Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Don Liborio Romano il Boia delle Due Sicilie

Posted by on Set 18, 2019

Don Liborio Romano il Boia delle Due Sicilie

Il ritratto di questo personaggio, l’essenza del traditore tipo, per giunta sembra successivamente anche pentito, è quello di un uomo abbastanza vanesio, inconsapevole di quello che faceva e vagamente idealista. Un personaggio esemplare, dunque, per essere adoperato dagli invasori piemontesi per compiere atti devastanti all’interno dello stesso governo duosiciliano.

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LA GUERRA CIVILE NEL SALENTO – Cronaca storica della prima resistenza – Luglio e Agosto 1861 – Il Regno delle Due Sicilie è annesso al Piemonte.

Posted by on Ago 29, 2019

LA GUERRA CIVILE NEL SALENTO  – Cronaca storica della prima resistenza – Luglio e Agosto 1861 – Il Regno delle Due Sicilie è annesso al Piemonte.

Da “ capitolo del libro “Due Sicilie 1830/1880″ di Antonio Pagano“.

Le atrocità commesse dall’esercito piemontese durante la guerra di annessione del Regno delle Due Sicilie, furono contrastate per oltre un decennio da migliaia di combattenti e resistenti che vennero bollati in modo dispregiativo Briganti. In quel luglio e agosto del 1861 in Terra d’Otranto molti paesi si ribellarono all’invasore piemontese e ai loro collaborazionisti. È un intero popolo che insorge. Sono uccisi liberali, i sindaci collaborazionisti e gli ufficiali della guardia nazionale. Sono distrutti gli archivi comunali, distrutti gli stemmi sabaudi e sono liberati numerosi detenuti.

