Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

1861. Il regno delle Due Sicilie è annesso al Piemonte. Inizia la resistenza (prima parte)

Posted by on Set 24, 2019

1861. Il regno delle Due Sicilie è annesso al Piemonte. Inizia la resistenza (prima parte)

Iniziamo con le scansioni odierne ad aggiungere dei passi interessanti tratti dal volume di Antonio Pagano, Due Sicilie 1830/1880. Anche questa è Storia, forse “leggermente” diversa da quella insegnata nelle scuole italiane. Gennaio Il 1°, a Gaeta, Francesco II e Maria Sofia ricevono i tradizionali auguri per il nuovo anno dagli ufficiali in alta uniforme.

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Il sistema pensionistico del Regno delle Due Sicilie

Posted by on Set 7, 2019

Il sistema pensionistico del Regno delle Due Sicilie

In questa puntata raccontiamo il Regno di Carlo III, periodo storico di pace, di sviluppo, di grandi opere pubbliche e di un sistema pensionistico che, all’epoca, primeggiava in Europa per attenzione e solidarietà verso i lavoratori. Pensate un po’: l’Italia e la UE di oggi hanno ‘partorito’ la legge Fornero per massacrare i lavoratori, mentre allora ci si preoccupava dei pensionati, degli invalidi, delle vedove e dei figli delle vedove nel caso in cui queste ultime si risposavano. Oggi si chiamerebbe Stato sociale: quello che in Italia stanno smantellando. di Giovanni Maduli vice presidente del Parlamento delle Due Sicilie-Parlamento del Sud® (Associazione culturale), e componente della Confederazione Siculo-Napolitana Nelle prime dieci puntate di questa rubrica abbiamo appurato, seppure in maniera estremamente concisa e certamente insufficiente, alcune innegabili verità relative alle violenze, alle torture, agli stupri, alle illegalità attraverso le quali furono aggredite e annesse la Sicilia ed il Sud. Verità che, come abbiamo scritto in precedenza, non possono andare soggette ad “interpretazioni” di sorta. Verità che testimoniano inequivocabilmente cosa veramente fu quello che ancora, con un falso e subdolo eufemismo, viene indicato come “risorgimento”. Nelle successive sei abbiamo visto “chi” volle, quando e perché, mettere fine ad un Regno che, contrariamente a quanto ci si è voluto far credere, con le sue equilibrate politiche sociali ed economiche caratterizzate da uno spiccato senso di solidarietà, rappresentava certamente un ostacolo all’affermarsi di quella borghesia di stampo capitalistico che, attraverso quelle atroci violenze, si impadronì del potere politico ed economico mortificando mortalmente le naturali e legittime aspirazioni del suo popolo. Dalla diciassettesima puntata stiamo infine verificando “cosa” sia stato in realtà quel Regno tanto vituperato dai mass media del tempo e fino a poco tempo addietro. In questa puntata tratteremo, ancorché sommariamente, del fiorire delle arti, dell’architerrura e della cultura in Sicilia e in tutto il Sud; della realizzazione del porto di Girgenti (Porto Empedocle) e delle positive ripercussioni economiche che tale importante opera ebbe per tutta la Sicilia; tratteremo infine dell’alleviamento delle tasse e, soprattutto, dell’istituto pensionistico, primo al mondo, con il quale si veniva incontro alle necessità degli anziani o delle loro vedove. Il regno di Carlo III fu un raro periodo di pace che assicurò a tutti i siciliani una vita tranquilla e prospera. Innumerevoli provvedimenti furono presi in tutti i settori. Nel 1748 fu indetto il censimento della popolazione. Grande incremento ebbero i cantieri navali per la costruzione specialmente di legni commerciali. In agricoltura fu proprio la Sicilia che additò all’Italia ed