Alta Terra di Lavoro

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Mafia e Massoneria italiana: l’infamante deriva

Posted by on Ago 22, 2019

Mafia e Massoneria italiana: l’infamante deriva

Il giudice Giovanni Falcone, con grande acume, così commentava l’iniziazione dei mafiosi a ‘cosa nostra’ evidenziando l’estrema pericolosità ed efficacia delle forme ritualistiche utilizzate dalla criminalità organizzata per arruolare i suoi accoliti: “Si può sorridere all’idea di un criminale, dal volto duro come la pietra, già macchiatosi di numerosi delitti, che prende in mano un’immagine sacra, giura solennemente su di essa di difendere i deboli e di non desiderare la donna altrui. Si può sorriderne, come di un cerimoniale arcaico, o considerarla una vera e propria presa in giro. Si tratta invece di un fatto estremamente serio, che impegna quell’individuo per tutta la vita. Entrare a far parte della mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di essere preti. Né mafiosi.” (G. Falcone, Cose di Cosa Nostra, ed. Rizzoli, Milano,1991, pag.97; citato in L’inganno della Mafia di Nicola Gratteri-Antonio Nicaso, ed. Rai Eri, Roma, 2017).
Il magistrato siciliano, geniale e coraggioso giudice istruttore del maxi-processo di Palermo, vero e attuale martire hiramitico, avvertiva come l’aspetto rituale dell’affiliazione alla criminalità organizzata rivesta un ruolo focale costitutivo della stessa esistenza e struttura mafiosa, e pur non essendo un esperto occultista, Falcone da fine investigatore aveva compreso che l’apparato esoterico-ritualistico portava a un vero e proprio cambiamento di status, di nuova nascita del delinquente nella più ampia e potente eggregore psichica criminale.
Dal punto di vista storico, il fenomeno della pratica di specifiche forme ritualistiche per entrare a far parte di un gruppo di persone dedite al crimine si verifica già nelle cosiddette societas scelerisdell’antica Roma, dove gli appartenenti offrivano sacrifici a Mercurio, dio dei ladri, e praticavano varie prove d’ingresso per testare i nuovi soci, oltre ad altre forme cerimoniali.
La mafia siciliana e la ‘ndrangheta calabrese ricalcano questa tradizione, perché comprendono inconsciamente l’importanza di costituire insieme non solo una sommatoria di individui, ma di creare un vero e proprio Ente a sé stante formato dalle energie e dalle volontà dei singoli dirette verso uno scopo comune, in questo caso la creazione di un potere anti-statale volto esclusivamente all’arricchimento del gruppo e dei singoli, commettendo delitti e nefandezze.
E’ il concetto occultista dell’Eggregore, termine apparso nel 1857 negli scritti di Victor Hugo ed utilizzato in  ambito ermetico-esoterico nel senso di forma-pensiero collettiva  da Eliphas Lévi, concetto ripreso da Annie Besant secondo cui si tratterebbe di una sorta di vibrazione emanata da un individuo o da un gruppo, che continua a vivere di vita propria, alimentandosi dello stesso tipo di pensieri da cui è stato generato, inducendo perciò le persone con cui entrano in contatto a continuare a svilupparli.
In sintesi, nella fattispecie dell’eggregore mafiosa, si tratta di un’entità psichica che ha il Male come oggetto della propria attività, dove i suoi adepti sono caduti nelle tenebre più profonde per ottenere potere e vantaggi materiali, il tutto camuffato da principi e da regole dal sapore tutto tribale dove bene e male si confondono, invertendo subdolamente i punti cardinali dell’anima.
La Massoneria che cosa c’entra in tutto questo?

