Posted by altaterradilavoro on Giu 22, 2019
In una seconda lettera indirizzata sempre a Disraeli e datata 10 ottobre 1861, Ulloa torna sul saccheggio e la dilapidazione dei fondi del Tesoro e dell’allora Banco delle Due Sicilie, più tardi chiamato Banco di Napoli.
Scrive Ulloa: “Un governo esercita sempre una certa influenza sugli affari finanziari, commerciali ed industriali, ma sotto Garibaldi… lo sciupìo, mercé l’imperiose richieste del Signor Bertani ed alle ricompense, che si aggiudicavano essi stessi gli emigranti ed i militari, prese proporzioni tali che si vide tosto nella impossibilità di soddisfare ai bisogni del Governo e della Guerra”.
Lo stesso dittatore prelevava a piene mani somme ingenti, che poi distribuiva ai suoi favoriti.
Gli emigrati rientrati dall’esilio ottenevano per se stessi e per i loro familiari “somme enormi, come sollievo delle passate sofferenze”.
Raffaele Conforti, ministro per soli 40 giorni nel 1848, prese 300000 franchi, somma equivalente allo stipendio che avrebbe si e no percepito quale ministro in dodici anni ininterrotti di governo!
Antonio Scialoja prese per sé e per suo padre appena 200000 franchi, firmando addirittura egli stesso l’ordine di prelevamento. Furono pagate somme ingenti per stipendi ai nuovi funzionari, pensioni di ritiro accordate con larghezza a quanti avevano perduto il posto con l’esilio. Filippo Agresta, ex sottotenente di fanteria divenuto direttore delle dogane con Garibaldi, si ritirò dopo un mese soltanto da questo impiego con una rendita di 12000 franchi, equivalente alla totalità dei suoi stipendi maturati alla fine della carriera dopo una vita di lavoro al servizio dello stato.
Altro caso fu quello di Pier Silvestro Leopardi, che per due soli mesi nel 1848 aveva ricoperto la carica di inviato di Ferdinando II presso Carlo Alberto per concordare le clausole del patto di alleanza tra Napoli e Torino per la guerra all’Austria, “ottenne un ritiro di 18000 franchi” (il trattamento di un ministro plenipotenziario) e poco dopo “un altro impiego copiosamente ricompensato”, che naturalmente andò a cumularsi al precedente.
Un magistrato, Aurelio Saliceti, con dieci anni di servizio si fece liquidare il trattamento di consigliere di Cassazione, grado cui non apparteneva, pur se le leggi prevedevano il “ritiro con sussidio” con un minimo di 20 anni di carriera, mentre si otteneva l’intero stipendio solo dopo 40 anni di servizio compiuti.
Mariano d’Ayala, ex luogotenente d’artiglieria, si autoproclamò generale e si prese un appartamento nel Palazzo Reale.
Tali soggetti sono tutti magnificamente citati, con espressioni altamente magnificanti, nel “Dizionario del Risorgimento Nazionale”, Vallardi 1930, come uomini integerrimi e dediti unicamente al bene della Patria, alla quale hanno sacrificato ogni cosa, con esclusione però delle somme prelevate o fattesi versare dalle casse pubbliche quale modesto e parziale risarcimento per le pene sofferte in nome di sì nobile Ideale!
Pensioni di ritiro così facilmente concesse, nuovi stipendi ed aumento dei vecchi, gravarono il Tesoro di ben 10 milioni di franchi. Si sovvenzionarono i comitati di Livorno e Genova, alla società Rubattino si pagarono 4800000 franchi quale risarcimento del piroscafo “Cagliari”, che tra l’altro era stato restituito all’armatore, per i vapori “Lombardo” e “Piemonte” (quelli della spedizione dei Mille) e per quello affondato dalla marina napoletana.
Un costo enorme fu l’esborso per il plebiscito, anche perché gli agenti incaricati di far proseliti con offerte in denaro tennero per loro le somme ricevute, distribuendone il meno possibile.
Un direttore e due segretari di Stato si presero ben 2000000; secondo le accuse della stampa Carlo De Cesare, Ferrigni, Tranchini, Magliano ed altri intascarono la somma di 400000 franchi, e non sembra abbiano querelato per calunnia i periodici che li accusavano.
A fine settembre le casse erano ormai vuote.
Dittatore e pro-dittatore prelevavano continuamente, con un semplice biglietto scritto e senza fornire alcuna giustificazione.
