Alta Terra di Lavoro

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Breve sintesi storica e situazione sociale ed economica delle Due Sicilie

Posted by on Ott 21, 2019

Breve sintesi storica e situazione sociale ed economica delle Due Sicilie

Nel 1130, notte di Natale, con una fastosa cerimonia Re Ruggero II sancì a Palermo la nascita del Regno di Sicilia. Tutto il Sud fu unificato come nazione indipendente con capitale Palermo. Quel 25dicembre è una data simbolica: Ruggero II si presentava come il redentore di tutte le popolazioni del Sud della penisola dagli Arabi, dai Bizantini e dai Longobardi e nello stesso tempo annunciava al mondo la nascita di un regno cristiano. Questa unità durò più di 700 anni fino al 1860, quando, a causa dell’invasione piemontese, le popolazioni duosiciliane perdettero la propria identità nazionale con la forzata unione con gli altri popoli della penisola. Il governo normanno durò fino al 1194. Poi vi fu quello degli Svevi, il cui più illustre rappresentante fu Federico II. Con l’avvento degli Angioini nel 1266 la capitale del Regno di Sicilia fu portata a Napoli. A seguito dei “vespri siciliani” del 1282 la Sicilia fu occupata dagli Aragonesi e divenne Regno di Trinacria. Nel 1443 gli Angioini dovettero cedere agli Aragonesi anche la parte continentale del Regno: le Due Sicilie furono riunite con Alfonso il Magnanimo (Regnum utriusque Siciliae). Nel 1503 il Regno fu incorporato dalla Spagna, come vicereame autonomo; così come avvenne nel breve periodo austriaco, che va dal 1707 al 1734, anno in cui tutta la Nazione diventò nuovamente indipendente con i Borbone. In questa breve sintesi tralasceremo i pur importanti avvenimenti del periodo relativo ai primi Borbone: Carlo, Ferdinando I e Francesco I. Ricordiamo comunque che nel 1815 Ferdinando I unificò il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia in un unico stato che fu chiamato Regno delle Due Sicilie. Fondamentali per la vera ricostruzione storica dell’unità d’Italia sono il periodo di regno di Ferdinando II, e quello del giovane Francesco II. Sui Borbone sono stati raccontati moltissimi aneddoti, per lo più tendenti solo a denigrarli allo scopo di ingannare l’opinione pubblica e di giustificare l’aggressione al Regno delle Due Sicilie. Indubbiamente la nazione duosiciliana, contrariamente a quello che ancora oggi si continua a leggere nei libri di storia, acquistata nuovamente la sua indipendenza, ebbe con i Borbone il suo periodo più splendido e più significativo. Eppure la storia è stata a tal punto mistificata che ancora oggi “borbonico” è sinonimo di inefficienza e di retrivo. Molti scrittori, inoltre, hanno raffigurato la situazione dei Territori Duosiciliani “dopo” che vi era stata la devastazione piemontese, attribuendo all’amministrazione borbonica le pessime condizioni sociali ed economiche in cui erano state ridotte le Due Sicilie a causa dell’aggressione savoiarda. Il fatto più spregevole è che tali menzogne, pervicacemente avallate da uno Stato che si definisce “italiano”, cioè di tutti i popoli della penisola, sono insegnate come storia ufficiale ai nostri figli, i quali si formano in un culto che, non solo non è il nostro, ma che è stato creato proprio contro di noi Duosiciliani. Ma la storia, come si vedrà in seguito, è soprattutto narrazione di avvenimenti, che nella loro materiale concretezza non possono essere più di tanto mistificati o nascosti.

