Riportiamo un ampio stralcio di un articolo pubblicato sulla rivista l’Alfiere, a firma di Edoardo Vitale, dedicato al viaggio del grande pensatore Friedrich Nietzsche nel Meridione d’Italia. Ringraziamo Eduardo Vitale per l’autorizzazione alla pubblicazione.
Protesta di cento studiosi contro i
recenti atti sacrileghi di Papa Francesco
Un documento in
sette lingue contro gli atti sacrileghi commessi da papa Francesco
durante il recente Sinodo sull’Amazzonia è stato sottoscritto da cento
studiosi, sacerdoti e laici. I firmatari del documento ricordano tra l’altro
che il 4 ottobre Papa Francesco ha partecipato ad un atto di adorazione della
dea pagana Pachamama nei Giardini Vaticani e il 7 ottobre l’idolo è
stato, posto di fronte all’altare maggiore di San Pietro e poi portato in
processione nella Sala del Sinodo.
Queste cerimonie sono state condannate
come idolatriche o sacrileghe dal cardinale Walter Brandmüller, dal cardinale
Raymond Burke dal cardinale Gerhard Müller, dal cardinale Jorge Urosa Savino,
dall’Arcivescovo Carlo Maria Viganò, dal vescovo Athanasius Schneider, dal
vescovo José Luis Azcona Hermoso, dal vescovo Rudolf Voderholzer e dal vescovo
Marian Eleganti.
Gli studiosi chiedono «rispettosamente
a Papa Francesco di pentirsi pubblicamente e senza ambiguità, di questi peccati
oggettivamente gravi e di tutte le trasgressioni pubbliche che ha commesso
contro Dio e la vera religione, e di riparare questi oltraggi” e “a
tutti i vescovi della Chiesa Cattolica di rivolgere una correzione fraterna a
Papa Francesco per questi scandali, e di ammonire i loro greggi che, in base a
quanto affermato dall’insegnamento della fede Cattolica divinamente rivelato,
se seguiranno l’attuale Papa nell’offesa contro il Primo Comandamento,
rischiano la dannazione eterna».
Tra i cento firmatari il moralista John F.
McCarthy, il teologo Brian W. Harrison, lo storico Roberto de Mattei, il
ricercatore John Lamont, il filosofo del diritto Paolo Pasqualucci, il
medievalista Claudio Pierantoni, il patrologo John Rist, il filosofo Josef
Seifert, lo storico Henry Sire, la principessa Gloria Thurn und Taxis, il
filosofo Giovanni Turco, lo studioso Jose Antonio Ureta e John-Henry Westen,
cofondatore del sito LifeSiteNews.
PROTESTA CONTRO GLI ATTI SACRILEGHI DI
PAPA FRANCESCO
Noi sottoscritti chierici, studiosi e
intellettuali cattolici, protestiamo e condanniamo gli atti sacrileghi e
superstiziosi commessi da Papa Francesco, il Successore di Pietro, durante il
recente Sinodo sull’Amazzonia tenutosi a Roma.
Questi atti sacrileghi sono i seguenti:
Il
4 ottobre Papa Francesco ha partecipato ad un atto di adorazione idolatrica
della dea pagana Pachamama[1].
Ha
permesso che questo culto avesse luogo nei Giardini Vaticani, profanando così
la vicinanza delle tombe dei martiri e della chiesa dell’Apostolo Pietro.
Ha
partecipato a questo atto di adorazione idolatrica benedicendo un’immagine
lignea della Pachamama[2].
Il
7 ottobre, l’idolo della Pachamama è stato posto di fronte all’altare maggiore
di San Pietro e poi portato in processione nella Sala del Sinodo. Papa
Francesco ha recitato preghiere durante una cerimonia che ha coinvolto questa
immagine e poi si è unito a questa processione[3].
Quando
le immagini in legno di questa divinità pagana sono state rimosse dalla chiesa
di Santa Maria in Traspontina, dove erano state collocate sacrilegamente, e
gettate nel Tevere da alcuni cattolici oltraggiati da questa profanazione della
chiesa, Papa Francesco, il 25 ottobre, si è scusato per la loro rimozione, e
una nuova immagine di legno della Pachamama è stata restituita alla chiesa[4]. In tal modo è incominciata un’ulteriore
profanazione.
