

(3) Chi era Letizia? Un Generale che incontreremo ancora molte volte e del quale, pertanto, anticipiamo qualche notizia biografica. Era nato a Napoli nel 1794. Ufficiale dell’Esercito Napoletano, ai tempi di Gioacchino Murat aveva partecipato alle battaglie napoleoniche di Lutzen e Bautzen. Nell’ultima battaglia era stato pure ferito. Con la restaurazione borbonica fu radiato dall’esercito dal 1816 al 1820. In quest’ultimo anno venne riammesso in servizio in tempo per partecipare alle azioni dell’Armata Borbonica contro la rivoluzione siciliana e gli indipendentisti Siciliani, fu addirittura Aiutante di campo di Florestano Pepe. La cosa non deve meravigliare perché allora – così come avverrà in seguito – fra reazionari Borbonici e carbonari-liberali-unitari esisteva identità di vedute contro l’indipendenza della Sicilia. Il Letizia fu coinvolto in varie congiure carbonare e fu, quindi, nuovamente sospeso dal servizio e dal grado. Le raccomandazioni (e la tolleranza dei Borbone), però, fecero sì che lo stesso fosse, nel 1848, riammesso un’altra volta nell’esercito delle Due Sicilie. Non si tratta, quindi, di un Generale pavido e inetto, come talvolta la storiografia ufficiale lo vuole fare apparire, ma di un Generale ideologicamente ostile alla causa del Regno delle Due Sicilie ed agli stessi Borbone. Inaffidabile, certamente. E disponibile nei confronti del nemico. Anticipiamo qualche notizia sulla sua carriera successiva. Nel 1861 il Generale, ex borbonico, Letizia diventerà Generale effettivo dell’Esercito Italiano. Non fu l’unico, per la verità. Ma il suo fu un trattamento di eccezionale favore, se si considera che il Letizia, al momento dello sbarco di Garibaldi a Marsala, aveva già compiuto 66 anni. Età rispettabile anche oggi, ma che allora era considerata molto avanzata. Qualche benemerenza, nei confronti dei vincitori, il Letizia doveva pure averla. Almeno abbiamo il diritto di sospettarlo. E i sospetti aumenteranno quando, fra poco, lo vedremo a Palermo trattare con Garibaldi. E mai, come in questo caso specifico, il sospetto ci è sembrato l’anticamera della verità. Dobbiamo, con l’occasione, rivolgere un grato pensiero al grande studioso meridionale Roberto Maria Selvaggi, morto recentemente, per le notizie che ci ha fornito sul Generale Letizia e su moltissimi altri ufficiali dell’Esercito Duosiciliano, nel libro Nomi e volti di un esercito dimenticato. Gli ufficiali dell’Esercito napoletano del 1860- 61, Grimaldi, Napoli, 1990.

Fine quinta puntata/ Continua

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La mostra a Capodimonte/La bellezza esce dai depositi e intreccia con gli spettatori una storia tutta da scrivere

Posted by on Mar 9, 2019

La mostra a Capodimonte/La bellezza esce dai depositi e intreccia con gli spettatori una storia tutta da scrivere

Dimenticare il brutto del quotidiano. Andare, per una full immersion nel bello, al Museo di Capodimonte. Che non ha la pesantezza tipica di un museo perché è una Reggia. Accogliente e ariosa, è stata appunto costruita, nel Settecento, dal Re Borbone, per contenere opere d’arte. E per abitarvi, contemplandole.
Oggi, ogni visitatore può girarvi nelle sale come un Re. La sensazione, per anni appannata, di trovarsi in una Reggia, è stata, da qualche tempo, ritrovata per l’attenta manutenzione di cui ora è oggetto l’edificio e per l’atteggiamento diverso del personale nelle sale, che ha abbandonato la sciatteria disinformata di un tempo. In più, da qualche settimana, l’illuminazione con centinaia di lampade a led ha creato, nel Salone delle Feste, la scintillante atmosfera di una fiaba principesca.
Mentre la “Flagellazione”, la famosa opera di Caravaggio (1571/1610) custodita qui, in una sala tutta per sé, è ora circondata da una cornice coeva che, in  complesse fitomorfiche curve, esprime il naturalismo barocco napoletano e storicizza l’artista, non più nume avulso dal tempo, riportandolo all’epoca sua. Il parco (grande due volte quello di Caserta.) che circonda la Reggia suggerisce chiaramente come l’arte si ispiri alla natura. Intorno all’edificio, i prati ora sono ben curati e c’è  la vista del mare dal Belvedere liberato dalla siepe che ne impediva la vista.

