Nota del 17 novembre 2018 In occasione del Capitolo Nazionale di Alleanza Cattolica svoltosi oggi a Piacenza Francesco Pappalardo ha svolto una relazione dal titolo «L’Insorgenza come categoria politica nell’intuizione e nel pensiero di Giovanni Cantoni». Riproponiamo qui lo scritto del fondatore di Alleanza Cattolica che espone il suo pensiero sull’argomento.
Quando gli studiosi di… regime si scagliano in modo selvaggio contro i Borbone, non posso che prendere la penna e cercare di difendere il mio Sud, le mie tradizioni e la mia Storia, quella che mi è stata insegnata, fin dalla tenera età, quando nonno Antonino, vicino al focone, mi parlava dei briganti, che si riunivano sul monte Polveracchio, dei Borbone, che amavano le nostre zone e che cercavano di rendere la vita nel loro regno il più vivibile possibile.
Il
13 febbraio 1861 cade il regno delle due Sicilie. Finisce il regno borbonico
del Sud e comincia l’Italia unita e la colonizzazione del Sud.
Il 13
Febbraio 1861 la storia del regno delle Due Sicilie
finisce: inizia la storia dell’Italia unita.
Francesco II accetta di firmare la capitolazione
e di abbandonare il regno. Il 14 il re e la
regina salgono sul piroscafo francese Mouette e lasciano Gaeta
diretti a Terracina, nello Stato Pontificio.
Il
15 la brigata «Bergamo» prende in consegna la fortezza di Gaeta e
la bandiera tricolore viene issata sulla
Torre d’Orlando in sostituzione dello stemma borbonico.
CHI SONO STATI DAVVERO I BORBONE, PER CINQUE
GENERAZIONI RE DI NAPOLI E DI SICILIA?
Per centocinquant’anni, le vicende del Mezzogiorno
borbonico sono state una «storia negata»: da quando Vittorio Emanuele II
è stato proclamato primo re d’Italia, l’immagine ufficiale del Sud è
stata quella di un territorio sino ad allora mal governato, con re inetti e
reazionari, un’economia arretrata e asfittica, una società ignorante e
semifeudale.
Le ragioni di questa impostazione sono evidenti: per rappresentare il
Risorgimento sabaudo come unica via al progresso e alla libertà, occorreva
demonizzarne gli avversari e costruire una memoria strumentale del passato, che
condannasse i Borbone come figure antistoriche ed esaltasse i Savoia
come i principi della patria liberale.
REGNO DELLE DUE SICILE
Una
rielaborazione mistificata si è sedimentata nella coscienza collettiva: secondo
la «vulgata nazionale», in un regno delle Due Sicilie
collassato, dove è stato sparso il sangue generoso delle camicie
rosse di Garibaldi, e dei reggimenti di
Vittorio Emanuele II, e insieme portano le libertà dello
statuto albertino, aprono la strada dello sviluppo, eliminano oscurantismo e
repressione.
Il
«prima» viene azzerato e nessuno ricorda che ancora fra il 1830 e il 1840 una
parte significativa del movimento liberale immaginava che alla
guida del riscatto nazionale potesse esserci la Napoli di Ferdinando II
assai più che la Torino di Carlo Alberto. Il «dopo» (la
drammatica guerra civile che ha insanguinato le
regioni del Sud sino al 1865) viene liquidato affrettatamente e con sprezzo
come «lotta al brigantaggio
meridionale».
SCOMPAIONO I BORBONE
I Borbone e il loro regno scompaiono
dalla storia,
vittime predestinate della damnatio memoriae imposta dai vincitori ai vinti.
Tuttavia, come ha scritto l’intellettuale inglese Aldous Huxley, «i fatti non
cessano di esistere solo perché vengono ignorati».
FINISCE LA STORIA DEL SUD
La storia del
regno borbonico del Sud è stata colpevolmente e volutamente
ignorata. I Borbone di Napoli e di Sicilia possono
essere demonizzati o celebrati, ma non possono essere dimenticati. Essi sono
stati parte significativa della storia d’Europa e parte importante della storia
d’Italia.