Il 22 dicembre 2017 la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (DNAA) afferma per la prima volta l’enorme interessi di cosa nostra e ‘ndrangheta per la massoneria deviata, indicando ben 193 soggetti affiliati alla criminalità organizzata e nel contempo membri delle più importanti obbedienze massoniche italiane, di cui 122 iscritti al Grande Oriente d’Italia, 58 alla Gran Loggia Regolare d’Italia, 9 alla Gran Loggia d’Italia di Palazzo Vitelleschi e 4 alla Serenissima Gran Loggia.
Oltremodo inquietanti risultano le dichiarazioni dell’ex Gran Maestro del Grande Oriented’Italia, Giuliano Di Bernardo, il quale ha svelato alla magistratura che una compenetrazione tra massoneria e la ‘ndrangheta ci sarebbe sempre stata, precisando, nel corso di un interrogatorio, che  ciò  che accomuna l’appartenenza massonica e quella mafiosa risiederebbe, come vero e proprio punto di giuntura, nel ‘rituale’ poiché in entrambe le cerimonie iniziatiche si usano forme rituali che hanno lo scopo di vincolare l’adepto ad un segreto, e ciò avrebbe facilitato proprio la fusione in Calabria e in Sicilia tra Mafia e Massoneria.
L’affermazione dell’ex G.M. Di Bernardo appare troppo semplicistica e non aiuta sino in fondo gli investigatori, perché, il mafioso è attirato sia dalla riservatezza che la massoneria può garantire che dal legame ‘fraterno’ che si crea in loggia ed inconsciamente anche dalla componente che investe i cosiddetti campi sottili energetici sviluppati dall’eggregore latomistico.
Dal punto di vista iniziatico, perché questo è il piano sottile d’azione, non bisogna fare confusione sul concetto e funzione del silenzio, infatti, nelle forme rituali massoniche ci si riferisce esclusivamente al silenzio iniziatico, al divieto di svelare rituali allo scopo di preservare e proteggere l’eggregore, come ha ben evidenziato Fernando Pessoa nel suo libro “Pagine Esoteriche”, mentre il silenzio mafioso è diretto alla conservazione del gruppo criminale per commettere i vari crimini e arricchirsi, tutelandosi così nei confronti delle forze dell’ordine e della magistratura per non essere scoperti.
Il massone al contrario, come Landmark costitutivo, deve rispettare le leggi dello stato a cui appartiene, essere un buon cittadino e portare avanti con la propria condotta principi di correttezza e, soprattutto, di legalità.
Certamente, il mafioso cerca ambienti riservati dove poter venire a contatto e conoscere persone influenti che possano servire per avere i più svariati favori, ad esempio, nel campo dei lavori pubblici o, come espressamente evidenziato dalla Commissione parlamentare antimafia, in ambito giudiziario.
Pertanto, colui che è indirettamente coinvolto con gli ambienti mafiosi si iscriverà con le proprie generalità all’obbedienza massonica e farà da trait d’union con le cellule ‘ndranghetiste, altrimenti, il personaggio  direttamente implicato, l’uomo cosiddetto d’onore, si farà iniziare con tutte le cerimonie previste dal rituale nell’atelier massonico ma senza figurare negli elenchi, oppure fornendo una falsa generalità, peraltro, non verificata, pretendendo, grazie all’ingresso in loggia, un automatico aiuto solidale per il fatto di essere un ‘fratello’.
È vero che la Libera Muratoria utilizza cerimonie rituali per iniziare i fratelli massoni e creare così l’eggregore latomistico che deve costruire, però, il Bene dell’Umanità e, come recitano le formule ritualistiche, ‘scavare oscure e profonde prigioni al vizio’, aprendo i lavori di loggia alla pagina del Vangelo di San Giovanni, là dove recita: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”.
Con l’iniziazione massonica, l’adepto riceve la luce, quella sorgente luminosa che viene evocata nel vangelo di San Giovanni, la luce divina del Figlio dell’Uomo che è sostanza di vita e, pertanto, solo al bene devono essere rivolti i pensieri e le azioni del fratello massone; è indubbia la natura ‘cristica’ dell’investitura se viene utilizzato il Vangelo! È intuitivo rendersi conto che nella societas sceleris mafiosa si riceve una luce di segno opposto o meglio la parte degradata della luce astrale che sfocia nelle tenebre.
Per comprenderne il significato esoterico ci sono d’aiuto le riflessioni di Eliphas Levi, il quale identifica la Luce Astrale proprio con Lucifero; simbolicamente il Drago è l’antico glifo della Luce Astrale che parte dal più puro piano spirituale per scendere gradualmente fino a divenire grossolana e, sul nostro piano, diventare il Serpente tentatore ed ingannatore.
Lucifero, identificato simbolicamente nella Luce Astrale, è una forza intermediaria esistente in tutto il creato, serve a creare ed a distruggere, così come la natura del fuoco: l’uso corretto ed equilibrato riscalda e vivifica, l’eccesso sconvolge e distrugge, infatti, come agente negativo e disequilibrante, essa è il Fuoco dell’Inferno.
