Posted by altaterradilavoro on Ott 7, 2019
DAL CAMPO DI PRIGIONIA DI FENESTRELLE I PRIMI NOMI DEI SOLDATI NAPOLETANI MORTI DURANTE LA FORZATA DETENZIONE
tratto da OpenOfficeWriter
Il nostro primo studio sui campi di prigionia
per soldati Napolitani, apparso sulla rivista L’Alfiere, diede origine ad un piú
ampio saggio di Fulvio Izzo sull’argomento (I Lager dei Savoia).
Le due ricerche, integrandosi, sono state alla
base di una nuova messa a fuoco dell’ultima storia militare del Sud
indipendente.
Indro Montanelli negò l’esistenza dei campi di
concentramento al Nord per soldati meridionali durante le fasi costitutive
dell’unità d’Italia; ma, la sua, fu una difesa aprioristica e settaria del
principio risorgimentale perché se avesse avuto voglia di documentarsi, ed i
nostri studi offrivano la bibliografia inoppugnabile, avrebbe potuto consultare
i Carteggi di Cavour, base di partenza per conoscere il problema. Bastava
limitarsi al solo volume dedicato all’indice dei precedenti 15 volumi, per
trovare a pag. 188 il titolo “prigionieri di guerra Napoletani” con l’indicazione
di ben 19 dispacci riportati nel terzo volume “La liberazione del
Mezzogiorno” dove si parla diffusamente dei soldati del Sud e del loro
triste destino.
Piú autorevoli studiosi della materia hanno
invece accolte le nostre ricerche con maggior serietà ed il prof. Roberto
Martucci, storico dell’Università di Macerata, ha scritto con coraggio:
“il silenzio della piú consolidata riflessione storiografica
sull’argomento appena evocato, consentirebbe di ipotizzare l’inesistenza o la
non rilevanza del fenomeno dei prigionieri nelle guerre risorgimentali, anche a
causa della stessa brevità degli eventi bellici di quella fase storica,
generalmente limitati a poche settimane di conflitto”.
Impressione che risulta rafforzata dalla
lettura di testi coevi quali quelli del borbonico Giacinto De Sivo, che dedica
poche righe alla questione, o del liberale Nicola Nisco che in proposito tace.
Meraviglia di piú il silenzio conservato dal giornalista e politico liberale
Raffaele De Cesare, che ha scritto a pochi decenni dagli avvenimenti, sulla
base di testimonianze dirette integrate da un’interessante bibliografia, senza
tuttavia prestare la minima attenzione al problema.
Il fatto poi che neppure il compiuto affresco
legittimista di Sir Harold Acton, tracciato in anni a noi piú vicini, si
riferisca al tema crepuscolare della prigionia, sembrerebbe autorizzare una
presa di distanza dalle poche righe con cui padre Buttà tentò a suo tempo di
sfidare l’oblio dei posteri”.
La questione assume però contorni del tutto
differenti se, abbandonato l’alveo della ricostruzione storiografica, proviamo
ad interrogare quell’inesplorato e vasto microcosmo costituito dall’imponente
Carteggio del conte di Cavour.
Occultati tra migliaia di dispacci troviamo,
infatti, una ventina di documenti che evocano a grandi linee una questione non
marginale, suggerendo approfondimenti archivistici tali da riempire una pagina
restata finora bianca nella storia militare dell’unificazione italiana.
Essi aprono anche interessanti prospettive di
ricerca riguardo alle relazioni interpersonali tra settentrionali e meridionali
e all’uso di alcuni stereotipi divenuti di uso frequente nei decenni
postunitari, per qualificare gli appartenenti ai ceti piú umili del cessato
Regno delle Due Sicilie.
Sottoscriviamo le parole dello storico con una
riserva: la conoscenza del problema relativo alla prigionia dei soldati
Napolitani colmerà certamente “una pagina restata finora bianca nella
storia militare dell’unificazione italiana” ma andrà a formare, principalmente,
il capitolo ricostruito a peritura vergogna di una classe politica e di una
dinastia che unificarono in quel modo, “col ferro e col fuoco”, Stati
di tradizione italiana di gran lunga superiore a quella del Piemonte.
