Alta Terra di Lavoro

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Appesi per i polsi con una vite aguzza che entrava nella carne e arrivava alle falangi: le torture dei piemontesi ai siciliani

Posted by on Feb 6, 2021

Appesi per i polsi con una vite aguzza che entrava nella carne e arrivava alle falangi: le torture dei piemontesi ai siciliani
  • La storia dell’invasione dei piemontesi in Sicilia ignota alle scuole
  • “I ceppi di tortura” erano richiestissimi per infliggere atroci sofferenze ai siciliani che non si sottomettevano ai ‘civili’ piemontesi
  • Soffrivano di più perché non morivano dissanguati. Arti flagellati per uomini e donne, compresi fanciulli, disabili e donne gravide
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Schegge di Storia 9/ Non contenti di aver derubato Banco di Napoli e Banco di Sicilia, i Savoia depredano il Sud con nuove tasse

Posted by on Lug 12, 2019

Schegge di Storia 9/ Non contenti di aver derubato Banco di Napoli e Banco di Sicilia, i Savoia depredano il Sud con nuove tasse

Questa rubrica – curata da Giovanni Maduli – ci racconta, attraverso scritti e testimonianze, la storia del popolo del Sud che si ribellava all’occupazione da parte dei piemontesi dopo la ‘presunta’ unificazione italiana. Oggi continuiamo a parlare del “Bombardamento di Messina” del 1848, vigliaccamente attribuito a Ferdinando II. Non contenti di aver derubato i soldi del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia, i Savoia tartassano il Sud con nuove tasse. E, ancora, illustreremo i fermenti culturali del Regno delle Due Sicilie prima della proditoria conquista piemontese  

di Giovanni Maduli
componente della Confederazione Siculo-Napolitana e vice presidente del Parlamento delle Due Sicilie-Parlamento del Sud®, Associazione culturale

Continuando l’excursus di testimonianze relative al periodo post unitario che difficilmente possono essere soggette a “interpretazioni” o “valutazioni” diverse da ciò che effettivamente sono e denunciano, ecco altre testimonianze circa il cosiddetto “Bombardamento di Messina” del 1848, vigliaccamente attribuito a Ferdinando II; testimonianze, questa volta, portate da uno dei comandanti delle forze sicilianiste che parteciparono all’attacco alla Real Cittadella e che confermano la confessione di Giuseppe La Farina di cui abbiamo parlato nelle “Schegge di Storia” 8/19. Vedremo poi il fardello di nuove tasse imposte al Sud e alla Sicilia dal nuovo governo sabaudo, nonché il fermento intellettuale e culturale che caratterizzava la Sicilia prima dell’annessione piemontese.

La strategia esercitata dagli ufficiali dello Stato Maggiore Siciliano, invereconda se giudicata col senno di poi, ha creato le migliori condizioni di disagio dell’abitato messinese, inspiegabilmente divenuto vittima designata di quell’insana macchinazione. Dalla Traiettoria delle artiglierie che sparavano a bombardamento, cercando con tiro alto e arcuato di raggiungere senza riuscirci i bastioni della Cittadella, trovarono molto spesso per errore di calcolo, le sottostanti case di Messina. Saranno gli stessi responsabili del comando nei loro verbali, a segnalare come a capo dei vari pezzi di artiglieria, erano posti uomini che non avevano seguito un addestramento specifico per armare e dirigere il tiro.

Spesso capitava che i comandanti imponessero i gradi ai pezzi, ordinando di non modificarli per nessun motivo. Da ciò è palese osservare, che sbagliando la traiettoria, con obici adoperati sempre per bombardamento e giammai per tiro diretto o per tiro d’infilata, produssero i maggiori danni sulle sottostanti abitazioni. Il colonnello Calona, ufficiale di stato maggiore, esperto artigliere fra i siciliani, in una sorta di memoriale ne avrà per tutti contro i suoi commilitoni, segnalando che un incomprensibile e scriteriato uso delle artiglierie, non solo non produceva alcun danno al nemico, svilendo le munizioni e le polveri, ma arrecava più guasti all’abitato, proprio per quell’inefficienza dei militi posti su ogni arma.

Egli in un suo lavoro, in risposta ai responsabili delle operazioni d’assedio presso la Città dello Stretto, commentandone la strategia d’attacco contro i castelli costieri messinesi, segnalava tutta una serie di mancanze e di limitazioni che gettano una luce chiarificatrice sulla condizione sofferta dalla Porta della Sicilia dal gennaio al settembre del 1848.