Ora, alla luce della devastante penetrazione mafiosa accertata dalla Commissione Antimafia, il ‘fuoco dell’inferno’ è penetrato nelle logge delle varie obbedienze massoniche italiane, secondo le evidenti risultanze investigative, inquinando la struttura non solo da un punto di vista social-giudiziario ma infettando e alterando l’intero eggregore latomistico anche sotto l’aspetto occulto più profondo, fenomeno questo ancora peggiore per quanto riguarda il piano esoterico-iniziatico.
Se, infatti, secondo quanto dichiarato correttamente dal Gran Maestro del GOI la massoneria è una società iniziatica non settaria, dal punto di vista tecnico-occultista saremmo di fronte a un vero e proprio fenomeno di contro-iniziazione dell’intero eggregore latomistico.
Secondo quanto emerso dalle indagini effettuate sia in Calabria che nel nord Italia, sfociate in varie sentenze che hanno compiutamente affrontato il tema dell’“associazione segreta” e i rapporti tra massoneria e ‘ndrangheta, la criminalità calabrese sarebbe composta da due entità, la prima costituita da ciò che viene appellata ’ngrangheta (sotto la protezione dell’arcangelo Michele…sic!), mentre la seconda da un altro gruppo criminale denominato la Santa.
Quest’ultima costituirebbe il ‘varco’, ossia lo strumento attraverso cui i suoi accoliti avrebbero sia il compito di trait d’union con il mondo liberomuratorio, sia quello d’infiltrarsi all’interno delle logge massoniche e di costituire a loro volta gruppi segreti, con lo scopo di penetrare maggiormente nel tessuto economico-sociale.
Infatti, questo ‘varco’ coprirebbe la necessità della struttura criminale di avere relazioni, contatti personali, di creare quel traffico d’influenze con persone del mondo politico-economico al fine di possedere sicuri canali operativi, sia nel mondo della politica e della pubblica amministrazione che in quello finanziario, per poter interferire nel campo degli appalti pubblici, nonché per trovare appoggi per poter riciclare a getto continuo l’immenso gettito di denaro proveniente dal traffico di droga.
Pertanto, non saremmo di fronte a una semplice associazione criminale ma, per quanto riguarda la mafia calabrese, si tratterebbe di una vera e propria società segreta i cui vincoli di appartenenza vengono dettati da regole settarie ben precise, che affondano le proprie radici nella più profonda conoscenza dell’occultismo magico e nelle più fini capacità di utilizzare simboli e rituali per fondare, alimentare e preservare il proprio eggregore criminale rivolto al Male contro l’autorità statuale costituita, minando così alle fondamenta la società civile.
Risulta, quindi, incomprensibile, sia dal punto di vista morale che iniziatico, il comportamento tenuto dal Grande Oriente d’Italia nel momento in cui il suo rappresentante si è rifiutato di consegnare i nominativi richiesti dalla Commissione Antimafia – subendo poi una conseguente umiliante perquisizione e sequestro delle liste richieste – giacché in questo modo si è violato un Landmark essenziale che deve permeare la condotta massonica  e, precisamente, la regola che i liberi muratori devono obbedire e rispettare le leggi dello stato a cui appartengono, non valendo in alcun modo il movente di dover preservare la privacy degli iscritti.
Di conseguenza, non ha torto l’onorevole Bindi, presidente della suddetta commissione, quando rileva che: “da parte delle associazioni massoniche si è registrata una sorta di arrendevolezza nei confronti della mafia. Sono i casi, certamente i più ricorrenti, in cui si riscontra una forma di mera tolleranza che si rivelano i più preoccupanti”.
Infatti, non si comprende la motivazione di tale condotta, se non constatando una perdita inesorabile delle tradizioni esoteriche che sarebbero professate, attraverso la ripetizione delle ritualità, dalle obbedienze italiane, solo per abitudine ma non per vera e cosciente conoscenza, poiché non solo da queste non vengono applicati gli strumenti tecnico-normativi per proteggersi dalle infiltrazioni mafiose, ma ormai le associazioni iniziatiche liberomuratorie non sarebbero in grado di reagire utilizzando le tecniche rituali che dovrebbero proteggere e conservare l’eggregore spirituale iniziatico degli adepti, il cui scopo è il Bene e il Progresso dell’Umanità.
Speriamo che la tradizione degli ordini iniziatici non venga travolta da questa infamante deriva, in aiuto soccorrono le parole del poeta portoghese Fernando Pessoa, scritte nel 1936, da adattare alla concreta e attuale minaccia mafiosa: “Il piccone del Duce può distruggere l’edificio del comunismo italiano, ma non è abbastanza potente per abbattere colonne simboliche, fuse in un metallo che proviene dall’Alchimia.”