I militari garibaldini, sotto la minaccia delle armi, si facevano aprire le casse del Banco e prelevavano; i volontari, appena ricevuti gli effetti personali li rivendevano, spesso agli stessi fornitori, facendosene dare di nuovi, a nulla valendo le minacce del Generale Livio Zambeccari, che tentò di porre fine a questo sconcio.
Chiunque indossasse una camicia rossa poteva permettersi qualsiasi cosa. Un ufficiale superiore garibaldino fece passare il figlio di sei anni per ufficiale, facendogli pagare “due mesi di soldo” dalla banca.
I commissari di guerra ordinarono, pagati dal Tesoro e mai distribuiti alle truppe, ben 72000 cappotti per “l’armata meridionale” (i garibaldini) che contava circa 25000 uomini.
I comandanti dei reparti saccheggiavano i depositi militari borbonici, vendendone il materiale ai fornitori che, a loro volta, lo rivendevano al ministro della Guerra di Garibaldi!
Quando giunsero i Piemontesi l’armata meridionale fu sciolta, ed i volontari allora si precipitarono in Banca per riscuotere “il soldo arretrato”, ed i pagamenti furono fatti sopra semplici atti di presenza, senza alcuna firma dei superiori o degli uffici responsabili.
Se gli impiegati facevano qualche minima opposizione o chiedevano spiegazioni, le armi impugnate minacciosamente facevano ottenere ai baldi eroi quanto richiesto.
Nel 1861, dopo mesi dallo scioglimento dei reparti di volontari, si pagarono ancora a costoro ben 4 milioni di franchi, sempre prelevati dalle casse meridionali.
Con l’amministrazione piemontese il debito pubblico aumentò di altri 5 milioni, mentre turbe di funzionari calarono dal nord come sciami di locuste, avide di sostanziose indennità e pingui stipendi.
Il Prefetto di Napoli, oltre allo stipendio da Generale, cumulava anche quello di Prefetto, più 12000 franchi per spese di rappresentanza, oltre alla disponibilità di appena due splendidi palazzi.
Un consigliere di luogotenenza alloggiò in un appartamento reale, e si fece concedere 60000 franchi per spese di ristrutturazione e per la costruzione di un teatro: evidentemente, abituato a vivere in chissà quale imperiale dimora in Piemonte, non era soddisfatto dell’alloggio.
Alessandro Dumas, il noto romanziere francese al quale per suo uso era stato ceduto un palazzo della Corona, ottenne 900000 franchi, oltre a pranzare, cacciare e divertirsi altrimenti a spese dell’antica lista civile (antico nome del patrimonio comunale). Sostenne che tale considerevole somma gli era stata versata per aver provveduto all’acquisto, a Marsiglia, di revolver per l’armata di Garibaldi, anche se tutte le fabbriche d’armi della città non sarebbero state in grado, nemmeno lavorando giorno e notte per un anno, di fornire una quantità di rivoltelle corrispondente all’importo a lui liquidato.
Nell’ex Regno si attendeva ancora quanto promesso dai piemontesi: le sale d’asilo, le scuole, il collegio del popolo, le casse di risparmio, le casse di depositi e prestiti, il credito finanziario.
Il governo di Torino distruggeva presso la clientela la fiducia che godeva il Banco delle Due Sicilie per le somme in esso depositate, tanto che il pubblico cominciò a ritirarle: infatti, mentre al 27 agosto del 1860 i depositi ammontavano a 77205000 franchi, un mese dopo erano già scesi a 50563244, il 28 gennaio 1861 a 31600460, ed infine il 13 aprile dello stesso anno si erano ridotti a 27394896 franchi.
I metalli conservati nello stabilimento della Zecca di Napoli, “il primo… di questo genere, dopo quelli di Vienna e di Londra”, furono trasferiti a Torino, in modo che le coniazioni da quel momento fossero eseguite nella capitale Sabauda.
Moriva così, come tante altre rinomate istituzioni meridionali, una delle più antiche e famose zecche europee.