Il Reame aveva praticamente due amministrazioni: quella delle province napoletane che comprendeva tutte le regioni continentali dagli Abruzzi alle Calabrie e quella siciliana. Nel 1860 la popolazione del Regno delle Due Sicilie era poco più di 9 milioni di abitanti. Il Regno in quell’anno poteva sicuramente essere considerato in campo economico al primo posto in Italia ed al terzo in Europa. La moneta circolante nelle Due Sicilie era pari a 443,2 milioni di lire, risultante oltre il doppio di tutte le altre monete circolanti nella penisola italiana. Per fare un paragone si può considerare che il Piemonte possedeva solo 20 milioni di lire. Questo era stato il risultato di previdenti leggi che avevano regolato le importazioni e le esportazioni proprio con lo scopo di favorire la nascita dell’industria, dosando opportunamente i dazi doganali e le misure fiscali. Infatti già dal 1818 l’industria tessile (seta, cotone e lana) e quella metalmeccanica erano i due principali settori trainanti dell’economia duosiciliana, tanto che molti stranieri trovarono conveniente investire nel Regno. La politica industriale era stata insomma lungimirante e coerente, anticipando di un secolo in Italia la formula dell’iniziativa pubblica nell’industria senza peraltro privilegiare le industrie statali che erano sempre in concorrenza con le private. Lo sviluppo industriale del Regno delle Due Sicilie, cioè il trasferimento di risorse dal settore agricolo al settore industriale; non avvenne infatti per opera di privati come negli altri Stati (grossi proprietari terrieri, come in Inghilterra, o Banche, come in Germania), ma per diretto intervento dello Stato, che tuttavia venne anche coadiuvato da imprenditori privati con capitali agrari, commerciali, bancari e di paesi esteri. Per quanto riguarda il territorio continentale, nel 1860 gli addetti alle grandi industrie erano 210.000 in quasi 5.000 opifici e costituivano circa il 7% della popolazione attiva. Il capitale investito nella sola industria si può valutare intorno ai cento milioni di ducati (1 ducato: 4,25 lire dell’epoca) e dava utili che raggiungevano in molti casi il 15 o 20%, con una media di circa l’8%. Il reddito pro-capite era pressochè uguale a quello medio italiano, per un totale complessivo di 275 milioni di ducati all’anno. Per quanto riguarda la vita economica bisogna dire che i prezzi erano estremamente stabili ed il Governo era sempre attento a garantire sia un’attività produttiva redditizia sia paghe adeguate al contesto socioeconomico. Rarissime erano le emigrazioni, poichè la disoccupazione era molto limitata. Il settore agricolo, aumentata del 120% la sua produttività negli ultimi 40 anni, dava una eccedenza di risorse alimentari che erano così disponibili sia per la manodopera dell’industria sia per l’aumento della popolazione. A proposito di agricoltura è necessario dire che è una favola quello di un Sud latifondista con i Borbone. I latifondi al Sud si formarono con la venuta dei Piemontesi, che svendettero ai loro collaborazionisti tutte le terre demaniali rapinate ai contadini che ne avevano l’uso civico da centinaia di anni. Il Regno, in quegli anni, aveva dunque una forte economia, con una stabile e solida moneta, ma non aveva un forte esercito. Lo Stato delle Due Sicilie, infatti, non aveva mai avuto mire espansionistiche per cui le cure per l’Armata erano per lo più indirizzate so1o al suo mantenimento, con pochissimo addestramento di guerra. Anche perchè, a causa delle continue sommosse carbonare, le forze armate erano state spesso impiegate per l’ordine interno e venivano distolte dal necessario addestramento. Le forze veramente operative e seriamente addestrate erano costituite da tre reggimenti svizzeri, che però proprio nel 1860 furono sciolti. Ottima era invece la flotta navale militare, senza dubbio la prima in Italia e la terza in Europa. La Marina Mercantile duosiciliana, la seconda in Europa con oltre 9.800 bastimenti, aveva avuto un forte sviluppoperchè aveva dovuto soddisfare le crescenti esigenze dei trasporti commerciali, che dai registri doganali dell’epoca erano valutati per circa 500.000.000 di ducati tra import ed export. Nel Regno esistevano allora circa quaranta cantieri navali di una certa rilevanza. L’amministrazione dello Stato, dopo i malanni apportati dall’occupazione francese (nel periodo dal 1799 al 1815), era in via di evoluzione, ma in sostanza era efficiente e funzionale. La giustizia era proprio borbonica, cioè era la migliore in assoluto in Italia, ed i suoi codici erano di riferimento per tutta la legislazione della penisola italiana e anche d’Europa. In questo quadro è necessario anche illustrare, sia pure brevemente, la situazione delle varie regioni, iniziando con la CALABRIA, che è veramente un esempio emblematico. Prima dell’unità d’Italia era la più ricca regione della penisola italiana, ora è la più povera d’Europa. In Calabria l’industrializzazione iniziò con lo sfruttamento delle miniere di ferro e di grafite che vi erano state rinvenute. Per questo tu fondato il Real Stabilimento di Mongiana, dove su un’area coperta di 12.000 metri quadri furono costituiti una fonderia e un grandioso stabilimento siderurgico, potenziato con due altiforni per la ghisa, due forni Wilkinson e sei raffmerie. Accanto vi era anche una fabbrica d’armi su un’area coperta di circa 4.000 metri quadri. La produzione della ghisa e del ferro era di eccellente qualità e da essi si ricavavano trafilati, laminati e acciai da cementazione. Alla fine del Regno la Calabria era, insomma, fortemente industrializzata e negli stabilimenti di Mongiana, di Pazzano, di Fuscaldo, di Cardinale e di Bigonci vi lavoravano circa 2.500 operai, numero veramente notevole per quell’epoca. Altre attività importanti in Calabria, per antica tradizione, oltre alla produzione agricola, erano quelle tessili, in cui primeggiava la produzione della seta, gli arsenali ed i numerosi cantieri navali. I calabresi impiegati nelle industrie importanti erano allora poco più di 31.000. Nelle PUGLIEed in BASILICATA vi erano importantissimi opifici di lana, di cotone e di lino, la cui produzione veniva esportata in tutto il mondo. Vi erano anche centinaia di filande di cui molte motorizzate. Famose anche le fabbriche di presse olearie e di macchine agricole di Foggia e di Bari. Non meno importanti erano le aziende agricole e chimiche, le numerosissime flottiglie per la pesca ed i cantieri navali. A Barletta vi era un’efficientissima salina che riforniva tutta l’Europa. Centro di riferimento, per tutto il Regno, era l’attivissima Borsa di Commercio di Bari. Negli ABRUZZI enel MOLISE era eccellente e notissima la produzione di utensili, di lame di acciaio, rasoi e forbici. Vi erano anche molti opifici tessili e per la produzione della carta. Notevoli, infine, erano gli a1levamenti bovini e caprini. La CAMPANIAdel 1860 era la regione più industrializzata d’Europa, particolarmente l’area napoletana, lungo l’asse Caserta – Salerno. In essa vi erano sia il grandioso Opificio di Pietrarsa dove si producevano motori a vapore, locomotive, carrozze ferroviarie e binari, sia i famosi cantieri navali tra i migliori d’Europa, fabbriche d’armi e di utensileria, aziende chimiche – farmaceutiche e per la produzione della carta, del vetro, concia e pelli, alimentari, ceramiche e materiali per edilizia. Prestigiosa era la produzione della seta di S. Leucio. Numerose anche le fabbriche di strumenti tecnici, orologi, bilance, e insomma tutta una miriade di fabbriche minori, nei più svariati campi di attività, diffuse geograficamente in tutto il territorio. In SICILIA, infine, il reddito si basava, oltre che sulla pesca e sui cantieri navali, sull’esportazione di zolfo, olio d’oliva, agrumi, sale marino e vino. Le principali correnti di traffico erano dirette verso l’Inghilterra (40%), verso gli Stati Uniti (con un terzo della produzione di agrumi) e verso gli altri paesi europei. La Sicilia per questi suoi commerci aveva costantemente un saldo attivo.