Luca Fucini

fonte https://www.riflessioni.it/massoneria/mafia-e-massoneria-italiana-infamante-deriva.htm

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IL PROF. DOMENICO SCAFOGLIO SMONTA IL RISORGIMENTO AD ATINA

Posted by on Mag 9, 2019

IL PROF. DOMENICO SCAFOGLIO SMONTA IL RISORGIMENTO AD ATINA

Negli ultimi tempi assistiamo ad un rigurgito degli storici salariati, cosi li definiva Gramsci, contro l’onda indentitaria composta da storici e saggisti autofinanziati che da anni stanno ripristinando verità storiche che vanno dal 1799 fino a tutta la prima guerra mondiale.

I Giacobini intellettuali Napoletani, orfani del Marotta e del Galasso, nella loro pochezza spirituale e professionale non sanno più come arginare questa ondata di studi e di ricerche che li sta travolgendo pensando di essere immortali, il Titanic affonda e loro continuano a suonare.

Storici Istituzionali che campano con le nostre tasse, scusate il populismo, acquistano addirittura pagine intere di giornali di tiratura nazionale per poter difendere le ragioni dei vari Cialdini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour, Mazzini dimenticando, in questo caso volutamente, che la storia non raccontata è venuta a galla e nessuna la nega più nemmeno negli ambienti culturali stranieri.

Altri funzionari pubblici come il compianto Giudice Rocco Chinnici o il contemporaneo Giudice Nicola Gratteri, i primi due che mi vengono in mente, invece con onestà hanno detto e dicono le cose come sono realmente andate e addirittura il Giudice Gratteri ha sferrato un duro attacco ai suddetti storici per il loro operato.

Mi è venuto in mente di organizzare una Class Action contro questi storici per farci rimborsare i soldi che, attraverso le nostre tasse, vengono utilizzati per pagare i loro stipendi di Storici così la smetteranno di dire le cavolate che dal 1860 raccontano.

L’idea sembra paradossale e fantasiosa ma non cosi peregrina e inapplicabile.

