Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Le Due Sicilie e il mare

Posted by on Lug 5, 2019

Le Due Sicilie e il mare

1734: LA RINASCITA

Amico, cominciamo anche noi ad avere una patria, e ad intendere quanto vantaggio sia per una nazione avere un proprio principe. Interessianci (interessiamoci, ndr) all‘onore della nazione. I forestieri conoscono, e il dicono chiaro, quanto potremmo noi fare se avessimo miglior teste. Il nostro augusto sovrano fa quanto può per destarne” (A.Genovesi, Lettera a Gioseppe De Sanctis, 3 agosto 1754). Il Sovrano di cui il Genovesi tesseva l’elogio era nientedimeno colui che aveva restituito la patria ai Duosiciliani nel 1734, il grande, indimenticabile Re Carlo III.

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Cominciò con Garibaldi lo sfascio della nostra economia

Posted by on Giu 22, 2019

Cominciò con Garibaldi lo sfascio della nostra economia

In una seconda lettera indirizzata sempre a Disraeli e datata 10 ottobre 1861, Ulloa torna sul saccheggio e la dilapidazione dei fondi del Tesoro e dell’allora Banco delle Due Sicilie, più tardi chiamato Banco di Napoli.

Scrive Ulloa: “Un governo esercita sempre una certa influenza sugli affari finanziari, commerciali ed industriali, ma sotto Garibaldi… lo sciupìo, mercé l’imperiose richieste del Signor Bertani ed alle ricompense, che si aggiudicavano essi stessi gli emigranti ed i militari, prese proporzioni tali che si vide tosto nella impossibilità di soddisfare ai bisogni del Governo e della Guerra”.

Lo stesso dittatore prelevava a piene mani somme ingenti, che poi distribuiva ai suoi favoriti.

Gli emigrati rientrati dall’esilio ottenevano per se stessi e per i loro familiari “somme enormi, come sollievo delle passate sofferenze”.

Raffaele Conforti, ministro per soli 40 giorni nel 1848, prese 300000 franchi, somma equivalente allo stipendio che avrebbe si e no percepito quale ministro in dodici anni ininterrotti di governo!

Antonio Scialoja prese per sé e per suo padre appena 200000 franchi, firmando addirittura egli stesso l’ordine di prelevamento. Furono pagate somme ingenti per stipendi ai nuovi funzionari, pensioni di ritiro accordate con larghezza a quanti avevano perduto il posto con l’esilio. Filippo Agresta, ex sottotenente di fanteria divenuto direttore delle dogane con Garibaldi, si ritirò dopo un mese soltanto da questo impiego con una rendita di 12000 franchi, equivalente alla totalità dei suoi stipendi maturati alla fine della carriera dopo una vita di lavoro al servizio dello stato.

Altro caso fu quello di Pier Silvestro Leopardi, che per due soli mesi nel 1848 aveva ricoperto la carica di inviato di Ferdinando II presso Carlo Alberto per concordare le clausole del patto di alleanza tra Napoli e Torino per la guerra all’Austria, “ottenne un ritiro di 18000 franchi” (il trattamento di un ministro plenipotenziario) e poco dopo “un altro impiego copiosamente ricompensato”, che naturalmente andò a cumularsi al precedente.

Un magistrato, Aurelio Saliceti, con dieci anni di servizio si fece liquidare il trattamento di consigliere di Cassazione, grado cui non apparteneva, pur se le leggi prevedevano il “ritiro con sussidio” con un minimo di 20 anni di carriera, mentre si otteneva l’intero stipendio solo dopo 40 anni di servizio compiuti.

Mariano d’Ayala, ex luogotenente d’artiglieria, si autoproclamò generale e si prese un appartamento nel Palazzo Reale.

Tali soggetti sono tutti magnificamente citati, con espressioni altamente magnificanti, nel “Dizionario del Risorgimento Nazionale”, Vallardi 1930, come uomini integerrimi e dediti unicamente al bene della Patria, alla quale hanno sacrificato ogni cosa, con esclusione però delle somme prelevate o fattesi versare dalle casse pubbliche quale modesto e parziale risarcimento per le pene sofferte in nome di sì nobile Ideale!