A Serracapriati in Terra d’Otranto (…) Tutti questi paesi subiscono dopo pochi giorni la repressione disumana dei piemontesi che uccidono, saccheggiano e danno alle fiamme le case. Molte centinaia di persone senza alcun motivo sono arrestate e deportate in Piemonte o in Lombardia. Mentre il 21 luglio, l’ex sergente Pasquale Domenico Romano di Gioia del Colle, riuniva una folta comitiva di guerriglieri nei boschi vicini (Romano dà alla sua banda una vera e propria struttura militare caratterizzata da una ferrea disciplina), lo stesso giorno, il 21 luglio 1861, si verificava uno scontro tra un reparto di guardia nazionale e un gruppo di resistenza di Cellino S. Marco. 11 sono catturati e portati a Brindisi dove sono fucilati. Il 25 luglio vi è un altro scontro a Cellino S. Marco tra guardia nazionale e insorti, di cui undici sono catturati e fucilati il giorno dopo nella piazza centrale di Brindisi. Il gruppo di resistenza comandato dal sergente Romano si concentra nel bosco Lama dei Preti. / Tutta la Puglia è un inferno di fuoco … la situazione economica continua a peggiorare: il pane è quasi introvabile ed è venduto a prezzo elevato / Numerose colonne mobili formate da reparti del 30° fanteria e squadre della guardia nazionale rastrellano le campagne intorno alla città di Bari. Il 2 Agosto 1861, Massimo D’Azeglio, invia una lettera al senatore Carlo Matteucci, pubblicata poi dai giornali, nella quale scrive : «Noi siamo proceduti innanzi dicendo che i governi non consentiti dai popoli erano illegittimi: e con questa massima, che credo e crederò sempre vera, abbiamo mandato a farsi benedire parecchi sovrani italiani; ed i loro sudditi, non avendo protestato in nessun modo, sì erano mostrati contenti del nostro operato, e da questo si è potuto scorgere che ai governi di prima non davano il loro consenso, mentre a quello succeduto lo danno. Così ì nostri atti sono stati consentanei al nostro principio, e nessuno ci può trovare da ridire. A Napoli abbiamo cacciato ugualmente il sovrano, per stabilire un governo sul consenso universale. Ma ci vogliono, e pare che non bastino, sessanta battaglioni per tenere il Regno, ed è notorio che, briganti e non briganti, tutti non ne vogliono sapere. Mi diranno: e il suffragio universale? Io non so niente di suffragio, ma so che di qua del Tronto non ci vogliono sessanta battaglioni e di là si. Si deve dunque aver commesso qualche errore; si deve, quindi, o cambiar principi, o cambiar atti e trovare modo di sapere dai Napoletani, una buona volta, se ci vogliono si o no. Capisco che gli Italiani hanno il diritto di far la guerra a coloro che volessero mantenere i Tedeschi in Italia; ma agli Italiani che, rimanendo Italiani, non vogliono unirsi a noi, non abbiamo diritto di dare archibugiate … perché contrari all’unità». Ma questa è la risposta personale che il presidente del Consiglio, Bettino Ricasoli, dà a D’Azeglio il 14: «Se (ì Napoletani) non consentono, più se ne fucilerà e più cresceranno il numero delle prove contro di noi: e bisognarà cercare altre vie. E mi permetterei di non accettare la tua parola “Essi rifiutano non noi, ma l’Italia”. Sarebbe vera se volessero mettersi con stranieri. Ma l’Italia si può intendere in più modi. E quantunque io l’intenda come l’intendi tu, non per questo vorrei fucilare chi la pensa altrimenti». II D’Azeglio scrive quello che moltissimi pensano, ma il governo, risponde in forma ufficiale a questa lettera, addossando allo Stato Pontificio le responsabilità del brigantaggio, che è alimentato da Francesco II con la protezione del Papa e che non si può dubitare della “legittimità” dei plebisciti. In realtà, com’è riconosciuto dalla stessa Commissione d’inchiesta, l’azione esercitata dal governo duosiciliano in esilio a Roma è del tutto trascurabile e l’aiuto prestato è limitato all’invio sporadico di qualche agente di collegamento e di scarsi soccorsi materiali. In tutte le province meridionali la guerriglia è un fenomeno di ribellione popolare del tutto spontaneo per liberarsi dagli invasori. Il generale Dalla Chiesa emana il 3 Agosto un bando con il quale invita i briganti a presentarsi, promettendo l’impunità. Alcuni, presentatisi, sono torturati per avere informazioni sui luoghi dove si erano rifugiati e in seguito sono fucilati. Il 4 Agosto a S. Paolo, nel Molise, gli insorti in uniforme dell’armata duosiciliana uccidono il sindaco liberale Antonio Capra e innalzano la bandiera delle Due Sicilie sul municipio. Sono saccheggiate le case dei collaborazionisti, compresa quella dell’arciprete Giovanni Rogati e di suo fratello. Anche a Supersano, in Puglia, i guerriglieri di Rosario Parata (detto “Sturno”) invadono il paese al grido di “Viva Francesco II”. Il 7 e l’8 Agosto i guerriglieri di Sturno, in una rapida scorribanda nel Salento, eliminano le guardie nazionali di Scorrano, di Nociglia e Surano, dove innalzano gli stemmi duosiciliani. Anche gli insorti di Carpignano, Borgagne e Martano si riuniscono e, guidati da Donato Rizzo (detto Sergente), assalgono la guardia nazionale di Carpignano, impadronendosi dei fucili. Sono inseguiti inutilmente dal sindaco Liborio Salomi, che qualche giorno dopo subisce l’incendio del suo uliveto. Il 9 Agosto, a Cancello, i soldati uccidono 29 civili che manifestavano contro gli occupanti. I guerriglieri dei La Gala assaltano un treno