all’Europa la maniera di coltivare i gelsi, di governare i bachi, di estrarne la seta e di tessere i drappi. La pastorizia, allora estremamente diffusa, venne difesa. La diligenza del governo riuscì a mantenere lontana la malattia della vescica detta “cancro volante” da cui erano stati colpiti i buoi e le vacche nel Piemonte e nel Veneto nel 1757. Nel campo sanitario Carlo III promulgò il 9 agosto 1749 una prammatica che permetteva il taglio cesareo e prescriveva il modo come dovesse eseguirsi. Per quanto riguarda le scuole furono potenziate le scuole pubbliche tenute dai Gesuiti e dai padri Scolopii e in quelle dei Seminari Vescovili fu consentito l’accesso a tutti, anche a coloro che non intendevano intraprendere la carriera ecclesiastica. Nel 1760 la Biblioteca di Casa Professa a Palermo ebbe accordata la rendita di onze settanta per salario dei custodi e per mantenerla ed arricchirla. Vennero pubblicati un vocabolario etimologico italiano e latino ed un dizionario siciliano-italiano-latino. Fiorirono le Arti. Nella scultura a Palermo vennero fuse le statue dell’imperatore austriaco Carlo VI e della sua consorte e col loro bronzo ne furono fatte altre due raffiguranti Carlo III e l’augusta sua sposa. Carlo III era sposato con la principessa Amalia Walburga di Sassonia, figlia del re di Polonia Federico Augusto III. Tra gli architetti siciliani emerse il sommo Filippo Juvara, che tra le tante sue opere costruì anche la Chiesa di Superga a Torino ed il Palazzo Reale a Madrid. Ma il motivo per cui Carlo III non doveva essere e non dovrà mai essere dimenticato dai girgentani e soprattutto dai “marinisi” è quello di avere deciso ed attuato, su sollecitazione del vescovo Lorenzo Gioeni, la costruzione del nostro porto (Porto Empedocle n.d.a.)… La nostra rada che per secoli aveva rappresentato uno dei punti di imbarco più importanti di tutta la Sicilia, pur senza alcuna struttura portuale se non un modestissimo pontile in legno, divenne un vero e proprio porto con strutture in muratura possenti e con un molo della lunghezza di 400 metri. Quest’opera che rappresentò una delle massime realizzazioni nel campo dei lavori pubblici del regno borbonico doveva determinare l’affrancazione del nostro centro marinaro dallo status di borgata di Agrigento. Nel 1853 infatti un altro re borbonico, Ferdinando II, decretava l’erezione a Comune autonomo della nostra borgata e gli dava il nome di Molo Girgenti. … Il nuovo porto, intanto, incominciava ad assolvere i compiti per i quali era stato costruito. Le esportazioni di grano e cereali superarono ogni precedente. Il raccolto granario del 1765 fu così straordinario per quantità che oltre ad essere sufficiente per tutto il regno se ne poté esportare una grande quantità nei paesi stranieri. Era però necessario che il re aprisse le tratte che fino allora, per non affamare il regno, erano state chiuse. Non mancavano taluni, incaricati di provvedere di grani le potenze straniere, di dare ad intendere a Napoli questo affinché le tratte restassero chiuse e loro così avessero la possibilità di acquistare il grano a prezzo vile, perché i produttori, non potendolo esportare erano costretti a venderlo a qualsiasi prezzo. Questo danneggiava soprattutto i baroni che erano i maggiori proprietari ed allora essi decisero di mandare a Napoli il cav. Ferdinando Gravina, fratello del principe di Ramacca, per spiegare alla Corte la reale situazione. Ferdinando Gravina riuscì a persuadere il monarca ed i suoi ministri ed ottenne la libertà delle tratte. Ottenuta questa libertà, si calcola che siano stati esportati in paesi stranieri 557.000 salme di frumento da tutta la