Pensioni di ritiro così facilmente concesse, nuovi stipendi ed aumento dei vecchi, gravarono il Tesoro di ben 10 milioni di franchi. Si sovvenzionarono i comitati di Livorno e Genova, alla società Rubattino si pagarono 4800000 franchi quale risarcimento del piroscafo “Cagliari”, che tra l’altro era stato restituito all’armatore, per i vapori “Lombardo” e “Piemonte” (quelli della spedizione dei Mille) e per quello affondato dalla marina napoletana.

Un costo enorme fu l’esborso per il plebiscito, anche perché gli agenti incaricati di far proseliti con offerte in denaro tennero per loro le somme ricevute, distribuendone il meno possibile.

Un direttore e due segretari di Stato si presero ben 2000000; secondo le accuse della stampa Carlo De Cesare, Ferrigni, Tranchini, Magliano ed altri intascarono la somma di 400000 franchi, e non sembra abbiano querelato per calunnia i periodici che li accusavano.

A fine settembre le casse erano ormai vuote.

Dittatore e pro-dittatore prelevavano continuamente, con un semplice biglietto scritto e senza fornire alcuna giustificazione.

I militari garibaldini, sotto la minaccia delle armi, si facevano aprire le casse del Banco e prelevavano; i volontari, appena ricevuti gli effetti personali li rivendevano, spesso agli stessi fornitori, facendosene dare di nuovi, a nulla valendo le minacce del Generale Livio Zambeccari, che tentò di porre fine a questo sconcio.

Chiunque indossasse una camicia rossa poteva permettersi qualsiasi cosa. Un ufficiale superiore garibaldino fece passare il figlio di sei anni per ufficiale, facendogli pagare “due mesi di soldo” dalla banca.

I commissari di guerra ordinarono, pagati dal Tesoro e mai distribuiti alle truppe, ben 72000 cappotti per “l’armata meridionale” (i garibaldini) che contava circa 25000 uomini.

I comandanti dei reparti saccheggiavano i depositi militari borbonici, vendendone il materiale ai fornitori che, a loro volta, lo rivendevano al ministro della Guerra di Garibaldi!

Quando giunsero i Piemontesi l’armata meridionale fu sciolta, ed i volontari allora si precipitarono in Banca per riscuotere “il soldo arretrato”, ed i pagamenti furono fatti sopra semplici atti di presenza, senza alcuna firma dei superiori o degli uffici responsabili.

Se gli impiegati facevano qualche minima opposizione o chiedevano spiegazioni, le armi impugnate minacciosamente facevano ottenere ai baldi eroi quanto richiesto.

Nel 1861, dopo mesi dallo scioglimento dei reparti di volontari, si pagarono ancora a costoro ben 4 milioni di franchi, sempre prelevati dalle casse meridionali.

Con l’amministrazione piemontese il debito pubblico aumentò di altri 5 milioni, mentre turbe di funzionari calarono dal nord come sciami di locuste, avide di sostanziose indennità e pingui stipendi.

Il Prefetto di Napoli, oltre allo stipendio da Generale, cumulava anche quello di Prefetto, più 12000 franchi per spese di rappresentanza, oltre alla disponibilità di appena due splendidi palazzi.

Un consigliere di luogotenenza alloggiò in un appartamento reale, e si fece concedere 60000 franchi per spese di ristrutturazione e per la costruzione di un teatro: evidentemente, abituato a vivere in chissà quale imperiale dimora in Piemonte, non era soddisfatto dell’alloggio.

Alessandro Dumas, il noto romanziere francese al quale per suo uso era stato ceduto un palazzo della Corona, ottenne 900000 franchi, oltre a pranzare, cacciare e divertirsi altrimenti a spese dell’antica lista civile (antico nome del patrimonio comunale). Sostenne che tale considerevole somma gli era stata versata per aver provveduto all’acquisto, a Marsiglia, di revolver per l’armata di Garibaldi, anche se tutte le fabbriche d’armi della città non sarebbero state in grado, nemmeno lavorando giorno e notte per un anno, di fornire una quantità di rivoltelle corrispondente all’importo a lui liquidato.