carico di truppe, che subiscono numerose perdite. Il giorno dopo, Ruvo del Monte, S. Giorgio, Molinara, Pago e Pietrelcina sono accerchiate dalle truppe del 31° Bersaglieri comandato dal maggiore Davide Guardi: le case sono saccheggiate, 23 persone sono uccise e confiscato il denaro delle casse comunali. L’ufficiale taglieggia anche i possidenti, dei quali ne arresta numerosi perché si erano rifiutati di pagare e li accusa di attentato alla sicurezza dello Stato. Tra questi bersaglieri sono numerosi quelli che si fanno fotografare, sorridenti, accanto ai cadaveri a cui tengono sollevata la testa tirandola per i capelli. Tra i taglieggiatori vi è anche il maggiore Du Coli del 61° fanteria. Tommaselli, capo della resistenza di Pontelandolfo, allo scopo di acquistare pane e farina per la cittadinanza, il 9 ordina di assaltare una carrozza postale che trasporta le paghe per la truppa. La carrozza è scortata, ma l’assalto è incruento: a nessuno è torto un capello e sono prelevati soltanto il denaro ed i loro preziosi. Sempre il 9 Agosto, il 43° di linea compie un rastrellamento a Borgo di Sora, catturando numerosi combattenti di Chiavone, che sono subito fucilati. A Campobasso è fucilato il comandante Antonio Nardacchione. Le guardie nazionali di Poggiardo, nelle Puglie, riescono a sorprendere la banda del Sergente Romano nel bosco del Belvedere, ma sono fermati dalla reazione degli insorti, che, invece di ucciderli, li bastonano e li lasciano poi fuggire. All’alba del 14 Agosto, Pontelandolfo è circondata. Dopo che un plotone accompagnato da De Marco ha contrassegnato le case dei liberali da salvare, entrati a Pontelandolfo, i bersaglieri fucilano chiunque capita a tiro: preti, uomini, donne, bambini. Le case sono saccheggiate e poi tutto il paese è dato alle fiamme e raso al suolo. Tra gli assassini vi sono truppe ungheresi che compiono vere e proprie atrocità. I morti sono oltre mille. Per fortuna numerosi abitanti sono riusciti a scampare a quel massacro rifugiandosi nei boschi. Nicola Biondi, un contadino di sessant’anni, è legato ad un palo della stalla da dieci bersaglieri, i quali denudano la figlia Concettina, di sedici anni e la violentano a turno. Dopo un’ora la ragazza, sanguinante, sviene per la vergogna e per il dolore. Il bersagliere che la stava violentando, quasi indispettito nel vedere quel corpo esanime, si alza e le spara. Il padre della ragazza, cercando di liberarsi dalla fune che lo teneva inchiodato al palo, è fucilato anch’egli dai bersaglieri. Le pallottole rompono anche la fune e Nicola Biondi cade carponi nei pressi della figlia. Nella casa accanto, un certo Santopietro; con il figlio in braccio, sta per scappare, ma è bloccato dai militari, che gli strappano il bambino dalle mani e lo uccidono senza misericordia. Il maggiore Rossi, con coccarda azzurra al petto, è il più esagitato. Dà ordini, grida come un ossesso, ed è talmente assetato di sangue che con la sciabola infilza ogni persona che riesce a catturare, mentre i suoi sottoposti sparano su ogni cosa che si muove. Dopo aver ammazzato i proprietari delle abitazioni, le saccheggiano: oro, argento, soldi, catenine, bracciali, orecchini, oggetti di valore, orologi, pentole e piatti. Angiolo De Witt, del 36° fanteria bersaglieri (Maggiore Angiolo De Witt, Comandante di una colonna mobile del 36° bersaglieri nelle Puglie) così ha descritto quell’episodio: «… il maggiore Rossi ordinò ai suoi sottoposti l’incendio e lo sterminio dell’intero paese. Allora fu fiera rappresaglia di sangue che si posò con tutti i suoi orrori su quella colpevole popolazione. I diversi manipoli di bersaglieri fecero a forza snidare dalle case gli impauriti reazionari del giorno prima, e quando dei mucchi di quei cafoni erano costretti dalle baionette a scendere perla via, ivi giunti, vi trovavano delle mezze squadre di soldati che facevano una scarica a bruciapelo su di loro. Molti mordevano il terreno, altri rimasero incolumi, i feriti rimanevano ivi abbandonati alla ventura, ed i superstiti erano obbligati a prendere ogni specie di strame per incendiare le loro catapecchie. Questa scena di terrore durò un “intera giornata: il castigo fu tremendo…» Il 16 Agosto inizia, alle assise di Torino, il processo Cibolla. L’imputato, un ladro ed assassino, ha indicato in un funzionario piemontese, Filippo Curletti, collaboratore di Cavour, la persona che gli aveva permesso impunemente di compiere i suoi delitti. Uno dei complici del Cibolla è morto misteriosamente in carcere prima del processo ed anche il Cibolla si salva a stento da un misterioso malessere. Il Curletti è fatto scarcerare da Cavour e si rifugia in Svizzera, dove dopo qualche mese farà stampare un libro in cui sono descritte ruberie di Cavour, di Vittorio Emanuele, di Garibaldi, dei vari generali piemontesi e dei brogli del Plebiscito. Denunciava, inoltre, che nel Napoletano i piemontesi compivano estorsioni per fare o non fare incarcerare, per fare o non fare fucilare, si spartivano i proventi dei saccheggi e compivano ricatti. Il generale Cialdini rassegna per telegrafo le dimissioni, ma il governo non le accetta. Il 17 Agosto gli insorgenti di Castrignano de’ Greci, di Guagnano, Ginosa, Laterza e Castellaneta, assaltano la guardia nazionale appropriandosi delle armi e bruciando il tricolore e i ritratti di Vittorio Emanuele e di Garibaldi.