Quale sarebbe potuta essere la
storia del Sud senza l’unificazione nazionale? Ai Borbone all’onore della storia.
Hanno governato per cinque generazioni un regno che è stato grande e che ha dato all’Italia e all’Europa ingegni di assoluto valore.
Popoli delle Due Sicilie
Si alza la voce del vostro Sovrano per consolarvi nelle vostre miserie. Quando veggo i sudditi miei, che tanto amo, in preda a tutti i mali della dominazione straniera, quando li vedo come popoli conquistati, calpestati dal piede di straniero padrone, il mio cuore Napoletano batte indignato nel mio petto contro il trionfo della violenza e dell’astuzia. Io sono Napolitano; nato tra voi, non ho respirato altra aria, i vostri costumi sono i miei costumi, la vostra lingua la mia lingua, le vostre ambizioni le mie ambizioni. Ho preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta capitale per non esporla agli orrori di un bombardamento. Ho creduto di buona fede che il Re di Piemonte, che si diceva mio fratello, mio amico, non avrebbe rotto tutti i patti e violate tutte le leggi per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazioni di guerra. Le finanze un tempo così floride sono completamente rovinate: l’Amministrazione è un caos: la sicurezza individuale non esiste. Le prigioni sono piene di sospetti, in vece di libertà lo stato di assedio regna nelle province, la legge marziale, la fucilazione istantanea per tutti quelli fra i miei sudditi che non s’inchinino alla bandiera di Sardegna. E se la Provvidenza nei suoi alti disegni permetta che cada sotto i colpi del nemico straniero, mi ritirerò con la coscienza sana, farò i più fervidi voti per la prosperità della mia patria, per le felicità di questi Popoli che formano la più grande e più diletta parte della mia famiglia.
Alessandro Bixio (fratello del più
conosciuto Nino), era emigrato da giovane in Francia ed era diventato cittadino
francese. Era un uomo d’affari legato ai banchieri ebrei Rothschild e Péreire.
Ma, cosa faceva lì Alessandro Bixio? E perché il principe Napoleone gli fece
una brutta faccia (il viso dell’arme)? Per darci una spiegazione alla prima
domanda torniamo indietro al 1852 quando si determinò nel parlamento piemontese
una maggioranza che faceva prevedere la caduta del ministero d’Azeglio. Cavour,
che sapeva di dover succedere al d’Azeglio, decise di “sottrarsi al
logorio politico e psicologico dell’attesa” con un viaggio all’estero. Ma
la ragione del viaggio era un’altra. Sia a Londra che a Parigi incontrò tutti
quei personaggi che ritroveremo nella storia dell’unità d’Italia. A Parigi
Cavour non poté non respirare l’atmosfera di ritrovata fiducia originatasi nei
ceti imprenditoriali e capitalistici, dopo il colpo di stato di Napoleone III.
“I capitali sorgono da tutte le parti. La prosperità finanziaria è
immensa” scriveva Cavour. Ed a Parigi, tra gli altri, incontrò Alessandro
Bixio che fece da tramite tra Cavour e gli ambienti bancari ebraici. In quei
colloqui nacquero tutte le iniziative industriali, in particolare ferroviarie,
come la Vittorio Emanuele, bancarie e finanziarie che caratterizzeranno i
successivi sette anni del ministero Cavour, fino alla guerra con l’Austria
(R2). Circa il viso dell’arme fatto da Gerolamo Bonaparte ad Alessandro Bixio
possiamo pensare che la sua presenza significava la sospensione della guerra,
sospensione che il principe Gerolamo non condivideva: insomma gli interessi
rappresentati dal Bixio vinsero su quelli militari e dinastici dei napoleonidi!
Ecco alla conclusione dei progetti discussi a Parigi nel 1852 il controllore:
la presenza di Alessandro Bixio. Gli effetti della sua presenza si videro
subito.
strano provvedimento di
francesco giuseppe
La situazione finanziaria dell’impero
austriaco, prima e durante la guerra con il Piemonte, dava origine alle più
serie preoccupazioni. Il riflusso dall’estero di titoli austriaci, in corso dai
primi del 1859, aveva accentuato il drenaggio delle risorse valutarie della
Nationalbank che aveva dovuto sospendere i pagamenti in contanti, mentre
l’aggio sull’argento saliva in maggio al 40 per cento e il corso dei titoli di
Stato austriaci crollava a Francoforte da 81 fiorini in gennaio a 38 in aprile.