In questo modo il Calona costruirà una sua teoria d’attacco, a suo tempo criticata da Filippo Minutilla e dagli stessi protagonisti dell’assedio, che si dimostrarono inetti a quelle situazioni, contribuendo alla caduta di Messina. Sempre Calona dimostra attraverso le prese d’atto dei comandanti delle artiglierie siciliane, che attaccare il forte San Salvatore impossessandosene, avrebbe nuociuto gravemente agli assediati costretti dentro la Real Cittadella, e incalzandoli aggiunse:

“Erano sufficienti le vostre batterie? Voi, (signor Minutella) e compagni, eravate dotti nell’arte della guerra? Con questo metodo però io credo che la Cittadella non sarà presa giammai, né per assedio, né per blocco; che si sprecheranno inutilmente da noi munizioni, danari ed uomini; e che alle lunghe la città di Messina, o resterà sepolta sotto le sue rovine, o almen sarà ridotta all’estrema miseria” (1).
Alessandro Fumia Messina, la capitale dimenticata, Magenes Edizioni, pag. 281, 282, 284.
(1) Ignazio Calona A Filippo Minutilla risposta di Ignazio Calona; lettera di un tamburino sul piano d’attacco della Cittadella di Messina, Malta 1852, p. 5, paragr. 6.

Grave agitazione produce nel foro, e nell’ordine degli avvocati la nuova tassa sul registro e bollo, che era pur troppo mite e tenue sotto il cessato governo.
Accadono disordini, ed il pubblico protesta con dimostrazioni minacciose ne’ tribunali; a’ 2 giugno, allo aprirsi della udienza in Napoli si levano furibondi clamori, urli e fischi, che fanno tremare i magistrati: sono chiamate le cause, ma gli avvocati, benché presenti, si astengono dal rispondere, e le fanno decadere: accorre la guardia nazionale; ma il tumulto non cessa, e si ripete ne’ giorni seguenti, non solo in Napoli, ma anche nelle altre Provincie, e, se ne inviano telegrammi pressanti a Torino. Contemporaneamente più minaccioso è il contegno degli avvocati di Sicilia, dove indignatissimo è il popolo per le vie di Palermo, e minaccia nuovi torbidi per gli 11 giugno: il governo intimidito si mostra condiscendente verso i Siciliani prorogando la riscossione delle nuove imposte; non così verso i Napoletani, contro i quali aumenta soldati e cannoni ne’ castelli. La opposizione alle oppressive tasse e ‘l malumore popolare si sfoga con petizioni al parlamento di Torino, e quivi si accendono le discussioni.
……………………………………..gov. Borb. gov. Piem.
1. Tasse fiscali su gli atti civili
e contratti lire…………………2.703.750 18.000.000
2. idem su gli atti giudiziari 799.900 2.800.000
3. idem su le successione nulla 6.000.000
4. idem su registro, e bollo 2.863.000 10.800.000
5. idem su gli atti amministrativi nulla 884.600
Totale 6.365.760 38.434.000
Francesco Durelli Colpo d’occhio su Le condizioni del Reame delle Due Sicilie nel corso dell’anno 1862 – Ripostes Edizioni, pag. 25, 26.

Per quanto riguarda il movimento intellettuale e culturale, vario e vivace, che aveva il suo riflesso mondano nei salotti palermitani aristocratici e borghesi, dove si davano convegno i più bei nomi della cultura siciliana, ricordiamo le principali iniziative che sorsero nell’isola.
Per prima furono create nuove biblioteche pubbliche, e nel 1831 in Lentini si riordinò l’antica Accademia poetica del Lisso; nel 1832 Ferdinando Malvica, il Barone Vincenzo Mortillaro, il Principe di Cannatelli, Antonio Di Giovanni Mira, Agostino Gallo pubblicarono Le Effemeridi di natura enciclopedica; Vincenzo Mortillaro dirigeva il Giornale delle Scienze Lettere ed Arti, ristrutturato dal Duca di Cumia, Marcello Fardella.
Fu introdotta l’arte litografica e dell’incisione, fu promossa l’istruzione popolare; comparvero nuovi giornali a Palermo, Catania, Messina, mentre si agitarono questioni intorno alla letteratura patria, classicismo, romanticismo, scienze economiche.
Nel medesimo tempo non pochi siciliani raggiungevano fama ed onori, e tra questi ricordiamo Bellini nella musica, Pugliesi, Landolina e Mangiameli nelle scienze; Tranchina nella medicina; Malvastra nel diritto romano; Bivona nella botanica; Ferdinando Lucchesi Palli nell’economia; Tarallo, Bertini, Morso, nelle opere storiche, scienze e musica e così via.