Tornando ai nostri studi dobbiamo registrare un
passo in avanti della ricerca, divenuta ormai un tema caro a tanti studiosi che
si sentono eredi, oltre che discendenti, del cessato Regno delle Due Sicilie.
Il passo in avanti riguarda la situazione del campo di concentramento di
Fenestrelle.
Questo luogo, situato a quasi duemila metri di
altezza, sulle montagne piemontesi, divenne la base di raggruppamento dei
soldati borbonici piú ostinati: quelli, per intenderci, che non vollero finire
il servizio militare obbligatorio nell’esercito sabaudo, quelli che si
dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta
resistenza ai piemontesi.
Il luogo non era nuovo a situazioni del genere
perché già Napoleone se ne era servito per detenervi i prigionieri politici ed
un illustre Napoletano, don Vincenzo Baccher, il padre degli eroici fratelli
realisti fucilati dalla repubblica partenopea il 13 giugno del 1799, vi aveva
passato 9 anni, dal 1806 al 1815, tornando a Napoli alla venerabile età di 82
anni.
A Fenestrelle, quindi, giunsero i primi
“terroni” ed in questo luogo molti di essi cessarono di vivere. Il
numero di coloro che trovarono la morte non è certo perché le cronache locali
parlano di migliaia di soldati prigionieri morti ma non registrati. I loro
corpi venivano gettati, “per motivi igienici”, nella calce viva
collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all’ingresso
del Forte. Il personale addetto alla fortezza conferma ancora oggi l’esistenza
della vasca.
Ma a Fenestrelle funzionava anche un ospedale
da campo dove furono ricoverati alcuni prigionieri. Coloro che morirono
nell’ospedale vennero annotati nel libro dei morti di Fenestrelle e la
Provvidenza ha permesso che alcune annate del libro parrocchiale dei morti si
sia potuto consultare, anche se molto velocemente.
Il dottor Antonio Pagano, accompagnato dal dott
Piergiorgio Tiscar, discendente del maggiore don Raffaele Tiscar de los Rios,
capitolato a Civitella del Tronto, recatosi il 22 maggio scorso a Fenestrelle
in sopralluogo per organizzare la commemorazione dei nostri prigionieri che si
terrà sabato 24 giugno, ha visionato il libro dei morti ed ha stilato
velocemente l’elenco che ora si pubblica.
I registri del 1860 e del 1861 sono scritti in
francese ed i nostri soldati vengono definiti “prigionieri di guerra
napoletani”.
I registri del 1862, del 1863, del 1864 e del
1865 sono scritti in italiano e definiscono i prigionieri morti “soldati
cacciatori franchi”.
Mancano all’appello i registri dal 1866 al 1870
perché prestati ad uno studioso di Torino. Avremmo modo, in futuro, di colmare
la lacuna e correggere eventuali errori di trascrizione
Elenchiamo ora i nomi dei nostri Caduti con
religiosa emozione al fine di restituire alla loro memoria, dopo 140 anni, gli
onori ed il rispetto che meritano per il sacrificio sopportato.