Tutta l’economia del paese veniva dunque investita da gravi tensioni
inflazionistiche, mentre la capacità di importazione risultava drasticamente
ridotta, ed il ministro delle finanze Bruck doveva mettere mano alle riserve
metalliche della Nationalbank, con grave danno del credito al paese, per
procurare all’esercito le forniture necessarie. Già per queste ragioni era
chiaro che lo sforzo bellico non avrebbe potuto protrarsi più a lungo (R3).
Quattro giorni dopo l’armistizio [!], il 15 luglio 1859, durante il primo consiglio
dei ministri dopo la sconfitta militare, l’imperatore Francesco Giuseppe
rendeva pubblico il famoso Manifesto di Laxenburg col quale si affrettava a
promettere alla borghesia un sostanziale mutamento di rotta. “Le
benedizioni della pace – affermava l’imperatore austriaco – sono doppiamente
preziose perché mi procureranno l’agio necessario per consacrare tutta la mia
attenzione e le mie cure, non più turbate da nulla, al felice adempimento del
compito che mi sono prefisso”. Di lì a poco il Regolamento industriale
austriaco abrogava il regime delle corporazioni, introduceva la libertà del
lavoro, dava l’avvio alla prima rivoluzione industriale dell’Austria. Gli ebrei
di Vienna ed i protestanti di Germania ringraziarono (MC). Quattro giorni dopo
la battaglia di Solferino, la borsa austriaca ebbe un rialzo! (R3). In novembre
l’imperatore Francesco Giuseppe approvò la proposta di abolire molte
restrizioni residue imposte alle comunità ebraiche dell’impero. Istituì, prima
della fine dell’anno il Comitato per il debito di Stato, con il compito di
esaminare la struttura finanziaria dell’impero, poiché concordava con il
ministro delle finanze Bruck sulla necessità di rassicurare gli investitori
stranieri (PA). Considerazioni: Insomma, vendendo e ricomprando i titoli del
debito pubblico austriaco, la grande finanza internazionale faceva la guerra e
la pace! Per amore o per forza i grandi mercati si dovevano aprire ai grandi
capitali. Che questo fosse il principale scopo nella guerra fatta da Napoleone
(o fatta fare a Napoleone) all’Austria, è dimostrato dall’armistizio di
Villafranca, senza giustificazioni militari da parte della Francia e dal
manifesto di Laxenburg. Il resto è storia a contorno, appare come la storia
della mancia rilasciata ai servitori.
cavour diplomatico
Dopo la battaglia di Solferino, la
diplomazia internazionale si attivò per arrivare ad una sistemazione della
situazione italiana, possibilmente senza la prosecuzione della guerra. Anche
Cavour si attivò per volgere a suo favore gli avvenimenti e, per ottenere
questo, ebbe contatti con tutti i gabinetti europei. In particolare, nel
tentativo di combattere l’ostilità dell’opinione pubblica germanica, aveva
anche inviato, dietro suggerimenti russi e francesi, una nota al presidente di
turno della Dieta di Francoforte, il prussiano Usedom, mettendo in rilievo la
solidarietà degli interessi piemontesi e germanici: ma il documento dovette
essere ritirato per consiglio dello stesso destinatario, il quale avvertì che
l’insistenza sul disegno di cacciare l’Austria di là dalle Alpi avrebbe invece
rinsaldato la solidarietà dei minori Stati tedeschi col governo di Vienna.
