Alta Terra di Lavoro

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BENEDETTO VECCHIO IL SANFEDISTA CON LA CHITARRA DELL’ALTA TERRA DI LAVORO

Posted by on Giu 19, 2021

BENEDETTO VECCHIO IL SANFEDISTA CON LA CHITARRA DELL’ALTA TERRA DI LAVORO

Da anni sento il lavoro di Benedetto Vecchio con i suoi ragazzi del gruppo Mbl “Tarantella Ribelle” e ogni volta che avevo intenzione di scrivere due righe che potessero rappresentare i sentimenti e le passioni forti che mi lascia quando l’ascolto sono stato sempre costretto a rinunciarci senza capire perché.

Qualche giorno fa però qualcosa è cambiato, voi direte e “ar popolo”!!, perché ho finalmente capito cosa mi scuote e mi fa venir voglia di prendere “scoppetta” e “forconi” e “fa una torza” di tutti i nuovi “giacobini”, questa è la chiave, “i nuovi galantuomini”, che ogni giorno ci succhiano il sangue tra corruzione dilagante, tasse, bollette, acea in primis, monnezza che ormai ha invaso il nostro territorio e il pezzo “tarantella ribelle” con album annesso, è il nuovo canto dei sanfedisti e rappresenta l’inno dei sanfedisti del terzo millennio.

Non voglio assolutamente paragonarlo al Canto dei Sanfedisti del maestro Roberto De Simone perché rischierei di essere accusato di blasfemia artistica dato il monumento che rappresenta, ma i contenuti sono molti simili e sembra che nulla è cambiato a distanza di 2 secoli, infatti Benedetto, in “Tarantella Ribelle”, fa un atto d’accusa ai nuovi galantuomini, ai nuovi giacobini e spogliandosi da qualsiasi abito ideologico o lotta di classe cerca di incitare con la musica la rabbia nei giovani e nel popolo, quello con la p maiuscola, invitando a cacciare gli artigli e a ribellarsi contro la casta, invocando una nuova classe dirigente.

Fino ad ora abbiamo assistito solo a nuovi dirigenti politici che andando al potere, cavalcando la protesta sociale, hanno fatto peggio di chi l’ha preceduti e questo lavoro è nato qualche anno fa quando pensavamo, eravamo tanti, che il nemico assoluto era Berlusconi, ma oggi, a distanza di tempo, possiamo ben dire che i progressisti e i 5 stelle hanno fatto molto peggio del cavaliere che almeno ha la virtù di essere come appare.

Non canta di lotta di classe o di nuova rivoluzione che in Italia dal 1799 viene sistematicamente annunciata e iniziata ma mai terminata divenendo solo la piattaforma operazioni gattopardesche, ma canta la ribellione che è la stessa dei sanfedisti,  “chi è giacobino tene pane e vino” e “tu arrobba me i arrobba a te”, che ci fa capire che siamo fermi al 1799 dove il 98 per cento della popolazione aveva capito che il nuovo mondo che arrivava dalla Francia peggiorava le condizioni della povera gente e che stava nascendo una nuova classe dirigente che oggi sotto l’albero della libertà ci ha reso schiavi in Italia come in Europa.

Benedetto canta la festa della casta i suoi privilegi che crescono sulle spalle della povera gente, vi ricordata la grande bufala del cornetto di Maria Antonietta?be oggi al cospetto dei privilegi della suddetta casta sembra un peccatuccio veniale. A differenza, però, dei sanfedisti del 1799 che cantavano il conseguimento di una grande vittoria e ignari che avrebbero vinto solo una battaglia ma non la guerra, Benedetto qui invece con la sua musica cerca di svegliare la rabbia del popolo divenuto apatico e disilluso utilizzando la radice della musica popolare e denuncia, altresì, “che chi ha paura non ha futuro”.

Benedetto pur essendo, come molti di noi, cresciuto nel mondo progressista, in questo lavoro non usa la musica popolare come lotta di classe come ha fatto ai tempi di “balla cu me” ma ha fatto diventare “Tarantella Ribelle” la colonna sonora del popolo che non ci sta e che possiamo battezzare come il nuovo sanfedismo composto, come due secoli fa, da tutti i ceti sociali e che nel terzo millennio traditi dalle lotte ideologiche e dal loro clamoroso fallimento, vogliono tornare alla lotta pura contro chi “s’engrassa”, chi “s’arricca” e che pensa solo a proteggere la propria “robba” il tutto sulle spalle della gente onesta e per bene.

I nuovi Sanfedisti vogliono tornare alle lotte di sempre senza più stare sotto nessuna bandiera di partito ma solo sotto quella di un nuovo Sanfedismo adattato ovviamente ai nostri giorni, che nella sostanza non è molto diverso da quello di 220 anni fa perché è l’espressione di una cultura di una civiltà che appartiene solo a noi dell’italia peninsulare e che ha origini millenarie.

Benedetto canta la vera libertà quella che profuma come una rosa, quella che ti fa lottare, suonare e cantare senza avere nessuna certezza di vittoria ma che ti riempie il cuore e l’animo soltanto perché ci hai provato senza dover ringraziare o maledire qualche entità astratta di impronta giacobina.

Non so se Benedetto sa di quello che ha dentro e se condivide il mio pensiero, ma in questo lavoro è venuto fuori e non so a quanta gente ha fatto lo stesso effetto, a me certamente si. Mi scalda il sangue e mi tira fuori la rabbia facendomi tornare alle origini della nostra identità, alla nostra terra, al nostro Regno, alla nostra nazione dove non avevamo bisogno di fare le rivoluzioni ma solo le ribellioni quando le cose non ci piacevano perché l’uomo libero si ribella e non la delega a nessuno il proprio malcontento.