Il
27 ottobre, nella Messa conclusiva del Sinodo, ha ricevuto una ciotola usata
nel culto idolatrico della Pachamama e l’ha collocata sull’altare[5].
Lo stesso Papa Francesco ha confermato che
queste immagini in legno sono idoli pagani. Nelle sue scuse per la rimozione di
questi idoli da una chiesa Cattolica, li ha chiamati specificamente Pachamama[6], nome di una falsa dea della madre terra
secondo una credenza religiosa pagana del Sud America.
Svariate caratteristiche di queste
cerimonie sono state condannate come idolatriche o sacrileghe dal cardinale
Walter Brandmüller, dal cardinale Gerhard Müller, dal cardinale Jorge Urosa
Savino, dall’Arcivescovo Carlo Maria Viganò, dal vescovo Athanasius Schneider,
dal vescovo José Luis Azcona Hermoso, dal vescovo Rudolf Voderholzer e dal
vescovo Marian Eleganti[7]. Infine, anche il cardinale Raymond
Burke ha dato la stessa interpretazione in un’intervista[8].
Questa partecipazione all’idolatria è
stata preceduta dalla dichiarazione intitolata “Documento sulla Fraternità
Umana”, firmata da Papa Francesco e Ahmad Al-Tayyeb, il Grande Imam della
Moschea di Al-Azhar, il 4 Febbraio 2019[9]. Questa dichiarazione affermava:
“Il pluralismo e la diversità di
religioni, colore, sesso, razza e linguaggio sono voluti da Dio nella Sua
saggezza, attraverso la quale ha creato gli esseri umani. Questa saggezza
divina è la fonte da cui discende il diritto alla libertà di credo e alla
libertà di essere diversi”.
Il coinvolgimento di Papa Francesco nelle
cerimonie idolatriche indica che egli intendeva dare a questa affermazione un
senso eterodosso, il quale consente che l’adorazione pagana di idoli venga
considerata un bene voluto da Dio in senso positivo.
Inoltre, nonostante egli abbia informato
privatamente il vescovo Athanasius Schneider che “Tu [il Vescovo] puoi dire che
la frase in questione sulla diversità delle religioni vuole significare la
volontà permissiva di Dio …”[10],Francesco non ha mai corretto in questo
senso l’affermazione di Abu Dhabi. Nel suo successivo discorso nell’udienza
pubblica del 3 aprile 2019, Francesco, rispondendo alla domanda “Perché Dio
permette che ci siano tante religioni?”, al riguardo ha fatto riferimento alla
“volontà permissiva di Dio” come spiegato dalla teologia Scolastica, ma ha dato
al concetto un significato positivo, dichiarando che “Dio ha voluto
permetterlo” perché, nonostante “ci siano tante religioni” esse “guardano pur sempre
al cielo, guardano a Dio” (enfasi nostra)[11]. Non c’è il minimo riferimento al concetto
che Dio permetta l’esistenza di false religioni, allo stesso modo in cui
permette l’esistenza del male in generale. Anzi, la chiara implicazione è che
Dio permette l’esistenza di “tante religioni” perché sono buone in
quanto “guardano pur sempre al Cielo, guardano a Dio”.
Peggio ancora, Papa Francesco da allora ha
confermato la mai smentita dichiarazione di Abu Dhabi istituendo un “comitato
interreligioso”[12], poi ufficialmente chiamato “Alto
Comitato” (“Higher Committee”)[13], con sede negli Emirati Arabi Uniti, per
promuovere gli “obiettivi” del documento;e promuovendo una direttiva del
Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso indirizzata ai direttori di
tutti gli Istituti superiori di istruzione cattolici, e indirettamente a tutti
professori universitari cattolici, chiedendo loro di dare “la più ampia
diffusione possibile” al documento, compresa la sua affermazione, mai corretta,
che Dio vuole la “diversità delle religioni” proprio come vuole la diversità di
colore, sesso, razza e lingua[14].