Questa sorta di révolution heureuse nella Reggia e nel Real Bosco riguarda anche la strategia culturale che vi viene attuata. Attenta a non  abbassare il livello della comunicazione culturale, diversamente da quella che ha l’unico fine di ottenere un maggior numero di visitatori, questa strategia mira a educare il pubblico all’arte e al bello sollecitandone le capacità e l’attenzione.
Un esempio ne è la mostra (dal 21/12/18 al 15/5/19)  “Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere”, intelligente nella impostazione, ricca di stimoli e di idee. Una sua originale caratteristica è l’attuale mancanza del catalogo, che sarà pubblicato al suo termine, per contenere i pareri degli esperti che converranno in un convegno internazionale e le osservazioni, i suggerimenti e i desideri dei visitatori.
Le 120 opere tirate fuori dai depositi (il 20 /100 circa di quelle lì conservate) sono dipinti, ceroplastiche, gessi, marmi, tessuti e armi, porcellane e terracotte. Tutte di pregio. Non sono presentate secondo una successione cronologica, secondo il prima e il dopo. Ma sono collocate in modo che si trovino vicine tra loro quelle che hanno tra loro delle analogie.
Qui si sfida anche il visitatore a trovare degli elementi in comune tra opere diverse e, in base a questi, raggrupparle e magari scoprirne lo sconosciuto autore. Se la prosa letteraria ha un linguaggio razionale, quindi pressappoco univoco, l’opera figurativa, invece, è, a suo modo, polivalente. Le somiglianze, quindi, possono trovarsi in base  a diversi elementi. In base alla materia usata, al colore, alla tecnica, al tema rappresentato, all’aspetto che vi viene evidenziato….Ogni opera racconta una sua storia, tutta ancora da scrivere.
Da un’ attenta osservazione delle opere si comprende anche la fallace superficialità del detto “Non è bello quel che è bello. E’ bello quel che piace.” Perché il Bello oggettivamente esiste. Ma piace all’osservatore quell’aspetto dell’opera d’arte che gli è più consentaneo, e quindi più per lui comprensibile. A questo si deve anche il criterio secondo il quale le opere sono state mandate nei depositi, da cui ora sono state tratte per questa mostra.
Vi sono state mandate perché non erano consentanee al gusto o al clima politico all’epoca o alle preferenze del critico al tempo più in auge. In proposito c’è l’eclatante esempio di Caravaggio (1593/1610), molto apprezzato ai tempi suoi ma poi a lungo tenuto in non cale. Finché, nel Novecento, un critico che allora andava per la maggiore, Roberto Longhi, lo riabilitò. Perché -come ancora si dice- a suo avviso Caravaggio aveva avuto il pregio di porre in primo piano la povera gente con i suoi piedi sporchi. Sebbene un valore maggiore potrebbe attribuirsi alla sua cancellazione, con la resa del buio, dello spazio canonico e la creazione, a volte, di uno spazio diverso, formato dai movimenti delle persone. Come nelle “Sette opere di Misericordia”, la prima opera che l’artista geniale produsse al suo arrivo a Napoli.
Tra i liberi accostamenti che in questa mostra si realizzano, c’è il confronto ravvicinato tra i personaggi ritratti nelle opere dell’Ottocento e in quelle del Seicento napoletano. Da cui appare chiara la diversissima sensibilità tra le due epoche. Il sentimentalismo ottocentesco rivela lo studio dei sentimenti, risentendo dello storicismo letterario, del positivismo e dell’eredità del neoclassicismo. Il Seicento napoletano rivela un’abundantia cordis irrefrenabile e la sensualità di una carnalità dirompente.
Tra le tante opere citiamo la veduta seicentesca di una irriconoscibile Messina, che dai terremoti, epocale quello del 1908, fu travisata del tutto. Ma, a prescindere dai luoghi, questa veduta rivela, nello stile della composizione avvolgente,  i suoi rapporti con l’arte napoletana. E ci viene in mente Antonello (Messina 1430/1479).
Molto interesse suscitano, tra gli oggetti in mostra, anche quelli portati in Europa dal Capitano James Cook e poi donati a Ferdinando di Borbone da Lord Hamilton, ambasciatore inglese presso la Corte Borbonica. Sono armi, un copricapo, una maschera di pelle e e altri oggetti provenienti dall’Oceania. Che testimoniano il senso della bellezza e dell’arte di un popolo ritenuto selvaggio. E suggeriscono un modo di vivere altro ma non per questo meno felice.
Nella stessa sala, statuette in terracotta riprendono precisamente le figure e gli abbigliamenti di popoli esotici vestiti nei loro abiti tradizionali. Sono riproduzioni perfette. Ma poco suggestive. La conoscenza storica è fatta anche di immaginazione. Prendendo spunto da tutti questi oggetti, Carmine Romano, curatore della mostra insieme a Maria Tamayo e ad altri collaboratori, tra cui Linda Martino, ha raccontato una storia su Ferdinando di Borbone. Questi, personaggio vitalissimo, amante delle donne e del suo popolo, con cui, quando poteva, si mischiava festaiolo, durante una festa carnevalesca del 1748 si era abbigliato alla turca secondo una moda esotica di fantasia. Un pittore francese, Joseph-Marie Vien (1716/1809), lo ritrasse insieme ai suoi e portò questi dipinti a Londra. Dove i membri dell’ambasciata turca li videro, e, rimanendone suggestionati, si abbigliarono a quel modo di fantasia. Se l’arte copia la vita, a volte anche la vita copia l’arte.
Le opere in mostra ritorneranno nei depositi? Sulla loro sorte non si hanno ancora notizie precise. Mentre c’è in progetto la creazione di un altro spazio espositivo in un grande edificio nel Real Bosco, quello che si trova di fronte la Reggia. Ma, nel frattempo, meglio andare a visitare queste “imperdibili” opere, prima che vadano in qualche deposito. E scompaiano alla vista.
LA MOSTRA
Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere 
Fino al 15 maggio
Per saperne di più
http://www.museocapodimonte.beniculturali.it/portfolio_page/depositi-di-capodimonte-storie-ancora-da-scrivere/