Sicilia per cui cominciò ad abbondare il denaro, rifiorì il commercio e migliorarono le condizioni generali di vita per tutti. – Giovanni Gibilaro, I Borboni e il Molo di Girgenti, Edizioni Centro Culturale Pirandello – Agrigento, pag. 19, 20, 23, 24, 53, 54, 189. Ma queste stesse nuove tasse (1) furono di breve durata; i francesi stessi abolirono la prima; e la restaurazione nel 1815 soppresse le altre due. Se non fossero storie viete, ed in uggia ai riformatori del tempo, noi raccomanderemmo ai nostri legislatori ed a tutt’i cultori delle scienze economiche e sociali, di studiare il riordinamento finanziario del Regno di Napoli, fatto nell’anno 1815. I primi atti di quel governo esprimono tutti un principio, che non potrebbe essere giammai abbastanza rammentato ai rettori dei popoli, cioè: che le risorse finanziarie dello Stato non bisogna cercarle né nel debito, né nei nuovi tributi, ma esclusivamente nell’ordine e nella economia. Perché veramente il miglior governo è quello che costa meno. Il cav. dei Medici, che in quel tempo reggeva lo Stato, benché costretto a contrarre meglio di venti milioni di ducati di debito, non esitò un istante ad abolire la tassa delle patenti, che rendeva oltre ducati 500 mila annui; quella del registro graduale, che fruttava altrettanto, ed a scemare benanche il contributo fondiario; riforme tutte che fruttarono ai contribuenti un alleviamento di tributi di ducati 2.487.923 annui. 1. Tasse introdotte dai francesi: tassa personale, tassa delle patenti e tassa del registro graduale. – Giacomo Savarese, Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860, pag. 9. Il delicato problema degli anziani fu affrontato e risolto con una vera propria riforma del sistema pensionistico varata con il decreto del primo luglio 1816 che unificò i precedenti sistemi ed istituì il “Monte delle vedove e dei Ritirati” che erogava una pensione agli impiegati civili e militari dello Stato. Gli oneri previdenziali che gravavano sul dipendente comportavano una trattenuta del 2,5% sullo stipendio, determinando il diritto alla pensione dopo venti anni. La pensione che lo Stato erogava era pari al 25% dello stipendio dopo venti anni di lavoro; al 50% dopo i venticinque anni; al 75% dopo i trenta anni; all’80% dopo i trentacinque anni; al 100% dello stipendio dopo i quaranta anni. La pensione veniva calcolata sulla base dello stipendio percepito nell’ultimo biennio. Non vi era limite di età per il pensionamento, ma semplicemente il “ritiro”. Questo tipo di pensione veniva definita di “giustizia”. Se ne affiancava un’altra, detta di “grazia”, concessa personalmente dal re per particolari benemerenza. Ai grandi invalidi per cause militari (chi era divenuto cieco o storpio in due arti) riceveva il massimo della pensione prescindendo dagli anni di servizio, mentre chi perdeva l’uso di un arto e subiva altre invalidità riceveva il mino della pensione se non aveva compiuto i venti anni di servizio, altrimenti venivano aggiunti cinque anni di anzianità, mentre per le ferite con pericolo di vita venivano conteggiati sei mesi di anzianità. Alle vedove veniva erogata una pensione pari a due terzi dello stipendio, se il marito aveva maturato venti anni di servizio ma, nella quasi totalità dei casi veniva aggiunta una pensione di “grazia”. Nel caso in cui la vedova moriva o si risposava, la pensione veniva ripartita tra i figli maschi sino al diciottesimo anno di età e alle femmine finché restavano allo stato nubile. – Francesco Maurizio di Giovine, La dinastia Borbonica – La vita politica e amministrativa nel Regno delle Due Sicilie (1734 – 1861), Ripostes Edizioni, pag. 91, 92.