L’autorizzazione ad adorare chiunque o
qualsiasi cosa diversa dall’unico vero Dio, la Santissima Trinità, è una
violazione del Primo Comandamento. Certamente ogni partecipazione a qualsiasi
forma di venerazione degli idoli è condannata da questo Comandamento ed è un
peccato oggettivamente grave, indipendentemente dalla colpevolezza soggettiva,
che solo Dio può giudicare[15].
San Paolo insegnò alla Chiesa primitiva
che il sacrificio offerto agli idoli pagani non era offerto a Dio ma piuttosto
ai demòni quando disse nella sua Prima Lettera ai Corinzi:
“Che cosa dunque intendo dire? Che la
carne immolata agli idoli è qualche cosa? O che un idolo è qualche cosa? No, ma
dico che i sacrifici dei pagani sono fatti a demòni e non a Dio. Ora, io non
voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il calice
del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del
Signore e alla mensa dei demòni” (1 Cor. 10, 19-21).
Con queste azioni Papa Francesco è incorso
nella reprimenda emanata dal Secondo Concilio di Nicea:
“Molti pastori hanno distrutto la mia
vigna, hanno contaminato il mio territorio. Poichè seguirono uomini empi e,
confidando nelle loro proprie follie, calunniarono la santa Chiesa, che Cristo
nostro Dio ha preso per Sua sposa, e non riuscirono a distinguere il santo dal
profano, affermando che le icone di nostro Signore e dei Suoi santi non fossero
diverse dalle immagini lignee di idoli satanici”[16].
Con immenso dolore e profondo amore per la
Cattedra di Pietro, imploriamo Dio Onnipotente di risparmiare ai membri
colpevoli della Sua Chiesa sulla terra, la punizione che meritano per questi
terribili peccati.
Chiediamo rispettosamente a Papa Francesco
di pentirsi pubblicamente e senza ambiguità, di questi peccati oggettivamente
gravi e di tutte le trasgressioni pubbliche che ha commesso contro Dio e la
vera religione, e di riparare questi oltraggi.
Chiediamo rispettosamente a tutti i
vescovi della Chiesa Cattolica di rivolgere una correzione fraterna a Papa
Francesco per questi scandali, e di ammonire i loro greggi che, in base a
quanto affermato dall’insegnamento della fede Cattolica divinamente rivelato,
se seguiranno il suo esempio nell’offesa contro il Primo Comandamento,
rischiano la dannazione eterna.
9 Novembre 2019
In Festo dedicationis Basilicae
Lateranensis “Terribilis est locus iste: hic domus Dei est et porta caeli; et vocabitur
aula Dei”
Lista dei firmatari
Dr Gerard J.M. van den Aardweg, The Netherlands
Dr Robert Adams, medical
physician in Emergency & Family Medicine
Donna F. Bethell, J.D.
Tom Bethell, senior editor of
The American Spectator and book author
Dr Biagio Buonomo, PhD in Ancient
Christianity History and former culture columnist (1990-2013) for L’Osservatore
Romano
François Billot de
Lochner, President of Liberté politique, France
Rev. Deacon Andrew
Carter B.Sc. (Hons.) ARCS DipPFS Leader, Marriage &
Family Life Commission, Diocese of Portsmouth, England
Mr. Robert Cassidy, STL
Dr Michael Cawley, PhD,
Psychologist, Former University Instructor, Pennsylvania, USA
Dr Erick Chastain,
PhD, Postdoctoral Research Associate, Department of Psychiatry, University of
Wisconsin-Madison
Fr Linus F Clovis
Lynn Colgan Cohen,
M.A., O.F.S.
DrColin H. Jory,
MA, PhD, Historian, Canberra, Australia
Rev Edward B.
Connolly, Pastor Emeritus, St. Joseph Parish St. Vincent de
Paul Parish, Girardville PA
Prof. Roberto de
Mattei, Former Professor of the History of Christianity,
European University of Rome, former Vice President of the National Research
Council (CNR)
José Florencio
Domínguez, philologist and translator
Deacon Nick
Donnelly, MA Catholic Pastoral & Educational Studies (Spiritual Formation),
England
Fr Thomas Edward
Dorn, pastor of Holy Redeemer Parish in New Bremen OH in the Archdiocese of
Cincinnati
Fr Stefan Dreher
FSSP, Stuttgart, Germany
Dr Michael B.