Ad Atina, sabato 13 ottobre 2018, nel convegno “Brigantaggio Postunitario visioni dall’interno” tenutosi al Palazzo Ducale che ha avuto come unico relatore il Prof. Domenico Scafoglio, è accaduto qualcosa  di inedito e sorprendente che ha bucato il muro di gomma di omertà che da decenni ci opprime e ci distrugge. Infatti è la prima volta, per lo meno in mia presenza, che un accademico dell’Università Italiana, per l’appunto il Prof. Domenico Scafoglio, afferma che è arrivato il momento che lo stato italiano giudichi gli eroi della Patria per i crimini commessi.

Inutile aggiungere altro vi invito solo a vedere il video dell’intervento e a seguire tutti i video del convegno.    

Cogliamo l’occasione per ringraziare il Comune di Atina nella persona di Adolfo Valente e la Biblioteca di Atina nelle persone di Mario Riccardi e Luciano Caira per la solita e piacevole accoglienza. Un grazie anche alla Sig.ra Ilenia Carnevale, splendida guida nella visita al Museo Archeologico di Atina.

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Togliere la statua del generale Cialdini stravolge la storia

Posted by on Mar 3, 2019

Togliere la statua del generale Cialdini stravolge la storia

L’amico e nostro associato Lucio Castrese Schiano, ci invia un articolo di una storica italiana nata a Napoli che pubblichiamo integralmente senza nessun commento perché si commenta da solo. Due cose che mi vengono in mente “versiamo tante tasse per pagare un simile personaggio”? “Benedetto Croce non si sta rigirando nella tomba”? Credo che nemmeno lui avrebbe pensato di aver creato simili disastri!!!

Senza risposta è rimasta una mia richiesta via pec, in quanto storica e presidente della Società napoletana di storia patria, al presidente della Camera di commercio di Napoli di un confronto e di un dibattito pubblico sulla delibera di togliere dalla sede della Camera di Commercio il busto del generale Enrico Cialdini, in quanto responsabile dei presunti eccidi di Pontelandolfo e Casalduni.

La decisione è stata presa senza affrontare un problema fondamentale per chi gestisce un’istituzione con antiche radici nella vita cittadina, fornita di un’importante biblioteca e di un archivio: perché gruppi imprenditoriali della Napoli di secondo Ottocento ritennero di dover fare un omaggio al generale e a Camillo Benso conte di Cavour, il cui busto è collocato nella stessa sede?

L’opportunità di tornare sul tema, già oggetto nei mesi passati di interventi che suggerivano di contestualizzare i comportamenti dei gruppi dirigenti locali in base a una valutazione del clima complessivo che dettò scelte a suo tempo condivise (Carmine Pinto, Luigi Mascilli Migliorini, Paolo Macry, Giancristiano Desiderio) si lega alla presa di posizione delle maggiori Società degli Storici in merito all’attività di “bonifica storica” di cui la decisione della Camera di commercio è una testimonianza ulteriore.

Estrapolare personaggi e eventi dalla propria epoca, per renderli invece funzionali a problemi e questioni del presente, è un procedimento diffuso, che banalizza la complessità dei problemi affrontati.

La legge n. 680 del 6 luglio 1862 stabilì in tutto il Regno italiano le Camere di commercio e di arti, con lo scopo di valorizzare le potenzialità e il mondo produttivo locali. Rispetto alla Camera di Napoli, creata da Giuseppe Bonaparte il 10 marzo 1808, che fu sciolta, quella creata nel 1862 ebbe 21 componenti, tra cui banchieri, assicuratori, armatori.

In una memoria dei suoi consiglieri del 6 ottobre 1888, rivolta ai consiglieri del Comune di Napoli in merito all’edificazione della nuova Borsa, argomento a lungo dibattuto negli anni precedenti, si ricordava l’opera del generale Cialdini, nel 1861 Luogotenente del re per le province meridionali, che aveva allora deciso di accantonare il compenso datogli dallo Stato per questo ruolo, vincolandolo alla costruzione di una nuova sede della Borsa.

Si trattava di una cifra consistente, corrispondente a 212,500 lire dell’epoca (divenute con gli interessi 1.300 lire nel 1893). Il generale esprimeva in tal modo una decisa fiducia nel futuro della città, mentre erano in atto il taglio dell’istmo di Suez, la costruzione di ferrovie e strade, i lavori nel Porto.