Chi volesse approfondire di molto questi argomenti, può farlo anche consultando il sito www.regnodelleduesicilie.eu alle sezioni “Notizie dal Regno – Storia” e “Schegge di Storia”, quest’ultima sulla sinistra della home page.

fonte read:https://www.inuovivespri.it/2019/09/06/schegge-di-storia-22-il-sistema-pensionistico-del-regno-delle-due-sicilie-il-porto-di-girgenti/?fbclid=IwAR2S6CKFZwGVoJZFT9OwvRkh-mDtiDol6ck6NK8XV3A7br2RJAB9EUKiHVc

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MIGLIAIA DI SOLDATI BORBONICI DEPORTATI NEI LAGER DEL NORD

Posted by on Ago 24, 2019

MIGLIAIA DI SOLDATI BORBONICI DEPORTATI NEI LAGER DEL NORD

IL TALLONE DI FERRODEI SAVOIA – Dopo la conquista del Sud, 5212 condanne a morte. Prigionieri e ribelli puniti con decreti e una legge del 1863

Cinquemiladuecentododicicondanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti.Queste le cifre della repressione consumata all’indomani dell’Unitàd’Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentaleoperata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgatadal governo Minghetti del 15 agosto 1863 “… per la repressione del brigantaggio nel Meridione”[1].

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Eleonora Pimentel Fonseca, anniversari e celebrazioni

Posted by on Giu 27, 2019

Eleonora Pimentel Fonseca, anniversari e celebrazioni

 A volte mi chiedo come sarebbero giudicati dai loro contemporanei i discendenti degli Incas, degli Aztechi, dei Maya o degli Indiani d’America se alcuni di essi, divenuti addirittura storici di professione, considerassero liberatori  i conquistadores spagnoli o l’esercito nordista e si dessero da fare per introdurre nel calendario date e ricorrenze per commemorare il massacro di Sand Creek (29 novembre 1864) o di Wounded Knee (29 dicembre 1890) o per inserire busti o statue del colonnello John Chivington o di  James Forsyth.

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DAL CAMPO DI PRIGIONIA DI FENESTRELLE I PRIMI NOMI DEI SOLDATI NAPOLETANI MORTI DURANTE LA FORZATA DETENZIONE

Posted by on Mar 6, 2019

DAL CAMPO DI PRIGIONIA DI FENESTRELLE I PRIMI NOMI DEI SOLDATI NAPOLETANI MORTI DURANTE LA FORZATA DETENZIONE

Il nostro primo studio sui campi di prigionia per soldati Napolitani, apparso sulla rivista L’Alfiere, diede origine ad un piú ampio saggio di Fulvio Izzo sull’argomento (I Lager dei Savoia). Le due ricerche, integrandosi, sono state alla base di una nuova messa a fuoco dell’ultima storia militare del Sud indipendente. Indro Montanelli negò l’esistenza dei campi di concentramento al Nord per soldati meridionali durante le fasi costitutive dell’unità d’Italia; ma, la sua, fu una difesa aprioristica e settaria del principio risorgimentale perché se avesse avuto voglia di documentarsi, ed i nostri studi offrivano la bibliografia inoppugnabile, avrebbe potuto consultare i Carteggi di Cavour, base di partenza per conoscere il problema. Bastava limitarsi al solo volume dedicato all’indice dei precedenti 15 volumi, per trovare a pag. 188 il titolo “prigionieri di guerra Napoletani” con l’indicazione di ben 19 dispacci riportati nel terzo volume “La liberazione del Mezzogiorno” dove si parla diffusamente dei soldati del Sud e del loro triste destino.

Piú autorevoli studiosi della materia hanno invece accolte le nostre ricerche con maggior serietà ed il prof. Roberto Martucci, storico dell’Università di Macerata, ha scritto con coraggio: “il silenzio della piú consolidata riflessione storiografica sull’argomento appena evocato, consentirebbe di ipotizzare l’inesistenza o la non rilevanza del fenomeno dei prigionieri nelle guerre risorgimentali, anche a causa della stessa brevità degli eventi bellici di quella fase storica, generalmente limitati a poche settimane di conflitto.