Ewbank, PhD in Philosophy, Loras College, retired, USA
Fr Jerome Fasano,
Pastor, St John the Baptist Church, Front Royal, Virginia, USA
Dr James Fennessy, MA, MSW, JD,
LCSW, Matawan, New Jersey, USA
Christopher A.
Ferrara, J.D., Founding President of the American Catholic Lawyers’ Association
Fr Jay Finelli, Tiverton, RI, USA
Prof. Michele
Gaslini, Professor of Public Law, University of Udine, Italy
Dr Linda M.
Goulash, M.D.
Dr Maria Guarini STB, Pontificia
Università Seraphicum, Rome; editor of the website Chiesa e postconcilio
Fr Brian W.
Harrison, OS, STD, associate professor of theology of the
Pontifical Catholic University of Puerto Rico (retired), Scholar-in-Residence,
Oblates of Wisdom Study Center, St. Louis, Missouri, USA
Sarah Henderson DCHS MA (RE &
Catechetics) BA (Mus)
Prof. Robert
Hickson PhD, Retired Professor of Literature and of
Strategic-Cultural Studies
Dr Maike Hickson PhD, Writer and
Journalist
Prof.,
Dr.rer.pol., Dr.rer.nat. Rudolf Hilfer, Professor of
Theoretical Physics at Universität Stuttgart
Fr John Hunwicke,Former Senior
Research Fellow, Pusey House, Oxford
Fr Edward J.
Kelty, OS, JCD, Defensor Vinculi, SRNC rota romana 2001-19,
Former Judicial Vicar, Archdiocese of Ferrara, Judge, Archdiocese of
Ferrara
Dr Ivo Kerže, prof. phil.
Dr Thomas
Klibengajtis, former Assistant Professor of Catholic Systematic
Theology, Institute of Catholic Theology, Technical University Dresden, Germany
Mary Angela
McMenamin, MA in Biblical Theology from John Paul the Great
Catholic University
Fr Cor Mennen, lecturer canon
law at the diocesan Seminary of ‘s-Hertogenbosch and member of the cathedral
chapter
Rev Michael Menner, Pastor
Dr Stéphane
Mercier, Ph.D., S.T.B., former research fellow and lecturer
at the University of Louvain
David Moss,President,
Association of Hebrew Catholics, St. Louis, Missouri
Dr Claude E
Newbury, M.B. B.Ch., D.T.M & H., D.P.H., D.O.H.,
M.F.G.P., D.C.H., D.A., M. Prax Med.
Prof. Giorgio
Nicolini, writer, Director of “Tele Maria”
Fr John O’Neill, STB, Dip TST,
Priest of the Diocese of Parramatta, member of Australian Society of
Authors
Fr Guy Pagès, Archdiocese of
Paris, France
Prof. Paolo
Pasqualucci, Professor of Philosophy (retired), University of
Perugia, Italy
Fr Dean P. Perri, Diocese of
Providence, Our Lady of Loreto Church
Dr Brian Charles
Phillips, MD
Dr Mary Elizabeth
Phillips, MD
Dr Robert Phillips, Professor
(emeritus) Philosophy: Oxford University, Wesleyan University, University of
Connecticut
Prof. Claudio
Pierantoni, Professor of Medieval Philosophy, University of
Chile; former Professor of Church History and Patrology at the Pontifical
Catholic University of Chile
Prof. Enrico Maria
Radaelli, Professor of Aesthetic Philosophy and Director of
the Department of Aesthetic Philosophy of the International Science and
Commonsense Association (ISCA), Rome, Italy
Dr Carlo Regazzoni, Philosopher of
Culture, Therwill, Switzerland
Prof. John Rist, Professor
emeritus of Classics and Philosophy, University of Toronto
[15] Come spiega il Professor Josef Seifert:
“Anche nel caso che non vi sia dietro un’intenzione soggettiva idolatrica, come
afferma Papa Francesco, il fatto oggettivo di collocare idoli in una Chiesa, e
addirittura in San Pietro, è un’offesa contro Dio e un atto oggettivamente
sacrilego.” Si veda: https://gloria.tv/post/nK8YgEUATNuj4WXBi9WrfBzPg
[16] Vedere Concilium Nicaenum II (787), in: Corpus Christianorum. Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque Decreta, ed. G. Alberigo, I: The Oecumenical Councils. From Nicaea I to Nicaea II, Turnhout 2006, 295-345.