La circolazione monetaria degli antichi stati italiani al momento dell’annessione piemontese:
Calcolato in Lire 1861
Regno delle Due Sicilie
| Lit. (del 1861) 443.200.000 |
Lombardia e Venezia | Lit. (del 1861) 20.800.000 |
Regno di Sardegna (Piemonte)
| Lit. (del 1861) 27.800.000 |
Stato Pontificio e Legazioni
| Lit. (del 1861) 90.600.000 |
Granducato di Toscana
| Lit. (del 1861) 85.200.000
|
Ducato di Parma e Piacenza
| Lit. (del 1861) 1.200.000
|
Ducato di Modena
| Lit. (del 1861)400.000 |
Bilancia Commerciale degli antichi stati italiani
Regno delle Due Sicilie | Lit. (del 1861) +40.768.374
|
Lombardia
| Lit. (del 1861) +42.453.383 |
Umbria e Marche
| Lit. (del 1861) +11.359.704
|
Piemonte
| Lit. (del 1861)-84.972.630 |
Non occorre certo commentare queste cifre: il Piemonte con l’operazione unità d’Italia ripianò il suo debito pubblico ed il suo deficit commerciale.
Francesco II, lasciando Napoli disse profeticamente: “Non vi resteranno nemmeno gli occhi per piangere”, non si sbagliava.
Gaetano Fiorentino
Da “Il SUD Quotidiano” del 24/1/98
fonte http://www.adsic.it/2000/11/25/comincio-con-garibaldi-lo-sfascio-della-nostra-economia/#more-304
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Posted by altaterradilavoro on Mar 29, 2019
Inebriante,
magica, potente, rilassante, fonte d’amore puro ed incondizionato, la musica,
una delle mille sfaccettature dell’arte, ci accompagna da sempre, in ogni
singolo istante della vita. Ha un potere disarmante, riesce a mettere di
buonumore anche gli animi più tormentati ed a mettere d’accordo quasi tutti,
almeno per un attimo. Difficile non essere rapiti da determinate melodie e da
testi ed interpretazioni profonde e magistrali, che in qualche modo evocano
ricordi o cadono a pennello in determinati periodi della vita, rispecchiando i
più svariati stati d’animo.
Da
sempre ha segnato le epoche, i periodi storici, conferendo quel tocco in più
che solo la musica e poche altre cose possono dare. Napoli, città dalle mille
sfaccettature e dai mille volti, non poteva esimersi dall’imponenza della
musica: vanta un patrimonio
musicale notevole, le cui radici
affondano in tempi antichi e remoti. La musica prende forma attraverso le voci
di chi, con doti innate ed anni di studio “matto e disperatissimo” sulla scia
leopardiana, cerca di fare o ha fatto della musica il proprio lavoro: tenori,
cantanti, coristi, maestri di canto, direttori d’orchestra e così via. Ma ci
sono anche altri “veicoli” attraverso i quali la musica si concretizza: un
esempio calzante è il Conservatorio Musicale, definito tecnicamente come “una
struttura atta all’istruzione musicale cui accedere tramite una prova
d’ammissione” come stabilito dall’articolo 33 della nostra Costituzione che
attribuisce piena autonomia a tali strutture.
Diversamente dal passato, periodo in cui era una struttura gratuita, gestita
dal Clero per ospitare ragazzi in condizione disagiate, quali orfani o poveri,
oggi il Conservatorio Musicale è un luogo di aggregazione tra persone che
condividono la stessa passione e che hanno la stessa voglia di imparare ed
apprendere ogni segreto legato ai meandri della musica.
Come
ogni forma d’arte, il Conservatorio ha una sua storia artistica e culturale.
Torniamo per un attimo indietro nel tempo, al lontano 1500 fino al 1700-1800,
ripercorrendo i punti salienti della storia dei primi quattro convervatori
fondati e nati a Napoli: il Conservatorio di Santa Maria Loreto, di
Sant’Onofrio a Capuana, della Pietà dei Turchini e dei Poveri di Gesù Cristo.
Un tuffo nel passato, accompagnato dalla musica, diventa più invogliante e
piacevole.
Nel
1700, il secolo dei Lumi, segnato da grandi trasformazioni a livello economico
e demografico, in cui si concentrano gli anni di massimo splendore del Regno di
Napoli, i più illustri e bravi insegnanti, maestri e docenti
operavano nei quattro
conservatori napoletani per “istruire” vocalmente i cantanti, provenienti
soprattutto da zone al di fuori dell’area partenopea. I conservatori nacquero
però a partire dalla metà del 1500, il secolo del Rinascimento, ricco dal punto
di vista letterario ed artistico, in cui si è concentrata maggiormente la lunga
e discordante questione della lingua italiana e dominato da una cultura
prevalentemente laica, del Manierismo, dal classicismo aristocratico
contrapposto a sperimentalismi radicali.