Impressione che risulta rafforzata dalla lettura di testi coevi quali quelli del borbonico Giacinto De Sivo, che dedica poche righe alla questione, o del liberale Nicola Nisco che in proposito tace. Meraviglia di piú il silenzio conservato dal giornalista e politico liberale Raffaele De Cesare, che ha scritto a pochi decenni dagli avvenimenti, sulla base di testimonianze dirette integrate da un’interessante bibliografia, senza tuttavia prestare la minima attenzione al problema.

Il fatto poi che neppure il compiuto affresco legittimista di Sir Harold Acton, tracciato in anni a noi piú vicini, si riferisca al tema crepuscolare della prigionia, sembrerebbe autorizzare una presa di distanza dalle poche righe con cui padre Buttà tentò a suo tempo di sfidare l’oblio dei posteri”.

La questione assume però contorni del tutto differenti se, abbandonato l’alveo della ricostruzione storiografica, proviamo ad interrogare quell’inesplorato e vasto microcosmo costituito dall’imponente Carteggio del conte di Cavour. Occultati tra migliaia di dispacci troviamo,

infatti, una ventina di documenti che evocano a grandi linee una questione non marginale, suggerendo approfondimenti archivistici tali da riempire una pagina restata finora bianca nella storia militare dell’unificazione italiana. Essi aprono anche interessanti prospettive di ricerca riguardo alle relazioni interpersonali tra settentrionali e meridionali e all’uso di alcuni stereotipi divenuti di uso frequente nei decenni postunitari, per qualificare gli appartenenti ai ceti piú umili del cessato Regno delle Due Sicilie.

Sottoscriviamo le parole dello storico con una riserva: la conoscenza del problema relativo alla prigionia dei soldati Napolitani colmerà certamente “una pagina restata finora bianca nella storia militare dell’unificazione italiana” ma andrà a formare, principalmente, il capitolo ricostruito a peritura vergogna di una classe politica e di una dinastia che unificarono in quel modo, “col ferro e col fuoco”, Stati di tradizione italiana di gran lunga superiore a quella del Piemonte.

Tornando ai nostri studi dobbiamo registrare un passo in avanti della ricerca, divenuta ormai un tema caro a tanti studiosi che si sentono eredi, oltre che discendenti, del cessato Regno delle Due Sicilie. Il passo in avanti riguarda la situazione del campo di concentramento di Fenestrelle.

Questo luogo, situato a quasi duemila metri di altezza, sulle montagne piemontesi, divenne la base di raggruppamento dei soldati borbonici piú ostinati: quelli, per intenderci, che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell’esercito sabaudo, quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai piemontesi.

Il luogo non era nuovo a situazioni del genere perché già Napoleone se ne era servito per detenervi i prigionieri politici ed un illustre Napoletano, don Vincenzo Baccher, il padre degli eroici fratelli realisti fucilati dalla repubblica partenopea il 13 giugno del 1799, vi aveva passato 9 anni, dal 1806 al 1815, tornando a Napoli alla venerabile età di 82 anni.

A Fenestrelle, quindi, giunsero i primi “terroni” ed in questo luogo molti di essi cessarono di vivere. Il numero di coloro che trovarono la morte non è certo perché le cronache locali parlano di migliaia di soldati prigionieri morti ma non registrati. I loro corpi venivano gettati, “per motivi igienici”, nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all’ingresso del Forte. Il personale addetto alla fortezza conferma ancora oggi l’esistenza della vasca.

Ma a Fenestrelle funzionava anche un ospedale da campo dove furono ricoverati alcuni prigionieri. Coloro che morirono nell’ospedale vennero annotati nel libro dei morti di Fenestrelle e la Provvidenza ha permesso che alcune annate del libro parocchiale dei morti si sia potuto consultare, anche se molto velocemente.

