Alta Terra di Lavoro

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FIORENZA CALOGERO ARTISTA A TUTTO TONDO

Posted by on Mar 10, 2019

FIORENZA CALOGERO ARTISTA A TUTTO TONDO

Fiorenza Calogero spesso l’abbiamo ospitata, insieme al marito Marcello  Vitale, sulle pagine del nostro blog diffondendo anche i video che l’hanno vista protagonista facendosi apprezzare come artista di alto livello.

Anche il 29 dicembre presso la Cattedrale della Santissima Maria Assunta e San Catello a Castellammare di Stabia, sua città, abbiamo apprezzato le sue qualità canore nello spettacolo “Ex Voto” ma questa volta abbiamo registrato, per la gioia del numeroso pubblico presente, anche la sua capacità di direttore artistico.

Fiorenza ha creato uno spettacolo composto da pezzi scritti da diversi autori che ha visto come protagonista la figura della donna con in primis la Regina di tutto le Donne e dei Cieli, la Madonna, ascoltando, altresì, poesie scritte da Eduardo e Raffaele Viviani, suo illustre concittadino.

I brani ascoltati sono stati ricercati con attenzione, anche Fabrizio De Andrè era presente nella scaletta, tra l’antico e il moderno che hanno cavalcato entrambi la” tigre della Tradizione”, ricordo ancora una volta che non c’è distinzione tra Tradizione e Modernità perché la “Tradizione” è innovazione dove l’uomo è protagonista dei cambiamenti e non spettatore.

Certamente i linguaggi musicali cambiano, come sono cambiati gli strumenti, e i musicisti caratterizzano con la soggettività brani che esistono da svariati secoli e Fiorenza quella sera è stata capace di farci ascoltare pezzi ben noti ma unici e irripetibili  per come sono stati interpretati.

Bisogna certificare che il tutto è accaduto anche grazie a valenti musicisti che nonostante la loro indiscussa fama si sono messi a sua disposizione con grandissima umiltà, sappiamo bene che l’umiltà appartiene ai grandi, a cominciare da Daniele Sepe che tutti conosciamo per le grandissime doti artistiche ma anche per il suo carattere spigoloso.

Abbiamo avuto il piacere di ascoltare oltre che al suddetto Daniele Sepe anche artisti del calibro di Erasmo Petringa, Marcello Vitale, Carmine Terracciano, Emidio Petringa e con la sorpresa finale di Marcello Colasurdo e con il suo erede  Biagio De Prisco con la chicca finale, Anna Spagnuolo, che ci ha emozionato e incantato.

Per mettere in piedi un gruppo di musicisti di forte personalità e cosi importanti non si puo essere solo bravi e capaci ma bisogna anche essere persone di enormi qualità umane come lo è Fiorenza Calogero. Fiorenza è una bella persona, una persona buona e per bene che abbinate alle sue capacità artistiche le ha permesso di mettere insieme tanta “bella gente”  presente anche tra il numeroso pubblico che nonostante il freddo polare è accorso in massa.

Di seguito i video girati con il mio modesto telefono e il concerto integrale.

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L’INSORGENZA DELL’ITALIA CENTRALE NEGLI ANNI 1797-1798

Posted by on Feb 21, 2019

L’INSORGENZA DELL’ITALIA  CENTRALE NEGLI ANNI 1797-1798

1. INTRODUZIONE

È bene stabilire fin dall’inizio i limiti di questa relazione. Innanzitutto i limiti geografici: riguarderà le regioni che all’inizio del 1798 fecero parte della Repubblicana romana, istituita a seguito della spedizione del generale Louis-Alexandre Berthier (1753-1815), della presa di Roma e dell’esilio di Papa Pio VI (1775-1799): quindi Lazio, Umbria e Marche.

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LA RESISTENZA DUOSICILIANA

Posted by on Feb 14, 2019

LA RESISTENZA DUOSICILIANA

Proprio con la farsa dei plebisciti scoppiarono con grande violenza contro gli invasori piemontesi le prime rivolte, che si propagarono a macchia d’olio in tutto il Sud. Fu una vera e propria guerra che durò piú di dieci anni ed in cui le truppe piemontesi compirono tanti delitti e tali distruzioni che non si erano mai visti in alcuna altra guerra. Le forze militari impegnate dai piemontesi furono di circa 120.000 uomini, ai quali vanno aggiunti 90.000 militi della collaborazionista guardia nazionale. Queste forze, verso il 1865, comprendevano circa 550.000 uomini, quanto gli Americani nel Vietnam.