fonte http://belsalento.altervista.org/la-guerra-civile-nel-salento-cronaca-storica-della-prima-resistenza-nel-salento-luglio-e-agosto-1861-il-regno-delle-due-sicilie-e-annesso-al-piemonte/?fbclid=IwAR26mEDtotG6fTFiTBZ0ncDQWlmREyuiVpbG-QReKBQ3Wz5tInBo1K6h4ng

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ACCADDE OGGI NELLE DUE SICILIE… (1815 – 1861 e oltre…)

Posted by on Ago 27, 2019

ACCADDE OGGI NELLE DUE SICILIE… (1815 – 1861 e oltre…)

17 AGOSTO

1832
• Il Real Governo porta a compimento la bonifica di molte terre nelle paludi Sipontine verso Manfredonia in Capitanata; il metodo utilizzato è quello del “colmamento per via del fiume Candelara”. Come è usanza del governo borbonico, le terre vengono assegnate a contadini bisognosi.

1837
• Grande scalpore crea la notizia di una donna di Girifalco (II Calabria Ultra), di nome Caterina Signorello, che partorisce tre bambini, due maschi e una femmina, ben conformati e perfettamente sani.

1857
• Un violento uragano colpisce la città di Lecce e diversi comuni della Terra di Otranto e nelle vicinanze di Gallipoli: molto gravi e pesanti i danni agli edifici e alle campagne.

• Un violento uragano devasta nelle Calabrie le campagne di Paola, di Fiumefreddo, di Falconara e di diversi altri comuni.

1859
• Due Reali Decreti di Re Francesco II sciolgono dal servizio nell’esercito nazionale il secondo e il terzo Reggimento Svizzero.

1860
• Il Primo Ministro piemontese Cavour telegrafa a Napoli all’Ammiraglio Persano che staziona nel porto con la nave Maria Adelaide (ufficialmente per garantire l’incolumità della Contessa di Siracusa, nata Principessa Savoja ma in realtà come vera e propria centrale sovversiva e cospirativa ai danni delle Due Sicilie); nel telegramma Cavour dice: “Se voi potete impegnare il Conte di Siracusa a scrivere una lettera al Re di Napoli conforme le idee che mi comunica Nisco, ciò sarebbe utile”. Il Conte di Siracusa, zio di Re Francesco II, aveva già scelto di servire il nemico e per questo Cavour vuole che ufficialmente, con questa lettera, si schieri apertamente contro il Re indebolendo, di conseguenza, l’autorevolezza del giovane sovrano borbonico.

• A Napoli l’Ammiraglio piemontese Persano si reca a visitare presso la sua abitazione il Ministro (traditore) degli Interni Liborio Romano.

• Nella serata, presso il ponte di Chiaja, un sottufficiale piemontese dei bersaglieri, sceso come altri militari a terra dalla nave Maria Adelaide, viene aggredito alle spalle da alcuni nostri Granatieri della Guardia, esasperati dei traffici cospirativi che questi militari, con il pretesto della libera uscita, compiono quotidianamente ai danni della nostra Patria. Il militare viene leggermente ferito e, caricato su una barca, viene riportato alla nave piemontese.

• Il Governo rivoluzionario di Sicilia emette diversi decreti; tra questi l’introduzione del corso legale della lira piemontese.