Anche quando canta i briganti insorgenti del 1860 li narra in maniera diversa centrando bene il vero sentimento che li armava nella loro guerra, sapevano di andare a morire ma vivendo e combattendo nel mito dei loro nonni insorgenti del 1799 speravano di raggiungerli nell’Olimpo dei guerrieri del Re, dei guerrieri di Dio.

In tanti hanno cantato Michelina, l’insorgente di Caspoli, chi lo ha fatto da radical chic, chi dandole il vestito da femminista, l’offesa più grande che hanno potuto farle, ma nessuno lo ha fatto considerandola non una sempilce brigantessa ma “la femmena nosta” che chi non è nato nella terra o chi c’è nato ma ha tranciato le proprie radici, non potrà mai capire cosa sta a significare.

Canta i fatti di Frosinone del 1798-99 quando i francesi giacobini furono ricacciati dagli insorgenti papalini-campanini e dice una cosa molto vera, “contro un popolo unito” nessuno puo far nulla ed infatti nelle insorgenze del famoso triennio 1796-99 abbiamo assistito per l’ultima volta al popolo italico, da bolzano a reggio calabria, che è stato veramente unito nel cacciare l’invasore straniero e “scannando” i neo giacobini nostrani perchè vili traditori.

Antropologicamente per un laborino come me che è cresciuto nelle strade di Cassino tra pallone, fionde, fucili a molle, biglie e tappi è un pugno al cuore sentire quel linguaggio cassinese di origine osca e mi riporta indietro di molti decenni. Solo chi è “cresciuto e pasciuto” nella polvere dei nostri campetti e nei profumi d’asfalto dei nostri marciapiedi può capire il mondo, le emozioni e le passioni che abbiamo vissuto da “lazzariegli felici”  che fuori casa parlavano la lingua laborina perché in famiglia solo l’italiano era accettato in quanto era fondamentale per emangiparsi dalla cafonaggine, e nessuno può comprendere il concetto filosofico che c’è dietro in ogni parola cantata dal Sanfedista dell’alta terra di lavoro che rende impossibile qualsiasi tipo di traduzione.

Benedetto per questo pur non essendo una persona scolasticamente colta come ce ne sono nella nostra provincia è uno degli ultimi insieme a Raimondo Rotondi, Peppe Ghiacciolo ed Alessandro Parente a creare cultura, la cultura dell’alta Terra di Lavoro, quella cultura che parte dal basso, quella che “se magnata pane e maccaruni”, quella di una vita vissuta e che appartiene a molti di noi e che rivedo in “Tarantella Ribelle”. In questo lavoro c’è l’animo di un popolo che non è morto ma è solo a riposo ed è geneticamente consapevole che cammina sulle spalle di un gigante che è la civiltà laborina che Pasolini aveva ben capito. C’è anche l’animo di un infanzia, di una gioventu che appartiene solo a chi è nato prima del 1970 e che appartiene anche ai “figli di papa” che se pur ai margini, il positivismo non è mai morto, hanno respirato quell’aria.

Artisticamente do un giudizio non da esperto ma solo da semplice ascoltatore e personalmente tutto il lavoro “Tarantella Ribelle” lo trovo molto coinvolgente e di grande spessore con un ritmo come dire…. “ribelle” che ti trascina e scombussola, come dice sempre: Enzo Avitabile “o ritmo, o ritmo”. Lo spessore musicale del lavoro viene fuori anche grazie ai musicisti che accompagnano Benedetto, che compongo il gruppo “Musicisti Basso Lazio” e che sono un eccellenza del mondo artistico dell’alta Terra di Lavoro.

Da convinto napolitano laborino per me esiste il Canto dei Sanfedisti, è la suoneria del mio telefono, ma ora anche “Tarantella Ribelle” che considero le colonne sonore dei Napolitani e Napoletani e di tutti i popoli del mondo che hanno la ribellione dentro, mentre per gli italiani nati a Napoli e nel Regno e per i progressisti sessantottini le colonne sonore sono Brigante se more, autentico capolavoro artistico incontestabile, e Bella Ciao.

Per gentile concessione di Benedetto Vecchio di seguito tutti i brani in Mp3 di “Tarantella Ribelle”       

Claudio Saltarelli

Tarantella ribelle
Speranza
E semp festa pe la casta
Tarantella numerata
Come na rosa
Nott’ d’ luna
Michelina
La radeca
Canto pe la gioventù
Tir vent’
Pizzicabrigante
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Posted by on Apr 8, 2021

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Posted by on Mar 30, 2021

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«QUANDO NAPOLI ERA CAPITALE» di GIUSEPPE PIANELLI (XV)

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CAPITOLO V
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OTTONE DI GRECIA, BRINDISI E IL RISORGIMENTO ELLENICO

Posted by on Mar 4, 2021

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Povero Adriatico! Quando rivedrai le glorie delle flotte romane di Brindisi, delle navi liburniche e delle galee veneziane? Ora il tuo flutto travolto e tumultuoso sbatte due sponde quasi deserte, e alle fratte paludose della Puglia corrispondono le spopolate montagne dell’Albania. Venezia, una locanda, Trieste, una bottega, non bastano a consolare le tue rive del loro abbandono; e l’alba che ti liscia ogni giorno le chiome ondeggianti cerca indarno per le tue prode altro che rovine e memorie.

(Ippolito Nievo, Le confessioni di un italiano, 20)

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