Usedom dava questo giudizio molto negativo sul documento cavouriano: “Eine
taktlosere, unpolitischere Fassung dieses Aktenstückes konnte unter den
obwaltenden Umständen nicht gedacht werden” “Questa nota, indelicata
e impolitica, nelle presenti circostanze, appare improvvisata”. Sembra che
Cavour abbia riferito, falsamente, di suggerimenti russi e francesi per
“giustificare il suo passo errato” (R3).
altra ragione
dell’armistizio di villafranca
Napoleone, tra le ragioni che lo indussero
a firmare l’armistizio di Villafranca, tenne sicuramente presente anche
un’altra ragione, quella finanziaria tra la Francia ed il Piemonte, giacché il
trattato del dicembre 1858 aveva stabilito che il Piemonte avrebbe pagato le
spese di guerra della Francia con il decimo delle entrate dei nuovi territori
conquistati, ma la Francia aveva già speso ben 360 milioni di franchi e la sua
alleata altri 80 milioni, somme che nessuna prevedibile tassa piemontese sul
reddito sarebbe riuscita a raccogliere, ed è da domandarsi se mai Cavour fosse
stato in buona fede quando aveva stipulato tale accordo (VE).
scenario dell’italia
disegnato da napoleone e cavour
Dobbiamo ora riflettere sullo scenario che
il Cavour e Napoleone III avevano disegnato a Plombières come conseguenza della
guerra all’Austria che studiavano di provocare. “La valle del Po, la
Romagna e le Legazioni costituirebbero il Regno dell’Alta Italia sul quale regnerebbe
la casa di Savoia. Il papa conserverebbe Roma e il territorio circostante. Il
resto degli Stati del papa con la Toscana formerebbe il Regno dell’Italia
Centrale. La circoscrizione territoriale del Regno di Napoli non sarebbe
toccata. I quattro Stati italiani formerebbero una confederazione sul modello
dela Confederazione germanica, la cui presidenza sarebbe data al papa per
consolarlo della perdita della parte migliore dei suoi Stati”. Quanto poi
si realizzò non coincise in alcun modo col disegno. Le ragioni sono varie.
Innanzi tutto non fu assolutamente prevista l’ingerenza dell’Inghilterra in
questa vicenda. Napoleone III e Cavour si preoccupavano soltanto di tenerla
buona e di fare i propri interessi. Non pensarono che l’Inghilterra potesse
invece avere interesse alla nascita di una potenza mediterranea, proprio
antagonista dell’Austria e della Francia, che a partire dal 1844 aveva
incominciato la sua espansione nel Mediterraneo. Poi non fu prevista l’inazione
della Russia e del suo disinteresse verso questo quadrante dello scacchiere
mediterraneo. Infine non fu prevista la ingerenza del capitalismo
internazionale, che non reputò sufficiente la conquista della sola valle del
Po, per consentire al Piemonte il pagamento dei suoi debiti. Ma ritorniamo al
Cavour ed alla sua azione politica.
cavour corruttore
Nel gennaio 1861 Cavour e Pio IX stavano
trattando la cessione di Roma per via amichevole. Negoziatore ufficioso del
governo di Torino presso la Santa Sede era il medico marchigiano Diomede
Pantaleoni; dopo un ultimo colloquio con Cavour e col ministro dell’interno
Minghetti, l’11 febbraio 1861, un certo padre Passaglia si recava a Roma con in
tasca cento napoleoni d’oro. Ma per corrompere i prelati della Curia romana,
Pantaleoni era autorizzato a spendere molto di più. “Le faccio facoltà –
gli scriveva Cavour – di spendere quanto reputerà necessario per amicarsi gli
agenti subalterni della Curia. Quando poi occorresse di ricorrere a mezzi
identici ma sopra larga scala pei pesci grossi, me li indicherà, ed io vedrò di
metterli in opera, valendomi però di altra via di quella dei negoziatori che
saranno lei ed il padre… Dio voglia che i suoi sforzi siano coronati da esito
prospero. Ella avrà associato il suo nome al più gran fatto dei tempi moderni”
(MC).
corruzione della stampa
Frequente, e sostenuto da un largo ricorso
ai fondi segreti, fu l’intervento del ministero di Cavour nelle cose della
stampa, diretto sia a favorire all’interno giornali e giornalisti schierati
dalla parte del governo, sia ad alimentare le simpatie della stampa liberale
straniera per la causa del Piemonte. “La Staffetta è un pessimo giornale
che fa torto al ministero: lo dissi a Dina – è Cavour che scrive – questa
primavera. Non do un soldo se prima la Staffetta non cessa le sue stupide
pubblicazioni. Ciò fatto rimetterò ora a Dina L. 3.000 e in gennaio L. 3.000.