L’invasione piemontese del pacifico Stato delle Due Sicilie fu ben più di una semplice sconfitta militare e si può affermare che essa ha tanto inciso sulla nostra vita sociale ed economica che ancora oggi viviamo nell’atmosfera creata da quell’evento, dal quale sono nati tutti i nostri mali presenti. Gli effetti di una sconfitta militare, infatti, per quanto terribili, col tempo vengono sanati se il territorio e la popolazione non vengono annessi a quelli del vincitore. Per le Due Sicilie, invece, a causa della particolare posizione geografica, senza soluzione di continuità territoriale con il resto della penisola italiana, l’annessione ha prodotto effetti così devastanti che la coscienza del popolo stesso ne è stata alterata. La storia più che millenaria del Sud, ricca di immense glorie e di immani tragedie, prima dell’occupazione piemontese era stata la storia di un popolo che non aveva mai perso, nel bene e nel male, la propria identità nazionale. E’ stata, dunque, questa perdita, causata dalla forzata unione con gli altri popoli della penisola; il più grave danno inferto al Popolo Duosiciliano. Il Regno delle Due Sicilie proprio nel 1860 si stava trasformando in un grande Stato moderno. C’erano tutte le premesse, perché allora era una tra le più progredite nazioni d’Europa, ma la delittuosa opera delle sette che governavano la Francia e l’Inghilterra e la sete di conquista savoiarda ne distrussero i beni e le tradizioni, compiendo un vero e proprio genocidio umano e spirituale. Come fu precisato da Lemkin, che definì per primo il concetto di genocidio, esso “non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…. esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali…… Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali della religione e della vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui… non a causa delle loro qualità individuali ma in quanto membri del gruppo nazionale”. Si dice, inoltre, che vi sono due metodi per cancellare l’identità di un popolo: il primo, quello di distruggere la sua memoria storica; il secondo, quello di sradicarlo dalla propria terra per mischiarlo con altre etnie. Noi Duosiciliani abbiamo subito entrambi i soprusi, ma fortunatamente, per la nostra storia di quasi tremila anni, il nostro inconscio collettivo ci ha salvati in parte dalla distruzione della nostra identità nazionale. La principale causa del crollo delle Due Sicilie va, senza dubbio, inquadrata nel marciume generato dalla corruzione massonica. Esso era dappertutto: nelle articolazioni statali, nell’esercito, nella magistratura, nell’alto clero (fatta salva gran parte dell’episcopato), nella corte del Re, vera tana di serpenti velenosi. Infatti, come ha esattamente analizzato Eduardo Spagnuolo: “addebitare ai piemontesi le colpe del nostro disastro e’ vero solo in parte e contrasta anche con i documenti dell’epoca. La responsabilità della perdita della nostra indipendenza e della nostra rovina è per intero della classe dirigente duosiciliana, che si fece corrompere in ogni senso. Non a caso le bande guerrigliere più motivate, come quella del generale Crocco e del sergente Romano, si muovevano per colpire, innanzitutto, i collaborazionisti e gli ascari delle guardie nazionali”. L’opposizione armata, tuttavia, fu soltanto un aspetto della più vasta resistenza all’invasione piemontese, perché la resistenza si sviluppò per anni in modo civile. Numerose furono le proteste della magistratura e dei militari, le resistenze passive dei dipendenti pubblici e i rifiuti della classe colta a partecipare alle cariche pubbliche. Moltissime le manifestazioni di malcontento della popolazione, soprattutto nell’astensione alla partecipazione ai suffragi elettorali, e la diffusione, ad ogni livello, della stampa legittimista clandestina contro l’occupazione piemontese. Mai, nella sua storia, lo Stato delle Due Sicilie aveva subito una così atroce invasione. Quante ricchezze, inoltre, furono