fonte http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/RegnoDueSicilie/Storia%20Regno%20DueSicilie.htm#sintesi

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17 Marzo, Unità d’Italia: ecco perché il Sud non deve festeggiare

Posted by on Ott 20, 2019

17 Marzo, Unità d’Italia: ecco perché il Sud non deve festeggiare

17 Marzo 1861: Unità d’Italia. Il giorno che secondo l’epopea risorgimentale ha liberato la penisola italica, e in special modo il Meridione, dallo straniero invasore ed oppressore per dare vita a un Regno libero, guidato dal piemonteseRe “galantuomo” Vittorio Emanuele II e formato grazie alle abilità politiche del conte di Cavour e a quelle militari dell’eroe dei Due Mondi, Giuseppe Garibaldi,l’uomo che a capo di mille uomini e 3 cannoni riesce a sbarcare in Sicilia e da lì fa capitolare strada facendo, e nel giro di pochi mesi, il Regno delle Due Siciliecon il suo esercito di 30.000 effettivi: un’autentica impresa, o forse c’è bisogno di integrare il racconto con qualche altra informazione?

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E li chiamavano briganti: cronaca di una unificazione

Posted by on Ott 18, 2019

E li chiamavano briganti: cronaca di una unificazione

E li chiamavano briganti: cronaca di una unificazione

Perché dedicheremo una serata ad un argomento che ai più potrebbe sembrare inutile, stantìo, velleitario, senza possibilità di incidere sulla nostra vita?
E’ una domanda che mi è già stata rivolta ed alla quale ho risposto e rispondo.
Forse non mi sarebbe stato posto lo stesso interrogativo se l’argomento prescelto fosse stato la dominazione Araba, i Normanni, Federico II, i vespri siciliani…episodi e dominazioni entrati nell’immaginario comune come fatti positivi, come fatti di cui andare orgogliosi.
In questa mia ricerca trovo il conforto di alcuni compagni di viaggio di tutto rispetto che con la professionalità e la competenza che viene loro riconosciuta nobilitano di fatto queste nuove interpretazioni, e mi riferisco a Paolo mieli, con la sua “Aa storie, le storie”, a Giordano Bruno Guerri con la sua ” Antistoria degli italiani”, a Roberto Martucci, professore ordinario di storia delle istituzioni politiche presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Macerata con la sua “L’invenzione dell’Italia unita.”, ad Angelantonio Spagnoletti docente di storia degli antichi stati italiani all’Università di Bari, col suo recente “Storia del Regno delle Due Sicilie”, a Lorenzo del Boca, Presidente nazionale dell’ordine dei giornalisti con “Maledetti Savoia”, Fulvio Izzo con “I lager dei Savoia”, con Angela Pellicciari, docente di storia e filosofia, autrice di “Risorgimento da riscrivere” “L’altro risorgimento”. citeremo di passaggio autori dell’epoca e moderni, quale Giacinto De sivo, M. De Sangro, A. Capece Minutolo, Harold Acton, Topa, Cucinotta, Zitara, Scarpino, Campolieti, De Fiore, Alianello, Dennis Mack Smith.
Tratteremo queste cose perché anche questa è la nostra storia, anzi, questa è la nostra storia, la storia dei nostri antenati e della nostra terra, dove è nato e fermentato l’humus della nostra cultura, del nostro carattere, del nostro modo di essere, una storia che in mezzo a luci ed ombre – non solo ombre – ha dato al nostro popolo un grande stato, retto da una grande dinastia, che ha dato grandi impulsi alla politica, alla scienza, all’economia, alle arti, al diritto. parleremo di queste cose perché dopo 142 anni di propaganda esercitata proponendo schemi falsi e calunniosi, riteniamo sia giunto il momento che ognuno di noi, nel suo piccolo, rilegga questa storia, riveda il proprio passato e ponga fine ad un martellamento che nel tempo si è trasformato in campagna antimeridionalistica, consapevoli del fatto che qualunque rinascita del nostro popolo non possa avvenire se non passando attraverso la riacquisizione del nostro passato e del nostro orgoglio di essere meridionali. porgeremo ora, di seguito, senza aver l’intenzione di voler imporre ad alcuno il nostro punto di vista, citando quanto più è possibile le fonti, alcune considerazioni che tenteranno di risolvere alcuni dubbi, di spiegare alcuni fatti, riprendendo il discorso dalla fine, dal proclama di Francesco II da Gaeta:
……sparisce sotto i colpi de’ vostri dominatori l’antica monarchia di Ruggiero e di Carlo III; e le Due Sicilie sono state dichiarate Provincie di un regno lontano. Napoli e Palermo saranno governati da prefetti venuti da Torino.. “