Nell’ex Regno si attendeva ancora quanto promesso dai piemontesi: le sale d’asilo, le scuole, il collegio del popolo, le casse di risparmio, le casse di depositi e prestiti, il credito finanziario.

Il governo di Torino distruggeva presso la clientela la fiducia che godeva il Banco delle Due Sicilie per le somme in esso depositate, tanto che il pubblico cominciò a ritirarle: infatti, mentre al 27 agosto del 1860 i depositi ammontavano a 77205000 franchi, un mese dopo erano già scesi a 50563244, il 28 gennaio 1861 a 31600460, ed infine il 13 aprile dello stesso anno si erano ridotti a 27394896 franchi.

I metalli conservati nello stabilimento della Zecca di Napoli, “il primo… di questo genere, dopo quelli di Vienna e di Londra”, furono trasferiti a Torino, in modo che le coniazioni da quel momento fossero eseguite nella capitale Sabauda.

Moriva così, come tante altre rinomate istituzioni meridionali, una delle più antiche e famose zecche europee.

La circolazione monetaria degli antichi stati italiani al momento dell’annessione piemontese:

Calcolato in Lire 1861

Regno
delle Due Sicilie
Lit.
(del 1861) 443.200.000
Lombardia
e
Venezia
Lit.
(del 1861) 20.800.000
Regno
di
Sardegna (Piemonte)
Lit.
(del 1861) 27.800.000
Stato
Pontificio e
Legazioni
Lit.
(del 1861) 90.600.000
Granducato
di
Toscana
Lit.
(del 1861) 85.200.000
Ducato
di Parma e
Piacenza
Lit.
(del 1861) 1.200.000
Ducato
di
Modena
Lit.
(del 1861)
400.000

Bilancia Commerciale degli antichi stati italiani

Regno
delle Due Sicilie
Lit.
(del 1861) +40.768.374
Lombardia
Lit.
(del 1861) +42.453.383
Umbria
e
Marche
Lit.
(del 1861) +11.359.704
Piemonte
Lit.
(del 1861)-84.972.630

Non occorre certo commentare queste cifre: il Piemonte con l’operazione unità d’Italia ripianò il suo debito pubblico ed il suo deficit commerciale.

Francesco II, lasciando Napoli disse profeticamente: “Non vi resteranno nemmeno gli occhi per piangere”, non si sbagliava.

Gaetano Fiorentino

Da “Il SUD Quotidiano” del 24/1/98

fonte http://www.adsic.it/2000/11/25/comincio-con-garibaldi-lo-sfascio-della-nostra-economia/#more-304

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Anti-Risorgimento e intellettualità italiana

Posted by on Mag 31, 2019

Anti-Risorgimento e intellettualità italiana

Una ricostruzione a grandi linee della cultura italiana che da posizioni ideali diverse e differenziate, si oppose al processo unitario e risorgimentale, così come esso veniva elaborato nei disegni ed è stato attuato nei fatti dalla minoranza liberale e democratico-sociale fra il 1800 e il 1870

In memoria di Silvio Vitale
(1928-2005)

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Non lo sapevo. Napoli 1860: prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali

Posted by on Mar 29, 2019

Non lo sapevo. Napoli 1860: prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali

Inebriante, magica, potente, rilassante, fonte d’amore puro ed incondizionato, la musica, una delle mille sfaccettature dell’arte, ci accompagna da sempre, in ogni singolo istante della vita. Ha un potere disarmante, riesce a mettere di buonumore anche gli animi più tormentati ed a mettere d’accordo quasi tutti, almeno per un attimo. Difficile non essere rapiti da determinate melodie e da testi ed interpretazioni profonde e magistrali, che in qualche modo evocano ricordi o cadono a pennello in determinati periodi della vita, rispecchiando i più svariati stati d’animo.