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L’Unità d’Italia Alcune riflessioni storico giuridiche

Posted by on Gen 27, 2019

L’Unità d’Italia Alcune riflessioni storico giuridiche

Bisogna, piuttosto, fare alcune riflessioni, che ci consentano un corretto inquadramento degli eventi che caratterizzarono l’anno 1861.
Esaminiamoli, innanzitutto, da un punto di vista storico-giuridico.



La nascita del Regno delle due Sicilie: le fonti

A questo fine, risaliamo a circa quarantacinque anni prima e ricordiamo che con Legge dell’8 dicembre 1816 S.M. Ferdinando di Borbone, sulla scorta del riconoscimento internazionale all’uopo ottenuto dal Congresso di Vienna, istituiva il Regno delle Due Sicilie.
L’art. I di tale Legge stabiliva testualmente: “Tutti i nostri domini al di qua e al di là del Faro costituiranno il regno delle Due Sicilie“.
Il successivo art. II disponeva che il titolo che il Re veniva ad assumere era quello di “Ferdinando I, per la grazia di Dio Re del Regno delle Due Sicilie, ecc.“.

Come può facilmente notarsi, si dava innanzitutto rilievo alla nascita di una nuova entità statale, il Regno delle Due Sicilie, in cui confluivano i Regni di Napoli e di Sicilia, in precedenza distinti tra loro, anche se governati dallo stesso Ferdinando di Borbone in regime di unione personale. Quindi, in coerenza con ciò, il Sovrano stabiliva di assumere il titolo di Ferdinando I, dismettendo gli ordinali dinastici IV e III, con i quali aveva in precedenza regnato, rispettivamente, su Napoli e sulla Sicilia.

La nascita del Regno d’Italia: le fonti

Estremamente diverso è il contesto giuridico in cui si colloca la pretesa nascita nel 1861 dell’Italia una. Difatti, dopo la resa di Gaeta e quando ancora resisteva la fortezza di Civitella del Tronto, il nuovo Parlamento insediatosi a Torino approvava l’articolo unico della Legge del 17 marzo 1861, che disponeva testualmente: “Vittorio Emanuele assume per sé e discendenti il titolo di Re d’Italia.“.

Non era tanto l’Italia ad essere costituita quale nuovo Regno, bensì il Re di Sardegna a mutare il suo titolo in quello di Re d’Italia. D’altra parte, ciò costituiva il logico coronamento delle guerre condotte a fini espansionistici dallo Stato Sabaudo, nel 1859 contro l’Austria e nel 1860-61 contro il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio, ed i Piemontesi non si facevano certo scrupolo di nasconderlo.
Anzi, a sottolineare lo scopo di pura conquista territoriale che tali campagne avevano avuto, Vittorio Emanuele manteneva l’ordinale dinastico II, con il quale era asceso al trono di Sardegna nel 1849, succedendo a suo padre, il Re Carlo Alberto: chi ancora crede alla vulgata risorgimentale deve spiegarci come si fa a sostenere che nel 1861 sia veramente nato uno Stato Italiano, il cui primo sovrano è stato tuttavia il secondo di tal nome!

La prima Legislatura del Regno d’Italia ha numero…

Inoltre, la legislatura aperta a Torino il 18 febbraio 1861, venne qualificata come l’VIII, essendosi stabilito doversi proseguire l’ordine cronologico delle legislature del Parlamento Sardo, a partire dal 1848: anche sotto tale aspetto i celebratori del cosiddetto ccntocinquantenario dovrebbero quanto meno interrogarsi circa la pretesa nascita nel 1861 di un’Italia una, la cui prima legislatura è stata però… l’ottava! Una vicenda che richiama il tema della realtà soggettiva, magistralmente trattato da Pirandello in “Così è se vi pare”.

La Capitale del Regno d’Italia è …

La capitale fu naturalmente mantenuta a Torino, pur a fronte di un’articolazione territoriale ben diversa da quella caratterizzante il Regno di Sardegna fino al 1860.

Le leggi del Regno d’Italia sono …

Lo Statuto Albertino del 1848 e l’intera legislazione sarda furono estesi a tutti i tenitori annessi, in assoluto spregio degli ordinamenti giuridici ivi esistenti.