Con queste parole il giovane Francesco ricorda il calvario del suo breve regno, in questo suo ultimo proclama emanato da Gaeta assediata, l’8 dicembre 1860.
Nel frattempo nell’intero regno iniziava la sollevazione popolare; iniziava la resistenza disperata che doveva insanguinare le nostre contrade per ben dieci anni.
Dai vincitori con disprezzo fu chiamata “brigantaggio”.
E’ norma che ha diritto alla dignità di partigiano chi vince, mentre è bandito, brigante, chi perde .
Come e perché si arrivò a quei giorni?.
Come e perché la cultura ufficiale ha condannato i Borbone ed il Regno delle Due Sicilie, in una condanna severa e senza appello?
Non è certo scopo di questa conversazione sovvertire le conoscenze storiche ufficiali; non c’è né il tempo, né la competenza. si cercherà solo di aprire uno spiraglio, di suscitare un dubbio, di sollecitare la curiosità.
Esistono ormai, come già detto, parecchie pubblicazioni che trattano anche questo argomento, e concordo che c’è da mediare fra tesi opposte, “navigando fra il perfetto disaccordo che deriva dalla lettura comparata dei vari testi, superando da una parte la tendenza agiografica nei confronti dei Savoia e la divinizzazione ad oltranza del risorgimento, che innalza certi fatti a miti, certe opinioni a culti, certi personaggi ad eroi e dopo morti, a monumenti.”
Mentre dall’altra parte occorre superare il sentimento nostalgico e dorato dei legittimisti e dei tradizionalisti.
E’ ormai chiaro che lo sbarco dei garibaldini in Sicilia è uno degli atti destinati alla conquista del sud la cui preparazione fu lunga e meticolosa; Vittorio Emanuele, Cavour, Garibaldi – protagonisti della storia cosiddetta risorgimentale – furono in realtà strumenti della politica imperialistica britannica e della massoneria ad essa collegata.


Cominciò, si rafforzò, una continua e serrata campagna di diffamazione, e voglio ricordare solo la lettera di Gladstone a Palmerston nella quale si definisce il governo borbonico “la negazione di dio fatta sistema”. tale lettera ebbe una grande amplificazione e diffusione in tutta Europa. confesserà poi Gladstone che non era presente ai fatti che riferisce ma questa sua correzione passerà sotto silenzio.
Tutto questo può spiegare il comportamento dell’esercito che in fondo era composto di oltre 100.000 uomini, con battaglioni di svizzeri e bavaresi ed al di là delle mitologie e degli aneddoti, ben addestrato e agguerrito.
Quando poterono combattere, sul Volturno, a Caiazzo, a Capua, a Gaeta i soldati borbonici seppero dimostrare di che pasta erano fatti, anche contro truppe numericamente superiori. (cosa che del resto gli austriaci avevano già avuto occasione di provare avendoli contro, a Curtatone e montanara, quando il loro intervento, a fianco delle truppe piemontesi, seppe rovesciare l’esito della battaglia).
Garibaldi a Calatafimi perdette centoventi volontari: se le sole quattro compagnie dell’8° cacciatori, equivalenti a meno di cinquecento uomini, lo sbaragliarono e gli fecero quel danno, quale sarebbe stata la fine della temeraria impresa del futuro dittatore delle Due Sicilie, se Landi si fosse battuto con tutti i suoi?
Cercheremo a questo punto, di aprire un piccolo squarcio, piccolo, dato il tempo a disposizione, sul regno, immediatamente prima dell’occupazione e vedremo di capire cosa ci hanno tolto ed in cambio di che cosa.
Per il regno delle Due Sicilie alla vigilia della spedizione dei mille si poteva parlare di “miracolo economico”. aveva la terza flotta mercantile d’Europa, una delle monete più solide, un debito pubblico pressoché irrisorio, praticamente inesistente l’emigrazione” – (questa comincerà ed assumerà aspetti drammatici dopo l’unificazione). il suo complesso siderurgico di Pietrarsa vantava un fatturato di gran lunga superiore a quello di analoghe strutture nel resto d’Italia.
Aveva inoltre la prima ferrovia della penisola (la famosa Napoli Portici; ma non solo, perché la rete si estese ben presto per più di duecento chilometri, ed erano pronti i progetti per allargarla a tutto il Regno).

Nelle casse statali infine, c’era quasi il doppio di quello che possedevano tutti gli altri stati della penisola messi assieme.
Riportiamo a questo proposito un estratto da “Scienze delle finanze” di Francesco Saverio Nitti:

Le monete degli antichi Stati Italiani al momento dell’annessione ammontavano a 660 milioni così ripartiti:

Stati preunitari
Milioni
Regno delle Due Sicilie
Lombardia
Ducato di Modena
Parma e Piacenza
Rmagna, marche e umbria
Roma
Sardegna
Toscana
Venezia
totale
 443,2
   8,1
   0,4
   1,2
  55,3
  35,3
  27,0
  85,2
  12,7
 668,4