Se questi patti non sono accettati, gli ripeto, non do un soldo”. Cavour
dava direttive all’intendente Conte per non far nascere un giornale mazziniano
a Genova. Lo stesso intendente, Conte, informava Cavour che il solo giornale
sardo, lo Statuto, favorevole al governo fosse quello sovvenzionato.
Nell’Archivio Cavour, corrispondenti, si trovano numerose lettere di editori e
giornalisti stranieri, di livello e moralità molto varia, che si offrono di
sostenere il governo liberale piemontese. [Evidentemente la voce si era
sparsa]. Qualche nome: Henri Avigdor (Presse), Félix Belly (Le Pays, Journal de
l’Empire), François Buloz (Revue des deux mondes), De Poggenphol (Nord di Bruxelles),
C. Navin (Siècle), Pallieri (L’Italie) (R3). Ma la stampa piemontese non veniva
corrotta solo da Cavour. Anche la Rosina Vercellana, la contessa di Mirafiori,
l’amante del re, conosceva quest’uso dei giornali piemontesi. Quando il sovrano
si voleva liberare del Cavour, anche perché questi non vedeva di buon occhio la
sua relazione con la Rosina, quest’ultima acquistò gli articoli dello
Stendardo, pagandoli 12.000 franchi (R3).
onore – I
Garibaldi, nel più grande segreto, aveva
ricevuto denaro ed armi dal governo italiano in vista di una invasione dei
territori papali che si pensava avrebbero fornito un pretesto per intervenire
all’esercito nazionale. Mazzini era intanto pronto alla guerra civile,
soprattutto perché pensava giustamente che il re si sarebbe schierato contro
Garibaldi al primo segno di disapprovazione della Francia. L’unica speranza
seria era che i cittadini di Roma precipitassero le cose con una insurrezione
che li facesse intervenire sul loro destino; pensò anche per un momento di recarsi
a Roma di persona per renderlo possibile. Contemporaneamente Vittorio Emanuele
stava proponendo, segretamente, a Napoleone un accordo in base al quale
francesi ed italiani avrebbero occupato, insieme, la città di Roma impedendo
così al partito mazziniano di deporre il papa e di proclamare la repubblica. Il
re disse a diverse persone che, come “premio supplementare”, gli si
doveva permettere di “massacrare” Garibaldi e 30 mila volontari
appartenenti alla “feccia criminale” dei seguaci di Garibaldi e Mazzini.
Questo infelice termine “massacrare”, insieme allo
“sterminare” usato nel 1860 da Cavour contro i garibaldini, veniva
stranamente proprio da coloro che definivano Mazzini un “assassino”
(MZ).
onore – II
E che questo fosse lo scenario morale in
cui si muovevano i protagonisti di quella che poi ci sarebbe stata raccontata
come epopea risorgimentale, si può desumere da questo altro avvenimento.
Nell’agosto 1870 le truppe francesi lasciarono Roma, perché c’era bisogno di
loro sul fronte del Reno, ma Vittorio Emanuele II continuò a tacciare i suoi
ministri di vigliaccheria perché erano ormai meno desiderosi di prima di
vederlo combattere a favore del suo ex alleato. Egli, infatti, puntava su di
una vittoria della Francia e sperava di trovarsi di nuovo dal lato del
vincitore. In effetti, fu solo la notizia della disastrosa sconfitta di
Napoleone a Sedan che lo indusse improvvisamente a prendere un atteggiamento
più realistico. Era chiaro che l’alleanza con la Francia non rappresentava che
un duplice inconveniente ed il re, degno rappresentante della sua dinastia,
“passò rapidamente dalla parte opposta”, avendo cura di spiegare al
Papa che egli era costretto ad annettere Roma contro la sua stessa volontà. Le
lettere di Lanza indicano che, ancora una volta, i fondi segreti furono
utilizzati per suscitare una insurrezione che offrisse il pretesto per
intervenire “a restaurare la legge e l’ordine”; ma neppure questa
volta i romani si sollevarono. Si dovette così trovare una altra scusa per
l’invasione ed alcuni municipi di là dal confine pontificio furono sollecitati
ad inviare a Firenze petizioni invocanti protezione contro l’anarchia. Un breve
scontro, una breccia nelle mura, e la Città Sacra cadde in mano dell’ultimo di
una lunga serie di avidi nemici (MS).