Adriana Dragoni


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CENNI SUL BRIGANTAGGIO RICORDI DI UN ANTICO BERSAGLIERE

Posted by on Dic 3, 2018

CENNI SUL BRIGANTAGGIO  RICORDI DI UN ANTICO BERSAGLIERE

Al Lettore, Nel pubblicare questo piccolo mio lavoro non ho avuto altro scopo tranne quello di ricordare in qualche modo alla giovine generazione quei giorni funesti e pericolosi attraversati dall’Italia, quando ad un tempo, guerreggiando contro lo straniero e rovesciando troni, al grido dì Vittorio Emanuele Re d’Italia agognava all’unificazione della Patria. Senza note, ho scritto ciò che è rimasto più impresso nella mia mente, per cui spero essere perdonato se dopo tanti anni fossi incorso in qualche errore di cronologia, ed avessi errato talvolta nell’apprezzare le cose accadute. Giudichi benignamente il Lettore l’opera mia e riponga nella memoria quegli aneddoti, che per quanto interessanti ed istruttivi, la storia troppo spesso trascura. Se questo riuscirò ad ottenere sarà largo compenso alla per me non poca fatica.

L’Autore.

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L’unité d’Italie Et la question du Mezzogiorno revue et corrigée

Posted by on Set 3, 2017

L’unité d’Italie  Et la question du Mezzogiorno revue et corrigée

En 1961, lors du centenaire de cette sacro-sainte unité d’Italie, j’ai gagné une bourse, assez appréciable, allouée aux enfants ayant écrit les cent meilleures dissertations sur le sujet.

Je me souviens encore de l’émotion de ma famille réunie autour d’un repas dominical, tant ma lecture était passionnée, pleine de ferveur. Je n’ai jamais su si leurs larmes étaient de joie ou de tristesse. Il faut dire que le lavage du cerveau avait commencé bien avant ma génération.

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La guerra civile nel Regno delle Due Sicilie

Posted by on Mag 14, 2017

La guerra civile nel Regno delle Due Sicilie

La guerra civile, che infierisce vasta ed ostinata nel Regno delle Due Sicilie, può fornire un argomento, se altro ne fu mai, palpabile e convincentissimo, che la superstiziosa riverenza alla volontà popolare, onde alcuni Potentati tolsero pretesto d’intromettersi nelle faccende di altri, non è in sustanza che una pura e pretta ipocrisia, foggiata a strumento di ambizioni smisurate e di tirannide faziosa. Deh! Quanti consigli ufficiali! Quante insistenza ufficiose, a fine che quella pretesa volontà popolare in questo o quello Stato italiano fosse satisfatta!

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