Da sempre ha segnato le epoche, i periodi storici, conferendo quel tocco in più che solo la musica e poche altre cose possono dare. Napoli, città dalle mille sfaccettature e dai mille volti, non poteva esimersi dall’imponenza della musica: vanta un patrimonio

musicale notevole, le cui radici affondano in tempi antichi e remoti. La musica prende forma attraverso le voci di chi, con doti innate ed anni di studio “matto e disperatissimo” sulla scia leopardiana, cerca di fare o ha fatto della musica il proprio lavoro: tenori, cantanti, coristi, maestri di canto, direttori d’orchestra e così via. Ma ci sono anche altri “veicoli” attraverso i quali la musica si concretizza: un esempio calzante è il Conservatorio Musicale, definito tecnicamente come “una struttura atta all’istruzione musicale cui accedere tramite una prova d’ammissione” come stabilito dall’articolo 33 della nostra Costituzione che attribuisce piena autonomia a tali strutture.
Diversamente dal passato, periodo in cui era una struttura gratuita, gestita dal Clero per ospitare ragazzi in condizione disagiate, quali orfani o poveri, oggi il Conservatorio Musicale è un luogo di aggregazione tra persone che condividono la stessa passione e che hanno la stessa voglia di imparare ed apprendere ogni segreto legato ai meandri della musica.

Come ogni forma d’arte, il Conservatorio ha una sua storia artistica e culturale. Torniamo per un attimo indietro nel tempo, al lontano 1500 fino al 1700-1800, ripercorrendo i punti salienti della storia dei primi quattro convervatori fondati e nati a Napoli: il Conservatorio di Santa Maria Loreto, di Sant’Onofrio a Capuana, della Pietà dei Turchini e dei Poveri di Gesù Cristo. Un tuffo nel passato, accompagnato dalla musica, diventa più invogliante e piacevole.

Nel 1700, il secolo dei Lumi, segnato da grandi trasformazioni a livello economico e demografico, in cui si concentrano gli anni di massimo splendore del Regno di Napoli, i più illustri e bravi insegnanti, maestri e docenti

operavano nei quattro conservatori napoletani per “istruire” vocalmente i cantanti, provenienti soprattutto da zone al di fuori dell’area partenopea. I conservatori nacquero però a partire dalla metà del 1500, il secolo del Rinascimento, ricco dal punto di vista letterario ed artistico, in cui si è concentrata maggiormente la lunga e discordante questione della lingua italiana e dominato da una cultura prevalentemente laica, del Manierismo, dal classicismo aristocratico contrapposto a sperimentalismi radicali.
Come già accennato, ognuno di essi nacque inizialmente come luogo di accoglienza per i ragazzi disagiati. Per otto anni consecutivi di studio intenso ed esercitazioni vocali e strumentali, i ragazzi, fin dalla tenera età, oltre a portare avanti ed a termine i loro studi in ambito umanistico e scientifico, trascorrevano un periodo di totale full immersion nel mondo della musica, ascoltando oltretutto i grandi cantanti, da cui ispirarsi o apprendere nuove tecniche.
Fu così che i conservatori diventarono delle scuole di musica a tutti gi effetti, racchiudendo in sé tutta la bellezza e magnificenza che tutt’oggi conosciamo.