In un articolo pubblicato sulla rivista L’Alfiere, Massimo Cimmino propone alcune riflessioni di carattere storico-giuridico su come si concretizzò l’Unità d’Italia nel 1861.
Ve ne proponiamo uno stralcio ringraziando il direttore della rivita, Eduardo Vitale, per la disponibilità.

fonte

http://www.quicampania.it/ilregno/unita-ditalia.html
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Da “guallera” a “tamarro”: la lingua araba nel napoletano

Posted by on Gen 13, 2019

Da “guallera” a “tamarro”: la lingua araba nel napoletano

Da “guallera” a “tamarro”: la lingua araba nel napoletano.

Il napoletano è certamente il più colorito, il più immediato e il più influenzato dalle culture che sono state ospiti nella nostra città, rispetto a qualsiasi altra lingua in Italia. A Napoli ci si esprime attraverso parole che derivano dai grandi imperi del passato: esistono termini derivanti dal francese, dall’olandese, dallo spagnolo e (per quel che ci interessa in questo articolo) dall’Impero Saraceno. Della presenza dei Saraceni a Napoli si hanno diverse testimonianze, in particolare c’era un proverbio che testimoniava il loro insediamento nell’ hinterland napoletano: “Quatto, li luoche de la Sarracina: Puortece, Crumano (San Giorgio a Cremano), la Torre (del Greco) e Resina”.

Al tempo del Regno di Napoli, periodo enormemente florido dal punto di vista economico, avvenivano numerosissimi scambi commerciali con i paesi del Nord Africa e questi rapporti si evincono anche dall’etimologia e dal significato di molte parole. In realtà, proprio queste parole che provengono dalla cultura araba, sono probabilmente quelle più utilizzate inconsciamente dai cittadini napoletani. Ecco qui alcuni esempi:

Carcioffola: letteralmente significa “il carciofo”. Addirittura Salvatore Di Giacomo ed Eduardo Di Capua gli dedicarono una famosissima canzone. Ma in pochi sanno che questo vocabolo trae ispirazione da “harsuf“, il carciofo arabo.

Guallera: derivante dalla terminologia araba “wadara“, anticamente questa parola veniva utilizzata per indicare l’ernia scrotale, un rigonfiamento della sacca che contiene i testicoli. Chiaramente tutto ciò comportava un gran fastidio poiché rallentava l’andamento della camminata.

Mesale: in molti dibattono sull’origine di questa parola. C’è chi dice che venga dal latino “mensa” che significava tavolo da pranzo. Ma c’è chi trova la traduzione di mesale nella parola araba “misar“, ovvero la tipica tovaglia che viene utilizzata dagli arabi.

Paposcia: il termine “paposcia” nel dialetto napoletano sta ad indicare una tipologia di appesantimento del morale di una persona a causa dell’ernia scrotale oppure la pantofola. Come mai? Semplice, questa parola trae origine dalla “bābūğ” araba, ovvero una tipologia di calzatura con la punta in su che si indossava senza lacci, proprio come le pantofole.

Tamarro: questa parola deriva dalla lingua araba “al-tammār” che letteralmente significa “mercante di datteri”. Chi svolgeva questa professione, in passato, veniva additato come una persona che non si curava del proprio aspetto e che, pur non essendolo per davvero, dava l’impressione di essere uno zotico.

Tauto: questa antichissima parola significa letteralmente bara e deriva dal termine arabo “Tabu’t“, che ha la stessa corrispondenza partenopea.

Vaiassa: il vocabolo venne utilizzato addirittura ai primi del XVII secolo da Giulio Cesare Cortese, autore di un poema eroicomico dialettale “sulle serve” intitolato Vaiasseide, pubblicato nel 1604. Più recentemente il termine “vaiassa” è stato utilizzato per descrivere la donna che abita nella tipica abitazione napoletana chiamata “basso”, quindi di basso ceto sociale e di umili origini. Infatti “vaiassa” deriva dalla lingua araba”bargash” che tradotto in italiano sta a significare “la serva”.

fonte http://www.storienapoli.it/2018/10/28/guallera-tamarro-lingua-araba/?fbclid=IwAR1W5eFRigNHc5Dc6e8cOJOrWQbLVzD2q06g7viBSwDpHrPRj9qKaKL-EeQ

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