Come già accennato, ognuno di essi nacque inizialmente come luogo di
accoglienza per i ragazzi disagiati. Per otto anni consecutivi di studio
intenso ed esercitazioni vocali e strumentali, i ragazzi, fin dalla tenera età,
oltre a portare avanti ed a termine i loro studi in ambito umanistico e
scientifico, trascorrevano un periodo di totale full immersion nel mondo della
musica, ascoltando oltretutto i grandi cantanti, da cui ispirarsi o apprendere
nuove tecniche.
Fu così che i conservatori diventarono delle scuole di musica a tutti gi
effetti, racchiudendo in sé tutta la bellezza e magnificenza che tutt’oggi
conosciamo.
Il conservatorio di Santa Maria Loreto
L’incisione sull’arco “Un dì ad Apollo ad Esculapio or
Sacro” nello spazio che ospita l’ospedale su Via Marina, a Napoli, è una grande
testimonianza dei tempi andati: ci riporta immediatamente indietro nel tempo,
nel lontano 1537, anno in cui fu fondato il Conservatorio di Santa Maria Loreto
il più antico tra i quattro.
Nel 1535 un artigiano di nome Francesco costruì una cappella adiacente alla
Chiesa di Santa Maria di Loreto per aiutare i bambini orfani e poveri. Nel 1537
il protonario spagnolo Giovanni di Tapia costruì a sua volta un orfanotrofio,
trasferito poi in un’altra sede per ampliare lo spazio a disposizione e
trasformarsi poi col tempo in una vera e propria scuola di musica.
Il conservatorio fu frequentatissimo: ben 1500 ragazzi, principalmente
napoletani ma anche proveninti da doverse zone della Spagna, Francia e Sicilia,
tra il 1560 ed il 1570, varcarono i corridoi del conservatorio, come attestato
negli storici registri. Solo a partire dalla fine del 1600 il
conservatorio diventò del tutto operativo ed i fondi erano costituiti dalle
offerte e dal “Cippo”, un salvadanaio di legno dove i mercanti del borgo
destinavano un obolo ai piccoli diseredati.
Per tale motivo, alla fine del Seicento, in seguito all’esigenza di ottenere i
massimi risultati, insegnarono i migliori didatti: Durante, Provenzale e Nicola
Porpora edi più famosi castrati, come Caffarelli, Farinelli, Porporino e altri.
Uno degli allievi più bravi fu Domenico Cimarosa.
Conservatorio della Pietà dei turchini
Il conservatorio della Pietà dei Turchini
Nel cuore di Via Medina, nel 1583,
fu fondato il Conservatorio della Pietà dei Turchini, nato inizialmente
come orfanotrofio, grazie all’intervento dei frati della Chiesa della Pietà,
appartenenti alla confraternita dei Bianchi dell’Incoronatella. Il nome fu
cambiato in “Conservatorio Santa Maria della Pietà dei figlioli”, in
riferimento ai piccoli ospitati che dopo la castrazione (praticata per la
maggior di loro per una performance canora più efficace) venivano chiamati
“turchini”, aggettivo attribuito in base al colore dei loro vestiti e del
berretto.
Nel 1807 fu trasformata nel “Real collegio di Musica”, diventato a sua volta
l’attuale conservatorio di San Pietro a Majella. A partire dal XVII secolo il
conservatorio diventò operativo dal punto di vista musicale: dal 1615 al 1622
l’insegnante fu Don Lelio d’Urso, succeduto da Giovanni Maria Sabino, dal 1622
al 1626, ufficiale maestro di cappella. Tra gli insegnanti più illustri,
figurano i nomi di Francesco Provenzale, Nicola Fago e Leonardo Leo. I cantanti
e strumentisti più capaci furono istruiti vocalmente proprio all’interno del
conservatorio, destinati poi al Real Teatro di San Carlo. Rispetto agli
altri conservatori, quest’ultimo prestava pià attenzione al benessere dei
ragazzi ospitati, mettendo a disposizione servizi spaziosi, dormitori e viveri,
più cure mediche.
Il
Conservatorio di Sant’Onofrio a Porta Capuana
Sulla scia degli altri due e sempre
per fini caritatevoli e d’accoglienza verso i più disagiati, nel 1578, nacque
la “Congregazione delle Vesti Bianche”.