Durante una conversazione, il mio occasionale interlocutore ribatté ad alcune mie precisazioni dicendo: “cosa vuole, io sull’argomento so solo quello che mi hanno insegnato a scuola”.
Ed infatti, ancora oggi a scuola non si insegna. negli anni in cui il programma prevede lo studio della storia moderna, ed in particolare del risorgimento, fra i nomi delle varie battaglie, Curtatone, Montanara, Solferino, San Martino, Bezzecca, Novara, e dei vari personaggi, Cavour, Napoleone III, Silvio Pellico, Ciro Menotti, Amatore Sciesa, Garibaldi, sbuca all’improvviso l’episodio della spedizione dei Mille, contro un Re usurpatore, tiranno e liberticida di un regno la cui connotazione è vaga e misteriosa quasi fosse ai confini della terra, spedizione guidata da un eroe fulgido, biondo che mette in fuga un esercito di diavoli neri e sporchi, vili, al servizio di un Belzebù viscido, tentennante e poi la liberazione e l’annessione in un tripudio di tricolori e peana di trionfo, con la gente del sud che osanna finalmente libera e italiana.
Chiudiamo con un’ultima considerazione sul grande odio dei Savoia verso i Borbone, odio che continuò a manifestarsi con imponenti azioni di cancellazione di ogni memoria, perpetrata con la distruzione dei monumenti, delle lapidi e della toponomastica che li ricordava.
Ma alle nuove generazioni, ai nostri figli, ai figli dei nostri figli, occorrerà raccontarla questa storia, occorrerà che sia raccontata e ricordata, affinché sia recuperato il nostro passato che è un passato di grandezza, di cui andare orgogliosi e non vergognarsi.

abstract della conferenza di Antonio Nicoletta

https://www.eleaml.org/sud/borbone/abstract.html

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La Marina Mercantile del Regno delle Due Sicilie

Posted by on Ott 11, 2019

La Marina Mercantile del Regno delle Due Sicilie

Quicampania riporta in questa pagina ampi stralci di un interessantssimo articolo pubblicato dalla Rivista “L’Alfiere”, a firma di Arturo Faraone, avente per oggetto la Marina Mercantile del Regno delle Due Sicilie.

Vi sono diversi punti trattati nell’articolo che mettono in risalto alcuni aspetti poco noti della storia e dell’economia del Regno delle Due Sicilie.

Nella prima parte dell’articolo il Faraone ricorda alcuni “record” della Marina Borbonica: il primo vapore, la prima Compagnia di Navigazione a vapore del Mediterraneo, la prima crociera turistica.

A questo punto si potrebbe obiettare che, come anche in altri campi, il governo del Regno delle Due Sicilie si distinse nell’arrivare per primo a proporre innovazioni all’avanguardia, per poi non far seguire a tali “record” nulla di organizzativamente ed economicamente valido.

In questo articolo si dimostra che, nel caso della Marina Mercantile, il governo borbonico fece seguire ai tanti “record” un’organizzazione complessiva della marineria tale da portarla ad essere all’avanguardia in Europa: leggeremo quindi del livello eccezionalmente elevato del nostro sistema portuale e logistico, della nostra cantieristica navale, delle decine di migliaia di occupati nel settore, del tonnellaggio complessivo della nostra flotta, talmente elevato da renderla terza in Europa.

Ecco l’articolo di Arturo Faraone.

………….

In effetti, la Marina Mercantile delle Due Sicilie vantava una tradizione secolare che, per traffici, attività cantieristiche e qualità della flotta, al momento del trapasso unitario, aveva pochi eguali nel vecchio continente.

Il primo bastimento a vapore

Non solo, ma è napoletano il piroscafo “Ferdinando I”, consegnato alla storia come il primo bastimento con propulsore a vapore per la navigazione marittima, che fu varato il 24 giugno 1818 e salpò per il suo viaggio inaugurale il 27 settembre dello stesso anno. Fu a Napoli che iniziò così la navigazione a vapore d’altura, allorché questo sistema pionieristico di solcare i mari non era stato neppure messo in pratica in Francia ed in altri Paesi europei ad eccezione dell’Inghilterra ove era stato adottato per la navigazione fluviale.

La prima Compagnia di navigazione a vapore del Mediterraneo

Fu parimenti napoletana la prima Compagnia di navigazione a vapore del Mediterraneo, che assunse il nome di “Amministrazione Privilegiata dei pacchetti a vapore delle Due Sicilie”, con un servizio regolare di linea, fornendo anche il primo esempio di convenzione marittima in Italia, poiché assunse dal Governo di S.M. Siciliana la concessione in privativa del trasporto della corrispondenza postale.

La prima crociera turistica

Fu napoletana anche la prima crociera turistica della storia preparata nel 1833 con il piroscafo “Francesco I” ed antesignana di oltre mezzo secolo rispetto ad analoghe iniziative intraprese in seguito da altri Paesi industrializzati; una crociera cui parteciparono i più bei nomi dell’aristocrazia europea e che, in poco più di tre mesi, toccò alcuni tra i più suggestivi porti del Mediterraneo fino ad Istanbul, sbalordendo il mondo civile per accuratezza ed efficienza organizzativa.

Il codice marittimo

Fu altresì napoletano il primo tentativo di codificare il diritto marittimo, dapprima con Carlo III di Borbone, che preannunciò un codice nella Prammatica “De nautis et portibus”, e successivamente con Ferdinando IV, che dette incarico al giurista Michele De Jorio di redigere un codice della navigazione di respiro internazionale, destinato a divenire una pietra angolare della legislazione regolante il commercio marittimo e tutti i rapporti privatistici e pubblicistici ad esso inerenti. L’opera fu realizzata nel 1781 con il titolo provvisorio di “Codice Ferdinando”, ma purtroppo rimase inattuata poiché travolta dai gravi sconvolgimenti politici di fine secolo. Ciò nonostante l’opera resta un cardine della scienza giuridica in materia.