Il conservatorio di Santa Maria Loreto

L’incisione sull’arco “Un dì ad Apollo ad Esculapio or Sacro” nello spazio che ospita l’ospedale su Via Marina, a Napoli, è una grande testimonianza dei tempi andati: ci riporta immediatamente indietro nel tempo, nel lontano 1537, anno in cui fu fondato il Conservatorio di Santa Maria Loreto il più antico tra i quattro.
Nel 1535 un artigiano di nome Francesco costruì una cappella adiacente alla Chiesa di Santa Maria di Loreto per aiutare i bambini orfani e poveri. Nel 1537 il protonario spagnolo Giovanni di Tapia costruì a sua volta un orfanotrofio, trasferito poi in un’altra sede per ampliare lo spazio a disposizione e trasformarsi poi col tempo in una vera e propria scuola di musica.
Il conservatorio fu frequentatissimo: ben 1500 ragazzi, principalmente napoletani ma anche proveninti da doverse zone della Spagna, Francia e Sicilia, tra il 1560 ed il 1570, varcarono i corridoi del conservatorio, come attestato negli storici registri. Solo a partire dalla fine del 1600 il conservatorio diventò del tutto operativo ed i fondi erano costituiti dalle offerte e dal “Cippo”, un salvadanaio di legno dove i mercanti del borgo destinavano un obolo ai piccoli diseredati.
Per tale motivo, alla fine del Seicento, in seguito all’esigenza di ottenere i massimi risultati, insegnarono i migliori didatti: Durante, Provenzale e Nicola Porpora edi più famosi castrati, come Caffarelli, Farinelli, Porporino e altri. Uno degli allievi più bravi fu Domenico Cimarosa.

Conservatorio della Pietà dei turchini

Il conservatorio della Pietà dei Turchini

Nel cuore di Via Medina, nel 1583, fu fondato il Conservatorio della Pietà dei Turchini, nato inizialmente come orfanotrofio, grazie all’intervento dei frati della Chiesa della Pietà, appartenenti alla confraternita dei Bianchi dell’Incoronatella. Il nome fu cambiato in “Conservatorio Santa Maria della Pietà dei figlioli”, in riferimento ai piccoli ospitati che dopo la castrazione (praticata per la maggior di loro per una performance canora più efficace) venivano chiamati “turchini”, aggettivo attribuito in base al colore dei loro vestiti e del berretto.
Nel 1807 fu trasformata nel “Real collegio di Musica”, diventato a sua volta l’attuale conservatorio di San Pietro a Majella. A partire dal XVII secolo il conservatorio diventò operativo dal punto di vista musicale: dal 1615 al 1622 l’insegnante fu Don Lelio d’Urso, succeduto da Giovanni Maria Sabino, dal 1622 al 1626, ufficiale maestro di cappella. Tra gli insegnanti più illustri, figurano i nomi di Francesco Provenzale, Nicola Fago e Leonardo Leo. I cantanti e strumentisti più capaci furono istruiti vocalmente proprio all’interno del conservatorio, destinati poi al Real Teatro di San Carlo.  Rispetto agli altri conservatori, quest’ultimo prestava pià attenzione al benessere dei ragazzi ospitati, mettendo a disposizione servizi spaziosi, dormitori e viveri, più cure mediche.

Il Conservatorio di Sant’Onofrio a Porta Capuana

Sulla scia degli altri due e sempre per fini caritatevoli e d’accoglienza verso i più disagiati, nel 1578, nacque la “Congregazione delle Vesti Bianche”.
Nel 1653 diventò una scuola di musica, sotto il nome di Conservatorio di Sant’Onofrio a Porta Capuana, con undici alunni, un maestro di cappella e maestri di canto, che istruiva principalmente oratori e putti cantori per le processioni.
Tra la fine del 1600 ed il 1700, i grandi maestri Angelo Durante e Cristoforo Caresana, Girolamo Abos, Nicola Fago e Nicola Sabini lavorarono duramente e severamente per ottenere i massimi risultati, contro la concorrenza di tre istituti. Loro degni eredi furono: Giacomo Insanguine. Joseph Doll, Carlo Cotumacci, Giovanni Furno e Salvatore Rispoli.

Il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo

Dulcis in fundo, ma non di minore rilevanza rispetto agli altri, Il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo fu l’ultimo ad essere fondato, per volere di Marcello Fossataro, un monaco francescano sempre animato da scopi caritatevoli nei confronti dei ragazzi vagabondi e dispersi tra le strade di Napoli.  Tra gli insegnanti, ricordiamo Gaetano Greco, il Porpora, il Feo, l’Abos. Uno degli allievi più bravi, dalle doti innate, seguite da studio e dedizione, fu Giambattista Pergolesi.