ANNO 1860
1. Garloschini Pietro, m. 1.10, di Montesacco (?)
2. Conte Francesco, m. 11.11, di Isernia, anni 24
3. Leonardo Valente, m. 23.11, di Carpinosa, anni 23
4. Palatucci Salvatore, m. 30.11, di Napoli, anni 26
5. Suchese (?) Francesco, m. 30.11, di Napoli
ANNO 1861
1. Scopettino Matteo, m. 24.8, di Chieti, anni 22
2. Miggo Salvatore, m. 7.10, di Galatina (Lecce) anni 24
ANNO 1862
1. Donofrio Carmine, m. 16.1, di Villamagna (Chieti) , anni
27
2. Caviglioli Marco, m. 29.1, di Cosciano (?)
3. Palmieri Biagio, m. 5.2, di Teano, anni 23
4. Visconti Domenico, m. 16.4, di Cosenza, anni 28
5. Mulinazzi Francesco, m. 20.7, di Benevento, anni 24
6. Gentile Rocco, m. 24.7, di Avellino, anni 25
7. Leo Vincenzo, m. 18.9, di Veroli (Frosinone), anni 26
8. Lombardi Nicola, m. 25.9, di Modigliano (?)
9. Vettori Antonio, m. 7.11, di Amantea, anni 26
ANNO 1863
1. Mazzacane Cristoforo, m. 18.2, di (?)
2. Pripicchio Raffaele, m. 21.3, di Paola, anni 23
3. Giampietro Giovanni, m. 9.5, di Moliterno, anni 28
4. Milotta Giuseppe, m. 23.5, di Sala, anni 24
5. Spadari Ruggero, m. 25.5, di Barletta, anni 24
6. Serbo Tommaso, m. 17.8, di Triolo – Gareffa (?), anni 26
7. Gaeta Giordano, m. 11.10, di Pellizzano (Salerno), anni
32
8. Gorace Domenico, m. 15.12, di Palma, anni 32
9. Grossetti Angelo, m. 23.12, di Mura (Vestone), anni 25
ANNO 1864
1. Masareca Giuseppe, m. 20.1, di Basilicata, anni 22
2. Morino Santo, m. 29.1, di Mussano (Lecce), anni 26
3. Pastorini Andrea, m. 16.2, di Maregno (?), anni 27
4. Montis Salvatore, m. 24.4, di Tramalza (?)
5. Palermo Giovanni, m. 12.5, di Atripalda, anni 32
6. Cirillo Salvatore, m. 17.5, di Boscotrecase (Napoli), anni
32
7. Pellegrini Massimiliano, m. 11.6, di Colorno (?), anni 26
8. Mossetti Antonio, m. 5.7, di Montalbano Jonico, anni 22
9. Di Giacomo Pasquale, m. 8.7, di Sessa Aurunca, anni
23
10. Giannetto Antonio, m. 19.7, di Zarca (?), anni 30
11. Davarone Francesco, m. 25.7, di Avellino, anni 26
12. Carpinone Cosimo, m. 4.11, di Fossaceca, anni 31
13. Bononato Carmelo, m. 17.11, di Belvedere, anni 27
14. Melloni Antonio, m. 20.11, di Sersini (?), anni 24
ANNO 1865
1. Laise Nunziato, m. 25.1, di Cetrara, anni 24
2. Barese Sebastiano, m. 30.1, di Montecuso, anni 26
3. Catania Angelo, m. 11.2, di Ischitella, anni 22
4. Pessina Luigi, m. 21.2, di Gragnano, anni 27
5. Mossuto Giuseppe, m. 1.4, di Moriale, anni 25
6. Guaimaro Mariano, m. 8.4, di Sala Consilina, anni 30
7. Torrese Andrea, m. 11.5, di Avenza, anni 21
8. Colacitti Salvatore, m. 15.5, Montepaone, anni 24
9. Santoro Giuseppe, m. 20.5, di Sattaraco (?), anni 27
10. Tarzia Pietro, m. 31.5, di Valle d’Olmo, anni 24
11. Palmese Tommaso, m. 6.9, di Saviano, anni 24
12. Ferri Marco, m. 11.10, di Venafro, anni 24
Elenco compilato a Fenestrelle
Il giovedí 25 maggio 2000, alle ore 12,30, da:
– Antonio Pagano
– Pier Giorgio Tiscar
Questi soldati del Sud finirono i loro giorni
in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso ricordo e la
struggente nostalgia della Patria lontana.
Erano poco piú che ragazzi: il piú giovane
aveva 22 anni, il piú vecchio 32.
Se non fossero stati relegati a Fenestrelle
probabilmente sarebbero divenuti “briganti” e, forse, anche per
questo motivo, furono relegati a Fenestrelle, fortezza del liberale piemonte,
dove, entrando, su un muro è ancora visibile l’iscrizione: “OGNUNO VALE
NON IN QUANTO E’ MA IN QUANTO PRODUCE” . Motto antesignano del piú celebre
e sinistro slogan che si poteva leggere nei lager nazisti: “ARBEIT MACHT
FREI”.
Non deve destare meraviglia l’abbinamento
perché la guerra del risorgimento, come ha giustamente osservato di recente
Ulderico Nisticò, fu una guerra ideologica. E la guerra ideologica non può che
concludersi con lo sterminio del “nemico”.
FRANCESCO MAURIZIO DI GIOVINE
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