Il dottor Antonio Pagano, accompagnato dal dott Piergiorgio Tiscar, discendente del maggiore don Raffaele Tiscar de los Rios, capitolato a Civitella del Tronto, recatosi il 22 maggio scorso a Fenestrelle in sopralluogo per organizzare la commemorazione dei nostri prigionieri che si terrà sabato 24 giugno, ha visionato il libro dei morti ed ha stilato velocemente l’elenco che ora si pubblica. I registri del 1860 e del 1861 sono scritti in francese ed i nostri soldati vengono definiti “prigionieri di guerra napoletani”. I registri del 1862, del 1863, del 1864 e del 1865 sono scritti in italiano e definiscono i prigionieri morti “soldati cacciatori franchi”.

Mancano all’appello i registri dal 1866 al 1870 perché prestati ad uno studioso di Torino. Avremmo modo, in futuro, di colmare la lacuna e correggere eventuali errori di trascrizione

Elenchiamo ora i nomi dei nostri Caduti con religiosa emozione al fine di restituire alla loro memoria, dopo 140 anni, gli onori ed il rispetto che meritano per il sacrificio sopportato.

ANNO 1860
1. Garloschini Pietro, m. 1.10, di Montesacco (?)
2. Conte Francesco, m. 11.11, di Isernia, anni 24
3. Leonardo Valente, m. 23.11, di Carpinosa, anni 23
4. Palatucci Salvatore, m. 30.11, di Napoli, anni 26
5. Suchese (?) Francesco, m. 30.11, di Napoli

ANNO 1861
1. Scopettino Matteo, m. 24.8, di Chieti, anni 22
2. Miggo Salvatore, m. 7.10, di Galatina (Lecce) anni 24

ANNO 1862
1. Donofrio Carmine, m. 16.1, di Villamagna (Chieti) , anni
27
2. Caviglioli Marco, m. 29.1, di Cosciano (?)
3. Palmieri Biagio, m. 5.2, di Teano, anni 23
4. Visconti Domenico, m. 16.4, di Cosenza, anni 28
5. Mulinazzi Francesco, m. 20.7, di Benevento, anni 24
6. Gentile Rocco, m. 24.7, di Avellino, anni 25
7. Leo Vincenzo, m. 18.9, di Veroli (Frosinone), anni 26
8. Lombardi Nicola, m. 25.9, di Modigliano (?)
9. Vettori Antonio, m. 7.11, di Amantea, anni 26

ANNO 1863
1. Mazzacane Cristoforo, m. 18.2, di (?)
2. Pripicchio Raffaele, m. 21.3, di Paola, anni 23
3. Giampietro Giovanni, m. 9.5, di Moliterno, anni 28
4. Milotta Giuseppe, m. 23.5, di Sala, anni 24
5. Spadari Ruggero, m. 25.5, di Barletta, anni 24
6. Serbo Tommaso, m. 17.8, di Triolo – Gareffa (?), anni 26
7. Gaeta Giordano, m. 11.10, di Pellizzano (Salerno), anni
32
8. Gorace Domenico, m. 15.12, di Palma, anni 32
9. Grossetti Angelo, m. 23.12, di Mura (Vestone), anni 25

ANNO 1864
1. Masareca Giuseppe, m. 20.1, di Basilicata, anni 22
2. Morino Santo, m. 29.1, di Mussano (Lecce), anni 26
3. Pastorini Andrea, m. 16.2, di Maregno (?), anni 27
4. Montis Salvatore, m. 24.4, di Tramalza (?)
5. Palermo Giovanni, m. 12.5, di Atripalda, anni 32
6. Cirillo Salvatore, m. 17.5, di Boscotrecase (Napoli), anni
32
7. Pellegrini Massimiliano, m. 11.6, di Colorno (?), anni 26
8. Mossetti Antonio, m. 5.7, di Montalbano Jonico, anni 22
9. Di Giacomo Pasquale, m. 8.7, di Sessa Aurunca, anni
23
10. Giannetto Antonio, m. 19.7, di Zarca (?), anni 30
11. Davarone Francesco, m. 25.7, di Avellino, anni 26
12. Carpinone Cosimo, m. 4.11, di Fossaceca, anni 31
13. Bononato Carmelo, m. 17.11, di Belvedere, anni 27
14. Melloni Antonio, m. 20.11, di Sersini (?), anni 24