comportamento spregevole
Il 27 dicembre 1858 Giuseppe Massari
descrive nel suo diario una vicenda che vede Cavour e Napoleone III comportarsi
in modo spregevole. “Il conte – annotava il Massari – mi fa vedere una
lettera che Berryer scriveva a Napoleone III molti anni or sono per chiedergli
10 mila franchi in prestito. Napoleone III vuole ora si stampi quella lettera
per punire il Berryer dell’arringa con cui ha ora difeso il conte di
Montalembert. Prometto al conte di Cavour di fare in modo che l’Opinione appaghi
il desiderio dell’imperatore” (GM).
cavour statista
rivoluzionario
Nel 1859 Cavour, nemico giurato della
rivoluzione, aveva tentato senza molto successo di dare l’avvio a rivoluzioni
mazziniane in Lombardia e nell’Italia centrale; e lo stesso aveva fatto, sempre
senza successo, l’anno dopo in Sicilia, a Napoli e negli stati del papa. Alla
fine del 1860 si spinse più in là e impegnò le risorse dello Stato nel
sollecitare un’altra serie di rivoluzioni in tutta l’Europa orientale. Parlava
del desiderio di rendere le “razze latine” dominatrici del
Mediterraneo; voleva “un moto insurrezionale che dal litorale dalmata ed
illirico si estendesse sino alle rive del Baltico”, col dichiarato
proposito di sfruttare quei moti in un’altra guerra contro l’Austria; una guerra
che, abbastanza significativamente, diceva necessaria “per motivi di
ordine interno”, cioè per rinsaldare negli italiani il senso della patria.
Con parole che sembravano prese da Mazzini, il primo ministro illustrava ora la
sua intenzione di creare nazionalità autonome in tutti i Balcani, aiutando i
greci a prendere Costantinopoli e dando vita a una Ungheria indipendente. Quel
progetto così ambizioso finì in un altro fallimento, benché Cavour fosse
favorito dal fatto di potersi servire dei suoi ambasciatori e dei suoi consoli
nei paesi balcanici per contrabbandare in quelle zone armi e denaro. Fra
l’altro salpò segretamente da Genova una flottiglia di navi con carichi di
armi, compresi pezzi di artiglieria pesante, il tutto registrato nelle polizze
di carico come caffè. La flottiglia fu seguita sin dal primo momento dalla
flotta austriaca e poi confiscata dai turchi. Cavour inoltrò una protesta
formale per questa confisca, affermando che il contrabbando di armi avrebbe
incontrato sempre la sua ferma opposizione; ma dalle scritte apposte sulle
casse confiscate appariva chiaramente che esse provenivano dal Regio Arsenale
di Torino. Il personale dell’ambasciata di Costantinopoli tentò affannosamente
di ricoprire quelle scritte di vernice; ma era troppo tardi. Un diplomatico
piemontese commentò: “Giammai cospirazione fu fatta con tanta innocenza
battesimale”. Ma Cavour fece presto a trovare il modo di sfruttare quel
fallimento per compromettere un concorrente, e tentò di convincere gli inglesi
che quelle armi dovevano essere state inviate da Garibaldi. Tentò anche di
deviare i sospetti su Mazzini, e inventò una storia fantastica secondo la quale
quest’ultimo stava mandando a Roma sicari travestiti da contadini per provocare
il crollo del regime papale (MZ).
opinione in francia sul
piemonte
Se la nostra critica ai personaggi di
quegli avvenimenti è agevolata dalla distanza temporale, dobbiamo riportare
anche le opinioni contemporanee, per stabilire se la nostra è critica storica
originale oppure condivisa. “Quand
on est conduit comme à Turin par des enfants qui crient fort pour montrer
qu’ils sont des hommes…”. “Quando si è guidati,
come a Torino – esclamava alla Camera dei Deputati francese, Adolphe Thiers,
ministro degli esteri di Luigi Filippo, a proposito delle intenzioni bellicose
del Piemonte – da bambini che gridano forte per dimostrare che sono uomini.