distrutte insensatamente, che avrebbero potuto fare veramente grande l’Italia. L’economia dell’Italia meridionale, poi, ebbe un crollo verticale non solo perchè il centro propulsore fu spostato al Nord, che ne venne privilegiato, ma anche perché la concezione dogmatica del liberoscambismo imposto dal Piemonte, impedì in seguito di porvi dei ripari. Il miope colonialismo dei piemontesi, come poi si rivelò l’occupazione dei “liberatori“, divenne una vera e propria tragedia, che dura ancora ai nostri giorni e che solo il conciliante e forte temperamento della gente del Sud ha impedito che divenisse una catastrofe irreversibile. Gli abitanti delle Due Sicilie furono usati, prima come carne da cannone per le altre guerre coloniali dei Savoia, poi come mercato per i prodotti delle industrie del Nord e come serbatoio di voti per quei ciechi politici meridionali, spesso solo servi sciocchi delle lobby del cosiddetto “triangolo industriale”. La classe dirigente meridionale, inoltre, allo scopo di conservare piccoli vantaggi domestici, ha fiancheggiato sempre tutti i governi che si sono avvicendati in Italia dall’inizio dell’occupazione, governi che pur definendosi “italiani”, hanno curato solo e sempre gli interessi di alcuni, i quali per questo mantengono eterna la ” questione meridionale“. Il Popolo delle Due Sicilie, in tutta la sua lunghissima storia, non ha mai fatto una guerra d’aggressione contro altre genti. Ha dovuto, invece, sempre difendersi dalle aggressioni degli altri popoli, che lo hanno assalito con le armi o con le menzogne. Ancora oggi dal Nord dell’Italia, per una congenita ignoranza, alimentata continuamente dalla propaganda risorgimentale avallata dallo Stato “italiano”, siamo ancora puerilmente aggrediti con violenze verbali, con luoghi comuni sui “meridionali”. Nella considerazione di tutti gli avvenimenti succedutisi dopo il 1860 fino ad oggi si può senza dubbio affermare che proprio a causa di quel violento movimento nato nel Nord, il cosiddetto “risorgimento”, si originò un processo autodistruttivo, che, passando attraverso continue guerre, per lo più suggestivamente etichettate, culminò nel fascismo, che, con la sua fine, ridusse a una sciatta repubblica tutta la penisola italiana, così ricca di valori prima del “risorgimento”. I Duosiciliani veraci, tuttavia, sanno di far parte di un paesaggio unico e inconfondibile, sanno che il loro animo immutabile e viscerale, proprio per questo, dovunque si troveranno, si porteranno sempre dietro questa loro contraddizione: quella di essere diventati forzatamente “italiani”.
Dopo questo excursus puramente esemplificativo della notevole produzione letteraria in lìngua napolitana nei secoli precedenti l’ottocento, torniamo al discorso iniziale ed osserviamo come proprio a partire dagli anni in cui il nostro Regno perde l’indipendenza, vede saccheggiate le proprie risorse economiche e finanziarie, costretta al’emigrazione una gran parte della popolazione, si assiste alla nascita di una vera e propria poesia napolitana, pienamente autonoma rispetto ad altre correnti letterarie dell’epoca, il cui massimo esponente è Salvatore Di Giacomo (Napoli, 1860 -1934), autore di componimenti poi diventati canzoni, come A Marechiaro, Era de maggio, ‘E spingule francese e di numerosi drammi, il più famoso dei quali è senz’altro Assunta Spina.
Il napoletano, o meglio, il napolitano è una “lingua” o un “dialetto”? Ci siamo posti il problema nella nostra pagina lingua o dialetto, cercando di trovare una risposta; in quella stessa pagina abbiamo anche pubblicato un articolo tendenzialmente favorevole ad una valutazione del napoletano quale dialetto. Qui proponiamo per i nostri lettori, nel rispetto della par condicio, un articolo di Massimo Cimmino pubblicato sulla rivista L’Alfiere (ringraziamo il suo direttore Vitale per averci concesso la possibilità di proporre l’intevento) caratterizzato da conclusioni completamente diverse.