Giuseppe Testa  Il “Vicerè” dei Borboni, pag. 57.

fonte https://www.inuovivespri.it/2019/06/08/schegge-di-storia-9-non-contenti-di-aver-derubato-banco-di-napoli-e-banco-di-sicilia-i-savoia-depredano-il-sud-con-nuove-tasse/


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Schegge di storia 8/ Il falso storico del bombardamento di Messina disonestamente attribuito a Ferdinando II di Borbone

Posted by on Lug 9, 2019

Schegge di storia 8/ Il falso storico del bombardamento di Messina disonestamente attribuito a Ferdinando II di Borbone

Questa rubrica – curata da Giovanni Maduli – ci racconta, attraverso scritti e testimonianze, la storia del popolo del Sud che si ribellava all’occupazione da parte dei piemontesi dopo la ‘presunta’ unificazione italiana. Sono testimonianze incredibili di un genocidio che ancora oggi viene tenuto nascosto. Oggi parilaimo di Ferdinando II di Borbone al quale la storia italiana risorgimentale scritta dai vincitori ha attribuito il nome di “Re Bomba” per via del bombardamento di Messina. Un falso storico. Vediamo come sono andate le cose 

di Giovanni Maduli
componente della Confederazione Siculo-Napolitana e vice presidente del Parlamento delle Due Sicilie-Parlamento del Sud®, Associazione culturale

Continuando l’excursus di testimonianze relative al periodo post unitario che difficilmente possono essere soggette a “interpretazioni” o “valutazioni” diverse da ciò che effettivamente sono e denunciano, ecco altre testimonianze circa il cosiddetto “Bombardamento di Messina” del 1848, vigliaccamente attribuito a Ferdinando II che, da allora, venne soprannominato ingiustamente “Il Re Bomba”; su quanto avveniva in quegli anni a Trapani, Girgenti, Sciacca, Favara, Bagheria, Calatafimi e Marsala e su quanto avveniva nel corso del 1861 in quel di Campobasso.

“Mi si perdoni quest’orgoglio municipale cito l’esempio di Messina, che con 25 cannoni, fra i quali uno solo da 36, e undici mortai resistè tre mesi alle scariche di una fortezza guarnita da 200 cannoni di grossissimo calibro e da più che 50 mortai. Ma questi effetti prodigiosi non si ottengono senza prodigiosi sacrifizj, e quel popolo ha veduto con indifferenza convertirsi in mucchi di rovine i suoi palazzi e le sue case, arsa la pubblica biblioteca, arsi i ricchissimi depositi del suo portofranco, né ha esitato a rovinare ed ardere colle proprie mani tutti quelli edifizi che portavano impedimento alla difesa o che potevan servire di riparo agli offensori.”
Giuseppe La FarinaDella guerra attuale e degli ultimi casi del Veneto, Roma 1848, Lettera politica, emessa il 4luglio 1848, p. 7.

“Il furioso Giuseppe La Farina, orgoglioso delirando affermerà ai suoi astanti, che era necessario l’estremo sacrifico per una buona causa: bruciando la pubblica biblioteca, i ricchissimi depositi del suo Porto Franco, rovinando con le proprie mani tutti quegli edifici che potessero servire ai borbonici. Con pochi colpi di pennello, Giuseppe La Farina stava raffigurando ai rivoluzionari veneti la strategia messa in opera su Messina dalle forze fraterne. Altro che livore napoletano, altro che stragi invereconde commesse dai Borbone, i veri assassini di Messina furono le bande armate siciliane e una parte avvelenata dei suoi stessi figli. Così accadde che i liberali siciliani incendiarono le case, sventrando i palazzi, profanando le chiese se questo faceva comodo ai loro progetti; egli lo afferma con la sua bocca e lo pone a paragone, in rapporto alle azioni commesse dai suoi amici, presso il campo di battaglia trovato dentro le strade di Messina. Per una causa giusta, tutto era sacrificabile persino la vita di quelli con cui condivideva i natali”.
Alessandro Fumia, Messina, la capitale dimenticata, Magenes Edizioni, pag. 229.