ANNO 1865
1. Laise Nunziato, m. 25.1, di Cetrara, anni 24

ANNO 1864
1. Masareca Giuseppe, m. 20.1, di Basilicata, anni 22
2. Morino Santo, m. 29.1, di Mussano (Lecce), anni 26
3. Pastorini Andrea, m. 16.2, di Maregno (?), anni 27 4. Montis Salvatore, m. 24.4, di Tramalza (?)
5. Palermo Giovanni, m. 12.5, di Atripalda, anni 32
6. Cirillo Salvatore, m. 17.5, di Boscotrecase (Napoli), anni
32
7. Pellegrini Massimiliano, m. 11.6, di Colorno (?), anni 26
8. Mossetti Antonio, m. 5.7, di Montalbano Jonico, anni 22
9. Di Giacomo Pasquale, m. 8.7, di Sessa Aurunca, anni
23
10. Giannetto Antonio, m. 19.7, di Zarca (?), anni 30
11. Davarone Francesco, m. 25.7, di Avellino, anni 26
12. Carpinone Cosimo, m. 4.11, di Fossaceca, anni 31
13. Bononato Carmelo, m. 17.11, di Belvedere, anni 27
14. Melloni Antonio, m. 20.11, di Sersini (?), anni 24

ANNO 1865
1. Laise Nunziato, m. 25.1, di Cetrara, anni 24
2. Barese Sebastiano, m. 30.1, di Montecuso, anni 26
3. Catania Angelo, m. 11.2, di Ischitella, anni 22
4. Pessina Luigi, m. 21.2, di Gragnano, anni 27
5. Mossuto Giuseppe, m. 1.4, di Moriale, anni 25
6. Guaimaro Mariano, m. 8.4, di Sala Consilina, anni 30
7. Torrese Andrea, m. 11.5, di Avenza, anni 21
8. Colacitti Salvatore, m. 15.5, Montepaone, anni 24
9. Santoro Giuseppe, m. 20.5, di Sattaraco (?), anni 27
10. Tarzia Pietro, m. 31.5, di Valle d’Olmo, anni 24
11. Palmese Tommaso, m. 6.9, di Saviano, anni 24
12. Ferri Marco, m. 11.10, di Venafro, anni 24

ELENCO COMPILATO A FENESTRELLE

Il giovedí 25 maggio 2000, alle ore 12,30, da:
– Antonio Pagano
– Pier Giorgio Tiscar

Questi soldati del Sud finirono i loro giorni in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso ricordo e la struggente nostalgia della Patria lontana.

Erano poco piú che ragazzi: il piú giovane aveva 22 anni, il piú vecchio 32.

Se non fossero stati relegati a Fenestrelle probabilmente sarebbero divenuti “briganti” e, forse, anche per questo motivo, furono relegati a Fenestrelle, fortezza del liberale piemonte, dove, entrando, su un muro è ancora visibile l’iscrizione:

“OGNUNO VALE NON IN QUANTO E’ MA IN QUANTO PRODUCE” .

Motto antesignano del piú celebre e sinistro slogan che si poteva leggere nei lager nazisti:
“ARBEIT MACHT FREI”.

Non deve destare meraviglia l’abbinamento perché la guerra del risorgimento, come ha giustamente osservato di recente Ulderico Nisticò, fu una guerra ideologica. E la guerra ideologica non può che concludersi con lo sterminio del “nemico”.

FRANCESCO MAURIZIO DI GIOVINE

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