Nel 1653 diventò una scuola di musica, sotto il nome di Conservatorio di
Sant’Onofrio a Porta Capuana, con undici alunni, un maestro di cappella e
maestri di canto, che istruiva principalmente oratori e putti cantori per le
processioni.
Tra la fine del 1600 ed il 1700, i grandi maestri Angelo Durante e Cristoforo
Caresana, Girolamo Abos, Nicola Fago e Nicola Sabini lavorarono duramente e
severamente per ottenere i massimi risultati, contro la concorrenza di tre
istituti. Loro degni eredi furono: Giacomo Insanguine. Joseph Doll, Carlo
Cotumacci, Giovanni Furno e Salvatore Rispoli.
Il
Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo
Dulcis in fundo, ma non di minore
rilevanza rispetto agli altri, Il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo fu
l’ultimo ad essere fondato, per volere di Marcello Fossataro, un monaco
francescano sempre animato da scopi caritatevoli nei confronti dei ragazzi
vagabondi e dispersi tra le strade di Napoli. Tra gli insegnanti, ricordiamo Gaetano Greco, il
Porpora, il Feo, l’Abos. Uno degli allievi più bravi, dalle doti innate,
seguite da studio e dedizione, fu Giambattista Pergolesi.
Dalla sua fusione insieme agli tre
nacque l’attuale Conservatorio di San Pietro a Majella. All’interno
dell’edificio c’è una targa che riporta queste parole: “Questo
antico edificio, già venerabile convento dei padri celestini di San Pietro a
Majella nel 1826 per volontà di Francesco re delle Due Sicilie fu destinato ad
accogliere la gloriosa scuola napoletana ed a conservare le preziose
testimonianze degli antichi conservatori dei Poveri di Gesù Cristo, Santa Maria
di Loreto, Sant’Onofrio a Capuana, Pietà dei Turchini.”
Purtroppo agli anni prosperi
susseguirono gli anni più difficili che portarono alla soppressione dei quattro
conservatori: quello dei Poveri di Gesù Cristo fu l’ultimo ad essere fondato ma
il primo ad essere soppresso, nel 1743. A seguire stessa sorte toccò agli altri
tre.
Quando si parla di musica e relativi conservatori, oltre al tuffo nel passato
per ricordare uno dei numerosi primati del Regno delle Due Sicilie, è doveroso
citare l’attuale Conservatorio di San Pietro a Majella, dove sono conservati
gli archivi dei tre antichi conservatori, ad eccezione di quelli del
Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, gestiti dall’Archidiocesi. A
ridosso c’è anche un’omonima e fornita biblioteca che propone i più svariati
testi in materia di storia musicale. Importante anche il Conservatorio di
Salerno, dove ogni anni vengono formati numerosi giovani talenti che si
apprestano ad approcciarsi al mondo artistico e musicale.
All’interno del libro “Napoli e Suo
Contorno”, Giuseppe Galanti ha commentato con queste parole i Conservatori del
1700, scrivendo: “Napoli ha oggi tre
scuole di musica vocale e strumentale, i cui allievi vestono un uniforme
talare. Quelli di Santa Maria di Loreto vestono di bianco, quelli della Pietà
di Turchino per cui dei Turchini, quelli di Sant’Onofrio di bianco e color
pulce. Vi era prima una quarta scuola di rimpetto li Gerolomini detta dei
Poveri di Gesù Cristo, ed il Cardinale Spinelli Arcivescovo di Napoli, la
convertì in seminario di preti della sua diocesi. Oggi le suddette scuole
allevano circa 230 giovani da esse sono usciti i più gran musici del mondo, che
colla loro melodia divina, hanno fatto stupore alle altre nazioni. I più gran musici
compositori della musica si hanno di distinguere quelli che sono stati capi di
Scuola per il loro genio, da quelli che sono stati addetti ad un genere di
composizione … “.
Si conclude il viaggio tra i meandri degli antichi conservatori, con un
video che ci riporta ai giorni nostri, ripercorrendo la storia del
conservatorio di San Pietro a Majella.
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=CsRDgry_YVs[/youtube]
Testo di riferimento:
“I quattro antichi Conservatorii di musica a Napoli / S. di Giacomo”, Salvatore Di Giacomo, Sandron Editore
fonte https://www.vesuviolive.it/cultura-napoletana/grande-sud/63634-non-lo-sapevo-napoli-1860-prima-citta-ditalia-per-numero-di-conservatori-musicali/
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