Quando si pronuncia la parola guerra bisogna chiedersi: siamo in grado di
farla?” (MC).
le ultime parole del benso
di cavour morente
Alle nove di sera del 5 giugno 1861 il re
visita Cavour morente. Cavour gli dice tra l’altro: “E i nostri poveri
napoletani così intelligenti! Ve ne sono che hanno molto ingegno, ma ve ne sono
altresì che sono molto corrotti. Questi bisogna lavarli”. Cavour,
nell’estremo delirio, pronunzia disordinatamente [o forse, meglio, gli
attribuirono giornalisti interessati a propalare quella che doveva diventare
una verità accertata] frasi come queste: “L’Italia del settentrione è
fatta: non vi sono né lombardi, né piemontesi, né toscani, né romagnoli, noi
siamo tutti italiani: ma vi sono ancora i napoletani. Oh, vi è molta corruzione
nel loro paese. Non è colpa loro, povera gente: sono stati così mal governati!
È quel briccone di Ferdinando! No, no, un governo così corruttore non può più
essere restaurato: la Provvidenza non lo permetterà. Bisogna moralizzare il
paese, educare l’infanzia e la gioventù, crear sale d’asilo, collegi militari,
ma non si pensi di cambiare i napoletani con l’ingiuriarli. Essi mi domandano impieghi,
croci, promozioni: bisogna che lavorino, che siano onesti, e io darò loro
croci, promozioni, decorazioni: ma soprattutto non lasciargliene passar una:
l’impiegato non deve nemmeno essere sospettato. Niente stato d’assedio, nessun
mezzo da governo assoluto. Tutti son buoni di governare con lo stadio
d’assedio. Io li governerò con la libertà. In venti anni saranno le province
più ricche d’Italia. No, niente stato d’assedio” (FD).
AF – Angelo FILIPPUZZI – La pace di Milano
Edizioni dell’Ateneo – Roma, 1955
AL – Alessandro LUZIO – Aspromonte e
Mentana Documenti inediti – Felice Le Monnier – Firenze, 1935
AM – Aldo Alessandro MOLA – Storia della Massoneria
italiana dall’Unità alla Repubblica – Bompiani – Milano, 1976
C4 – Giorgio CANDELORO – Storia dell’Italia
moderna Volume IV Dalla rivoluzione nazionale all’unità Feltrinelli – Milano,
1964
DB – Domenico BERTI – Scritti vari L. Roux
& C. Editori – Torino Roma, 1892
DM – Carmine DE MARCO – Unità d’Italia: la
conquista, l’asservimento, la colonizzazione, lo sfruttamento ed il finto
risarcimento. Grafico per grafico Non pubblicato – Napoli, 1979
FD – Francesco D’ASCOLI – La storia di
Napoli giorno per giorno dal 7.9.1860 al 24.5.1915 – Luigi Regina – Napoli,
1972
FH – Franz HERRE – Napoleone III Mondadori
– Milano, 1994
GM – Giuseppe MASSARI – Diario 1858-60
sull’azione politica di Cavour – Cappelli – Bologna, 1931
GS – I giorni della storia d’Italia dal
risorgimento ad oggi De Agostini – Novara, 1997
MC – Mario COSTA CARDOL – Venga a Napoli,
signor conte Mursia – Milano, 1986
MZ – Denis MACK SMITH – Mazzini RCS Rizzoli
Libri – Milano, 1993
PA – Alan PALMER – Francesco Giuseppe
Mondadori – Milano, 1997
Il termine ‘questione’ sta ad indicare una domanda, un interrogativo o un dubbio, a volte sta ad indicare un contrasto, ma è molto più conosciuto semplicemente come problema.