“Non tutta la Sicilia era contro il governo di Napoli, questa verità si può elaborare, individuando quel corpo estraneo nel partito contro rivoluzionario. Le forze liberali fomentate dall’aristocrazia siciliana ostile al casto dei Borbone, per le ragioni più svariate, fin dal tempo in cui re Ferdinando ebbe a risanare il debito pubblico delle Due Sicilie, intaccando i privilegi e azzerando i monopoli, trovarono la predisposizione mentale di alcuni possidenti di Palermo, ad aprirsi alle richieste dei liberali siciliani, assecondati dalla corona britannica per sovvertire il governo legittimo. Messina da tutto ciò ne subiva il danno maggiore perché con la discesa in campo di queste forze, sarebbero saltate quelle leggi che le avevano permesso di aumentare notevolmente i suoi traffici e le sue finanze.
… La rivolta checché se ne pensi non fu movimento di popolo, ma la discesa in campo di un partito siciliano espressione di una minoranza, legatosi con una burocrazia italiana ai tempi sconosciuta, rimandando il tempo dell’invasione posto in essere dagli ideologici siciliani. La verità non è legittimata con la discesa in campo dei militari napoletani vittoriosi nella campagna militare del 1848-1849. Non furono i soldati ad annientare Messina, se nonché gli stessi siciliani che si dichiararono suoi liberatori”.
Alessandro FumiaMessina, la capitale dimenticata, Magenes Edizioni, pag. 228.

Inoltre, eseguendo una dettagliatissima e lunghissima disamina tecnica dei campi di battaglia intorno a Messina, delle postazioni dei cannoni siciliani e della loro gittata; nonché dei cannoni regi, delle loro postazioni e della loro gittata – disamina che non posso qui riportare per ovvii motivi di spazio – il Fumia dimostra inequivocabilmente che i cannoni regi della Cittadella non avrebbero mai potuto colpire le case di Messina in quanto non disponevano della (eventuale) gittata utile.
G.M.

“Il proclama e la condotta del militare di Licata furono imitati a Trapani, Girgenti, Sciacca, Favara, Bagheria, Calatafimi, Marsala, ove fu distrutto anche il raccolto del vino, e in altri comuni”.
E l’acqua mancò per un’intera settimana!
Sempre D’Ondes Reggio, nella tornata del 7 dicembre 1863, “dà lettura dell’ordinanza d’un altro comandante piemontese che dispone l’arresto di tutti coloro da’ cui volti si sospetti d’essere coscritti di leva, e anche l’arresto dei genitori e dei maestri d’arte dei contumaci”.
“Questo avveniva a Palermo: i cittadini ricorsero al Prefetto che rispose nulla sapere e nulla potere! In una città di 230 mila anime, il capo del governo nulla sa, nulla può!”
“Questa lunga Iliade finiva con due catastrofi: la prima fu quella di Petralia: una capanna fu circondata dalla truppa, non per trovare un coscritto, ma per chiedere informazioni; gli abitanti erano tre, padre, figlio e figlia, e questi tre furono bruciati vivi per non aver voluto aprire!”.
Michele Antonino CrociataSicilia nella storia, Tomo II, pag. 112.

Campobasso, 10 agosto 1861
Il governatore di Campobasso era allarmato e stava in continuo contatto con la Luogotenenza di Napoli e col governatore di Benevento. Cialdini, da Napoli, aveva mandato ordini precisi al generale De Sonnaz: Stroncare col sangue qualsiasi accenno o fermento di ribellione.
Il colonnello del 36° Fanteria ordinò al tenente Cesare Augusto Bracci di portarsi verso Pontelandolfo “per fare argine ai briganti e di battersi solo se sicuro di vincere”.
Alle prime ore dell’alba del 10 agosto il tenente Bracci, a capo di trentasette bersaglieri e cinque carabinieri, partì da Campobasso. Appena fuori dalla città molisana la truppa piemontese cominciò a razziare i campi e le case dei contadini.
Alla stessa ora cinquanta partigiani comandati da Martummè, con i loro cavalli veloci, si diressero verso Guardia Saframmondi, ove disarmarono la guardia nazionale e assalirono la casa del cassiere del comune di Faicchio, prelevando fucili e denaro.


Antonio CianoI Savoia e il massacro del Sud, pagg. 146 – 147

fonte https://www.inuovivespri.it/2019/06/01/schegge-di-storia-8-il-falso-storico-del-bombardamento-di-messina-disonestamente-attribuito-a-ferdinando-ii-di-borbone/

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