……….

La politica fiscale dei Borbone a sostegno della Marina Mercantile

Del resto, la citazione di alcuni primati della Marina Mercantile delle Due Sicilie, lungi dall’essere un esercizio di narcisismo storico fine a se stesso, può giovare a dimostrare quanto il governo borbonico avesse in peculiare considerazione la prosperità delle attività marittime, come nutrici e sostegno di ogni ramo dell’industria, e quanto fosse crescente e continuo l’impulso che i sovrani napoletani dettero alla marineria meridionale ed alle sue nobili tradizioni. Ferdinando I incoraggiò la formazione di una vera e propria classe armatoriale, stabilendo premi e sovvenzioni da attribuire agli armatori per ogni tonnellata di naviglio costruito e dette impulso ai traffici commerciali non solo di cabotaggio, riducendo tasse di tonnellaggio ed accordando esenzioni di dazio, ma anche oltreoceanici, incoraggiando la costruzione di bastimenti con dislocamento superiore alle duecento tonnellate grazie a sostanziosi finanziamenti statali. I risultati di questa politica economica portarono all’investimento dei capitali dei cosiddetti “padroni” in armamento mercantile, nonché a forme di libero associazionismo: nel 1824 furono costruite, per esempio, ben 290 navi nuove. Con le accresciute dimensioni delle navi, aumentarono anche il raggio d’azione e l’intraprendenza degli equipaggi, che dettero vita a proficui e sistematici collegamenti con le Americhe e con il Nord Europa, grazie anche alla sovrana determinazione di accordare una riduzione del 20% del dazio sulle merci importate nel Regno dalle Americhe e dal Baltico.

Nel 1839 le Due Sicilie vantavano una flotta mercantile di 9.174 navi con 122.677 marinai impiegati, terza Marina europea per tonnellaggio complessivo (243.192 tonnellate), primato che avrebbe conservato fino all’unità.

I porti

Non meno saggia e proficua fu la politica di potenziamento tecnico dei porti condotta dai Borboni. Come esempio di previdenza e lungimiranza ricordiamo l’Ordinanza generale del 1° ottobre 1818 con la quale fra i doveri dei Capitani di Porto, si ritiene meritevole quello di curare la migliore conservazione dei rispettivi porti e di rimettere al Sopraintendente Generale “un prospetto dello stato dei porti e delle macchine che vi esistono per i lavori ordinari come pure delle riattivazioni necessarie, onde provocarsi dallo stesso le nostre sovrane determinazioni”. E’ da mettere qui in rilievo l’interesse per la manutenzione ed il funzionamento degli arredi e dei macchinari portuali, tenendo conto che anche nei porti nei quali verso la fine dell’800, in epoche ampiamente successive all’unità, si cominciarono ad introdurre apparecchi meccanici di sollevamento, quindi idraulici e poi elettrici, se ne vincolò l’impiego con rigorose limitazioni di tariffa, di orario e di tassi di discarica e persino con la corresponsione di diritti proporzionali alle maestranze portuali. La diversa strategia di politica portuale balza con evidenza agli occhi: l’ordinanza ferdinandea contiene in embrione una prodigiosa anticipazione della concezione moderna di competitività portuale, ispirata a filosofie privatistiche in cui l’interesse statale alla conservazione dell’efficienza delle “macchine” dell’azienda-porto , coincide con l’interesse privato della liberistica fruizione della struttura pubblica gratuita e deve il funzionario dello Stato assume veste “manageriale” di responsabile dell’efficienza e della produttività. Altrettanto stupefacente, stavolta per miopia ed insipienza, appare la politica portuale del nuovo Stato unitario, laddove, al contrario, il macchinario portuale è considerato soprattutto in chiave di strumento fiscale, come espediente per ulteriori balzelli e dove il funzionario dello Stato assume il ruolo di burocrate e di esattore, facendo collassare l’iniziativa imprenditoriale ed aprendo comode strade alla concorrenza dei porti esteri. I porti delle Due Sicilie erano distinti in quattro classi e divisi in circondari marittimi. Gli unici porti di prima classe erano Napoli, Messina e Palermo: porti di seconda classe erano Castellammare, Gaeta, Pozzuoli, Siracusa, Augusta e Trapani; porti di terza classe erano Precida, Ponza, Salerno, Crotone, Taranto, Gallipoli, Brindisi, Barletta, Manfredonia, Girgenti; porti di quarta classe erano Maratea, Pizzo, Reggio Calabria, Ótranto, Bari, Tremiti, Pescara, Milazzo, Catania, Cefalù, Marsala, Lipari e Pantelleria. …………

La cantieristica

Gaeta vantava una tradizione di eccellenti marinai e di ottimi costruttori di imbarcazioni mercantili e da pesca. Invero la marineria meridionale era una delle poche nel Mediterraneo che poteva vantare un vasto assortimento di imbarcazioni minori costruite ed impiegate in tutto lo Stato. Tali mezzi erano di vitale importanza nell’economia del Regno, in quanto la loro costruzione ed il loro impiego producevano lavoro e ricchezza, anche indotti, se si pensa a tutte le attività complementari legate alla produzione di accessori e di utensili indispensabili per la navigazione ed il commercio. II borgo di Gaeta era uno dei più importanti poli di attività della cantieristica minore del medio e basso Tirreno. Le costruzioni navali avvenivano sugli arenili del borgo e nulla era fisso. Scalo ed avanscalo erano “volanti” e quello spazio che d’estate era occupato da una struttura pullulante di attività, d’inverno ridiventava spiaggia libera. Del resto solo a Napoli, Palermo,  Messina e Casitellammare, dove dal 1852 esisteva il primo bacino di carenaggio in Italia, vi erano apprestamenti industriali stabili di proprietà statale adibiti permanentemente alla cantieristica navale. A Gaeta, come in altre località costiere dedite alla cantieristica minore, i maestri d’ascia e i carpentieri, con attrezzi realizzati artigianalmente, realizzavano sull’arenile le barche o i bastimenti di piccolo e medio tonnellaggio che erano stati loro commissionati.