Dalla sua fusione insieme agli tre nacque l’attuale Conservatorio di San Pietro a Majella. All’interno dell’edificio c’è una targa che riporta queste parole: “Questo antico edificio, già venerabile convento dei padri celestini di San Pietro a Majella nel 1826 per volontà di Francesco re delle Due Sicilie fu destinato ad accogliere la gloriosa scuola napoletana ed a conservare le preziose testimonianze degli antichi conservatori dei Poveri di Gesù Cristo, Santa Maria di Loreto, Sant’Onofrio a Capuana, Pietà dei Turchini.”

Purtroppo agli anni prosperi susseguirono gli anni più difficili che portarono alla soppressione dei quattro conservatori: quello dei Poveri di Gesù Cristo fu l’ultimo ad essere fondato ma il primo ad essere soppresso, nel 1743. A seguire stessa sorte toccò agli altri tre.
Quando si parla di musica e relativi conservatori, oltre al tuffo nel passato per ricordare uno dei numerosi primati del Regno delle Due Sicilie, è doveroso citare l’attuale Conservatorio di San Pietro a Majella, dove sono conservati gli archivi dei tre antichi conservatori, ad eccezione di  quelli del Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, gestiti dall’Archidiocesi. A ridosso c’è anche un’omonima e fornita biblioteca che propone i più svariati testi in materia di storia musicale. Importante anche il Conservatorio di Salerno, dove ogni anni vengono formati numerosi giovani talenti che si apprestano ad approcciarsi al mondo artistico e musicale.

All’interno del libro “Napoli e Suo Contorno”, Giuseppe Galanti ha commentato con queste parole i Conservatori del 1700, scrivendo: “Napoli ha oggi tre scuole di musica vocale e strumentale, i cui allievi vestono un uniforme talare. Quelli di Santa Maria di Loreto vestono di bianco, quelli della Pietà di Turchino per cui dei Turchini, quelli di Sant’Onofrio di bianco e color pulce. Vi era prima una quarta scuola di rimpetto li Gerolomini detta dei Poveri di Gesù Cristo, ed il Cardinale Spinelli Arcivescovo di Napoli, la convertì in seminario di preti della sua diocesi. Oggi le suddette scuole allevano circa 230 giovani da esse sono usciti i più gran musici del mondo, che colla loro melodia divina, hanno fatto stupore alle altre nazioni. I più gran musici compositori della musica si hanno di distinguere quelli che sono stati capi di Scuola per il loro genio, da quelli che sono stati addetti ad un genere di composizione … “.

Si conclude il viaggio tra i meandri degli antichi conservatori, con un video che ci riporta ai giorni nostri, ripercorrendo la storia del conservatorio di San Pietro a Majella.

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=CsRDgry_YVs[/youtube]

Testo di riferimento:
“I quattro antichi Conservatorii di musica a Napoli / S. di Giacomo”, Salvatore Di Giacomo, Sandron Editore

fonte https://www.vesuviolive.it/cultura-napoletana/grande-sud/63634-non-lo-sapevo-napoli-1860-prima-citta-ditalia-per-numero-di-conservatori-musicali/

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Fra’ Diavolo, eroe della Patria di Alfredo Saccoccio

Posted by on Mar 4, 2019

Fra’ Diavolo, eroe della Patria di Alfredo Saccoccio

   Lo scorso 2 marzo, alle ore 17, presso la sala consiliare del Comune di Itri, si è tenuta la presentazione del libro “Storia della spedizione dell’eminentissimo cardinale D. Fabrizio Ruffo” d Domenico Petromasi, edito nel lontano 1801, per i tipi di Vincenzo Manfredi, e ristampato, in copia anastatica, a cura e con un saggio introduttivo dello storico roccaseccano Fernando Riccardi; saggio che narra l’impresa del Vicario Generale di Sua Maestà Ferdinando IV di Borbone, che riesce, senza uomini, all’inizio, e senza mezzi, al riacquisto del reame di Napoli, strappandolo ai Napoleonidi.

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