• A Pantelleria il Comandante della locale Guardia Nazionale collaborazionista, Antonio Ribera, viene ucciso. I liberali accusano dell’omicidio i suoi giovani nipoti perché filoborbonici. Questi sfuggono alla cattura e costituiscono, insieme ad altri patrioti dell’isola, un gruppo di resistenti combattenti. A causa dei continui rastrellamenti da parte dei piemontesi, il gruppo deve tuttavia riparare a Malta.

1861
• I gruppi di patrioti combattenti assaltano le Guardie Nazionali collaborazioniste di Castrignano de’ Greci, Guagnano, Ginosa, Laterza e Castellaneta; vengono bruciate le bandiere e i simboli del Piemonte e calpestati i ritratti del re Vittorio Emanuele II; inoltre i patrioti si appropriano di un numero non indifferente di armi.

• Nei pressi dell’attuale Vibo Valentia i patrioti combattenti assaltano le Guardie Nazionali che, fuggendo, lasciano armi e munizioni.

• Il Comandante Crocco con i suoi combattenti si acquartiera a Lagopesole.

1862
• In Sicilia lo Stato d’Assedio proclamato dai piemontesi fa sentire i suoi effetti. Tutte le autorità civili vengono sottoposte alle autorità militari; neanche la Magistratura può intervenire o interferire con le decisioni dei comandi militari piemontesi.

1870
– in una grotta tra Vallerotonda e Casalcassinese alcuni traditori uccidono nel sonno i Comandanti Patrioti Domenico Fuoco, Benedetto Di Ventre e Francesco Cocchiara- Caronte. Le truppe piemontesi, giunte sul luogo, faranno scempio dei corpi e si divertiranno a posare per delle foto.

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tratto da “Garibaldi ai giorni nostri…….di Antonio Baudino