L’unità linguistica delle Due Sicilie
di Massimo Cimmino
Il forzato processo di unificazione della penisola italiana non poteva trascurare un elemento di fondamentale rilievo distintivo delle culture nazionali preunitarie: la lingua. La persistenza, in particolare, delle lingue napolitana, siciliana, veneta accanto a quella toscana, peraltro già da tempo generalmente adottata nella penisola nella stesura degli atti e dei documenti amministrativi, oltre che diffusa in campo letterario, era considerata incompatibile con il programma della cosiddetta “unità d’Italia”. Di pari passo con la repressione della resistenza armata all’invasore piemontese, si conduce dunque una vera e propria guerra contro le lìngue parlate negli stati preunitari, che bandite da ogni ufficialità, vengono qualificate “dialetti”, ossia lingue diffuse in limitate aree geografiche, e, solo come tali, tollerate nell’uso familiare, soprattutto nell’ambito dei ceti popolari.
Già, perché l’alta e media borghesia, che detiene la proprietà delle terre, che controlla i commerci e che esercita le professioni cosiddette liberali, si associa immediatamente ai nuovi potenti in questa opera di repressione linguistica, imponendo al popolo questo ulteriore sopruso allo scopo di consolidare il proprio status sociale e i vantaggi che ne derivano. D’altra parte, venendo in particolare alla lingua napolitana, questa è la lingua parlata dai Sovrani di Casa Borbone, che, a cominciare da Ferdinando I e diversamente da precedenti monarchi, sono dei Re nazionali, sono e si sentono napolitani; il che li lega indissolubilmente al popolo, che sviluppa nei loro confronti uno spiccato senso di appartenenza, emblematicamente riassunto nel grido “Viva ‘o rre nuosto!” , opposto a chi sì schiera con il re piemontese, avvertito come “altro”, come straniero, parlante un idioma incomprensibile e tuttalpiù il francese. La borghesia medioalta, invece, diviene – per le ragioni anzidette – un alleato formidabile dei piemontesi in quest’opera di omologazione linguistica, che utilizza precipuamente la scuola come strumento di diffusione della lingua toscana, prontamente ribattezzata “italiana”. Nascono così espressioni che si sentono ancora oggi ripetere, da parte di tanti maestri, insegnanti e genitori, ali’indirizzo di bambini e ragazzi che, nonostante tutto, parlano napolitano: “Parla bene!”, “Non si parla in napoletano!”, “Non parlare in dialetto!”, “Parla pulito!” e via dicendo. L’abiura della lingua napolitana da parte dei ceti medio-alti ha avuto, inoltre, come logica conseguenza, che solo la piccola borghesia e le classi popolari abbiano continuato ad usarla sino ai giorni nostri come lingua madre, sia pure frammista a vocaboli d’importazione toscana e, più di recente, angloamericana. Si pensi, ad esempio, ai contesti in cui Eduardo De Filippo ambienta le proprie commedie ed al linguaggio (un misto di napolitano e di “pulito”), che fa utilizzare ai propri personaggi. Dal che è derivata una visione dispregiativa del napolitano, inteso come lingua del volgo e, come tale, non usabile dalle persone perbene. In aggiunta a quanto detto, la cosiddetta unità ha comportato l’imposizione di modelli del tutto estranei alla cultura dei cittadini del Regno delle Due Sicilie, quali ad esempio:
1) l’adozione nella pratica amministrativa, e negli elenchi nominativi militari, scolastici et similia del criterio alfabetico basato sul cognome, in luogo di quello onomastico, sempre usato in precedenza ; si pensi che a tale criterio era informato persino il Catasto Onciario, la grande riforma fiscale voluta nella prima metà del Settecento dal Re Carlo di Borbone, Catasto nell’ambito del quale gli elenchi dei “cittadini contribuenti” di ciascuna Università o Comune sono ordinati in base ai rispettivi nomi di battesimo, non ai cognomi;
2) l’introduzione dì una compitazione quasi esclusivamente basata su nomi di città centrosettentrionali (“A” come Ancona, “B” come Bergamo, “C” come Como…), fino alla paradossale associazione della lettera “D” ad uno sconosciuto paese della Val d’Ossola, Domodossola. che da quel momento ha acquisito una sia pur nominale notorietà, rimanendone peraltro ignota ai più l’esatta ubicazione. L’ostracismo decretato per fini unitari nei confronti della lingua napolitana ha prodotto, infine, un’inevitabile damnatio memoriae, che ha travolto tutto ciò che questa lingua, sul piano poetico, prosastico, letterario in genere, aveva prodotto nel corso di molti secoli.