Chiedeva che a realizzazione avvenuta fosse posta nelle nuova sede la statua di Cavour. La cifra iniziale, incrementata con contributi del Comune, della Provincia, del Banco di Napoli, e di altri enti, non fu utilizzata che 31 anni dopo, a causa della lunghezza delle procedure per attuare il “nobile pensiero del generale Cialdini”.

Dopo falliti tentativi di collocare la costruzione in piazza Municipio, con la disponibilità di suoli durante le operazioni del Risanamento dopo il colera del 1884, il Collegio camerale, d’intesa con l’amministrazione comunale, sottoscrisse il contratto con i banchieri finanziatori dell’opera.

I componenti della Camera, nella estenuante attività per la costruzione dell’edificio, si ritenevano “mandatarii del generale Cialdini nella esecuzione di una nobile idea… e depositarii della munificenza di lui”.

L’edificio fu quindi inaugurato nell’ottobre 1889 dal ministro Salandra e i visitatori rimasero impressionati dalla “cura architettonica” dell’edificio, “opera notevole della Napoli di allora” (La Camera di commercio di Napoli e il Palazzo della Borsa, Napoli 1987, ma si rimanda ai lavori fondamentali di Giuseppe Russo e di Giancarlo Alisio).

Cura architettonica che verrebbe profondamente alterata dalla rimozione del busto del generale; nell’edificio, costruito su progetto e direzione dei lavori dell’architetto Guerra e dell’ingegnere Ferrara, tra il 1893 e il 1898, i due busti in marmo di Cialdini e Cavour furono eseguiti dagli artisti scultori professori Raffaele Belliazzi (famoso in Europa, lavorò alla statua di Carlo III sulla facciata del Palazzo Reale) e Achille D’Orsi (artista in contatto con i maggiori esponenti della scultura del tempo), in perfetta sintonia con stucchi, marmi e dipinti della sala. In occasione dell’inaugurazione i componenti della giunta della Camera, la stampa e la società cittadine ricordarono con grande riconoscenza il lascito iniziale di Cialdini.

Il clima è evidentemente cambiato e Cialdini fu anche un generale particolarmente duro nella repressione del brigantaggio, che ebbe manifestazioni crudeli da entrambi le parti in lotta, con la distruzione di interi villaggi a opera dei briganti stessi, assalto alle case dei notabili, episodi di cannibalismo e altre aberrazioni.

Va ricordato che egli era essenzialmente un militare, educato, come i suoi colleghi napoletani, nelle scuole ad hoc, che prevedevano, di fronte alla “guerra per bande”, misure radicali, attuate nelle guerre europee ottocentesche e non a caso praticate dalla dinastia borbonica nel 1828 con la distruzione del villaggio di Bosco e nel 1848-49 contro Messina.

Re borbonici pronti ad uccidere i propri sudditi con modalità identiche a quelle degli ufficiali “piemontesi”- italiani.

In base a questa serie di valutazioni la Società napoletana di storia patria, cui competono anche i pareri sulla toponomastica, si è espressa contro una visione del passato che stravolge gli spazi e il loro portato simbolico, disancorandoli dalle motivazioni che li hanno plasmati, sulla base di sollecitazioni di parte.

Una domanda infine: non esiste un vincolo delle Soprintendenze per la tutela del patrimonio storico-artistico?

Può un Consiglio di amministrazione non tener conto delle leggi dello Stato e gestire, durante un mandato a scadenza, ciò che gli è stato affidato, ignorando competenze e normative che hanno un valore più radicato e ampio di un decisionismo occasionale?

Riportato sul n. 122 del Nuovo Monitore Napolitano

ps= vorrei ricordare alla gentile Sig.ra che da tempo cerchiamo di avere un dibattito pubblico sul 1799 senza avere nessuna risposta, alla faccia della democrazia che loro tanto esaltano

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