Posted by on Ago 12, 2019

tratto da “Garibaldi ai giorni nostri…….di Antonio Baudino

Nel 1842 Ferdinando II, in uno spirito di prosperità e pace per il suo popolo, decise di trasformare le officine di Pietrarsa (oltre 1000 operai), in quel tempo adibite alla costruzione di materiale bellico in una fabbrica di locomotive e materiale rotabile. In quel complesso, dov’era concentrata tutta la tecnologia allora disponibile,fu costruita la prima locomotiva italiana. Ben lontano dal re il desiderio di potenziare l’industria bellica per invadere il Piemonte e l’Italia intera , in un’idea di onnipotente visione di un glorioso futuro. Nel 1844 la ferrovia doveva proseguire per Castellammare, Pompei, Angri, Pagani, Nocera Inferiore per raggiungere San Severo e Avellino. Nel 1855 era stata approvatala costruzione della strada ferrata Napoli-Brindisi e da Napoli agli Abruzzi fino al Tronto, con una diramazione per Ceprano, una per Popoli, una per Teramo e un’altra per San Severo. La linea Napoli-Capua doveva protrarsi sino a Cassino, per consentire l’allacciamento alla ferrovia dello Stato Pontificio. La linea Napoli-Avellino doveva proseguire da un lato verso Bari-Brindisi-Lecce, dall’altro nella direzione della Basilicata e Taranto. Furono programmate anche le linee per Reggio e la tratta da Pescara al Tronto. In Sicilia erano previste le linee Palermo-Catania-Messina e Palermo-Girgenti-Terranova. Nel 1860, al momento dell’annessione al Piemonte,erano in funzione 124 Km di ferrovia (tutti nell’attuale Campania) e altri 132 erano in costruzione o in preparazione (gallerie e ponti erano già stati realizzati). Il 15 ottobre del 1860 Garibaldi, insediatosi da circa un mese a Napoli come dittatore, annullò tutte le convenzioni in atto per le costruzioni ferroviarie e ne stipulò una nuova con la Società Adami e Lemmi di Livorno. Dopo aver promesso al popolo la spartizione delle terre dei latifondisti, lo affamò privandolo del lavoro e delle fabbriche. Era l’inizio,già programmato,volto alla distruzione delle imprese meridionali. Nel 1847 il Regno delle Due Sicilie vendette al parente piemontese, il re Vittorio Emanuele, 7 locomotive assemblate a Pietrarsa. Così scrivono, oggi, le Ferrovie dello Stato Italiane in merito al Museo nazionale di Pietrarsa: “Oltre un secolo e mezzo di storia delle ferrovie italiane rivive nelle splendide officine di Pietrarsa, primo nucleo industriale del nostro paese, di molti anni precedente a colossi quali la Breda, la Fiat e l’Ansaldo. Il Museo Nazionale di Pietrarsa fu inaugurato il 7 ottobre 1989, in occasione del 150° anniversario delle ferrovie italiane. Era,infatti,il 3 ottobre 1839 quando il primo treno circolato nel territorio italiano percosse la tratta Napoli-Portici, trainato dalla locomotiva Vesuvio. Una statua (una delle più grandi realizzate in ghisa in Italia) posta nel piazzale del complesso, mostra Ferdinando II nell’atto di indicare il luogo dove costruire le prime officine ferroviarie delle Due Sicilie e dell’intera Penisola. Un’iscrizione ricorda che lo scopo del sovrano era di svincolare lo sviluppo tecnico e industriale del Regno dall”intelligenza straniera”. Nel 1842 “l’intelligenza straniera” era rappresentata dall’Inghilterra. Lo zolfo estratto nelle 134 solfatare copriva circa il 90% del fabbisogno mondiale. Oltre alla produzione di polvere da sparo e dell’acido solforico, lo zolfo era utile per la casa regnante inglese. Era indispensabile ottenere la tacita adesione di Vittorio Emanuele II per attuare l’occupazione di uno Stato sovrano e pugnalare alle spalle Francesco II senza una preventiva dichiarazione di guerra. Convincere il re Galantuomo, personaggio impegnato alla conquista di traguardi più immediati e terreni e lusingarlo con la certezza di essere il futuro condottiero di un paese unito, potente, ricco, prosperoso non era poi una cosa molto difficile. Cavour ordinava al generale Cialdini di partire alla volta di Napoli con l’esercito piemontese per impossessarsi del Regno delle Due Sicilie e incaricava l’ammiraglio Persano di seguire da lontano l’impresa di Garibaldi. Le casse dello Stato non contenevano le risorse necessarie per sostenere l’ardua impresa garibaldina, ma i milioni oro erano là, a portata di sbarco, depositati nelle casse delle Due Sicilie, al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia. Un tesoro in oro sonante, quindici volte superiore alle dilapidate disponibilità piemontesi. Un miraggio che poteva trasformarsi in realtà. Il Palazzo Reale di Napoli e la Reggia di Caserta contenevano tesori inestimabili, un bottino di guerra imponente, rimpinguato con la spogliazione delle attività del Sud. Garibaldi, esperto in scorribande, tempratosi in Sud America, già al soldo degli inglesi, era l’avventuriero adatto. Un eroe “usa e getta”. Con l’aiuto di mercenari prezzolati, provenienti dall’Italia e dall’estero (pochissimi i piemontesi), di falsi disertori dell’esercito sabaudo, di una sapiente regia atta a coagulare nell’impresa le idee liberali e repubblicane innescate dalla Rivoluzione francese e, soprattutto, tramite una corruzione mirata (denari e promesse di futuri e remunerativi incarichi) nei confronti di dignitari e militari del giovane re di Sicilia, l’impresa era possibile. Ottenuto l’indispensabile sostegno materiale e finanziario, e l’adeguata protezione politico- militare dell’Inghilterra, si poteva dar corso all’avventura.

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Chi fu Garibaldi? Un negriero, un grande nemico del Meridione,della Chiesa, dell’Italia.

Posted by on Ago 4, 2019

Chi fu Garibaldi? Un negriero, un grande nemico del Meridione,della Chiesa, dell’Italia.

Quando si parla di Risorgimento, di unità politica dell’Italia, l’eroe che viene alla mente è senza dubbio Giuseppe Garibaldi. Per decenni la sua figura è stata celebrata, osannata, sino a farne una sorta di santo laico, da porre sull’altare della patria, a cui dedicare poesie, strade, pazze e statue equestri: al fine di dare, ad un paese che aveva voluto tagliare i conti, in quattro e quattr’otto, col passato, un mito fondativo sufficientemente romantico e affascinante.

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