Le scuole nautiche

Gaeta vantava, inoltre, una delle quattordici scuole nautiche che il Regno possedeva all’atto del trapasso unitario. Ben consapevole della “necessità della istruzione delle popolazioni marittime”, come si legge in un Decreto Reale 28 ottobre 1831 che riformava il sistema amministrativo e disciplinare di alcune scuole nautiche, il governo napoletano fu particolarmente sensibile nel promuovere una costante crescita qualitativa degli Istituti Nautici. Tra questi, giustamente famosa oltre i confini nazionali, era la prima scuola in Italia di allievi macchinisti istituita a Pietrarsa accanto al celebre opificio, colosso dell’industria metalmeccanica, che vantava il maggior impiego di manodopera in Italia, quasi mille operai altamente specializzati, il doppio numerico rispetto all’Ansaldo di Sampierdarena. Nel momento in cui Francesco II da sovrano del Regno delle Due Sicilie fu costretto a diventare il “Montezuma di Gaeta”, mutuando una immaginifica descrizione di A. Ghirelli, la marina mercantile napoletana era ancora in espansione: con una flotta di oltre diecimila legni, aveva continuato ad aumentare la sua consistenza, mentre i noli marittimi coprivano largamente il disavanzo commerciale tra esportazioni ed importazioni. Questa continua espansione economica è confermata da una significativa statistica contenuta in una relazione del 1865, in cui viene riportata la crescita del movimento “import-export” relativo al commercio marittimo delle Due Sicilie. Si passa dai 27 milioni di ducati del quadriennio 1840-44, ai 29 milioni del quadriennio successivo, ai 31 milioni del 1850-54, sino ai 34 milioni e 355 mila ducati del quadriennio 1855-59. Cifre che vanno ancor più rivalutate nella considerazione del ribasso dei prezzi di mercato dal 1840 al ’59, con un unità monetaria che non conosceva tassi inflattivi. Ma, come tante attività meridionali, anche la Marina fu sacrificata all’unità.

fonte http://www.quicampania.it/ilregno/marina-mercantile-delle-due-sicilie.html

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Primati di un Regno che fu

Posted by on Ott 9, 2019

Primati di un Regno che fu

Quello che la scuola e l’informazione “ufficiale” non ci dicono.

Il “Rinascimento” meridionale può fondarsi solo sulla consapevolezza di quello che è il nostro passato

Il Regno delle Due Sicilie costituiva la piú grande e importante entità statale autonoma che la penisola italiana abbia mai avuto prima dell’Unità.

Di seguito elencherò alcuni dei primati che le Due Sicilie conseguirono mentre, nello stesso periodo di tempo, il resto della penisola era una zona semisviluppata in cui gli abitanti emigravano verso le Americhe o (e oggi può apparire paradossale) verso le nostre regioni.

1735: Prima Cattedra di Astronomia, in Italia, affidata a Napoli a Pietro De Martino

1751: Il piú grande palazzo d’Europa a pianta orizzontale, il Real Albergo dei Poveri a Napoli

1754: Prima Cattedra di Economia, nel mondo, affidata a Napoli ad Antonio Genovesi

1762: Accademia di Architettura, una delle prime e piú prestigiose in Europa

1763: Primo Cimitero italiano per poveri (il “Cimitero delle 366 fosse”, nei pressi di Poggioreale a Napoli, su disegno di Ferdinando Fuga)

1781: Primo Codice Marittimo nel mondo (opera di Michele Jorio)

1782: Primo intervento in Italia di Profilassi Anti-tubercolare

1783: Primo Cimitero in Europa ad uso di tutte le classi sociali (Palermo)

1789: Prima assegnazione di “Case Popolari” in Italia (San Leucio presso Caserta).
Prima istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San Leucio)

1792: Primo Atlante Marittimo nel mondo (Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, Atlante Marittimo delle Due Sicilie. (vol. I) elaborato dalla prestigiosa Scuola di Cartografia napoletana)

1801: Primo Museo Mineralogico del mondo

1807: Primo “Orto botanico” in Italia a Napoli di concezione moderna

1812: Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo

1813: Primo Ospedale Psichiatrico italiano (Reale Morotrofio di Aversa)

1818: Prima nave a vapore del Mediterraneo “Ferdinando I”

1819: Primo Osservatorio Astronomico in Europa, a Capodimonte

1832: Primo Ponte sospeso (il Ponte “Real Ferdinando” sul Garigliano), in ferro, in Europa continentale

1833: Prima Nave da crociera in Europa “Francesco I”

1835: Primo istituto italiano per sordomuti

1836: Prima Compagnia di Navigazione a vapore nel Mediterraneo

1837: Prima Città d’Italia ad avere l’illuminazione a gas (primo esperimento nei portici di San Francesco di Paola)

1839: Prima Ferrovia italiana, tratto Napoli-Portici, poi prolungata sino a Salerno e a Caserta e Capua.

1839: Prima galleria ferroviaria del mondo.
Prima Illuminazione a Gas di una città italiana (terza in Europa dopo Londra e Parigi) con 350 lampade

1840: Prima Fabbrica Metalmeccanica d’Italia per numero di operai (1050) a Pietrarsa presso Napoli

1841: Primo Centro Vulcanologico nel mondo presso il Vesuvio. Primo sistema a fari lenticolari a luce costante in Italia

1843: Prima Nave da guerra a vapore d’Italia (pirofregata “Ercole”), varata a Castellammare.
Primo Periodico Psichiatrico italiano pubblicato presso il Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglia

1845: Prima Locomotiva a Vapore costruita in Italia a Pietrarsa. Primo Osservatorio Meteorologico italiano (alle falde del Vesuvio)

1848: Primo esperimento di illuminazione a luce elettrica d’Italia a Lecce, per opera di mons. Giuseppe Candido. Illuminazione dell’intera piazza in occasione della festa patronale.

1852: Primo Telegrafo Elettrico in Italia (inaugurato il 31 luglio). Primo Bacino di Carenaggio in muratura in Italia (nel porto di Napoli).

1853: Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l’America (Il “Sicilia” della Società Sicula Transatlantica di Salvatore De Pace: 26 i giorni impiegati).
Prima applicazione dei principi Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi

1856: Primo Premio Internazionale per la Produzione di Pasta.
Esposizione Internazionale di Parigi, premio per il terzo Paese del mondo come sviluppo industriale.
Primo Premio Internazionale per la Lavorazione di Coralli (Mostra Industriale di Parigi)
Primo Sismografo Elettromagnetico nel mondo costruito da Luigi Calmieri

1859: Primo Stato Italiano in Europa produzione di Guanti (700.000 dozzine di paia ogni anno)

1860: Prima Flotta Mercantile d’Italia (seconda flotta mercantile d’Europa) e prima Flotta Militare (terza flotta militare d’Europa).
Prima nave ad elica (Monarca) in Italia varata a Castellammare.
Piú grande Industria Navale d’Italia per operai (Castellammare di Stabia 2000 operai).
Primo tra gli Stati italiani per numero di Orfanotrofi, Ospizi, Collegi, Conservatori e strutture di Assistenza e Formazione.
Istituzione di Collegi Militari (La Scuola Militare Nunziatella è il piú antico Istituto di Formazione Militare d’Italia, ed uno dei più antichi del mondo.
Prime agenzie turistiche italiane.
La piú bassa percentuale di mortalità infantile d’Italia.
La piú alta percentuale di medici per abitanti in Italia.
Prima città d’Italia per numero di Teatri (Napoli), il Teatro San Carlo è il piú antico teatro operante in Europa, costruito nel 1737.
Prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli).
Primo “Piano Regolatore” in Italia, per la Città di Napoli.
Prima città d’Italia per numero di Tipografie (113, in Napoli).
Prima città d’Italia per numero di pubblicazioni di Giornali e Riviste.
Primi Assegni Bancari della storia economica (polizzini sulle Fedi di Credito).
La piú alta quotazione di rendita dei titoli di Stato (120% alla Borsa di Parigi).
Il Minore carico Tributario Erariale in Europa.
Maggior quantità di Lire-oro nei Banchi Nazionali (dei 668 milioni di Lire-oro, patrimonio di tutti gli Stati italiani messi insieme, 443 milioni erano del regno delle Due Sicilie).
Monopolio mondiale dello zolfo, avendo oltre 400 miniere di zolfo, copriva circa il 90% della produzione mondiale di zolfo e affini.

Questi impressionanti dati non si riferiscono agli Stati Uniti d’America, ma alle nostre Regioni Meridionali.
Tale ricerca storica è inoltre rafforzata da alcuni studi statistici che hanno evidenziato come l’emigrazione dal Meridione fosse assente, e al contrario il Sud ricevesse immigrati sia dalle regioni italiane del centro-nord  che da zone depresse del nord Europa (alcuni esempi: nel salernitano è diffuso il cognome Helzen,  derivante dalla Germania orientale; oppure in molte zone della Calabria è diffuso il cognome Alberto, tipico piemontese; ed infine la diffusione dei dialetti gallo-italici in Basilicata,  derivanti da immigrazioni dal Monferrato).

Questi primati non erano solo in campo tecnologico ed economico, ma anche in campo “sociale”, per esempio l’illuminazione pubblica (1837 Napoli e 1848 Lecce) , le case popolari (1837 San Leucio – CE), l’ospedale psichiatrico (1813 Aversa – CE) e l’istituto per sordomuti (1835 Napoli).

Tutti dati che devono farci riflettere su due aspetti: innanzitutto sul fatto che non è assolutamente vero che dopo la “Magna Grecia” si sia verificato al Sud un declino irreparabile; e seconda cosa: se prima il Sud era economicamente forte, può ridiventarlo, e, ancora una volta, ritornare a trainare l’economia del nostro Paese.

L’unica cosa inspiegabile è data dalla censura che la storiografia ufficiale attua su questi dati e su questi primati: aver paura della verità è spesso indice di “coscienza sporca”!

di Valerio Rizzo

fonte http://briganti.info/primati-di-un-regno-che-fu/

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